Ero a Leandro: differenze tra le versioni

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{{Centrato
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{{Sc|Eroide
 
<pages index="Versi di Giacomo Zanella.djvu" from=306 to=320 />
di
 
Publio Ovidio Nasone}}
}}<poem>
 
Vuoi che l’egro mio spirto io rassereni,
Come il cortese tuo foglio m’invita?
{{R|3}}Getta la penna, mio Leandro, e vieni.
 
A chi triste in desio mena la vita
Fassi un’ora mille anni. Io t’amo, io t’amo
{{R|6}}E fieramente il tuo tardar m’irrita.
 
D’immenso foco parimenti ardiamo;
Ma se d’amore son le fiamme eguali,
{{R|9}}Di tempra eguali e di vigor non siamo.
 
Noi che le membra abbiam tenere e frali
Noi fanciulle di cor siamo men forti.
{{R|12}}Vieni, o vinta io soccombo a tanti mali.
 
</poem>
==[[Pagina:Versi di Giacomo Zanella.djvu/307]]==
<poem>
Voi la caccia trastulla: in bei diporti
Alla quïete di campagna amena
{{R|15}}I lunghi giorni a voi paiono corti.
 
Ora il fòro vi chiama; or nell’arena
Scendete unti alla lotta, o d’un corsiero
{{R|18}}Affaticate la fumante schiena.
 
Or a pesci ed augelli il giorno intero
Sedete insidïando, e l’atra cura
{{R|21}}A vespero tuffate entro il bicchiero.
 
Tali trastulli a noi vieta natura;
E che far ci riman, se non l’amore,
{{R|24}}Chiuse nell’ombra di guardate mura?
 
E di te tutte quante occupo io l’ore;
Tu segreto mio studio e mio tesoro;
{{R|27}}Nè dir può lingua quel che sente il core.
 
Or di te parlo colla balia, e ploro
Con lei sommessamente e le cagioni
{{R|30}}Del tuo ritardo palpitando esploro;
 
Or riguardando il mar che gli aquiloni
Volgon sossopra, i tuoi lagni ripeto,
{{R|33}}Imprecando de’ venti alle tenzoni;
 
Per
</poem>
==[[Pagina:Versi di Giacomo Zanella.djvu/308]]==
<poem>
poco che torni il mar quïeto,
Che la voglia ti manchi e non la possa
{{R|36}}Io vo triste gemendo in mio segreto;
 
Gemo accorata, e la pupilla ho rossa
Di amaro pianto che con man tremante
{{R|39}}Terge la vecchia al mio martír commossa.
 
Spesso un vestigio io vo delle tue piante
Per la sabbia cercando, e non rammento
{{R|42}}Quanto è mobil la sabbia ed incostante.
 
E purchè di te parli, ogni momento
Io chieggo se sia giunto alcun d’Abido,
{{R|45}}per Abido dia le vele al vento.
 
E chi può dir quanti baci confido
Alle tue vesti che da me partendo.
{{R|48}}Quando spunta il mattin, lasci sul lido?
 
Tutto il mio giorno in queste cure io spendo
Ma quando gli astri per la volta eterna
{{R|51}}Scoprono il viso scintillante, accendo
 
Subitamente la fedel lucerna
Sull’altissima torre, onde il cammino
{{R|54}}Tu nell’immensa oscurità discerna.
</poem>
==[[Pagina:Versi di Giacomo Zanella.djvu/309]]==
<poem>
 
Indi traendo alla conocchia il lino
Io siedo e con femminëi sermoni
{{R|57}}Inganno, come posso, il mio destino.
 
Chiedi di che per tante ore ragioni?
Di vestiti di danze io non favello;
{{R|60}}Tu sol sulle mie labbra ognor risuoni.
 
Pensi, io dico, nutrice, che all’ostello
Leandro si sia tolto? o che sian desti
{{R|63}}Tutti? e del padre ei tema e del fratello?
 
Credi tu che dagli omeri le vesti
Ora deponga, e di salubre e schietto
{{R|66}}Olio le belle membra unger si appresti?
 
Ella accenna che sì; non che l’affetto
Nostro l’agiti assai; ma ’l capo antico
{{R|69}}Vacillante per sonno inchina al petto.
 
Fatto un breve silenzio, adesso, io dico,
Ei da riva si parte; in questo punto
{{R|72}}Entra nell’acque l’animoso amico.
 
Nè filando un pennecchio anco ho consunto,
Che la nutrice interrogo: ti pare
{{R|75}}Ch’ei possa a mezzo corso essere or giunto?
</poem>
==[[Pagina:Versi di Giacomo Zanella.djvu/310]]==
<poem>
 
Ed ambo dal balcon guardiamo al mare,
E preghiamo con timido desio
{{R|78}}Non ti sian l’aure di soccorso avare.
 
Ad ogni suon quella fedele ed io
Tendiam l’orecchio, e de’ tuoi passi il suono
{{R|81}}Trepide udiamo in ogni mormorío.
 
Breve riposo alfine agli occhi io dono;
E languida sul sen della nutrice
{{R|84}}Questa infiammata mia testa abbandono.
 
Sogno, e del vano mio sognar felice
Parmi vederti allor che le grondanti
{{R|87}}Braccia mi avvolga intorno alla cervice.
 
Tu da me prendi gli odorosi ammanti
A coprirti; e mi dai baci e ricevi,
{{R|90}}Com’è l’usanza de’ beati amanti.
 
Ahi, dolorosa! che bugiarde e brevi
Son le gioie de’ sogni, e sugli albóri
{{R|93}}Tu, come sciolta visïon, ti levi.
 
Quando fia che più l’onda i nostri amori
A divider non abbia, e mite Iddio
{{R|96}}Stringa in nodo perenne i nostri cori?
</poem>
==[[Pagina:Versi di Giacomo Zanella.djvu/311]]==
<poem>
 
Perchè soletta trapassar degg’io
Tante vedove notti? E tu che fai
{{R|99}}Sull’altra riva, nuotator restio?
 
Oggi son l’onde paurose assai;
Eran ieri più basse; or perchè colta
{{R|102}}Ieri la bella occasïon non hai?
 
Ben gittata l’hai tu, ma ti fu tolta
Ieri dal vento: invan sarà che aspetti
{{R|105}}Più tranquilla marina un’altra volta.
 
Vieni; al mio fianco non avrai sospetti;
Noi le burrasche prenderemo a scherno,
{{R|108}}L’uno al collo dell’altro avvinti e stretti.
 
Ridendo udremo il tempestoso verno
Tonar sui flutti: io ben sarei contenta
{{R|111}}Se dell’onde il furor durasse eterno.
 
Ma donde avvien che tema ora tu senta
De’ nembi? perchè l’onda che sicura
{{R|114}}Tante volte ti parve, or ti sgomenta?
 
Ben mi ricorda che crucciata e scura
La marina mugghiava al tuo venire;
{{R|117}}Pure non valse a metterti paura.
</poem>
==[[Pagina:Versi di Giacomo Zanella.djvu/312]]==
<poem>
 
Allor dicea: tu mi farai morire
Col soverchio ardimento. Or dove giace,
{{R|120}}Di’, del valente nuotator l’ardire?
 
Ma che favello sconsigliata? Audace
Tanto mai più non essere, o mio bene;
{{R|123}}Nè scendi in mar se pria noi vedi in pace.
 
Basta che non sian rotte le catene
Che i nostri cori allacciano, nè spento
{{R|126}}Cada il foco che n’arde oggi le vene.
 
Il mar si muti, ed imperversi il vento,
Mutando lato; io non ho tema alcuna;
{{R|129}}Ma che il tuo cor si muti, io mi sgomento.
 
Pavento ancora che la mia fortuna
Vil non ti sembri; e tu nato in Abido
{{R|132}}Lei disprezzi che m Tracia ebbe la cuna.
 
Ma tutto io posso tollerar, se infido
Non ti ritrovi, nè novello amore
{{R|135}}Il nostro antico amor cacci di nido.
 
Se non fosse più mio quel nobil core.
Onde mi venne sì profonda piaga,
{{R|138}}Preverrei col morir cotanto orrore.
</poem>
==[[Pagina:Versi di Giacomo Zanella.djvu/313]]==
<poem>
 
Nè favello così, perchè presaga
Sia la mente di danni, o dia credenza
{{R|141}}A romori di fama incerta e vaga;
 
Ma di tutto io pavento; e fu mai senza
Paura vero amore? E di sospetto.
{{R|144}}M’empie pur sempre la tua lunga assenza.
 
O felice colei che nel cospetto
Vive ognor del suo vago e scerne il vero,
{{R|147}}Nè sognato terror le agghiaccia il petto!
 
Verace torto o grido menzognero
Io discerner non so: vero o bugiardo
{{R|150}}Ogni detto conturba il mio pensiero.
 
Vieni, vieni una volta; e del ritardo
Sian cagione i parenti o la procella,
{{R|153}}Non d’altra donna lusinghevol guardo.
 
Vuoi tu ch’io muoia alla fatai novella?
Vedi, Leandro, ignobile delitto
{{R|156}}La morte procurar d’una donzella.
 
Ma perdonami, o caro; il cor trafitto
Io vo pascendo di paure: intanto
{{R|159}}È l’onda che si oppone al tuo tragitto.
 
Ahimè,
</poem>
==[[Pagina:Versi di Giacomo Zanella.djvu/314]]==
<poem>
come rimugge a’ lidi infranto
L’ampio Ellesponto! e van le nubi e tutto
{{R|162}}Coprono il ciel di ferrugigno ammanto!
 
Forse in questa ora rinnovella il lutto
D’Elle l’antica genitrice e mesta
{{R|165}}I suoi pianti confonde al conscio flutto?
 
Od Ino alla figliastra ancora infesta
Sul mar che ha nome da costei, discende
{{R|168}}Tanta a destarvi orribile tempesta?
 
Fato nemico le donzelle attende
Ognora in questo mar, che l’innocente
{{R|171}}Elle sommerse, ed or me crudo offende.
 
Ma tu, Nettuno, se ti rechi a mente
Le antiche fiamme, perchè sei scortese
{{R|174}}A me che d’egual foco ho l’alma ardente?
 
S’è ver che col sorriso un dì ti prese
Amimone, e co’ begli occhi divini
{{R|177}}Tiro d’immensa vampa il cor t’accese:
 
Ed Alcïon ne’ talami marini
E Calice accogliesti e di serpenti
{{R|180}}Medusa non ancora avvinta i crini;
</poem>
==[[Pagina:Versi di Giacomo Zanella.djvu/315]]==
<poem>
 
E Laodice che dorate a’ venti
Spandea le chiome e la gentil Celeno
{{R|183}}Ascesa a fiammeggiar ne’ firmamenti;
 
Perchè, Nettuno, se cotante in seno
Fiamme accogliesti, sei con me sì fiero
{{R|186}}Che d’amoroso incendio ardo non meno?
 
Pace, gran nume; col tridente altero
L’oceano sconvolgi; in breve chiostra
{{R|189}}Sdegna far pompa del regale impero.
 
Sorgi colà con tutti i venti in giostra;
Le navi aggira e co’ sonanti e vasti
{{R|192}}Marosi le gran flotte abbatti e prostra.
 
Vergogna, che dell’acque il Dio contrasti
Ad inerme garzon; palma sì vile
{{R|195}}D’un fiumicel si disdirebbe a’ fasti.
 
Vanta Leandro origine gentile;
Ma fra gli avi famosi ei non addita
{{R|198}}L’Itaco astuto a’ tuoi nepoti ostile.
 
Pace, gran nume; ed ambo a un tempo aita;
Ei nuota; per la stessa onda tranquilla
{{R|201}}Naviga coll'amante la mia vita.
</poem>
==[[Pagina:Versi di Giacomo Zanella.djvu/316]]==
<poem>
 
La lampa al cui chiaror scrivo, scintilla
Lieta scoppiando, e d’avvenir felice
{{R|204}}Porge giocondi auguri alla pupilla.
 
Ecco su’ fausti fochi la nutrice
Il vino infonde e, — Tre sarem domani, —
{{R|207}}Un colmo nappo tracannando, dice.
 
Mio ben, fa’ che siam tre, fa’ che lontani
Mai più non siam: così t’arrida Amore,
{{R|210}}E l’onda al nuoto Citerea ti spiani.
 
Perchè, perchè se t’ho rinchiuso in core,
Così di rado al tuo fianco mi assido?
{{R|213}}Torna, torna a tue tende, o disertore.
 
Anch’io vorrei talor scender dal lido;
Poi m’arresta il pensier che alle donzelle
{{R|216}}È questo mar più che a’ garzoni infido.
 
Frisso il varcava e l’incolpabil Elle;
Frisso fu salvo; e solo alla nemica
{{R|219}}Onda diè nome l’incolpabil Elle.
 
Forse paventi che la lena antica
Al ritorno ti manchi e non risponda
{{R|222}}Dell’iterato nuoto alla fatica?
</poem>
==[[Pagina:Versi di Giacomo Zanella.djvu/317]]==
<poem>
 
Io lasciando la mia, tu la tua sponda
Corriamo ad incontrarne a mezza strada,
{{R|225}}E baciamoci in volto a fior dell’onda;
 
Poscia ciascuno alla natia contrada
Faccia ritorno. Picciol premio è certo;
{{R|228}}Ma partito è miglior starsene a bada?
 
Oh, faccia Iddio che finalmente aperto
Sia l’amor nostro a tutti, e si rimova
{{R|231}}L’invido vel che l’ha finor coperto!
 
Già vergogna ed amor fan mala prova
Congiunti in un: non so qual sceglier deggia;
{{R|234}}Che se l’una convien, l’altro ne giova.
 
Perchè Giason non sei che nella reggia
Entra appena di Coleo, ed a’ suoi lari
{{R|237}}Colla rapita vergine veleggia?
 
Perchè non sei l’avventuroso Pari
Che viene a Lacedemone e repente.
{{R|240}}Solca coll’involata Elena i mari?
 
Chè se sovente vieni, anco sovente
Tu m’abbandoni e di nuotar non badi,
{{R|243}}Se per nave tornar non ti si assente.
 
O
</poem>
==[[Pagina:Versi di Giacomo Zanella.djvu/318]]==
<poem>
vincitor de’ procellosi guadi,
Sfida pur l’onde e tuttavia le temi;
{{R|246}}Speme e paura avvicendar ti aggradi.
 
Fracassate dal mar van le triremi,
Opra di mille artefici; e tu speri
{{R|249}}Che le tue braccia più possan de’ remi?
 
Quel che tu fai, gl’intrepidi nocchieri
Paventano di far: rotto il naviglio,
{{R|252}}Nuotan sol presso a morte i passaggeri.
 
Ahimè, che la paura io ti consiglio,
Folle! e poscia vorrei che de’ miei detti
{{R|255}}Tu più forte sfidassi ogni periglio.
 
Lasciami delirar, pur che t’affretti
Ed uscendo dal mar l’umido braccio
{{R|258}}Avidamente all’omero mi getti.
 
Ma quante volte a contemplar mi affaccio
Dalla finestra il pian dell’acque immenso
{{R|261}}Ratto per l’ossa mi trascorre un ghiaccio.
 
E della scorsa notte anco ripenso
Tremante al sogno orribile, che sorta
{{R|264}}Tosto espiai con lagrime ed incenso.
</poem>
==[[Pagina:Versi di Giacomo Zanella.djvu/319]]==
<poem>
 
Era sull’alba: tremolante e smorta
Dormicchiava la lampa, allor che vere
{{R|267}}Le novelle a’ mortali il sonno apporta.
 
Semisopita mi lasciai cadere
Di mano il fuso e a torbido riposo,
{{R|270}}La guancia abbandonai sull’origliere.
 
Qui veder mi parca pel mar spumoso
Vago delfin far cento giri e cento
{{R|273}}Mezzo sorto dall’onda e mezzo ascoso.
 
Poi mi parea, che di traverso un vento
Impetuoso lo gittasse ai lidi,
{{R|276}}Ove giacca fra l’alghe avvolto e spento.
 
Vera o falsa l’immagine che vidi,
Io n’ho paura. Alla venuta aspetta
{{R|279}}Tranquillo ir mar, nè i sogni miei deridi.
 
Se non curi di te, d’Ero diletta
Abbi almeno pietà, che intempestiva
{{R|282}}L’ora estrema a veder non sia costretta.
 
Ma già speranza l’egro spirto avviva;
Sicuro per la placida bonaccia
{{R|285}}Tu potrai tosto abbandonar la riva.
</poem>
==[[Pagina:Versi di Giacomo Zanella.djvu/320]]==
<poem>
 
Intanto, finchè dura la minaccia
Della gonfia marina, il tuo cordoglio
{{R|288}}E le dimore men gravi ti faccia
 
Questo ch’Ero ti manda, amico foglio.</poem>