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st’ultimo, perciò, scrivendo a sua moglie sfogava un po’ di risentimento politico contro il Manzoni ed i suoi amici:<ref>Nell’anno 1832 (il Camerini afferma nel 1831) troviamo l’Azeglio stabilito in propria casa con la figlia primogenita di Alessandro Manzoni, la Giulia, che ebbe per padrino il Fauriel, divenuta sua moglie, intento a dipinger quadri e a limare il ''Fieramosca''. "Le lettere (egli scrive ne’ ''Miei Ricordi'') erano rappresentate in Milano da Alessandro Manzoni, Tommaso Grossi, Torti, Pompeo Litta, ec. Vivevano fresche memorie dell’epoca del Monti, Parini, Foscolo, Porta, Pellico, di Verri, di Beccaria; e per quanto gli eruditi od i letterati viventi menassero quella vita da sè, trincerata in casa ed un po’ selvaggia, di chi non ama d’esser seccato, pure a volerli, e con un po’ di saper fare, c’erano, e si poteano vedere, Io mi trovavo portato in mezzo a loro come genero di Alessandro Manzoni; conoscevo tutti, ma mi ero specialmente dimesticato con Tommaso Grossi, col quale ebbi stretta ed inalterata amicizia sino alla sua pur troppo precoce morte. A lui ed a Manzoni specialmente, desideravo di mostrare il mio scritto e chiedere consigli, ma di nuovo mi era presa la tremarella, non più pittorica, ma letteraria. Pure bisognava risolversi, e mi risolsi; svelai il mio segreto, implorando pazienza, consiglio e ''non indulgenza''. Volevo la verità vera. Fischiata per fischiata, meglio quella d’un paio d’amici che quella del pubblico. Ambidue credo che si aspettavano peggio di quello che trovarono, a vedere il viso approvativo, ma un po’ stupito, che mi fecero, quando lessi loro il mio romanzo. Diceva sorridendo Manzoni: "Strano mestiere il nostro di letterato; lo fa chi vuole dall’oggi al domani! Ecco qui Massimo: gli salta il grillo di scrivere un romanzo, ed eccolo lì che non se la sbriga poi tanto male." Pare che il Manzoni abbia detto invece: "Eccolo lì che ci riesce alla prima."—Lo stupore del Manzoni e del Grossi, del resto, aveva il suo fondamento, se è vero, come pare verissimo, quello che il signor Gaspare Barbèra disse aver inteso dalle stesso D’Azeglio: "Quando io scrissi (avrebbe detto l’Azeglio) la prima volta per illustrare la ''Sacra di San Michele'' (che fu stampata nel 1829), mi posi al lavoro dopo aver fatto raccolta di modi italiani, i quali mi pareva che dovessero fare un grande effetto sui lettori, e ne riempii più che potei il mio scritto. Andato in quei giorni a {{pt|Mi-|Milano, {{#section:Pagina:Manzoni.djvu/189|note1}}}}</ref> "Salutami gli amici, Grossi, Manzoni, e di’ a
{{Pt|st’ultimo,|Quest’ultimo,}} perciò, scrivendo a sua moglie sfogava un po’ di risentimento politico contro il Manzoni ed i suoi amici:<ref>Nell’anno 1832 (il Camerini afferma nel 1831) troviamo l’Azeglio stabilito in propria casa con la figlia primogenita di Alessandro Manzoni, la Giulia, che ebbe per padrino il Fauriel, divenuta sua moglie, intento a dipinger quadri e a limare il ''Fieramosca''. «Le lettere (egli scrive ne’ ''Miei Ricordi'') erano rappresentate in Milano da Alessandro Manzoni, Tommaso Grossi, Torti, Pompeo Litta, ec. Vivevano fresche memorie dell’epoca del Monti, Parini, Foscolo, Porta, Pellico, di Verri, di Beccaria; e per quanto gli eruditi od i letterati viventi menassero quella vita da sè, trincerata in casa ed un po’ selvaggia, di chi non ama d’esser seccato, pure a volerli, e con un po’ di saper fare, c’erano, e si poteano vedere, Io mi trovavo portato in mezzo a loro come genero di Alessandro Manzoni; conoscevo tutti, ma mi ero specialmente dimesticato con Tommaso Grossi, col quale ebbi stretta ed inalterata amicizia sino alla sua pur troppo precoce morte. A lui ed a Manzoni specialmente, desideravo di mostrare il mio scritto e chiedere consigli, ma di nuovo mi era presa la tremarella, non più pittorica, ma letteraria. Pure bisognava risolversi, e mi risolsi; svelai il mio segreto, implorando pazienza, consiglio e ''non indulgenza''. Volevo la verità vera. Fischiata per fischiata, meglio quella d’un paio d’amici che quella del pubblico. Ambidue credo che si aspettavano peggio di quello che trovarono, a vedere il viso approvativo, ma un po’ stupito, che mi fecero, quando lessi loro il mio romanzo. Diceva sorridendo Manzoni: «Strano mestiere il nostro di letterato; lo fa chi vuole dall’oggi al domani! Ecco qui Massimo: gli salta il grillo di scrivere un romanzo, ed eccolo lì che non se la sbriga poi tanto male.» Pare che il Manzoni abbia detto invece: «Eccolo lì che ci riesce alla prima.» — Lo stupore del Manzoni e del Grossi, del resto, aveva il suo fondamento, se è vero, come pare verissimo, quello che il signor Gaspare Barbèra disse aver inteso dalle stesso D’Azeglio: «Quando io scrissi (avrebbe detto l’Azeglio) la prima volta per illustrare la ''Sacra di San Michele'' (che fu stampata nel 1829), mi posi al lavoro dopo aver fatto raccolta di modi italiani, i quali mi pareva che dovessero fare un grande effetto sui lettori, e ne riempii più che potei il mio scritto. Andato in quei giorni a {{pt|Mi-|Milano, {{#section:Pagina:Manzoni.djvu/189|note1}}}}</ref> «Salutami gli amici, Grossi, Manzoni, e di’ a