Arabella/Parte quarta/5: differenze tra le versioni
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Arabella promise alla Colomba che si sarebbe lasciata vedere più tardi e andò a fare una visita allo zio Borrola per chiedergli un consiglio.
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Essa rispose tre volte di sì senza afferrare una sola parola di tutto questo grande discorso. Lo zio Mauro si offrì di presentarla all’arcivescovo, un venerando prelato che... ma Arabella gli troncò le parole in bocca per raccontargli il caso di Ferruccio. Bisognava fare in modo che quel povero ragazzo potesse lasciare il paese. Era un dovere di tutti i parenti di proteggere un giovine onesto, che scontava le conseguenze di colpe non sue. Ai mezzi avrebbe provveduto essa stessa, ma bisognava indirizzarlo...
Anche la zia Sidonia prese vivo interesse a questo caso doloroso, in cui vedeva coll’anima dell’artista un non so che di drammatico e di avventuroso. La ribellione all’autorità, costituita già nell’indole sua, era cresciuta il giorno che a Parigi alcuni gardiens de la paix avevano battuto e maltrattato un caro suo cagnolino terrier, mentre l’imperatrice Eugenia passava in carrozza sulla piazza Vendôme.
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Arabella verso sera tornò a veder Ferruccio e la Colomba in via San Barnaba. Sedettero nell’apertura della finestra, dopo aver socchiuso l’uscio della stanza per non farsi sentire dalla Nunziadina malata.
Essa gli prese una mano e lo guardò negli occhi.
E poiché la Colomba chinava la testa avvilita, Arabella si chinò verso di lei e le disse piano:
E a Ferruccio, che la contemplava con occhio fisso e brillante, disse:
Il giovine scattò dalla sedia e mosse alcuni passi sul ballatoio, colla testa bassa, colla mano dentro i capelli. Quando tornò nel vano della finestra esclamò:
La povera donna, portatosi il grembiule agli occhi, cercò di soffocarvi dentro il gran pianto e la passione che rompevale lo stomaco. Ferruccio le circondò la testa col braccio e vi posò le labbra un pezzo senza piangere.
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Si vestì, uscì con un pretesto, promettendo di tornare, corse a San Barnaba per accertarsi che non lo avevano arrestato. Lasciò detto alla Colomba che verso mezzodì li avrebbe raggiunti in via Torino, nello studio, e appena le parve un’ora conveniente, si recò in piazza di Sant’Ambrogio in cerca dell’avvocato. Questi l’accolse cortesemente e non esitò a consegnarle tremila lire, di cui essa lasciò una ricevuta; e stava per andarsene, quando il Mornigani venne ad annunciare il signor Lorenzo.
Lorenzo, nel rivedere sua moglie, abbassò la testa e si fermò sulla soglia, come un ragazzo timido e pentito che aspetta il perdono della mamma.
Arabella prese la mano che Lorenzo, commosso fino alle lagrime, le stese, e parlando a monosillabi, accettò, acconsentì a tutto quello che l’avvocato credette utile di aggiungere, come se in fondo non si trattasse di lei. E le parve di intendere che Lorenzo si sarebbe recato alle Cascine quel giorno stesso, col tram delle quattro, per accondiscendere all’invito della mamma, che aveva preparata una dolce congiura.
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Sul rovescio d’una di quelle paginette, obbedendo a una pietosa ispirazione, scrisse queste sentenze:
Scriveva queste idee non sue come per reminiscenza o per incantamento senza accorgersi che Ferruccio, entrato poco prima, aspettava timidamente sulla soglia.
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Quando essa si accorse ch’egli era presente, gli disse senza turbarsi:
Si tolse dal petto una spilla d’oro e la consegnò al giovine, che mormorò qualche parola di ringraziamento.
Ferruccio, appoggiato colle spalle allo stipite dell’uscio, trasse un sospiro coperto come se patisse in sogno. Cogli occhi bassi, pareva tutto occupato a decifrare i disegni di un fazzoletto che teneva stretto e teso in uno sforzo nervoso colle due mani.
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Arabella si mosse e toccò qualche libro di quelli che erano sparsi sul tavolo e sulle sedie.
E si volse a ridere ancora per invogliare il giovine a uscire da una tristezza, che li avviliva entrambi schiacciandoli. Vedendo ch’egli non osava alzare gli occhi dopo aver accomodate alcune cosuccie nella valigia, la signora si aggiustò un lembo del velo sul capo e sulle spalle, guardò a lungo l’orologio per fissare l’animo e la volontà in uno sforzo supremo sopra un oggetto che la sostenesse, e quasi correndo verso di lui gli tese la mano con piglio soldatesco, esclamando:
Ferruccio vacillò, appoggiò le braccia al muro, alle braccia appoggiò la testa per nascondere e per soffocare un pianto, che non era più capace di dominare.
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Arabella si passò lievemente la sinistra sul volto per rimuoverne una nuvola oscura che l’avvolse, socchiuse gli occhi con un abbandono d’infinita stanchezza, si avvicinò, gli posò le mani sulle spalle, vi si appoggiò, e parlandogli nell’orecchio, ebbe ancora la forza di aggiungere:
Il figlio della povera Marietta a quella voce che spasimava si rivolse, si drizzò sulla persona, e premendo il fazzoletto sugli occhi, cercò anche lui di essere forte: ma non poté dire che queste due parole:
Era accecato dalle lagrime e dal dolore. Sarebbe forse stramazzato in terra, se le due braccia della signora non l’avessero stretto e sostenuto. Sentì il calore d’un viso ardente sul suo: sentì sulla fronte e sui capelli una furia di baci ardenti, sentì due mani gelide che gli serravano la testa: ma non osò, non poté aprire gli occhi.
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La Colomba, che entrata non vista, assisteva da mezzo minuto a quella scena, cercò di separarli.
E strappando Ferruccio per un braccio, gli disse con accento sconvolto misto di pietà e di rimprovero:
Con queste parole riuscì alla donna, inframmettendosi, di separarli. Ferruccio cadde su una sedia. Presa Arabella come una prigioniera, non senza qualche violenza toccò ancora alla Colomba di metterla fuori, nell’altra stanza, dove, carezzandola e persuadendola:
Chiuse l’uscio dietro a sé, le trasse di tasca il fazzoletto, con questo le asciugò gli occhi, le ravviò colle mani i capelli, le ricompose il velo, le pieghe, la rimproverò, la compatì cogli occhi.
E bel bello la spinse fin sull’uscio della scala. Sul punto di mettere il piede sul pianerottolo, Arabella con moto sdegnoso cercò di resistere ancora un poco, attaccandosi al battente dell’uscio. Sentendo uscire quasi un gemito dall’altra stanza, fece l’atto di gettarsi ancora verso la porta; ma la Colomba le si avviticchiò alla persona:
Arabella scese a precipizio le scale, mentre la Colomba serrava dietro di lei la porta con un giro di chiave.
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