Arabella/Parte seconda/6: differenze tra le versioni
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Durante la corsa di Ferruccio in mezzo alle strade di Milano, la Colomba, dopo aver fatto bere al Berretta una scodella di brodo e un bicchiere di vino, disse alla Nunziadina:
Tirò di tasca la corona, memoria della povera Marietta, e cominciò dal mistero che contempla Gesù nell’orto.
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Delle tre sorelle la Marietta era la più bella, la più viva, la più romantica com’erano tutte le sartine del suo tempo. Aveva sposato il Berretta, non già perché il cuore le dicesse qualche cosa per quel povero martoro di sarto, ma perché così avevan voluto, o perché bisognava maritarla quella figliuola. Nel dare alla luce Ferruccio (un certo nome che essa aveva trovato in uno dei suoi romanzi) tre giorni dopo fu assalita da una maligna infezione e in ventiquattro ore moriva abbruciata dalla febbre, col ventre gonfio, delirando come una pazza, confessando anche ciò che avrebbe fatto bene a tacere, poverina.
Il Berretta, puntellato ai ginocchi, dondolando, e balzando in piccole scosse, mandava dal naso un soffio pesante d’uomo che dorme.
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A queste parole ruvide, pronunciate con forti scosse di testa, la Nunziadina oscillò sulle gruccette e raggrinzò il bianco faccino a un greppio duro di bimba che vuol piangere.
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Le reminiscenze del passato erano quasi più forti dei bisogni del presente. Il Signore solo sa leggere i segreti della coscienza, e se il male non ha fatto mentire una moribonda, Dio doveva averla giudicata e compatita nella sua misericordia. E da vent’anni ormai la stessa Colomba s’era abituata a considerare le cose come oneste e naturali, allontanando sempre dal pensiero il sospetto, tutte le volte che le varie e le piccole circostanze della vita e l’indole di Ferruccio venivano a ridestarlo. Ma a certe scosse di terremoto che fanno crepar la terra, escono spaventati i più vecchi sorci: e Dio, che non paga al sabato, può benissimo far scontare a un figliuolo il peccato della mamma.
La zia Colomba alzò lo stoppino della lampada, tolse il paralume, e alla luce diffusa e bianca credette vedere entrare dall’uscio la faccia profilata della povera sorella, com’era rimasta sul cuscino dopo l’ultimo respiro.
Ferruccio gettò il cappello sulla sedia e fece un giro intorno al tavolo.
Stringendo nei pugni i folti capelli, come se volesse strapparseli, girando inquieto per la stanza, esclamò:
La zia Colomba corse verso il figliuolo e, abbracciandolo, cercò di soffocare contro il suo petto le parole che invocavano così fuor di proposito i poveri morti.
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A che pro’ vivere onesti e buoni, credere alle cose sante, mortificare la propria giovinezza, chiedere all’ideale la virtù che ti porta in alto al di sopra di tutti gli altri, se ogni monello della via avrà il diritto di chiamarti figlio di ladri? come affrontare lo sguardo delle persone oneste, se puoi temere che ti si legga in viso la tua vergogna? Molti ti compatiranno e diranno:
E come, allora, presentarsi a cercare un impiego con questa terribile paura che ti leggano negli occhi il disonore? e poiché di un pane maledetto egli non ne voleva più mangiare, ecco, insieme al disonore, la miseria e la fame.
Per poche bottiglie di vino un uomo ricco e potente cacciava un vecchio in carcere e un giovane nella necessità di dover stendere la mano. E un delitto di questa natura si osava compiere in nome della giustizia. Giustizia questa?
Tacevano i giardini e gli orti nella luce smorta. Solo il vento usciva ogni tanto con un bisbiglio tra i rami in fiore e fra le tenere foglie del castagno. L’ora scoccava in quel silenzio chiaro dal vicino campanile, preceduta dal rantolo delle ruote e dei pesi, che scorrono dentro la torre.
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Si attaccò colle mani alle imposte per reggersi, e sentì cinque o sei colpi tremendi nello stomaco, come se glielo picchiassero col martello. Chiuse la finestra e colle due mani sulle orecchie corse nello stanzino dove dormiva il ragazzo. Stette ancora un minuto sospesa, come se tardasse apposta, per carità, a dargli il terribile colpo; ma quando sentì che picchiavano all’uscio della scala, pose una mano sulle mani del nipote, lo scosse e disse:
—Ferruccio...—
—Dove?—
Ferruccio sollevò la testa e stette col viso stravolto, forse senza capire.
Di fuori picchiarono più forte, finché anche il vecchio si scosse dal suo letargo.
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Ferruccio saltò dal letto, si abbottonò la giacca, ficcò le mani nella folta selva dei capelli e disse:
Andò in cucina intanto che suo padre, irrigidito dal freddo e intorpidito dal sonno e dalla cattiva posizione, cominciava a brancolare sul suolo per tirarsi su.
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Ferruccio ripeté:
E aprì il cassetto del tavolo di cucina per trarne un comune coltello.
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La zia Colomba che gli teneva dietro, lo afferrò ai polsi e mettendogli il viso quasi sul viso, con un’espressione risoluta gli disse tre volte di no, con tre rapide scosse della testa:
Ferruccio si lasciò dolcemente disarmare.
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In quel punto una delle guardie, che pareva il capo, comparve sulla ringhiera, sforzò senza molta fatica le vecchie e tarlate imposte della finestra lunga che metteva sul ballatoio, entrò, e disse con tono d’uomo ragionevole che sa di parlare a persone ragionevoli:
La guardia ch’era nella stanza, vista la mossa, corse per tagliargli la strada; ma Ferruccio, acciecato da un fiotto di sangue che gli montò al capo, urtò con tutta la forza nel tavolo di cucina e lo rovesciò contro lo sbirro, che sospinto da quella strana macchina, barcollò sulle gambe e cadde mettendo i gomiti nei vetri della finestra.
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Le due guardie non ebbero difficoltà a levar dai gangheri l’uscio e a metter le mani sul vecchio imprudente.
Ma intanto al diavolo si erano risvegliati i pochi casigliani e la gente cominciò a radunarsi sulla porta delle
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