Arabella/Parte seconda/3: differenze tra le versioni

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'''Un’anima in pena'''
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Sperò di trovare il signor Tognino al caffè Martini in piazza della Scala, dove convengono la sera gli uomini d’affari a consultare gli ultimi telegrammi di borsa, e incontrò per caso il Botola, un brutto vecchio mal vestito che da qualche tempo veniva nello studio a discorrere in gran segretezza col padrone. Il pignoratario lo chiamò e cominciò a fargli un gran discorso a proposito del Mornigani e d’una villa sul lago di Como... ma Ferruccio non aveva il capo a queste cose. Lo piantò, traversò di nuovo la piazza della Scala, e per la via di Santa Margherita venne verso la via Torino.
Era il momento del maggior movimento. I cittadini, approfittando delle prime giornate di primavera,
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uscivano a passeggiare in mezzo allo splendore delle loro belle botteghe, sotto un cielo fatto chiaro e bianco dalla luna che lentamente si distrigava dai pizzi del Duomo. Passeggiavano, affollavano i portici e la Galleria, riempivano i caffè colla pace di chi ha guadagnato il suo riposo. Ferruccio traversò la piazza del Duomo quasi a corsa. In tre minuti fu in via Torino a chiedere del principale.
— Lui non c’è,— disse la portinaia —è andato in campagna, credo alle Cascine.—
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Arabella non era una conoscenza nuova per il figliuolo del Berretta e anche lei avrebbe dovuto ricordarsi del Ferruccio del portinaio che l’aveva accompagnata molte volte bambina alla scuola delle monache, quando veniva in casa sua in Carrobbio a portare il pane e il latte della colazione. Ma la signora, che non poneva mai piede nell’ammezzato, seppe solamente molto tardi che ci fosse uno studio in casa, e riconobbe il giovinetto la prima volta, quando presso le feste di Natale venne a raccomandare la povera Stella. Incontratisi, avevano rinnovata la conoscenza. Parlarono di vivi e di morti o per meglio dire parlò lei, perché in quanto a lui, preso dalla soggezione e dal rispetto per la bella signora, non aveva saputo che rispondere sissignora e nossignora. La padroncina aveva promesso di raccomandarlo
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a suo suocero e forse Ferruccio dovette a lei se il principale gli aumentò lo stipendio alla fine dell’anno.
Nei primi mesi del matrimonio Ferruccio aveva fatto un gran discorrere colle zie dei preparativi, della bellezza e della bontà della sposina, poi a un tratto cessò di parlarne e non la nominò più come se fosse morta.
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Da solo a solo, specialmente di notte, quando si svegliava in mezzo a un sogno lusinghiero, si compiaceva di contemplarla nel buio, a occhi aperti. Capiva che era una sciocchezza, una baia, un passatempo poetico, ma nella sua povertà e nella sua miseria di spirito questa bella immagine signorile teneva il posto che una Madonna dipinta tiene sopra un povero altare di campagna: finché si abituò a riporre la bella visione tra le squallide idee della sua vita di mortificazioni e di stenti con quella devozione con cui la Nunziadina teneva riguardata nelle logore pagine della sua Filotea una splendida immagine di pizzo a fondo d’oro, a cui dava ogni tanto un’occhiata per far belli gli occhi.
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Perché l’avrebbe cacciata via questa dolce seduzione che lo proteggeva così bene contro le tentazioni e le disperazioni volgari? Altri giovanotti della sua età, che hanno denari da spendere, e anche quelli che non ne hanno, talvolta cercano goder la vita nella compagnia di donne senza onore, e consumano la salute e i quattrini in vizi e in passatempi vergognosi. Egli, senza credere con questo di far male, compiacevasi del suo segreto, se lo portava nel cuore misteriosamente custodito, godeva insomma castamente di un bene, che non rubava a nessuno, e che nessuno gli poteva rubare, perché veniva tutto da lui e, dirò così, dai suoi risparmi morali e dalle sue mortificazioni.
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Fu questo patimento che, traboccando a suo dispetto, gli trasse un fiume di lagrime il giorno che aiutò a portare la povera signora svenuta su per le scale.
Fu questo patimento o spavento che lo spinse e lo
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fece correre fino alle Cascine in cerca della signora Beatrice e che lo persuase a rimanere in una casa, dove ormai capiva di non aver più nulla da guadagnare.
Ma improvvisamente, ecco, sentivasi ghermito anche lui dal destino che perseguitava buoni e cattivi. Una moneta d’oro può per qualche tempo coprire una piccola macchia d’olio: ma l’olio è più forte dell’oro. Così il male, come la macchia d’olio, dilatandosi, usciva a deturpare le anime più innocenti.
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La donna condusse il giovane nel salotto da pranzo, collocò una lampada a globo di vetro sul caminetto e andò ad avvertire la signora.
In piedi cogli occhi fissi al globo luminoso, Ferruccio rimase solo, ancora ansante e affannato per la corsa fatta, travolto da una vertigine di tutti i sensi, in cui le molte e torbide sensazioni precipitarono
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in un affanno solo profondo e straziante, che assorbì tutte le forze della sua vita.
Si pentiva d’essere venuto a confessare la sue vergogne alla signora, come se temesse di rompere colle sue mani un delicato e prezioso incanto coll’accusare sé, figlio di un uomo cercato dalla polizia; ma nello stesso tempo sentiva che non si sarebbe mosso di lì, prima d’aver parlato a lei, la sola in cui c’era a sperare qualche cosa di bene.