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Aproniano. Già inclinato al lusso e a tutti gli sfoghi della sensualità Lucio Vero Augusto1258, maggiormente dacchè si fu allontanato dagli occhi del fratello imperadore, si era abbandonato, siccome di sopra accennammo, ad ogni sorta di piaceri, anche più abbominevoli, deludendo l'intenzion del fratello stesso che l'aveva inviato là, per isperanza che le fatiche militari il guarirebbono: speranza vana, come si conobbe dagli effetti. Ritornato che fu l'Augusto giovane a Roma, andava egli bensì alquanto ritenuto, per nascondere i suoi vizii al saggio imperadore Marco Aurelio, ma in secreto faceva alla peggio. Volle una cucina a parte nel suo appartamento; e, dopo essere stato alla parca cena di Marco Aurelio, passava colà a soddisfare la sua ghiottoneria, con farsi servire a tavola da persone infami, e con volere dei combattimenti di gladiatori a quelle private cene, le quali andavano sì a lungo, che talvolta egli abborracchiato si addormentava sopra i cuscini o letti, sui quali si adagiavano gli antichi stando alla mensa, e conveniva portarlo di peso alla sua stanza. In uso era allora di non far tavola, dove fossero più di sette persone; e diverse tavole verisimilmente si mettevano nelle grandi occasioni, perchè passavano per proverbio: Sette fanno un convito, nove fanno una lite. Lucio Vero fu il primo a voler dodici convitati alla medesima mensa, e con una profusione spropositata di regali; perchè ai paggi, agli scalchi ed ai commensali si donavano piatti, bicchieri d'oro, d'argento e gioiellati, vari animali, vasi d'oro con unguenti, e carrozze con mule guernite di ricchi finimenti. Costava cadauno di questi conviti una tal somma, che nè pure mi arrischio a nominarla: tanto è grande nel testo di Capitolino. Il resto poi della notte si soleva per lo più spendere in giuoco, vizio, oltre a tanti altri, imparato in Soria. Fecesi anche fabbricare una suntuosa villa nella via Clodia, dove se la passava in gozzoviglie co' suoi liberti, e con quegli amici che godeano beni in quelle parti. Marco Aurelio sapea tutti questi disordini, e quantunque se ne rammaricasse non poco, pure fingeva ignorarli, per non romperla col fratello; anzi invitato da lui alla suddetta villa, non ebbe difficultà di andarvi, per insegnargli coll'esempio suo, come si dovea far la villeggiatura. E vi si fermò cinque giorni, attendendo anche allora alla spedizion delle cause, mentre Lucio Vero si perdeva ne' conviti, o era affaccendato per prepararli. Dicono di più, che questo sregolato imperadore passò ad imitare i vergognosi costumi di Caligola, di Nerone e di Vitellio, coll'andar di notte travestito e incappucciato per le bettole e nei bordelli, cenando con dei mascalzoni, attaccando delle risse, dalle quali tornò talvolta colla faccia maltrattata da pugni, e rompendo i bicchieri delle taverne col gittar in aria delle grosse monete di rame. Sopra tutto era egli spasimato dietro alle corse de' cavalli nel Circo, mostrandosi a spada tratta parziale in que' giuochi della fazione Prasina, che portava la divisa verde; di maniera che anche mentr'egli col fratello Augusto assisteva a quegli spettacoli, più volte gli furono dette delle villanie dall'emula fazione Veneta, vestita d'azzurro. Innamorato specialmente di un suo cavallo, appellato Volucre, o sia Uccello, fece fare la statua di esso d'oro, e seco la portava. Invece d'orzo voleva che gli si desse uva passa con pinocchi; e per cagion di esso s'introdusse il dimandare per premio de' vincitori nel corso un cavallo d'oro. Morto questo cavallo, gli fece alzare un sepolcro nel Vaticano. E tali erano i costumi e le capricciose azioni di Lucio Vero Augusto.
Aproniano. Già inclinato al lusso e a tutti gli sfoghi della sensualità Lucio Vero Augusto1258, maggiormente dacchè si fu allontanato dagli occhi del fratello imperadore, si era abbandonato, siccome di sopra accennammo, ad ogni sorta di piaceri, anche più abbominevoli, deludendo l’intenzion del fratello stesso che l’aveva inviato là, per isperanza che le fatiche militari il guarirebbono: speranza vana, come si conobbe dagli effetti. Ritornato che fu l’Augusto giovane a Roma, andava egli bensì alquanto ritenuto, per nascondere i suoi vizii al saggio imperadore Marco Aurelio, ma in secreto faceva alla peggio. Volle una cucina a parte nel suo appartamento; e, dopo essere stato alla parca cena di Marco Aurelio, passava colà a soddisfare la sua ghiottoneria, con farsi servire a tavola da persone infami, e con volere dei combattimenti di gladiatori a quelle private cene, le quali andavano sì a lungo, che talvolta egli abborracchiato si addormentava sopra i cuscini o letti, sui quali si adagiavano gli antichi stando alla mensa, e conveniva portarlo di peso alla sua stanza. In uso era allora di non far tavola, dove fossero più di sette persone; e diverse tavole verisimilmente si mettevano nelle grandi occasioni, perchè passavano per proverbio: Sette fanno un convito, nove fanno una lite. Lucio Vero fu il primo a voler dodici convitati alla medesima mensa, e con una profusione spropositata di regali; perchè ai paggi, agli scalchi ed ai commensali si donavano piatti, bicchieri d’oro, d’argento e gioiellati, vari animali, vasi d’oro con unguenti, e carrozze con mule guernite di ricchi finimenti. Costava cadauno di questi conviti una tal somma, che nè pure mi arrischio a nominarla: tanto è grande nel testo di Capitolino. Il resto poi della notte si soleva per lo più spendere in giuoco, vizio, oltre a tanti altri, imparato in Soria. Fecesi anche fabbricare una suntuosa villa nella via Clodia, dove se la passava in gozzoviglie co’ suoi liberti, e con quegli amici che godeano beni in quelle parti. Marco Aurelio sapea tutti questi disordini, e quantunque se ne rammaricasse non poco, pure fingeva ignorarli, per non romperla col fratello; anzi invitato da lui alla suddetta villa, non ebbe difficultà di andarvi, per insegnargli coll’esempio suo, come si dovea far la villeggiatura. E vi si fermò cinque giorni, attendendo anche allora alla spedizion delle cause, mentre Lucio Vero si perdeva ne’ conviti, o era affaccendato per prepararli. Dicono di più, che questo sregolato imperadore passò ad imitare i vergognosi costumi di Caligola, di Nerone e di Vitellio, coll’andar di notte travestito e incappucciato per le bettole e nei bordelli, cenando con dei mascalzoni, attaccando delle risse, dalle quali tornò talvolta colla faccia maltrattata da pugni, e rompendo i bicchieri delle taverne col gittar in aria delle grosse monete di rame. Sopra tutto era egli spasimato dietro alle corse de’ cavalli nel Circo, mostrandosi a spada tratta parziale in que’ giuochi della fazione Prasina, che portava la divisa verde; di maniera che anche mentr’egli col fratello Augusto assisteva a quegli spettacoli, più volte gli furono dette delle villanie dall’emula fazione Veneta, vestita d’azzurro. Innamorato specialmente di un suo cavallo, appellato Volucre, o sia Uccello, fece fare la statua di esso d’oro, e seco la portava. Invece d’orzo voleva che gli si desse uva passa con pinocchi; e per cagion di esso s’introdusse il dimandare per premio de’ vincitori nel corso un cavallo d’oro. Morto questo cavallo, gli fece alzare un sepolcro nel Vaticano. E tali erano i costumi e le capricciose azioni di Lucio Vero Augusto.
Fin quando si facea la guerra de' Parti, se ne preparò un'altra al settentrione contra de' Romani1259. Avevano cominciato i Marcomanni, creduti oggidì abitatori della Boemia, ad infestare il
Fin quando si facea la guerra de’ Parti, se ne preparò un’altra al settentrione contra de’ Romani1259. Avevano cominciato i Marcomanni, creduti oggidì abitatori della Boemia, ad infestare il