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a questo dovere, gli obbligava a render conto rigorosamente della loro amministrazione. La porta e gli orecchi suoi erano sempre aperti a chiunque si trovava aggravato da sì fatti ministri, abborrendo egli troppo di arricchirsi colle lagrime e coll'oppressione de' sudditi. Però sotto il suo regno furono ricche e floride le provincie romane tutte. Che se ad alcuna incontravano inevitabili disastri di carestie, tremuoti, epidemie e simili malanni, si trovava in lui un'amorevol prontezza ad esentarle per un convenevole tempo dalle imposte. Le sue maggiori premure riguardavano la giustizia; e però quanto egli era attentissimo e indefesso nel farla, tanto ancora si studiava di scegliere chi credeva abile ed inclinato ad amministrarla agli altri. Chi più si distingueva in questo, più veniva da lui amato e promesso a gradi maggiori. Molti editti fece in bene del pubblico, servendosi de' più celebri giurisconsulti d'allora, cioè di Vinidio Vero, Salvio Valente, Volusio, Metiano, Ulpio Marcello e Jaboleno. Vietò il seppellire i morti nelle città, perchè doveva esser ito in disuso il rigore delle antiche leggi. L'aggravio delle poste con savii regolamenti fu da lui scemato. Probabilmente è di lui una legge, citata da santo Agostino1143, che non fu lecito al marito il volere in giudizio gastigata la moglie per colpa di adulterio, quando anch'egli fosse mancato di fedeltà verso della stessa. Se talun veniva1144 per proporgli qualche cosa utile al pubblico, con piacere la ascoltava; e lo stesso allegro volto faceva a chiunque gli dava qualche buon avviso, senza aversi a male che quei del suo consiglio s'opponessero al di lui sentimento, nè che vi fossero persone, le quali ingiustamente disapprovassero il governo suo. Molto ancora onorava i veri filosofi: diede pensioni e privilegi per tutto l'imperio romano, tanto ad essi che ai professori dell'eloquenza. Sopportava poi que' filosofi, ch'erano tali solamente in apparenza, e senza mai rimproverar loro la superbia od ipocrisia. E questo basti per ora delle ragioni, per le quali si meritò Antonino Pio l'eminente elogio di Principe Ottimo.
<section begin=s1/>a questo dovere, gli obbligava a render conto rigorosamente della loro amministrazione. La porta e gli orecchi suoi erano sempre aperti a chiunque si trovava aggravato da sì fatti ministri, abborrendo egli troppo di arricchirsi colle lagrime e coll'oppressione de' sudditi. Però sotto il suo regno furono ricche e floride le provincie romane tutte. Che se ad alcuna incontravano inevitabili disastri di carestie, tremuoti, epidemie e simili malanni, si trovava in lui un'amorevol prontezza ad esentarle per un convenevole tempo dalle imposte. Le sue maggiori premure riguardavano la giustizia; e però quanto egli era attentissimo e indefesso nel farla, tanto ancora si studiava di scegliere chi credeva abile ed inclinato ad amministrarla agli altri. Chi più si distingueva in questo, più veniva da lui amato e promesso a gradi maggiori. Molti editti fece in bene del pubblico, servendosi de' più celebri giurisconsulti d'allora, cioè di Vinidio Vero, Salvio Valente, Volusio, Metiano, Ulpio Marcello e Jaboleno. Vietò il seppellire i morti nelle città, perchè doveva esser ito in disuso il rigore delle antiche leggi. L'aggravio delle poste con savii regolamenti fu da lui scemato. Probabilmente è di lui una legge, citata da santo Agostino1143, che non fu lecito al marito il volere in giudizio gastigata la moglie per colpa di adulterio, quando anch'egli fosse mancato di fedeltà verso della stessa. Se talun veniva1144 per proporgli qualche cosa utile al pubblico, con piacere la ascoltava; e lo stesso allegro volto faceva a chiunque gli dava qualche buon avviso, senza aversi a male che quei del suo consiglio s'opponessero al di lui sentimento, nè che vi fossero persone, le quali ingiustamente disapprovassero il governo suo. Molto ancora onorava i veri filosofi: diede pensioni e privilegi per tutto l'imperio romano, tanto ad essi che ai professori dell'eloquenza. Sopportava poi que' filosofi, ch'erano tali solamente in apparenza, e senza mai rimproverar loro la superbia od ipocrisia. E questo basti per ora delle ragioni, per le quali si meritò Antonino Pio l'eminente elogio di Principe Ottimo.






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<section begin=s2/>{{Anno di|{{Sc|Cristo}} CLI. Indizione IV.|ANICETO papa 2.|ANTONINO PIO imperadore 14.}}Consoli

SESTO QUINTILIO CONDIANO e SESTO QUINTILIO MASSIMO.

Senza i pronomi di Sesto, il Pagi e il Relando ed altri aveano proposto i consoli presenti. Loro l'ho aggiunto io in vigore d'un'iscrizione che si legge nella mia Raccolta1145. Nuovo non è, che due fratelli portino il medesimo prenome. Il cognome o sia soprannome li distingueva. Nelle medaglie di Antonino Pio1146 spettanti all'anno presente, è fatta menzione dell'Annona, cioè della provvision di grani, fatta dal buon imperadore per sollievo del popolo romano. Se ne trova menzione anche sotto altri anni. Ben sollecito in sì importante affare fu Antonino Augusto1147, trattandosi di provvedere di vitto all'immenso popolo allora abitante in Roma. Un anno ancora vi fu, in cui si patì una grave carestia. Servì questa a far meglio conoscere il generoso ed amorevol cuore del principe. Abbondante provvision da ogni parte fece egli di grano e d'olio e di vino colla sua propria borsa, e tutto gratuitamente donò al suo popolo. Pareva che questo imperadore inclinasse troppo al risparmio, e quasi all'avarizia; ma ciò che veniva disapprovato dall'ignorante popolo, nell'estimazion de' saggi era uno de' suoi più begli elogi. Levò egli via moltissime pensioni date da Adriano a delle persone inutili, con dire, che era<section end=s2/>