Pagina:L'aes grave del Museo Kircheriano.djvu/92: differenze tra le versioni

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<section begin="1" />tempio caduto in rovina non ha loro recato il minimo danno: l’imperatore Cajo avrebbe voluto trasportarle altrove, se la natura dell’intonaco su cui sono dipinte, si fosse prestata alla sua voglia. Altre se ne veggono in Cere di non minore antichità„.
<section begin="1"/>tempio caduto in rovina non ha loro recato il minimo danno: l’imperatore Cajo avrebbe voluto trasportarle altrove, se la natura dell’intonaco su cui sono dipinte, si fosse prestata alla sua voglia. Altre se ne veggono in Cere di non minore antichità„.


Qualcun forse ci dirà, che noi teniamo in pregio la voce di {{Ac|Plinio il vecchio|Plinio}}, quando seconda i nostri divisamenti; la rigettiamo, dove gli sconcerta. Guardisi al doppio effetto, e si vedrà, che dalla testimonianza pliniana rifiutata da noi nella prefazione non sarebbe derivato il minimo danno alle nostre dottrine, né il minimo vantaggio dalla falsità della testimonianza presente. Abbiam già protestato, che la causa nostra sarebbe al sicuro, ancorché l’''aes grave'' figurato non avesse avuto tra noi sua origine prima della metà del secondo secolo di Roma. Ci siam prevaluti dell’autorità di {{Ac|Cicerone|Cicerone}} e di Plinio, per dar a vedere che la nostra prima ipotesi non era assurda in ogni sua parte. Se a’ tempi di Vespasiano e di Tito, Ardea, Lanuvio e Cere conservavano dipinture anteriori alla fondazione di Roma e adorne di tali pregi, che si meritavano l’ammirazione de’ più intelligenti uomini che si avesse la Roma imperiale; non sarebbe poi stato gran fatto inverisimile, che verso que’ tempi medesimi, in questa medesima provincia, avesser potuto aver loro origine le monete di questa prima classe con tutti que’ meriti d’arte che in se presentano. Oltredichè nella storia del’''aes grave'' abbiamo udito Plinio temerariamente favellare di monumenti, che non avea forse veduti mai co’ suoi occhi, e certamente non aveva mai in tutte le loro parti e relazioni studiati ed esaminati. Qui ne racconta un fatto tuttora fermo, posto in tre diverse città, niuna delle quali è più di venticinque miglia distante da Roma. Egli sarebbe stato riconosciuto mentitore da quanti erano gl’innumerevoli testimonj presenti, se qui avesse voluto fingere ed alterare il vero: noi saremmo riconosciuti mancanti d’ogni buon senno, se dichiarassimo indegne di fede le sue parole in questo luogo, perchè nell’altro non aveano alcun
Qualcun forse ci dirà, che noi teniamo in pregio la voce di {{Ac|Gaio Plinio Secondo|Plinio}}, quando seconda i nostri divisamenti; la rigettiamo, dove gli sconcerta. Guardisi al doppio effetto, e si vedrà, che dalla testimonianza pliniana rifiutata da noi nella prefazione non sarebbe derivato il minimo danno alle nostre dottrine, né il minimo vantaggio dalla falsità della testimonianza presente. Abbiam già protestato, che la causa nostra sarebbe al sicuro, ancorché l’''aes grave'' figurato non avesse avuto tra noi sua origine prima della metà del secondo secolo di Roma. Ci siam prevaluti dell’autorità di {{Ac|Cicerone}} e di Plinio, per dar a vedere che la nostra prima ipotesi non era assurda in ogni sua parte. Se a’ tempi di Vespasiano e di Tito, Ardea, Lanuvio e Cere conservavano dipinture anteriori alla fondazione di Roma e adorne di tali pregi, che si meritavano l’ammirazione de’ più intelligenti uomini che si avesse la Roma imperiale; non sarebbe poi stato gran fatto inverisimile, che verso que’ tempi medesimi, in questa medesima provincia, avesser potuto aver loro origine le monete di questa prima classe con tutti que’ meriti d’arte che in se presentano. Oltredichè nella storia del’''aes grave'' abbiamo udito Plinio temerariamente favellare di monumenti, che non avea forse veduti mai co’ suoi occhi, e certamente non aveva mai in tutte le loro parti e relazioni studiati ed esaminati. Qui ne racconta un fatto tuttora fermo, posto in tre diverse città, niuna delle quali è più di venticinque miglia distante da Roma. Egli sarebbe stato riconosciuto mentitore da quanti erano gl’innumerevoli testimonj presenti, se qui avesse voluto fingere ed alterare il vero: noi saremmo riconosciuti mancanti d’ogni buon senno, se dichiarassimo indegne di fede le sue parole in questo luogo, perchè nell’altro non aveano alcun
buon fondamento. Ha quivi termine la parte più nuova e più pericolosa del nostro trattato. Gli stranieri ce la giudichino con giusta discrezione; gl’italiani senza lasciarsi illudere da un disordinato amore di patria.
buon fondamento. Ha quivi termine la parte più nuova e più pericolosa del nostro trattato. Gli stranieri ce la giudichino con giusta discrezione; gl’italiani senza lasciarsi illudere da un disordinato amore di patria.


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{{Centrato|<big><big>CLASSE II.</big></big>}}
<section begin="2"/>{{Centrato|<big><big>CLASSE II.</big></big>}}
{{Centrato|TAVOLA I. e II.}}
{{Centrato|TAVOLA I. e II.}}




L’{{Ac|Agostino Olivieri|Olivieri}} fu il primo a rendere la epigrafe [[File:Tutere.svg|50px]] a Todi, a cui apparteneva per diritto di origine. Le monete su cui leggesi ci traggon perciò fuori della provincia, nella quale finora ci siam trattenuti, e ne obbligano quindi a dichiarare quelle particolarità, nelle quali dalle monete cistiberine si distinguono. Non sono queste più che due, il peso e l’epigrafe stessa.<section end="2" />
L’{{Ac|Agostino Olivieri|Olivieri}} fu il primo a rendere la epigrafe [[File:Tutere.svg|50px]] a Todi, a cui apparteneva per diritto di origine. Le monete su cui leggesi ci traggon perciò fuori della provincia, nella quale finora ci siam trattenuti, e ne obbligano quindi a dichiarare quelle particolarità, nelle quali dalle monete cistiberine si distinguono. Non sono queste più che due, il peso e l’epigrafe stessa.<section end="2"/>