Satire (Orazio)/Libro I/Satira I: differenze tra le versioni

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Ho chi m'assista, chi i fomenti appresti,
Che al medico ricorra, affinchè sano
{{r|110}}E salvo mi ridoni alla mia gente.
Ah non la moglie e non il figlio brama
Che tu risani. A tutti in odio sei
Conoscenti e vicin, servi e fantesche.
Che maraviglia, se qualor posponi
{{r|115}}Ogni cosa al danar, nessuno in petto
Nutre per te quel che non merti, amore?
Se i parenti che a te Natura diede,
Senz'opra alcuna vuoi serbarti amici,
Tu sciagurato il tempo getti invano
{{r|120}}Qual chi insegnasse a un asinello in campo
Ir di galoppo, ed ubbidire al freno.
Se non altro abbia fin la tua ingordigia,
E quanto hai più, tanto minor paura
Ti faccia povertà; quando se'giunto
{{r|125}}A posseder quanto bramasti, allora
Almen ti metti in calma, e non far come
Un certo Uvidio (la novella è breve).
Ei ricco sì che misurar potea
Danari a staja, era sì sconcio e lordo,
{{r|130}}Ch'iva peggio vestito d'uno schiavo,
Sempre temendo di morir di fame.
Una sua serva, nuova Clitennestra,
Con un'accetta lo segò per mezzo!
= Ehi qual consiglio mi vuoi dar? Ch'io viva
{{r|135}}Qual Nevio, o Nomentano? = E tu pur segui
Cose discordi ad accozzar tra loro.
Non io, qualor ti vieto essere avaro,
Vo'che tu mi diventi un gocciolone
Ed uno sprecator. Qualche divario
{{r|140}}Tra 'l suocer di Visello e Tanai passa.
Tutto ha le sue misure, oltra le quali
Nè di quà, nè di là risiede il retto.
Torniamo onde partimmo. E nessun dunque
Pago è di sè, come l'avaro, e quei
{{r|145}}Che han preso altro cammin, colma di lodi?
E perchè la capretta del vicino
Più gonfio porta il sen, si va struggendo,
Nè alla turba maggior si paragona
De'meno facoltosi, e questo e quello
{{r|150}}Di trapassar s'affanna, ond'è che sempre
Altro più ricco fa al suo corso intoppo.
Quando son dalle mosse usciti i cocchi,
Di stare al pelo il carrettier si sforza
A'corridor che vede innanzi a'suoi,
{{r|155}}E quei che addietro si lasciò non cura.
Quinci è che rado noi troviam chi dica
D'aver condotto i dì felici, e parta
</poem>