Don Chisciotte della Mancia/Capitolo XXXII: differenze tra le versioni

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<div align="center"> ''' Quel che accadde nell’osteria a don Chisciotte ed ai suoi compagni. '''</div>
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Si era appena addormentato, che l’ostessa si accostò al barbiere, lo prese per la barba e gli disse:
 
- Vi giuro che
- Vi giuro che voi non userete più la mia coda per barba, e me la dovete subito restituire.
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- Vi giuro che voi non userete più la mia coda per barba, e me la dovete subito restituire.
 
II barbiere non gliela voleva rendere, benché ella la tirasse forte per riaverla: ma il curato gli disse che poteva rendergliela, perché non c’era più bisogno di quella finzione, infatti, poteva farsi riconoscere da don Chisciotte e dirgli che quando fu spogliato dai galeotti era venuto a rifugiarsi all’osteria; e se don Chisciotte domandasse dello scudiere della principessa, gli rispondesse che l’aveva preceduta per annunziare ai suoi sudditi che essa era sulla via del ritorno, accompagnata dal grande liberatore. Allora il barbiere rese volentieri la coda all’ostessa, e gli altri restituirono quanto ella aveva loro prestato per organizzare la liberazione di don Chisciotte.
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- Ed io né più’ né meno - disse l’ostessa; — non godo un’ora di quiete se non quando ve ne state ascoltando queste letture che vi tengono tanto assorto, che vi dimenticate di borbottare.
 
- E’ vero soggiunse Maritorna; — e in fede mia, ci ho un gusto matto a sentire, per esempio, che un cavaliere e una dama riposano sotto un alloro.
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e una dama riposano sotto un alloro.
 
- E a voi che ne sembra, bella giovane? — disse il curato, rivolgendosi alla figlia dell’oste.
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- Di modo che, buona giovane, — disse Dorotea — se piangessero per causa vostra, voi non tardereste ad offrir loro il rimedio?
 
- Non so quello che farei — rispose la ragazza — e posso dire soltanto che tra quelle signore ve ne sono alcune tanto crudeli, che dai cavalieri meritano il nome di tigri, di leonesse ed altri simili. Dio buono! non so rome possa darsi gente così spieiata e di così
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poca coscienza, che per non voler consolare un uomo di onore, lo lascino morire o diventar matto, ed io non arriverò mai a capire perché facciano tanto le schizzinose.
Se le proposte dei cavalieri sono oneste, li sposino, che questo deve essere l’unico loro scopo.
 
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— Che? vorrebbe forse vostra signoria bruciare i miei libri? - disse l’oste.
 
— Io brucerei — disse il curato — questi
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due solamente, cioè quello del don Girongilio e quello di Felismarte.
 
— Ma — replicò l’oste — questi libri sono forse eretici o flemmatici, che li volete abbruciare?
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— Questo appunto volevo dire — replicò l’oste: - ma se vossignoria ne vuole bruciare qualcuno, preferisco che vada alle fiamme quello del gran capitano e quello di Diego Garcìa, perché gli altri mi sono tanto cari, che lascerei bruciare piuttosto un figliuolo.
 
— Fratello, —
— Fratello, — disse il curato — questi due libri sono bugiardi e pieni zeppi di spropositi e di chimere, mentre quello del Gran capitano è storia vera, e racconta i fatti di Gonzalo Fernàndez di Córdova, che meritò, per le sue molte e grandi imprese, di essere chiamato da tutti il ''gran Capitano'', soprannome celebre, luminoso e adatto a lui solo. Quanto, poi, a Diego Garcìa di Paredes, egli fu un cavaliere fra i primi della città di Trujillo, nell’Estremadura, guerriero valorosissimo e dotato dalla natura di tanta forza, che riusciva a fermare con un sol dito la ruota di un mulino nel momento della sua maggior velocità; e fermo, con uno spadone in mano, all’ingresso di un ponte, impedì ad un esercito
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— Fratello, — disse il curato — questi due libri sono bugiardi e pieni zeppi di spropositi e di chimere, mentre quello del Gran capitano è storia vera, e racconta i fatti di Gonzalo Fernàndez di Córdova, che meritò, per le sue molte e grandi imprese, di essere chiamato da tutti il ''gran Capitano'', soprannome celebre, luminoso e adatto a lui solo. Quanto, poi, a Diego Garcìa di Paredes, egli fu un cavaliere fra i primi della città di Trujillo, nell’Estremadura, guerriero valorosissimo e dotato dalla natura di tanta forza, che riusciva a fermare con un sol dito la ruota di un mulino nel momento della sua maggior velocità; e fermo, con uno spadone in mano, all’ingresso di un ponte, impedì ad un esercito
innumerevole di passarlo; e fece inoltre tante altre prodezze, che se invece di scriverle egli stesso colla modestia di chi parla di sé, le avesse scritte qualcun altro
spassionatamente, avrebbero oscurato quelle di Ettore, di Achille e di Orlando.
 
- Oh, ma è bella — disse l’oste: - voi fate le maraviglie perché fu fermata una macina da mulino con un dito? Legga, per Bacco, la signoria vostra ciò che ho letto io di Felismarte d’Ircania, che con un solo manrovescio tagliò per mezzo cinque giganti, come se fossero stati di ricotta, o tanti di quei fratini che i ragazzi fanno coi baccelli di fave fresche. Un’altra volta assalì un grandissimo e poderosissimo esercito, composto di un milione e seicentomila soldati, armati tutti da capo a piedi, e li sbaragliò, e li fece fuggire tutti come mandre di pecore. E che diremo del buon don Cirongilio di Tracia? Fu tanto animoso e valente, che navigando per un fiume, ed essendo uscito dall’acqua
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un drago di fuoco, gli saltò in groppa, e gli strinse con le mani la gola per modo che, sentendosi il drago sul punto di morire strozzato, non trovò altro scampo che immergersi in fondo al fiume, trascinando seco il cavaliere, che tuttavia non volle staccarsi da lui, e quando fu al fondo, si trovò in un palazzo, con un giardino che era una meraviglia a vederlo. Colà il drago si trasformò in un vecchio decrepito e gli disse tante mai cose, che non si potrebbero neppure immaginare. Non dica di no vossignoria, che se leggesse queste imprese, impazzirebbe per il piacere. E venga il canchero al gran Capitano e al signor don Diego Garcìa.
 
Dorotea disse a Cardenio, con voce sommessa:
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li leggono. Io vi giuro che mai si videro al mondo simili Cavalieri, né si diedero mai simili prodezze e spropositi.
 
- A me non si vendono lucciole per lanterne, — rispose l’oste — come se io non sapessi quante dita ha una mano, o dove mi duole la scarpa: e non si creda la signoria vostra d’ingannarmi, perché, viva il cielo,
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so distinguere il nero dal bianco. È strano ch’ella voglia persuadermi che il contenuto di questi libri sia un impasto di menzogne, mentre sono stampati con licenza dei signori del Consiglio reale; come se quelle fossero persone da permettere che si stampassero tante battaglie, tanti incantesimi e tante bugie da far perdere il giudizio.
 
— Io già vi ho detto — replicò il curato — che questi libri si stampano per dar pascolo ai nostri oziosi pensieri, come si permettono i giuochi degli scacchi, della pallacorda e del trucco, per passatempo di coloro che non vogliono, non debbono, o non possono lavorare. Per questa ragione, dunque, si permette la stampa di libri simili, nella certezza che non possa darsi lettore tanto ignorante da creder vera nessuna delle storie che vi si leggono. Se mi fosse poi lecito, direi quel che dovrebbero contenere i libri di cavalleria per essere buoni e per riescire piacevoli ed utili ad un tempo.
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E l’oste rispose :
 
- Può leggerla, vostra riverenza, perché l’assicuro che, essendo stata letta da
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altri forestieri, se ne trovarono assai contenti, e me la chiesero con grande insistenza; ma non aderii alle loro domande, perché una volta o l’altra potrebbe tornare la persona che dimenticò qui la valigia, ed è giusto che ogni cosa gli sia restituita. Benché vi confessi che me ne dorrà assai, non voglio tenerla, essendo cosa non mia, perché, quantunque oste, sono però buon cristiano.
 
— Avete ragione, amico mio — disse il curalo: — ma pure, se la novella mi piace, mi dovrete permettere di copiarla.