Don Chisciotte della Mancia/Capitolo XXVIII: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
ThomasBot (discussione | contributi)
m Xavier121: match
Riga 8:
 
{{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}
 
==__MATCH__:[[Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/296]]==
 
<div align="center"> ''' Nuova e piacevole avventura successa al curato ed al barbiere nella montagna medesima.'''</div>
 
Ho più volte pensato quanto dovettero esser felici e fortunati i tempi nei quali visse l’arditissimo cavaliere don Chisciotte della Mancia; il quale, per aver preso la onorevole determinazione di far rivivere tra le genti l’ordine quasi estinto della cavalleria errante, è motivo a noi di godere in questa nostra misera età un qualche lieto trattenimento, non solo gustando le piacevolezze della sua storia, ma anche i racconti e gli episodi che s’incontrano in essa e che non sono meno dilettevoli.<ref>In qualche altra parte del suo libro il Cervantes trova poi degni di censura questi episodi.</ref> Riprendendo ora il filo di questa storia, veniamo a
==[[Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/297]]==
sapere che, mentre il curato si disponeva a consolare Cardenio, lo distolse una voce improvvisa:
- Oh Dio! — essa diceva — è possibile ch’io abbia trovato un luogo che possa servir di sepolcro al pesante fardello di questo corpo, che mi è tanto grave a sostenere? L’ho trovato, sì; e non può ingannarmi nelle mie speranze la solitudine di queste montagne. Ahi, sventurata! quanto meglio d’ogni vivente mi faranno dolce compagnia queste balze, per isfogare col cielo la sciagura che tanto mi opprime! No, non c’è sulla terra persona da cui si possa sperare consiglio negli incerti eventi, sollievo e rimedio ai mali!
Line 18 ⟶ 21:
- Poiché non è Lucinda, non è nemmeno persona umana ma pare divina.
 
Il giovane si trasse la ''montera'',<ref> Specie di berretto usato dai contadini nella Mancia e nell’Andalusia.</ref> e scotendo la testa, fece mostra di una superba treccia di capelli biondi, da muover invidia ai raggi del sole. Capirono da tutto ciò che non era un contadino, ma una delicata fanciulla, e la più bella che avessero veduta fino
==[[Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/298]]==
a quel punto. Cardenio dichiarò ai suoi compagni che soltanto quell’incognita avrebbe potuto gareggiare in avvenenza con la belliliima sua Lucinda. Le trecce bionde non solo le coprivano le spalle, ma ondeggiavano da ogni parte, e la rivestivano tutta, quasi come un manto, rimanendo scoperti solo i piedi. Adoprava per pettinarsi due mani, che, se i piedi nell’acqua parevano di cristallo, quelle parevano fiocchi di neve appena caduta. Tutto ciò eccitava nei tre uomini il più vivo desiderio di sapere chi ella fosse. Si decisero alla fine di lasciarsi vedere; e al fruscio che fecero per alzarsi, la vezzosa giovane sollevò la testa, e spartendo con le sua dita gentili i capelli sugli occhi, che n’erano coperti, osservò d’onde venisse il rumore. Appena vedute quelle persone, balzò in piedi, e senza più badare a calzarsi, né a raccoglier le trecce, prese lesta un involto che aveva
==[[Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/299]]==
dappresso e si mise a fuggire tutta turbata e confusa. Ma dopo appena sei passi, non potendo i suoi piedi delicati tollerare l’asprezza delle piante, cadde in terra. I tre amici volarono a darle assistenza, e il curato fu il primo a dirle:
— Fermatevi, signora, chiunque voi siate, che noi tutti siamo qua per assistervi; né vogliate fuggire per causa nostra, perché né i vostri piedi lo potranno e neppur noi potremo acconsentirvi.
 
A tutto ciò ella non rispondeva, ma stava confusa ed attonita; se non che il curato, fattosi più vicino, la prese per la mano, dicendo:
— Quello che la vostra povera veste vorrebbe nascondere si scopre dai vostri capelli. Certo, furono gravi le ragioni che v’indussero a nascondere tanta bellezza sotto un abito non vostro, e che vi hanno trascinata in un deserto come questo, dove fu un caso trovarvi. Se non rimediare ai vostri mali, possiamo almeno darvi qualche utile consiglio: perché nessuna sventura è tanto grande da non potere essere alleviata da un consiglio suggerito
con purissima intenzione. Coraggio, dunque, mia signora, o signor mio, o quello che più vi piace di essere; calmate la vostra agitazione e narrateci la vostra
==[[Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/300]]==
buona o trista fortuna,che in noi tutti e in ciascuno di noi in particolare troverete soccorso alle vostre sventure.
 
Mentre il curato così le diceva, la giovane travestita se ne stava come stupefatta, guardando ora l’uno ora l’altro senza proferire parola. Ma il curato riprese a parlare, adducendo nuove ragioni a poterla persuadere; finalmente essa mandò un profondo sospiro, ruppe il silenzio e disse:
Line 30 ⟶ 39:
Tutto questo fu detto dall’avvenente giovane con tanta speditezza e con accento così soave, che gli astanti dovettero ammirare in lei il suo criterio non meno della sua bellezza. Insistettero essi perch’ella mantenesse la sua promessa, e la giovane, senza lasciarsi pregare più a lungo, si mise le calze con onesta disinvoltura, raccolse i capelli, si pose a sedere su di un sasso, e in mezzo al cerchio de’ tre viandanti, sforzandosi di ritenere una lagrima che le spuntava dagli occhi, cominciò a narrare la sua storia con voce chiara e riposata:
 
« In quest’Andalusia vi è una terra, da cui prende il titolo un duca<ref> L’autore allude forse al duca d’Ossuna, ed a qualche fatto non interamente immaginario.</ref>, cioè uno di quelli che fra noi si chiamano grandi. Egli ha due figliuoli, il maggiore erede del suo Stato, ed anche, a quanto sembra, de’ suoi buoni costumi; ed il minore non so di che cosa possa esser erede, se non dei tradimenti di Vellido e delle cabale di Galalone. I miei genitori sono vassalli di questo potente. Essi non sono nobili, ma in cambio hanno grandi ricchezze, e se la loro nascita fosse pari alla loro fortuna, non resterebbe ad essi nulla a desiderare, né io avrei temuto di trovarmi oppressa dalle
==[[Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/301]]==
presenti mie sventure, che si devono appunto al fatto di non esser noi di nobile stirpe. Veramente la condizione dei miei non è tanto abbietta da doversene vergognare, ma neppure è tanto alta da farmi pensare che non sia essa la causa della sciagura. In sostanza, i miei sono gente di campagna e alla buona, sono cristiani vecchi e stantii, come suol dirsi, e coi loro beni di fortuna e col loro garbo vanno ogni dì più acquistando credito di gente onoratissima e non volgare. La ricchezza e la nobiltà loro consisteva nel vantarsi ch''io fossi loro figliuola; e non avendo altri eredi all’infuori di me, ed essendo genitori amorosissimi potevo considerarmi ben avventurata. Ero lo specchio in cui essi si miravano, ero il bastone della loro vecchiaia, l’unico oggetto dei loro voti, che, essendo sempre santi e preziosi, colla grazia del cielo venivano da me sempre assecondati. Perciò, io dominavo nel loro cuore e disponevo delle loro facoltà. Io dettavo legge ai dipendenti; passava per le mie mani il conio del seminato e del raccolto; quello dei mulini dell’olio e dei tini; quello del bestiame grosso e minuto e quello degli alveari; insomma, io ero la padrona di tutto quanto può possedere un ricco signore di campagna come mio padre; ed egli era tanto soddisfatto, che non potrei farlo intendere a parole. Una parte della giornata, dopo avere ordinate le faccende dei mandriani e dei soprastanti, e sistemate altre faccende,
==[[Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/302]]==
io l’occupava in lavori convenienti alle donzelle, a cucire, a ricamare, a filare; e se talvolta me ne astenevo, era per darmi alla lettura di qualche libro di divozione o per toccar l’arpa, sapendo per esperienza che la musica ridona calma agli animi agitati e allevia i mali dello spirito. Questa era la mia vita in casa di mio padre, e se ve la racconto minutamente, non lo fo per ostentazione, né per farvi sapere che possiedo ricchezze e fortune, ma perché sappiate che, senza mia colpa, caddi da felicissimo stato nella miseria in cui mi vedete. Io trascorrevo, dunque, i miei giorni in tante e così svariate occupazioni, e in una solitudine così rigorosa, che poteva parere quella di un monastero. Non veduta, a quanto credevo, che dalle persone di casa, andavo ad ascoltare la messa molto di buon’ora, accompagnata da mia madre o dalle serventi; e tanto chiusa in me stessa, che vedevo appena la terra che calcavo coi piedi. Tuttavia, gli occhi dell’amore o della curiosità, per dir meglio, ai quali non possono assomigliarsi quelli della linee, fecero volgere su di me l’attenzione di don Fernando, figlio minore di quel duca che poc’anzi ho menzionato ».
 
Appena la narratrice ebbe pronunziato il nome di don Fernando, Cardenio cambiò di colore in viso, e cominciò a sudare e a smaniare in modo, che il curato e il barbiere temettero fosse assalito da un accesso di pazzia, poiché già sapevano che soleva esserne assalito di tanto in tanto. Cardenio, però, non fece altro che sudare e rimase
==[[Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/303]]==
quieto, guardando la giovane senza battere palpebra e pensando chi potesse essere. Ella, senza avvedersi di nulla, proseguì la sua storia.
« Al primo vedermi, subito Fernando, come ebbe poi a dirmi, restò preso di me. Voglio tacere, per non prolungare all’infinito la storia della mia disgrazia, le tante premure usate da lui per dichiararmi i suoi sentimenti. Corruppe tutti i miei famigli; diede e offrì regali e favori ai miei parenti; si faceva festa ogni giorno lungo la strada dov’io abitavo; le serenate impedivano il sonno ai casigliani; innumerevoli biglietti, senza saper come, giungevano alle mie mani e contenevano espressioni d’amore ed offerte, ed i giuramenti erano sempre più delle parole. Io però non mi sentivo commossa e intenerita; anzi, il mio cuore s’induriva come contro a un mortale nemico: e quanto egli faceva per piegarmi in suo favore, produceva in me un effetto contrario. Non mi offendeva, però, la gentilezza di don Fernando, e lungi dall’avere a sdegno le sue premure, provavo non so quale soddisfazione nel vedermi amata e stimata a quel modo da un sì gran cavaliere; né mi rincresceva di leggere le mie lodi nei suoi scritti; che, anche quando noi altre dònne siamo brutte, ci è sempre di grande compiacenza sentirci dire che siamo belle. Nondimeno l’onestà mia si opponeva a tutto, aiutata dai continui consigli dei miei genitori, che già conoscevano molto bene le intenzioni di don Fernando, il quale non aveva ormai più riguardo che il suo amore fosse palese a tutto il mondo. Mi dicevano che il loro onore e la loro riputazione riposava sulla mia sola virtù; che considerassi quale distanza era da me a don Fernando, ed avrei visto un giorno apertamente che le intenzioni di lui miravano più a contentare se stesso che al mio vantaggio. Aggiungevano che, se io avessi voluto sottrarmi alle sue insidie, essi mi avrebbero subito sposata a chi più mi fosse piaciuto, scegliendo un partito fra i più convenienti della nostra terra, oppure delle terre circonvicine. Incoraggiata da queste sicure promesse e dalle verità che mi esponevano, io mi ostinai nella mia fermezza, e non volli rispondere mai parola che potesse dare a don Fernando la più lontana speranza di venire a capo delle sue brame. Tutte le mie precauzioni par allontanarlo, interpretate da lui come segni di disprezzo, non fecero che infiammare i suoi perversi desiderii; che altro non era l’amore che fingeva di portarmi, e se fosse stato verace amore, non sarei ora qui a farvi
==[[Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/304]]==
questo racconto. Seppe finalmente don Fernando che i miei genitori avevano pensato di maritarmi, perché egli rinunziasse ad ogni speranza di possedermi, o almeno perch’io avessi uno scudo o una difesa contro di lui.
 
 
« Trovandomi una notte nella mia stanza con una sola cameriera, senza che io sapessi immaginar come e nonostante ogni scrupolosa precauzione, me lo vidi comparire davanti nella solitudine e nel silenzio del mio ritiro.
==[[Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/305]]==
Riavuta un poco dallo stupore di quell’improvvisa apparizione, mentre egli con dolci parole, accompagnate da lagrime e da sospiri, cercava di acquistar fede alle sue fallaci proteste d’amore, raccolsi i miei spiriti smarriti e con quanto coraggio era in me, gli dissi : " — Signore, se invece che fra le vostre braccia, fossi tra le zanne di un fiero leone e non potessi liberarmene se non a patto di far cosa contraria alla mia onestà, non sarebbe possibile che io m’inducessi a commetterla. Sono vostra vassalla, non però vostra schiava: e stimo tanto me stessa, contadina ed umile, quanto voi potete stimarvi per essere signore e cavaliere. Tutto questo vi dico, perché non isperiate mai di ottenere da me quella corrispondenza di affetto, ch’è riserbata soltanto a colui che potrà esser mio legittimo sposo. « — Se altro non brami, bellissima Dorotea (è questo il nome della sventurata che vi parla), se altro non brami, — disse lo sleale cavaliere — ecco che io ti do la mano in pegno della solenne promessa di essere tuo, e ne chiamo testimonio il cielo, a cui nulla si nasconde, e quella immagine santa di Nostra Signora che hai qui accanto. » Quando Cardenio intese ch’ella si chiamava Dorotea, cominciò a turbarsi di nuovo, confermandosi nella sua prima opinione: ma non volle interrompere il racconto, per vedere se combinava con ciò che sapeva egli stesso ; soltanto disse :
— Che! Dorotea vi chiamate, o signora? Altre volte udii parlare di qualcuna che portava lo stesso nome, e sofferse sventure che somigliano molto alle vostre. Continuate, che poi vi dirò cose che vi recheranno non so se più meraviglia o dolore.
 
Line 47 ⟶ 66:
- Sia pure - rispose Dorotea; — io continuo la mia narrazione.
 
" Don Fernando, presa un’immagine santa che si trovava nella mia stanza, la volle per testimonio delle nostre nozze, e con parole efficacissime e con giuramenti straordinari protestò di voler essere mio consorte. Rimase incrollabile nel suo proponimento, nonostante fosse da me avvertito che badasse bene a quello che faceva, e pensasse allo sdegno di suo padre quando
" Don Fernando, presa un’immagine santa che si trovava nella mia stanza, la volle per testimonio delle nostre nozze, e con parole efficacissime e con giuramenti straordinari protestò di voler essere mio consorte. Rimase incrollabile nel suo proponimento, nonostante fosse da me avvertito che badasse bene a quello che faceva, e pensasse allo sdegno di suo padre quando sapesse che si fosse accasato con una campagnola sua vassalla; che non lo accecasse la mia qualunque bellezza, perché non sarebbe bastata a scolparlo dell’errore commesso, e che se desiderava farmi qualche bene, per l’amore che mi portava, mi lasciasse a un destino conforme al mio stato, perché le unioni fra disuguali non godono della pace, né durano a lungo con la soddisfazione con cui cominciano. A tutte queste riflessioni altre ne aggiunsi, delle quali ora non mi ricordo; ma non per questo egli desistette. Debbo, però, confessarvi che io cominciai a dire fra me: Veramente, non sarei io la prima che, per via del matrimonio, è salita ad alto stato; né don Fernando sarebbe il primo a cui o la bellezza o un amore prepotente hanno fatto contrarre un matrimonio non adeguato alla sua grandezza. Mi pareva, quindi, che non fosse bene ostinarsi a respingere ciò che la fortuna mi offriva, mentre, insistendo con le ripulse, potevo espormi a un pericolo molto grave. Vinta, pertanto, da queste considerazioni, e dalle preghiere e dai giuramenti che don Fernando veniva ripetendo dinanzi all’immagine santa, e in presenza della cameriera, dichiarai di accettarlo come legittimo sposo. Disgraziata! da quel momento parve che si spegnesse tutto l’ardore dell’animo suo. Il giorno che seguì la notte della mia miseria cominciò a farsi chiaro quel che don Fernando bramava. Dico questo perché si affrettò a lasciarmi sola: e con la complicità della mia cameriera, che l’aveva già fatto entrare, prima di giorno uscì della mia stanza; non senza ripetere, benché con meno calore di prima, i suoi giuramenti, in pegno dei quali mi lasciò un ricco anello, che egli stesso mi pose in dito. Partì, ed io rimasi non so dire se mesta od allegra: so dire, bensì, che ero tutta confusa, pensosa e quasi fuori di me. Il tradimento di dar passo libero a don Fernando nella mia stanza fu opera, come dissi, della mia cameriera; eppur non ebbi il coraggio di rimproverarla, non sapendo se l’accaduto fosse stato un bene o un male. Avevo detto a don Fernando che collo stesso mezzo avrebbe potuto venire quando voleva a trovarmi, finché poi si potesse far pubblico il nostro matrimonio ; ma egli non ritornò più, né mi fu dato di rivederlo né in istrada, né in chiesa per oltre un mese, durante il quale fui occupata di questo solo pensiero. Sapevo ch’egli si trovava in un luogo vicino alla mia terra, e che andava spesso a caccia, di cui era appassionatissimo. Affannosi ed infausti furono i giorni e le ore che impiegai nelle indagini, e cominciai a buon diritto a temere della fede di lui e a rimproverare la cameriera della sua temerità con parole che non le avevo mai dette prima d’allora. So quanto ebbe a costarmi lo sforzo di ringoiar le lagrime e di conservare il volto composto, affinchè i genitori non mi chiedessero il perché di tanto mio rammarico, e non fossi costretta a mentire con loro. Ma ad un tratto, insieme colle speranze, furono distrutti anche i riguardi e i calcoli della prudenza; e fu quando si sparse per il paese la voce che don Fernando, in una città vicina, s’era fatto sposo ad una donzella bellissima quanto si può mai dire, e di nobilissimi genitori, quantunque non tanto grande di fortuna da poter aspirare a un così nobile matrimonio. Fu detto che si chiamava Lucinda, e aggiunsero altre circostanze, degne di maraviglia, dalle quali furono accompagnate quelle nozze ».
==[[Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/306]]==
sapesse che si fosse accasato con una campagnola sua vassalla; che non lo accecasse la mia qualunque bellezza, perché non sarebbe bastata a scolparlo dell’errore commesso, e che se desiderava farmi qualche bene, per l’amore che mi portava, mi lasciasse a un destino conforme al mio stato, perché le unioni fra disuguali non godono della pace, né durano a lungo con la soddisfazione con cui cominciano. A tutte queste riflessioni altre ne aggiunsi, delle quali ora non mi ricordo; ma non per questo egli desistette. Debbo, però, confessarvi che io cominciai a dire fra me: Veramente, non sarei io la prima che, per via del matrimonio, è salita ad alto stato; né don Fernando sarebbe il primo a cui o la bellezza o un amore prepotente hanno fatto contrarre un matrimonio non adeguato alla sua grandezza. Mi pareva, quindi, che non fosse bene ostinarsi a respingere ciò che la fortuna mi offriva, mentre, insistendo con le ripulse, potevo espormi a un pericolo molto grave. Vinta, pertanto, da queste considerazioni, e dalle preghiere e dai giuramenti che don Fernando veniva ripetendo dinanzi all’immagine santa, e in presenza
==[[Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/307]]==
" Don Fernando, presa un’immagine santa che si trovava nella mia stanza, la volle per testimonio delle nostre nozze, e con parole efficacissime e con giuramenti straordinari protestò di voler essere mio consorte. Rimase incrollabile nel suo proponimento, nonostante fosse da me avvertito che badasse bene a quello che faceva, e pensasse allo sdegno di suo padre quando sapesse che si fosse accasato con una campagnola sua vassalla; che non lo accecasse la mia qualunque bellezza, perché non sarebbe bastata a scolparlo dell’errore commesso, e che se desiderava farmi qualche bene, per l’amore che mi portava, mi lasciasse a un destino conforme al mio stato, perché le unioni fra disuguali non godono della pace, né durano a lungo con la soddisfazione con cui cominciano. A tutte queste riflessioni altre ne aggiunsi, delle quali ora non mi ricordo; ma non per questo egli desistette. Debbo, però, confessarvi che io cominciai a dire fra me: Veramente, non sarei io la prima che, per via del matrimonio, è salita ad alto stato; né don Fernando sarebbe il primo a cui o la bellezza o un amore prepotente hanno fatto contrarre un matrimonio non adeguato alla sua grandezza. Mi pareva, quindi, che non fosse bene ostinarsi a respingere ciò che la fortuna mi offriva, mentre, insistendo con le ripulse, potevo espormi a un pericolo molto grave. Vinta, pertanto, da queste considerazioni, e dalle preghiere e dai giuramenti che don Fernando veniva ripetendo dinanzi all’immagine santa, e in presenza della cameriera, dichiarai di accettarlo come legittimo sposo. Disgraziata! da quel momento parve che si spegnesse tutto l’ardore dell’animo suo. Il giorno che seguì la notte della mia miseria cominciò a farsi chiaro quel che don Fernando bramava. Dico questo perché si affrettò a lasciarmi sola: e con la complicità della mia cameriera, che l’aveva già fatto entrare, prima di giorno uscì della mia stanza; non senza ripetere, benché con meno calore di prima, i suoi giuramenti, in pegno dei quali mi lasciò un ricco anello, che egli stesso mi pose in dito. Partì, ed io rimasi non so dire se mesta od allegra: so dire, bensì, che ero tutta confusa, pensosa e quasi fuori di me. Il tradimento di dar passo libero a don Fernando nella mia stanza fu opera, come dissi, della mia cameriera; eppur non ebbi il coraggio di rimproverarla, non sapendo se l’accaduto fosse stato un bene o un male. Avevo detto a don Fernando che collo stesso mezzo avrebbe potuto venire quando voleva a trovarmi, finché poi si potesse far pubblico il nostro matrimonio ; ma egli non ritornò più, né mi fu dato di rivederlo né in istrada, né in chiesa per oltre un mese, durante il quale fui occupata di questo solo pensiero. Sapevo ch’egli si trovava in un luogo vicino alla mia terra, e che andava spesso a caccia, di cui era appassionatissimo. Affannosi ed infausti furono i giorni e le ore che impiegai nelle indagini, e cominciai a buon diritto a temere della fede di lui e a rimproverare la cameriera della sua temerità con parole che non le avevo mai dette prima d’allora. So quanto ebbe a costarmi lo sforzo di ringoiar le lagrime e di conservare il volto composto, affinchè i genitori non mi chiedessero il perché di tanto mio rammarico, e non fossi costretta a mentire con loro. Ma ad un tratto, insieme colle speranze, furono distrutti anche i riguardi e i calcoli della prudenza; e fu quando si sparse per il paese la voce che don Fernando, in una città vicina, s’era fatto sposo ad una donzella bellissima quanto si può mai dire, e di nobilissimi genitori, quantunque non tanto grande di fortuna da poter aspirare a un così nobile matrimonio. Fu detto che si chiamava Lucinda, e aggiunsero altre circostanze, degne di maraviglia, dalle quali furono accompagnate quelle nozze ».
==[[Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/308]]==
e aggiunsero altre circostanze, degne di maraviglia, dalle quali furono accompagnate quelle nozze ».
 
Udendo Cardenie il nome di Lucinda, non fece altro che stringersi nelle spalle, mordersi le labbra, inarcare le ciglia, e versare dagli occhi due fiumi di pianto. Ma non per questo tralasciò Dorotea di proseguire il suo racconto.
 
« La notizia — disse — pervenne alle mie orecchie, e invece di gelarmi il cuore, m’accese di tanta collera, che fui tentata di andar per le strade proclamando ad alta voce la slealtà e il tradimento di don Fernando. Ma frenai per allora lo sdegno, col proposito di fare
quella notte ciò che poi feci davvero. Indossai questi abiti avuti da un bifolco allevato in casa di mio padre, a cui raccontai la mia sventura, pregandolo di accompagnarmi alla città, dove speravo di trovare il mio nemico. Dopo essersi molto opposto al mio ardito disegno, egli, vedendomi irremovibile, promise che mi avrebbe accompagnato fiino in capo al mondo. Raccolsi e misi subito entro un involto di tela un abito da donna, qualche gioiello e un po’ di danaro per tutto ciò che potesse accadere, e nel silenzio di quella notte, senza far motto alla cameriera traditrice, mi allontanai dalla casa paterna, accompagnata dal servo e da una folla di pensieri, mettendomi in viaggio a piedi, e portata a volo dal desiderio di giungere alla città, per chiedere almeno a don Fernando con che cuore si fosse ridotto a così nera azione. Vi giunsi dopo due giorni e mezzo e chiesi subito dei parenti di Lucinda. Persona da me interrogala mi disse più di quanto avrei voluto sapere. M’indicò la casa di Lucinda, informandomi al
==[[Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/309]]==
tempo stesso di quanto era accaduto durante la funzione nuziale: cosa tanto pubblica nella città, che da per tutto se ne parlava. Soggiunse che la notte in cui Fernando sposò Lucinda, dopo aver pronunziato il sì, ella era caduta in svenimento, e che avendole lo sposo slacciate le vesti sul petto per farla rinvenire, vi trovò un biglietto scritto da lei stessa, in cui dichiarava di non poter essere sua sposa, perché aveva già sposato Cardenio. Seppi che questo Cardenio era uno de’ principali cavalieri della città, e che Lucinda aveva pronunziato quel sì soltanto per non mancare di obbedienza ai suoi genitori. In fatti, fu detto che da quel biglietto appariva la risoluzione di lei di uccidersi dopo la cerimonia degli sponsali, e si aggiungeva che, a conferma di quanto avea scritto, si trovò un pugnale nascosto fra le vesti. Udendo ciò, don Fernando credette di essere stato deriso e disprezzato dalla giovine, e si scagliò contro di lei con quel pugnale, prima ancora che ella rinvenisse; e l’avrebbe ferita a morte, se i genitori e gli altri presenti non lo avessero trattenuto. Fu anche detto che don Fernando si allontanò subito di là, e che Lucinda non tornò in sé fino al giorno seguente. Allora soltanto rese consapevoli i genitori di esser veramente sposa di quel Cardenio da me nominato poc’anzi. Seppi, inoltre, che questo Cadenio, secondo quel che si diceva, fu presente al matrimonio di lei con don Fernando, e che, vedendola sposarata, ciò che non avrebbe mai creduto, fuggì disperatamente dalla città. lasciando una lettera in cui dichiarava il torto fattogli da Lucinda e la sua decisione di ritirarsi in luoghi lontani e remoti dal mondo.
==[[Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/310]]==
in luoghi lontani e remoti dal mondo.
 
Tulle queste cose si dicevano per la città; e tutti ne parlavano. I discorsi crebbero a dismisura quando si seppe che Lucinda, fuggita dalla casa paterna, si era allontanata dalla città, né si sapeva dove avesse rivolti i suoi passi. Allora persi ogni speranza e mi parve fortuna non aver trovato don Fernando, piuttosto che trovarlo ammogliato. Non era chiusa del tutto la porta della mia salvezza, e sperai che il cielo gli avesse impedito quel secondo matrimonio per richiamarlo al primitivo suo dovere e per ricordargli ch’era cristiano e che aveva maggior obbligo all’anima sua che ai rispetti del mondo. Immersa in tetri pensieri, mi consolavo senza una ragione al mondo, nutrendo lunghe e vane speranze per sostenere una vita che ormai odio.
 
" Per nessuna ragione potevo fare un più lungo soggiorno in quella città, poiché non vi potevo ritrovare don Fernando; e frattanto mi giunse all’orecchio un pubblico bando, in cui si prometteva un premio a chi mi rintracciasse, e si davano i connotati della persona e del vestito medesimo che io portavo. Intesi vociferare che dalla casa paterna mi aveva strappata il servitore che mi seguiva; e questo mi trafisse nel più vivo del cuore, vedendo quanto avevo scapitato nella riputazione della gente, se, non contenti di ascrivermi a colpa la fuga da casa mia, immaginavano che lo avessi fatto per uno scopo basso e indegno
==[[Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/311]]==
de’ miei pensieri. Non ci volle altro a persuadermi di lasciar subito quella città in compagnia d’un solo servitore, il quale presto cominciò a farmi sospettare della fedeltà che mi aveva giurato. Entrammo quella notte nel più folto di questi boschi col timore di essere inseguiti e raggiunti: ma una disgrazia chiama l’altra, come suoi dirsi: e così mi successe; poiché il servitore, che s’era conservato fino allora fedele e sicuro, quando mi vide in queste solitudini, dove nessuno avrebbe potuto aiutarmi contro di lui, non si vergognò di farmi proposte delle quali fremo ancora e arrossisco. Il cielo mi diede la forza di sostenere contro le sue vili pretese le mie giuste intenzioni; e quando egli mi si avvicinò risoluto di usarmi violenza, poiché le preghiere non gli erano valse, con poca fatica lo feci cadere in un precipizio, dove lo lasciai non so se morto o vivo; poi con la sollecitudine della paura, m’internai tra queste balze, senz’altro pensiero o disegno che di nascondermi e di fuggire da mio padre e, dalle mani di coloro che stanno cercandomi per ordine di lui. Non so quanti mesi trascorsero da che son qui, dove trovai un custode di armenti che mi prese al suo servizio in un villaggio posto nel cuore di queste montagne. L’ho servito come bifolco durante questo tempo, procurando di starmene sempre nei campi per nascondere questi capelli, che ora, senza pensarlo, mi hanno tradita, rendendo inutile ogni mio sotterfugio verso il mio nuovo padrone.
 
«Quando s’avvide anche lui che io non ero uomo, concepì
«Quando s’avvide anche lui che io non ero uomo, concepì nel suo cuore la stessa malvagia intenzione da cui era stato colto il mio servo: e non potendo liberarmi da lui come dall’altro, ho creduto finalmente più savio partito nascondermi di nuovo fra questi massi, dove, infatti, tornai ad inselvarmi ed a cercare, con sospiri e con lagrime, il soccorso del cielo alle mie disavventure. Ora sono disposta a lasciare la vita in queste solitudini, affinchè non rimanga memoria di una infelice che senza sua colpa, ha dato argomento a chi sa quali mormorazioni contro di lei, tanto nel suo quanto negli altri paesi».
==[[Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.1.djvu/312]]==
«Quando s’avvide anche lui che io non ero uomo, concepì nel suo cuore la stessa malvagia intenzione da cui era stato colto il mio servo: e non potendo liberarmi da lui come dall’altro, ho creduto finalmente più savio partito nascondermi di nuovo fra questi massi, dove, infatti, tornai ad inselvarmi ed a cercare, con sospiri e con lagrime, il soccorso del cielo alle mie disavventure. Ora sono disposta a lasciare la vita in queste solitudini, affinchè non rimanga memoria di una infelice che senza sua colpa, ha dato argomento a chi sa quali mormorazioni contro di lei, tanto nel suo quanto negli altri paesi».