Eneide (Caro)/Libro primo: differenze tra le versioni
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<poem>
di Titiro sonai
e che,
fei pingui e cólti i campi, e pieni i vóti
agli agricoli è grata; ora di Marte
che pria da Troia, per destino, a i liti
e quanto errò, quanto sofferse, in quanti{{R|10}}
e di terra e di mar perigli incorse,
come il traea
del cielo, e di Giunon
e con che dura e sanguinosa guerra
fondò la sua cittade, e gli suoi dèi{{R|15}}
ripose in Lazio: onde cotanto crebbe
il nome
e le mura e
Musa, tu che di ciò sai le cagioni,
tu le mi detta. Qual dolor, qual onta{{R|20}}
fece la dea
de gli altri dèi, sí nequitosa ed empia
contra un sí pio? Qual suo nume
per tanti casi a tanti affanni? Ahi! tanto
possono ancor là su
Grande, antica, possente e bellicosa
colonia
posta da lunge
a la foce del Tebro: a Giunon cara
sí, che le fûr men care ed Argo e Samo.{{R|30}}
Qui pose
qui di porre avea già disegno e cura
(se tale era il suo fato) il maggior seggio,
e lo scettro anco universal del mondo.
Ma già contezza avea
per uscire una gente, onde vedrebbe
le sue torri superbe a terra sparse,
e de la sua ruina alzarsi in tanto,
tanto avanzar
che ancor de
tal de le Parche la volubil rota
girar saldo decreto. Ella, che téma
avea di ciò, non posto anco in oblio
come, a difesa
fosse a Troia acerbissima guerriera,{{R|45}}
ripetendone i semi e le cagioni,
se ne sentia nel cor profondamente
or di Pari il giudicio, or
lo scorno
e la rapina e i non dovuti onori.
Da tante, oltre al timor, faville accesa,
quei pochi afflitti e miseri Troiani
al mare, ai Greci, al dispietato Achille,{{R|55}}
tenea lunge dal Lazio; onde gran tempo,
combattuti
per tutti i mari andâr raminghi e sparsi:
di sí gravoso affar, di sí gran mole
Riga 69:
Eran di poco, e del cospetto a pena
de la Sicilia navigando usciti,
e già, preso de
se ne gian baldanzosi, e con le prore
e
quando, punta Giunon
«Dunque, - disse -
venga a signoreggiar Italia un re,
Mi sieno: osò pur Pallade, e poteo{{R|70}}
ardere e soffocar già degli Argivi
tanti navili, e tanti corpi ancidere
per lieve colpa e folle amor
Aiace
ella stessa vibrò di Giove il tèlo{{R|75}}
giú dalle nubi; ella commosse i vènti
e turbò
e quando ei già dal fulminato petto
sangue e fiamme anelava, a tale un turbo
in preda il diè, che per acuti scogli{{R|80}}
miserabil ne
Tanto può Palla? Ed io, io de gli dèi
regina, io sposa del gran Giove e suora,
son di
nimica in vano? E chi piú
sarà che mi sacrifichi, e
Ciò fra suo cor la dea fremendo ancora,
giunse in Eòlia, di procelle e
e de le furie lor patria feconda.
Eolo è suo re,
le sonore tempeste e i tempestosi
vènti, sí
Eglino impetuosi e ribellanti
tal fra lor fanno e per quei chiostri un fremito,
che ne trema la terra e
Ed ei lor sopra, realmente adorno
di corona e di scettro, in alto assiso,
Se ciò non fosse, il mar, la terra e
lacerati da lor, confusi e sparsi{{R|100}}
con essi andrian per lo gran vano a volo;
ma la possa maggior del padre eterno
provvide a tanto mal serragli e tenebre
lor sopra impose; ed a re tale il freno{{R|105}}
ne diè,
con certa legge o rattenere o spingere.
A cui davanti
allor umíle e supplichevol disse:
«Eölo, poi che
a tanto ministerio ti prepose
di correggere i vènti e turbar
gente inimica a me, mal grado mio,
naviga il mar Tirreno; e giunta a vista
è già
e
seco
Sciogli, spingi i tuoi vènti, gonfia
aggiragli, confondigli, sommergigli,
o dispergigli almeno. Appo me sono{{R|120}}
sette e sette leggiadre ninfe e belle;
e di tutte piú bella e piú leggiadra
è Deiopèa. Costei
di ciò, che sia tua sposa; e che tu seco
di nodo indissolubile congiunto,{{R|125}}
Riga 138:
Eolo a rincontro: «A te, regina, - disse -
conviensi che tu scopra i tuoi desiri,
ed a me
son qui per te. Tu mi fai Giove amico,
tu mi dài questo scettro e questo regno;
se re può dirsi un che comandi
Io, tua mercé, su
nel ciel
son di nembi possente e di tempeste».
Cosí dicendo, al cavernoso monte
con lo scettro
onde repente a stuolo i vènti usciro.
Avean già
di polve e di tumulto i colli e i campi,
quando quasi in un gruppo ed Euro e Noto
lo turbâr sí, che ne fêr valli e monti;
monti,
sorti
volgendo, se ne gian caduchi e mobili
con suono e con ruina i liti a frangere.
Il grido, lo stridore, il cigolare
i nugoli che
la buia notte,
i tuoni, i lampi spaventosi e spessi,
tutto ciò che
rappresentava orror, perigli e morte.{{R|155}}
Smarrissi Enea di tanto, e tale un gelo
Riga 171:
«O mille volte fortunati e mille
color che sotto Troia e nel cospetto{{R|160}}
di morir combattendo! O di Tidèo
fortissimo figliuol,
cader per le tue mani, e lasciar ivi
questa vita affannosa, ove lasciolla{{R|165}}
vinto per man del bellicoso Achille,
Ettor famoso e Sarpedonte altero?
E se
perché non dove Xanto o Simoenta
volgon
Cosí dicea;
una buffa a rincontro, che stridendo
squarciò la vela, e
Fiaccârsi i remi; e là
girossi il fianco; e
venne come dal cielo a cader giú.
Pendono or questi or quelli a
or a questi or a quei
fra due liquidi monti, ove
non men
Tre ne furon dal Noto a
- Are chiaman gli Ausoni un sasso alpestro
da
che sorgea primo in alto mare altissimo -
e tre ne fûr dal pelago a le Sirti,{{R|185}}
(miserabile aspetto) ne le secche
tratte da
Una, che
con le genti di Licia, avanti agli occhi
di lui perí. Venne da Bora
anzi un mar, che da poppa in guisa urtolla,
che
e lei girò sí che
le si
da cui rapita, vacillante e china,{{R|195}}
quasi stanco palèo, tre volte volta,
calossi gorgogliando, e
Già per
le navi e i naviganti si vedevano;
già per tutto di Troia, a
arme, tavole, arnesi a nuoto andavano;
già quel
legno
e quel
ed alfin tutti sconquassati, a
micidïali aveano i fianchi aperti;
quando, a tanto rumor, da
il gran Nettuno, e visto del suo regno
rimescolarsi i piú riposti fondi:
«Oh - disse irato -
tempesta?» E grazïoso il capo fuori
trasse de
per lo mar tutto dissipati e laceri
vide i legni
e del mare e del cielo erano esposti.
E ben conobbe in ciò, come suo frate,
che ne fôra cagion
de
e
«Tanta ancor tracotanza in voi
razza perversa? Voi, voi, senza me,
nel regno mio la terra e
e far nel mare un sí gran moto osate?
Io vi farò... Ma di mestiero è prima{{R|225}}
abbonazzar
in altra guisa il fio mi pagherete
del fallir vostro. Via tosto di qua,
Riga 249:
case degne di voi; quella è sua reggia;
quivi solo si vanti; e per regnare,
de la prigion
Cosí dicendo, in quanto a pena il disse,
la tempesta cessò,
si dileguâr le nubi, apparve il sole.
Cimòtoe e Triton,
ritirâr da lo scoglio in cui percossero.
Le tre che ne
egli stesso, le vaste sirti aprendo,
sollevò col tridente ed a sé trassele.
Poscia sovra al suo carro
scorrendo lievemente, ovunque apparve,
agguagliò
Come addivien sovente in un gran popolo,
allor che per discordia si tumultua,
e imperversando va la plebe ignobile,{{R|250}}
quando
e
se grave personaggio e di gran merito
esce lor contro, rispettosi e timidi,
fatto silenzio, attentamente ascoltano,{{R|255}}
ed al detto di lui tutti
cosí
fu
a ciel aperto il gran rettor del pelago
Stanchi i Troiani, ai liti
drizzaro il corso, e
È di là lungo a la riviera un seno,
anzi un porto; ché porto
lo fa, che in su la bocca al mare opponsi.{{R|265}}
Questa si sporge
che vi percuota, ritrovando intoppo,
o si frange, o si sparte, o si riversa.
Quinci e quindi alti scogli e rupi altissime,{{R|270}}
sotto cui stagna spazïoso un golfo
securo e queto: e
tale una scena, che la luce e
vi raggia, e non penètra:
anzi un orror di selve annose e folte.{{R|275}}
scogli un antro muscoso, in cui dolci acque
fan dolce suono; e
di vivo sasso: albergo veramente
di ninfe, ove a fermar le stanche navi{{R|280}}
né
Qui sol con sette, che raccolse a pena
di tanti legni, Enea ricoverossi.
Riga 306:
Acate fece in pria selce e focíle
scintillar foco, e dièlli esca e fomento.
Altri poscia
(come quei che di vitto avean disagio,{{R|290}}
e le biade trovâr corrotte e molli)
Riga 312:
a rasciugarle, a macinarle, a cuocerle.
Intanto Enea
quanto si discopria con
stava mirando
per alcun luogo apparso, o quel
o quel di Capi, o pur quel di Caíco
che in poppa avea la piú sublime insegna.
Nïun ne vide: ma ben vide errando{{R|300}}
gir per la spiaggia tre gran cervi, e dietro
che in sembianza
Fermossi: e pronto a cotal uso avendo
gli portava mai sempre il fido Acate),
diè lor di piglio: e saettando prima
i primi tre, che piú vide altamente
erger le teste e inalberar le corna,
contra
ovunque gli scorgea, folgorò tutto.
Ne cacciò, ne ferí, strage ne fece
Riga 335:
sette non ne vedesse a terra stesi.{{R|315}}
In questa guisa ritornando al porto,
gli spartí parimente
e con essi del vin, che
a
poscia a conforto lor cosí lor disse:
«Compagni, rimembrando i nostri affanni,
voi
vie piú gravi di questi. E questi fine,
(quando che sia) la dio mercede, avranno.{{R|325}}
Voi la rabbia di Scilla, voi gli scogli
di tutti i mari omai, voi
varcaste i sassi; ed or qui salvi siete.
Riprendete
di téma e di tristizia.
un dí che tante e cosí rie venture,
non
Per vari casi e per acerbi e duri
perigli è
Ivi riposo, ivi letizia piena{{R|335}}
vi promettono i fati, e nuova Troia
Riga 361:
sí glorioso e sí felice stato».{{R|340}}
Cosí dicendo
con la fronte serena il cuor doglioso.
Riga 370:
mentre è tiepida ancor, mentre che palpita,
lunghi schidioni e gran caldaie apprestano,
e
Poscia
taciti prima sopra
quanto puon lietamente si ricreano.
Poiché fûr sazi, a ragionar si diêro,
con voce or di timore or di cordoglio,{{R|355}}
se fosser vivi, e se pur giunti al fine
piú
Enea vie piú di tutti e di pietate
e di dolor compunto, il caso acerbo{{R|360}}
or
Erano al fine omai; quando il gran Giove
da
la terra e
mentre di lito in lito, e
scerne i popoli tutti, al cielo in cima
fermossi, e ne la Libia il guardo affisse.
Venere, allor
lo vide intento, dolcemente afflitta{{R|370}}
il volto, e molle i begli occhi lucenti,
gli si fece davanti, e cosí disse:
« Padre, che
siedi eterno monarca, e folgorando
empi di téma e di spavento il mondo,{{R|375}}
Riga 403:
commesso Enea mio figlio, o i suoi Troiani,
che, dopo tanti affanni e tante stragi,
non trovin pace, né pietà, né loco{{R|380}}
pur che gli accetti? In cotal guisa omai
del mondo son, non che
Io mi credea, signor (quel che promesso
quando che fosse, il generoso germe{{R|385}}
di Dardano a produr quei glorïosi
eroi, quei duci invitti, quei Romani
de
e tu ne
il ciel cangia destino, e tu consiglio?{{R|390}}
Questa sola credenza era cagione
di consolarmi in parte de
de la mia Troia,
tante ruine sue, fato con fato
ricompensando. Or la fortuna stessa{{R|395}}
e vie piú fera la persegue e dura.
E quanto durerà, signore, ancora?
Tal non fu già
per mezzo uscio, che con felice corso{{R|400}}
penetrò
nel regno
al fonte di Timavo; e là
fremendo il monte intuona, e là
fa nove bocche un mare, e, mar già fatto,{{R|405}}
inonda i campi e rumoreggia e frange,
Padoa fondò, pose
e diè lor nome e le lor armi affisse.
Ivi ridotto il suo regno, e composto
Riga 439:
ad una sola indegnamente in ira,
perdute, ohimè! le proprie navi, fuori
siamo
di non mai piú vederla. Or questo è
che si deve a pietade? E questo è il regno
che da te, padre mio, ne si promette?»
Sorrise Giove, e con quel dolce aspetto
con che
rimirolla, basciolla, e cosí disse:
«Non temer, Citerèa, ché saldi e certi
stanno i fati
le mie promesse; sorgeran le torri
de la novella Troia; vedrai le mura{{R|425}}
di Lavinio; porrai qui fra le stelle
il magnanimo Enea. Ché né
in ciò si cangerà, né
Ma per trarti
piú chiaramente; e scoprirotti intanto{{R|430}}
Figlia, il tuo figlio Enea tosto in Italia
sarà; farà gran guerra, vincerà:
Riga 465:
e tre stati regnar Lazio vedrallo.
Ascanio giovinetto, or detto Iulo,
ed Ilo prima infin
succederagli; e trenta giri interi{{R|440}}
del maggior lume, il sommo imperio avrà.
Riga 471:
sarà la reggia sua possente e chiara.
Qui regneranno poi sotto la gente
tre volte cento;
Indi capo ne fia Romolo invitto.
Questi, in vece di manto, adorno il tergo
Riga 481:
A Roma non pongo io termine o fine:
ché fia del mondo imperatrice eterna.
E
e
con piú sano consiglio al mio conforme,
procurerà che la romana gente
in arme e
E cosí stabilisco: e cosí tempo{{R|460}}
ancor sarà
e i Greci tutti tributari e servi
de la casa di Assàraco saranno.
Di questa gente, e de la Iulia stirpe,
che da quel primo Iulo il nome ha preso,{{R|465}}
Cesare nascerà, di cui
e la gloria fia tal, che per confine
Questi, già vinto il tutto, poi che onusto
de le spoglie sarà de
e là giú
si farà mite. Allor la santa Vesta
e la candida Fede e
col frate Remo il mondo in cura avranno.
Allor con salde e ben ferrate sbarre
Riga 507:
e dentro in fra la ruggine sepolto
con cento nodi incatenato e stretto{{R|480}}
gran tempo si starà
e rabbioso fremendo orribilmente,
con fuoco a gli occhi, e bava e sangue a i denti
morderà
Cosí detto, spedí tosto da
di Maia il figlio a far sí
fosse Cartago e il suo paese amico,
perché del fato la regina ignara,
non fosse lor, per ferità
o per sua téma, inospitale e cruda.{{R|490}}
Vassene il messaggier per
velocemente, e ne la Libia giunto,
quel
E già, la dio mercé, lasciano i Peni
la lor fierezza; e la regina in prima{{R|495}}
verso i Troiani affabile e benigna.
La notte intanto, del pietoso Enea
molti furo i sospir, molti i pensieri.
Conchiuse alfin
spïar dovesse, e riportarne avviso
a suoi compagni, in qual paese il vento
gli avesse spinti; e
(perché incolto il vedea) quivi abitassero.
Cosí tra selve ombrose e cave rupi{{R|505}}
Riga 538:
In mezzo de la selva una donzella,
che madre fosse incontro gli si fece.{{R|510}}
Donzella a
parea di Sparta, o quale in Tracia Arpàlice
leggiera e sciolta, il dorso affaticando
di fugace destrier,
Al collo avea di cacciatrice un arco{{R|515}}
abile e lesto, i crini a
nudo il ginocchio; e con bel nodo stretto
tenea raccolto della gonna il seno.
Riga 551:
Ella fu prima a dire: «Avreste voi,
giovani, de le mie sorelle alcuna{{R|520}}
vista errar quinci, o
o che gli omeri vesta
di cervier maculato, o che gridando
Cosí Venere disse. Ed, a rincontro,{{R|525}}
di Venere il figliuol cosí rispose:
«Nïuna ho de le tue veduta, o
vergine... qual ti dico, e di che nome
chiamar ti deggio? Ché terreno aspetto
non è già
Dea sei tu veramente, o suora a Febo,
o figlia a Giove, o de le ninfe alcuna:
Riga 569:
siamo or del mondo: ché raminghi andiamo;
e qui dal vento e da fortuna spinti
nulla o de gli abitanti o
notizia abbiamo. A te,
di nostra man cadrà piú
Venere allor soggiunse: «Io non
celeste onore. In Tiro usan le vergini
di portar arco, e di calzar coturni;
e di Tiro e
traggon principio, che qui seggio han posto:{{R|545}}
ma
gente feroce. Or
Dido che, da
fuggendo, è qui venuta. A dirne il tutto
lunga fôra novella e lungo intrico.{{R|550}}
Ma toccandone i capi, avea costei
Sichèo per suo consorte, uno il piú ricco
di terra e
da la meschina unicamente amato,
anzi il suo primo amore. Il padre intatta{{R|555}}
Riga 592:
Pigmalïon suo frate, un signor empio,
un tiranno crudele e scellerato
piú
tal, che Sichèo da questo avaro e crudo,
per sete
fu tra gli altari ucciso; e non gli valse
che la germana sua tanto
Ciò
vie piú, con finzïoni e con menzogne
deluse un tempo ancor
Ma nel fin, di Sichèo la stessa imago,
fuor
pallida, macilenta e spaventevole,{{R|570}}
le apparve in sogno, e presentolle, avanti
gli empi altari ove cadde, il crudo ferro
che lo trafisse, e del suo frate tutte
Poscia: "Fuggi di qua, fuggi" le disse{{R|575}}
"tostamente, e lontano". E per sussidio
de la sua fuga, le scoperse un loco
sotterra,
Quinci Dido commossa, ordine occulto{{R|580}}
di fuggir tenne, e
ché molti
parte per téma di sí rio tiranno.
Le navi che trovâr nel lito preste,
caricâr
Cosí
de
questo sí degno e memorabil fatto.
Giunsero in questi luoghi,
sorger la gran cittade e
de la nuova Cartago, che dal fatto
Birsa nomossi, per
che, per fondarla, fêr di tanto sito
quanto cerchiar di bue potesse un tergo.
Riga 640:
il nome ti pervenne unqua a gli orecchi),
e la tempesta che per tanti mari{{R|605}}
già
Io sono Enea, quel pio che
scampati ho meco i miei patrii Penati,
fino a le stelle ormai noto per fama.{{R|610}}
Italia vo cercando, che per patria
Giove
Con diece e diece ben guarnite navi
uscii di Frigia, il mio destin seguendo
Riga 653:
scommesse, aperte e disarmate tutte.
Ed io mendíco, ignoto e peregrino,
de
e
vo per deserti inospiti e selvaggi.
E qual
Venere intenerissi; e nel suo figlio
cosí
«Chïunque sei, tu non sei già,
al cielo in ira; poi
ti diè ricovro a sí benigno ospizio.
Segui pur francamente: e quinci in corte
da miglior vènti in miglior parte addotti
salvi e securi omai, se i miei parenti
non
Mira là sovra a quel tranquillo stagno{{R|635}}
dodici allegri cigni, che pur dianzi
confusi e dissipati a cielo aperto
erano in preda al fero augel di Giove,
rimessi in lunga ed ozïosa riga{{R|640}}
si rivolgono a terra, e già la radono.
E sí
trattando
mostrato han
cosí, placato il mare, a piene vele,{{R|645}}
e le tue navi e gli tuoi naviganti
o preso han porto, o tosto a prender
vattene or lieto ove
Ciò detto, nel partir, la neve e
e le rose del collo e de le chiome,{{R|650}}
come
e divino spirâr
e la veste, che dianzi era succinta,
con tanta maestà le si distese
infino
veracemente e Venere mostrossi.
Riga 701:
«Ahi! madre, ancora tu vèr me crudele,{{R|660}}
a che tuo figlio con mentite larve
tante volte deludi? A che
di congiunger la mia con la tua destra?
Quando fia mai
vederti, udirti, ragionarti, e vera{{R|665}}
riconoscerti madre?» Egli in tal guisa
Riga 712:
di folta nebbia intorno gli coverse.
Ella in alto levossi, e Cipri e Pafo
lieta rivide,
da cento altari ha cento volte il giorno
Ed essi intanto in vèr le mura a vista
giunser de la città,
Maravigliasi Enea che sí gran macchina
già sorga, ove pur dianzi non vedevasi{{R|680}}
Mira il travaglio, mira la frequenzia
e le porte e le vie piene di strepito.
Riga 730:
e quei, che del senato e de gli offici
piantan le curie e i fòri e le basiliche.
Scorge là presso al mar che
qua, sotto al colle, che un teatro fondano,
per le cui scene i gran marmi che tagliano,
e le colonne, che
le rupi e i monti, a cui son figli, adeguano.
Riga 743:
di celeste liquor le celle empiendo;{{R|700}}
o quando incontro a scaricare i pesi
van de
scacciano i fuchi, ingorde bestie e pigre,
che, solo intente a logorar
de le conserve lor si fan presepi,{{R|705}}
allor che
sparge di timo
«O fortunati voi, di cui già sorge
Riga 767:
Qui fabbricava la sidonia Dido
un gran tempio a Giunone, il cui gran nume
e i doni e la materia e
lo facean prezïoso e venerando.
Mura di marmo avea; colonne e fregi
Riga 776:
e di pace affidollo e di salute;
ché mentre, in aspettando la regina
mentre nel tempio
e
a gli occhi una parete gli
in cui tutta per ordine dipinta
era di Troia la famosa guerra.
E, conosciuti a le fattezze conte{{R|740}}
prima il troiano re, poscia
e
fermossi, e lagrimando: «Oh, - disse - Acate,
mira fin dove è la notizia aggiunta
de le nostre ruine! Or quale ha
loco che pien non sia
Ecco Priamo, ecco Troia; e qui si pregia
ancor virtú; ché ferità non regna
là
Or ti conforta, ché tal fama ancora{{R|750}}
di pro ti fia cagione e di salvezza».
Riga 798:
mirando, or con sospiri, ed or con lutto
va di vana pittura il cor pascendo.
E come quei
i siti rammentandosi e le zuffe,
col sembiante riscontra il vivo e
Quinci vede fuggir le greche schiere,
quindi le frigie: a quelle Ettorre infesto,
a queste Achille, a cui parea
che solo il suon del carro e solo il moto
del cimiero avventasse orrore e morte.
Riga 810:
ai destrier bianchi, ai bianchi padiglioni,
fatti di sangue in mille parti rossi:{{R|765}}
che sotto
insanguinato; e si facea
alta strage di gente che nel sonno,
prima che da lui morta, era sepolta.
Vedea quindi i cavalli al campo addotti,{{R|770}}
che non potêr (fato
di Troia erba gustare, o ber del Xanto.
Scorge
Troïlo, già
giovinetto infelice, che di tanto{{R|775}}
diseguale ad Achille, ebbe ardimento
di stargli a fronte. Egli in su
giacea rovescio, e strascinato e lacero
a le redini involta, e
traea per terra; e
portava il petto, con la punta in giuso
scrivea note di sangue in su la polve.
Riga 832:
Ecco intanto venir di Palla al tempio
in lunga schiera ed ordinata pompa{{R|785}}
le donne
Battonsi i petti, e scapigliate e scalze
paion pregar divotamente afflitte
perdóno e pace; ed ella irata e fera,
vòlte le luci a terra e
mostra fastidio di mirarle e sdegno.
Vede il misero Ettòr che già tre volte
tratto era
Vede il padre piú misero,
del dispietato e suo nimico Achille,{{R|795}}
oro in premio gli dà del suo cadavero;
spettacolo crudel che gli trafigge
profondamente e piú
ove il carro, gli arnesi e
vede
che solo e disarmato e supplichevole
stassi a
Vi riconobbe ancor se stesso,
a dura mischia incontro
Riconobbe lo stuol che
addusse de
e lui raffigurò, che di Vulcano
avea lo sbergo e
Scorge
guidar Pentesilèa
de
che succinta, e ristretta in fregio
tra mille e mille, ancor che donna e vergine,
di qual sia cavalier non teme intoppo.{{R|815}}
Riga 868:
sola vista ristretto, attento e fiso
Enea pien di vaghezza e di stupore:
da real corte, con real contegno{{R|820}}
entro al tempio bellissima comparve.
Qual su le ripe de
o
a mille che le fan cerchio
divisar vari offici, e faretrata
da la faretra in su gir sovra
neglettamente altera, onde a Latona
tale era Dido, e tal per mezzo
se ne gia lieta, e dava ordine e forma
al nuovo regno, a i magisteri, a
Giunta al cospetto de la diva, in mezzo
de la maggior tribuna, in alto assisa,
cinta
e mentre con dolcezza editti e leggi
porge a la gente, e con egual compenso
rivolgendosi Enea, nel tempio stesso
vede da gran concorso attorneggiati{{R|840}}
entrar Sergesto, Anteo, Cloanto e gli altri
Troiani, che da sé disgiunti e sparsi
avea dianzi del mar
Stupor, timor, letizia, tenerezza
e disio
assaliro in un tempo Acate e lui.
Ma, dubii del successo, entro la nube
dissimulando se ne stêro, e cheti,
per ritrar che seguisse e che seguito
fosse già de le navi e
di cui questi eran primi e li piú scelti
di ciascun legno. E già pieno era il tempio
di tumulto e di vóti
si sentian vènia risonare e pace.
Poiché furo entromessi, e
fur lor concessa, il saggio Ilïoneo
prese umilmente in cotal guisa a dire:
Riga 914:
noi miseri Troiani, a tutti i vènti,
a tutti i mari omai ludibrio e scherno,
caduti dopo
che
preghiamti a proveder che nel tuo regno{{R|865}}
non si commetta un sí nefando eccesso.
Fa cosa di te degna, abbi di noi
pietà, che pii, che giusti,
siamo, non predatori, non corsari
de le vostre marine o de
tanto i vinti
Una parte
si disse Esperia, antica, bellicosa
e fertil terra, dagli Enotrei cólta.{{R|875}}
Prima Enotria nomossi, or, come è fama,
preso
Qui
Orïon tempestoso i vènti e
sí repente commosse, e mar sí fero,{{R|880}}
vènti sí pertinaci, e nembi e turbi
cosí rabbiosi, che sommersi in parte
e dispersi
altri a gli scogli, ed altri altrove ha spinti:
e noi pochi, di tanti, ha qui condotti.{{R|885}}
Ma qual sí cruda gente, qual sí fera
e barbara città
che ne sia proibita anco
Che guerra ne si muova, e ne si vieti
di star ne
Ah! se de
nulla vi cale, a dio mirate almeno,
che dal ciel vede e riconosce i meriti
e i demeriti altrui. Capo e re nostro
era pur dianzi Enea, di cui piú giusto,{{R|895}}
piú pio, piú
guerrier non fu già mai. Se questi è vivo,
se spira, se il destin non ce
quanto ne speriam noi, tanto potresti
tu non pentirti a provocarlo in prima{{R|900}}
a cortesia. Ne la Sicilia ancora
avem terre, avem armi, avemo Aceste
che
Quel che vi domandiamo è spiaggia, è selva,
è vitto da munir, da risarcire{{R|905}}
i vòti e stanchi e sconquassati legni,
per poter lieti (ritrovando il duce
e gli altri nostri, o se pur mai
veder
ma se nostra salute in tutto è spenta,{{R|910}}
se te, nostro signor, nostro buon padre,
di Libia ha
non ci riman del giovinetto Iulo,
almen tornar ne la Sicania,
siam qui venuti e dove il buon Aceste{{R|915}}
Al dir
assentirono i Teucri, e la regina
con gli occhi bassi e con benigna voce
Riga 978:
la novità di questo regno a forza
mi fan sí rigorosa, e sí guardinga
chi
e
Non han però sí rozzo core i Peni:
non sí lunge da lor si gira il sole,
che né pietà né fama unqua
Voi di qui sempre, o de la
e di Saturno che cerchiate i campi,
o che vogliate pur
tornare ai liti, in ogni caso liberi
ve
scarsa non vi sarò, né di sussidio:
e se qui dimorar meco voleste,
questa è vostra città. Tirate al lito
vostri navili: ché
nulla scelta farò, nullo divario.{{R|940}}
Cosí qui fosse il vostro re con voi!
cosí ci capitasse! Ma cercando
io manderò di lui fino a
se per sorte gittato in queste spiagge{{R|945}}
per selve errando o per cittadi andasse».
Rincorossi a tal dire il padre Enea
e
stavan già disïosi. Acate il primo
mosse dicendo: «Omai, signor, che pensi?{{R|950}}
Riga 1 010:
il mar sorbissi. Ogni altra cosa al detto
di tua madre risponde». A pena Acate{{R|955}}
ciò disse, che la nugola
assottigliossi e col ciel puro unissi.
Rimase in chiaro Enea, tale ancor egli
di chiarezza e
che come un dio mostrossi: e ben a dea{{R|960}}
era figliuol, che di bellezza è madre.
Ei degli occhi spirava e de le chiome
quei chiari, lieti e giovenili onori
Tale aggiunge
a
se di fin oro li circonda e fregia.
Cotal, comparso
si fece avanti a la regina, e disse:
Riga 1 029:
vera regina, a te sola pietosa
de le nostre ineffabili fatiche.
Tu noi, rimasi al ferro, al fuoco, a
bisognosi e mendíci, nel tuo regno
e nel tuo albergo umanamente accogli.
Riga 1 036:
bastante non son io, né fôran quanti
de la gente di Dardano discesi{{R|980}}
vanno per
Ma gli dèi (
se nel mondo è giustizia, se si truova
chi
te ne dian guiderdone. Età felice!{{R|985}}
Avventurosi genitori e grandi
che ti diedero al mondo! Infin che i fiumi
si rivolgono al mare, infin
si giran
i tuoi pregi, il tuo nome e le tue lodi{{R|990}}
mi saran sempre, ovunque io sia, davanti».
Ciò detto, lietamente
al caro Ilïonèo la destra porse,
la sinistra a Sergesto, e poscia al forte
Cloanto, al forte Gía:
tutti gli salutò. Stupí Didone
nel primo aspetto
e
«Qual forza o qual destino a tanti rischi
esposto, o de la dea famoso figlio?
E sei tu
di Simoenta il gran dardanio Anchise
di Venere produsse? Io mi ricordo
quel che
fuor di sua patria, il suo padre fuggendo,
nuovi regni cercava. Egli a Sidone
venne in quel tempo a dar sussidio a Belo.
Belo mio padre allor facea
e
io del caso di Troia e del tuo nome
e de
Ed ei
celebrava il valor di voi Troiani,
e trar volea da Troia il suo legnaggio.{{R|1015}}
Riga 1 078:
per molti affanni a questi luoghi addotta:
sí che natura e sofferenza e pruova{{R|1020}}
pietosa e sovvenevole a gli altrui».
Riga 1 086:
che si mandino al mar venti gran tori,
cento gran porci, cento grassi agnelli,
con cento madri, e ciò
per vitto e per letizia è di mestiero.
Dentro al real palagio, realmente,{{R|1030}}
il convito e le stanze orna e prepara;
cuopre
son
Enea, cui la paterna tenerezza
Riga 1 101:
ché in Ascanio mai sempre intento e fiso{{R|1040}}
sta del suo caro padre ogni pensiero.
Gli comanda, oltre a ciò,
porti alcune a donar spoglie superbe
che si salvâr da la ruina appena
e dal foco di Troia: un ricco manto{{R|1045}}
ricamato a figure, e di
tutto contesto: un prezïoso velo,
cui di pallido acanto un ampio fregio
trapunto era
mirabil dono. In questo avea le bionde
sue chiome avvolte il dí che di Micene
Riga 1 115:
e porti anco lo scettro, onde superba
Ilïone di Prïamo sen giva{{R|1055}}
primogenita figlia, e
di gran lucide perle; e quella stessa,
onde
di gemme orïentali ornata e
Tutto ciò procurando il fido Acate{{R|1060}}
in vèr le navi accelerava il piede.
Venere in tanto con
consigli
e
se ne vada in Cartago; e con quei doni,{{R|1065}}
con le dolcezze sue, con la sua face
alletti, incenda, amor desti e furore
nel petto a la regina, onde sospetto
piú non aggia o
de la sua gente, o di Giunon
che da pensare e da vegghiar le danno
tutte le notti. E fatto a sé venire
«Figlio, mia forza e mia maggior possanza:
figlio, che del gran padre anco non temi{{R|1075}}
chi ne diè fin nel ciel briga e spavento,
a te ricorro e dal tuo nume aíta
chieggio a
Come Giuno il persegua, e come
per tutti i mari omai spinto e travolto,
tu
piú volte meco. Or la sidonia Dido
modi fin qui
Ma là
sia caramente accolto? in casa a Giuno
da le carezze ancor chi
in un caso non fia di tanto affare.{{R|1090}}
E però con astuzia e con inganno
cerco di prevenirla, e del tuo foco
ardere il cuor de la regina in guisa,
ciò porre in atto e conseguir si possa,
ascolta. Enea manda testé chiamando
il suo regio fanciullo, amor supremo
del caro padre, e mio sommo diletto,
perché
con doni a la regina, che di Troia
a
Questo vinto dal sonno, o sopra
Citèra, o dentro al sacro bosco Idalio
terrò celato sí
ed accorto di ciò non faccia altrui
con alcun suo rintoppo. E tu che puoi,
Riga 1 178:
terratti, abbracceratti, e dolci baci{{R|1115}}
porgeratti sovente, a poco a poco
il tuo foco le spira e
Al voler della sua diletta madre
pronto mostrossi e baldanzoso Amore,
e gittò
e
Ciprigna intanto al giovinetto Ascanio
tale un profondo e dolce sonno infuse,
e
in grembo lo si tolse; e ne la cima{{R|1125}}
de la selvosa Idalia, entro un cespuglio
di lieti fiori e
a la dolce aura, a la
Cupído
per far quanto gli avea la madre imposto,{{R|1130}}
con la guida si pon
Giunse che giunta era Didone appunto
ne la gran sala, che di fini arazzi,
Riga 1 199:
era tutta vestita, ornata e sparsa.{{R|1135}}
E già sopra la sua dorata sponda
con real maestà
a tutti gli altri alteramente assisa.
Appresso Enea, poscia di mano in mano
sopra drappi di porpora e di seta{{R|1140}}
si stendea la troiana gioventute.
Già con
gli aurati vasi e i nitidi canestri
e i bianchissimi lini eran comparsi.
Stavano dentro, a le vivande intorno,{{R|1145}}
intorno
cinquanta ancelle, ed altre cento fuori
con altrettanti di una stessa etade
Riga 1 215:
di tappeti dipinti eran distese.
A
corser tutti a mirare il manto e
e gli altri
a sentir quelle sue finte parole,{{R|1155}}
a contemplar quel grazïoso aspetto,
Ma sopra tutti
non potea né la vista, né
saziar, mirando or gli suoi doni, or lui;{{R|1160}}
e
Poiché lunga fïata umile e dolce
Riga 1 231:
si volse a la regina. Ella con gli occhi,{{R|1165}}
col pensier tutto lo contempla e mira:
lo palpa, e
Misera! che non sa quanto gran dio
rimembrando il precetto, a poco a poco{{R|1170}}
de la mente Sichèo comincia a trarle,
con vivo amore e con visibil fiamma
rompendole del core il duro smalto,
e
Cessati i primi cibi, e
già le mense rimosse, ecco di nuovo
comparir nuove tazze e vino e fiori,
Riga 1 246:
Quinci un rumoreggiare, un riso, un giubilo
che
E i torchi e le lumiere che pendevano
da i palchi
vinceano
Qui fattosi Didone un vaso porgere
ber Belo, e gli altri che da Belo uscirono,
di fiori ornollo, e di vin vecchio empiendolo,
Riga 1 258:
che, Albergator nomato, hai de gli alberghi{{R|1190}}
e de le cortesie cura e diletto,
priegoti
fausto sia questo giorno, e memorando
sempre
largitor di letizia, e te, celeste{{R|1195}}
e bionda Giuno, a questa prece invoco.
Voi
prestate
Ciò detto, riversollo, e lievemente
del sacrato liquor la mensa asperse,{{R|1200}}
poscia ella in prima con le prime labbia
tanto sol ne sorbí quanto
Indi con dolce oltraggio e con rampogne
a Bizia il diè, che valorosamente
a piena bocca infino a
vi si tuffò col volto, e vi
Ciò seguîr gli altri eroi. Comparve intanto
il biondo Iopa: e, qual Febo novello,
cantò del ciel le meraviglie e i moti{{R|1210}}
Riga 1 282:
rendon vaga la luna e buio il sole;
come prima si fêr gli uomini e i bruti;
cantò
e perché tanto a
vadan veloci i dí, tarde le notti.
Un novo plauso incominciaro i Tiri:
seguiro i Teucri: e
che già fea dolce con Enea dimora,
quanto bevesse amor non
a lungo ragionar seco si pose
or di Priamo, or
venisse a Troia de
or qual fosse Diomede, or quanto Achille.
«Anzi, se non
incomincia a contar fin da principio
e
e
de gli errori vostri: già che
e per terra e per mar raminghi andate»
</poem>
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