Il Volapük: Critici e Abolitori: differenze tra le versioni

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L'Egregio Critico ammira la semplicità della coniugazione; ma - non è immancabile il ''ma!'' - non vorrebbe certe forme, che non sono comuni alle tre o quattro principali Lingue Europee, e neppure troppo composte.
 
Ma si può rispondere - chi mi obbligherà ad usare di quelle forme che non mi sono abituali, perchè non sono affatto del mio idioma? L'importante è che una lingua universale e convenzionale debba avere le forme comuni e le proprie di ogni lingua, le forme popolari e le artistiche, le commerciali, e le scientifiche, e anche le convenzionali... perchè ognuno possa parlare e scrivere come gli è abituale, e come, a seconda delle condizioni e delle necessità, gli deve essere proprio ed anche conveniente. Certamente che prima ciascuno dovrà imparare le forme che sono comuni alla propria lingua, poi quelle proprie della sua condizione, quindi le non comuni, infine le convenienti e convenzionali; se si vuole seguire il principio dell'insegnamento ''del passaggio dal facile al difficile, dal noto all'ignoto;'' affinchè man mano ciascuno si possa impratichire, a comprendere ed usare delle forme tutte della lingua universale. Egli è certo che sarà ben più facile imparare qualche forma di più, - anche le non comuni alla nostra lingua, anche le convenzionali - di quello che sia facile imparare una qualunque delle lingue straniere. Per le forme troppo composte del verbo, anche io affermo, che non essendovi abituati, riescono sgradite ai nostri orecchi, e difficili a pronunciarsi; e perciò tengo per fermo, che sieno da evitarsi nelle scritture comuni, o artistiche, o poetiche, o nel parlare; ma è cosa ottima, convenientissima, interessantissima che esistano per le scritture economiche. Avviene spesso che si debba telegrafare in paesi esteri; e noi si sa che il costo di una parola può ascendere da cinque centesimi a delle centinaia di lire. Ora chi saprà, dirò così, ''condensare'' il proprio pensiero in poche parole, sieno pur complicatissime e dissonanti, avrà in quel giorno fatto un bel guadagno.<ref>Se mai si dovesse esprimere la frase italiana di dieci parole, e spedirla per telegrafo in lontani paesi: ''credo che sempre fra noi saremo per andare d'accordo'' » e noi la potessimo condensare nelle due seguenti: «" ''Kredob oibalamobsokön'' »" chi mai ci dirà che siamo ''poco sertiserii'', e ''gente poco pratica'', solo perchéperchè abbiamo telegrafato una parola poco facile a pronunciarsi e sgradita all'orecchio, ma che potrà averci fatto risparmiare settecento od ottocento e più lire?...</ref>
 
Anche per gli avverbi vuole il chiarissimo Professore una vocale sola formativa - suffisso avverbiale - Ma questo negli avverbi specialmente locali, come è possibile? Ad esprimere ''lo stato in luogo, il moto a luogo, il moto da luogo''.... o bisognerà ricorrere a differenti parole, o allo stesso avverbio con preposizione differente, o infine alla stessa parola con suffisso differente. In tutti e tre i casi per riguardo all'uso e all'applicazione, mi pare, che la difficoltà sia di pari grado; ma il primo caso porta seco la difficoltà di imparare la pluralità dei vocaboli; il secondo caso è contro la economia delle parole, il terzo caso evita tutti gli inconvenienti del primo e del secondo caso. Infatti; se ''us'' significa stato in luogo, perchè ''usa'' come avverbio di moto da luogo deve essere più difficile della perifrasi ''de us''; ed ''usi'' come avverbio di moto a luogo, lo sarà più delle parifrasi ''al us'', '' in us?''... Sarà più facile poi imparare le forme latine: ''ibi'', ''eo'', ''inde'', o le forme Kerckhoffsiane: ''us'', ''de us'', ''al us'', ''in us'', o le forme più semplici e sbrigative Schleyeriane: ''us, usa; usi?''