Divina Commedia/Purgatorio/Canto XXXII: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Alebot (discussione | contributi)
m Conversione intestazione / correzione capitolo by Alebot
Alebot (discussione | contributi)
correzione apostrofi e capitoli
Riga 1:
{{Qualità|avz=75%|data=13 febbraio 2008|arg=Poemi}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=[[Divina Commedia/Purgatorio|Purgatorio]]<br /><br />Canto trentaduesimo|prec=../Canto XXXI|succ=../Canto XXXIII}}
 
{{capitolo
''Canto XXXII, dove si tratta come Beatrice comandò a l'auttorel’auttore che scrivesse li miracoli che vide in quel luogo, e come elli con le donne seguio il carro, e l'aguglial’aguglia percosse il carro, e una volpe sen fuggio, e de la puttana e del gigante.''
|CapitoloPrecedente=Canto trentunesimo
|NomePaginaCapitoloPrecedente=../Canto XXXI
|CapitoloSuccessivo=Canto trentatreesimo
|NomePaginaCapitoloSuccessivo=../Canto XXXIII
}}
''Canto XXXII, dove si tratta come Beatrice comandò a l'auttore che scrivesse li miracoli che vide in quel luogo, e come elli con le donne seguio il carro, e l'aguglia percosse il carro, e una volpe sen fuggio, e de la puttana e del gigante.''
 
<poem>
Tant'eranTant’eran li occhi miei fissi e attenti
a disbramarsi la decenne sete,
che li altri sensi m'eranm’eran tutti spenti. {{r|3}}
 
Ed essi quinci e quindi avien parete
di non caler - così lo santo riso
a sé traéli con l'antical’antica rete! -; {{r|6}}
 
quando per forza mi fu vòlto il viso
ver'ver’ la sinistra mia da quelle dee,
perch'ioperch’io udi'udi’ da loro un "Troppo fiso!"; {{r|9}}
 
e la disposizion ch'ach’a veder èe
ne li occhi pur testé dal sol percossi,
sanza la vista alquanto esser mi fée. {{r|12}}
 
Ma poi ch'alch’al poco il viso riformossi
(e dico 'al’al poco'poco’ per rispetto al molto
sensibile onde a forza mi rimossi), {{r|15}}
 
vidi 'n’n sul braccio destro esser rivolto
lo glorïoso essercito, e tornarsi
col sole e con le sette fiamme al volto. {{r|18}}
Line 43 ⟶ 38:
 
Indi a le rote si tornar le donne,
e 'l’l grifon mosse il benedetto carco
sì, che però nulla penna crollonne. {{r|27}}
 
La bella donna che mi trasse al varco
e Stazio e io seguitavam la rota
che fé l'orbital’orbita sua con minore arco. {{r|30}}
 
Sì passeggiando l'altal’alta selva vòta,
colpa di quella ch'alch’al serpente crese,
temprava i passi un'angelicaun’angelica nota. {{r|33}}
 
Forse in tre voli tanto spazio prese
Line 58 ⟶ 53:
rimossi, quando Bëatrice scese. {{r|36}}
 
Io senti'senti’ mormorare a tutti "Adamo";
poi cerchiaro una pianta dispogliata
di foglie e d'altrad’altra fronda in ciascun ramo. {{r|39}}
 
La coma sua, che tanto si dilata
più quanto più è sù, fora da l'Indil’Indi
ne'ne’ boschi lor per altezza ammirata. {{r|42}}
 
"Beato se'se’, grifon, che non discindi
col becco d'estod’esto legno dolce al gusto,
poscia che mal si torce il ventre quindi". {{r|45}}
 
Così dintorno a l'alberol’albero robusto
gridaron li altri; e l'animall’animal binato:
"Sì si conserva il seme d'ogned’ogne giusto". {{r|48}}
 
E vòlto al temo ch'ellich’elli avea tirato,
trasselo al piè de la vedova frasca,
e quel di lei a lei lasciò legato. {{r|51}}
Line 83 ⟶ 78:
 
turgide fansi, e poi si rinovella
di suo color ciascuna, pria che 'l’l sole
giunga li suoi corsier sotto altra stella; {{r|57}}
 
men che di rose e più che di vïole
colore aprendo, s'innovòs’innovò la pianta,
che prima avea le ramora sì sole. {{r|60}}
 
Io non lo 'ntesi’ntesi, né qui non si canta
l'innol’inno che quella gente allor cantaro,
né la nota soffersi tutta quanta. {{r|63}}
 
S'ioS’io potessi ritrar come assonnaro
li occhi spietati udendo di Siringa,
li occhi a cui pur vegghiar costò sì caro; {{r|66}}
 
come pintor che con essempro pinga,
disegnerei com'iocom’io m'addormentaim’addormentai;
ma qual vuol sia che l'assonnarl’assonnar ben finga. {{r|69}}
 
Però trascorro a quando mi svegliai,
e dico ch'unch’un splendor mi squarciò 'l’l velo
del sonno, e un chiamar: "Surgi: che fai?". {{r|72}}
 
Quali a veder de'de’ fioretti del melo
che del suo pome li angeli fa ghiotti
e perpetüe nozze fa nel cielo, {{r|75}}
Line 115 ⟶ 110:
 
e videro scemata loro scuola
così di Moïsè come d'Eliad’Elia,
e al maestro suo cangiata stola; {{r|81}}
 
tal torna'torna’ io, e vidi quella pia
sovra me starsi che conducitrice
fu de'de’ miei passi lungo 'l’l fiume pria. {{r|84}}
 
E tutto in dubbio dissi: "Ov'èOv’è Beatrice?".
Ond'ellaOnd’ella: "Vedi lei sotto la fronda
nova sedere in su la sua radice. {{r|87}}
 
Vedi la compagnia che la circonda:
li altri dopo 'l’l grifon sen vanno suso
con più dolce canzone e più profonda". {{r|90}}
 
E se più fu lo suo parlar diffuso,
non so, però che già ne li occhi m'eram’era
quella ch'adch’ad altro intender m'aveam’avea chiuso. {{r|93}}
 
Sola sedeasi in su la terra vera,
Line 140 ⟶ 135:
In cerchio le facevan di sé claustro
le sette ninfe, con quei lumi in mano
che son sicuri d'Aquiloned’Aquilone e d'Austrod’Austro. {{r|99}}
 
"Qui sarai tu poco tempo silvano;
Line 151 ⟶ 146:
 
Così Beatrice; e io, che tutto ai piedi
d'id’i suoi comandamenti era divoto,
la mente e li occhi ov'ellaov’ella volle diedi. {{r|108}}
 
Non scese mai con sì veloce moto
Line 158 ⟶ 153:
da quel confine che più va remoto, {{r|111}}
 
com'iocom’io vidi calar l'uccell’uccel di Giove
per l'alberl’alber giù, rompendo de la scorza,
non che d'id’i fiori e de le foglie nove; {{r|114}}
 
e ferì 'l’l carro di tutta sua forza;
ond'elond’el piegò come nave in fortuna,
vinta da l'ondal’onda, or da poggia, or da orza. {{r|117}}
 
Poscia vidi avventarsi ne la cuna
del trïunfal veiculo una volpe
che d'ogned’ogne pasto buon parea digiuna; {{r|120}}
 
ma, riprendendo lei di laide colpe,
la donna mia la volse in tanta futa
quanto sofferser l'ossal’ossa sanza polpe. {{r|123}}
 
Poscia per indi ond'eraond’era pria venuta,
l'aguglial’aguglia vidi scender giù ne l'arcal’arca
del carro e lasciar lei di sé pennuta; {{r|126}}
 
e qual esce di cuor che si rammarca,
tal voce uscì del cielo e cotal disse:
"O navicella mia, com'com’ mal se'se’ carca!". {{r|129}}
 
Poi parve a me che la terra s'aprisses’aprisse
tr'ambotr’ambo le ruote, e vidi uscirne un drago
che per lo carro sù la coda fisse; {{r|132}}
 
e come vespa che ritragge l'agol’ago,
a sé traendo la coda maligna,
trasse del fondo, e gissen vago vago. {{r|135}}
Line 195 ⟶ 190:
 
si ricoperse, e funne ricoperta
e l'unal’una e l'altral’altra rota e 'l’l temo, in tanto
che più tiene un sospir la bocca aperta. {{r|141}}
 
Trasformato così 'l’l dificio santo
mise fuor teste per le parti sue,
tre sovra 'l’l temo e una in ciascun canto. {{r|144}}
 
Le prime eran cornute come bue,
Line 208 ⟶ 203:
Sicura, quasi rocca in alto monte,
seder sovresso una puttana sciolta
m'apparvem’apparve con le ciglia intorno pronte; {{r|150}}
 
e come perché non li fosse tolta,
Line 214 ⟶ 209:
e basciavansi insieme alcuna volta. {{r|153}}
 
Ma perché l'occhiol’occhio cupido e vagante
a me rivolse, quel feroce drudo
la flagellò dal capo infin le piante; {{r|156}}
 
poi, di sospetto pieno e d'irad’ira crudo,
disciolse il mostro, e trassel per la selva,
tanto che sol di lei mi fece scudo {{r|159}}
Line 228 ⟶ 223:
===== Altri progetti =====
{{Interprogetto|etichetta=Purgatorio - Canto trentaduesimo|w=Purgatorio_-_Canto_trentaduesimo}}
 
{{capitolo
|CapitoloPrecedente=Canto trentunesimo
|NomePaginaCapitoloPrecedente=../Canto XXXI
|CapitoloSuccessivo=Canto trentatreesimo
|NomePaginaCapitoloSuccessivo=../Canto XXXIII
}}
 
[[cs:Božská komedie/Očistec/Zpěv třicátý druhý]]