Divina Commedia/Purgatorio/Canto XXIX: differenze tra le versioni
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{{Qualità|avz=75%|data=13 febbraio 2008|arg=Poemi}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=[[Divina Commedia/Purgatorio|Purgatorio]]<br /><br />Canto ventinovesimo|prec=../Canto XXVIII|succ=../Canto XXX}}
''Canto XXIX, dove si tratta sì come
▲''Canto XXIX, dove si tratta sì come l'auttore contristato si conduole d'Eva e come vide li sette doni del Santo Spirito e Cristo e la celestiale corte in forma di certe figure.''
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Cantando come donna innamorata,
continüò col fin di sue parole:
E come ninfe che si givan sole
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qual di veder, qual di fuggir lo sole, {{r|6}}
allor si mosse contra
su per la riva; e io pari di lei,
picciol passo con picciol seguitando. {{r|9}}
Non eran cento tra
quando le ripe igualmente dier volta,
per modo
Né ancor fu così nostra via molta,
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tal che di balenar mi mise in forse. {{r|18}}
Ma perché
e quel, durando, più e più splendeva,
nel mio pensier dicea:
E una melodia dolce correva
per
mi fé riprender
che là dove ubidia la terra e
femmina, sola e pur testé formata,
non sofferse di star sotto alcun velo; {{r|27}}
sotto
avrei quelle ineffabili delizie
sentite prima e più lunga fïata. {{r|30}}
de
e disïoso ancora a più letizie, {{r|33}}
dinanzi a noi, tal quale un foco acceso,
ci si fé
e
O sacrosante Vergini, se fami,
freddi o vigilie mai per voi soffersi,
cagion mi sprona
Or convien che Elicona per me versi,
e Uranìe
forti cose a pensar mettere in versi. {{r|42}}
Poco più oltre, sette alberi
falsava nel parere il lungo tratto
del mezzo
ma
che
non perdea per distanza alcun suo atto, {{r|48}}
la virtù
sì
e ne le voci del cantare
Di sopra fiammeggiava il bello arnese
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di mezza notte nel suo mezzo mese. {{r|54}}
Io mi rivolsi
al buon {{AutoreCitato|Publio Virgilio Marone|Virgilio}}, ed esso mi rispuose
con vista carca di stupor non meno. {{r|57}}
Indi rendei
che si movieno
che foran vinte da novelle spose. {{r|60}}
La donna mi sgridò: "Perché pur ardi
sì ne
e ciò che vien di retro a lor non guardi?". {{r|63}}
Genti
venire appresso, vestite di bianco;
e tal candor di qua già mai non fuci. {{r|66}}
e rendea me la mia sinistra costa,
che solo il fiume mi facea distante,
per veder meglio ai passi diedi sosta, {{r|72}}
e vidi le fiammelle andar davante,
lasciando dietro a sé
e di tratti pennelli avean sembiante; {{r|75}}
sì che lì sopra rimanea distinto
di sette liste, tutte in quei colori
onde fa
Questi ostendali in dietro eran maggiori
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diece passi distavan quei di fori. {{r|81}}
Sotto così bel ciel
ventiquattro seniori, a due a due,
coronati venien di fiordaliso. {{r|84}}
Tutti cantavan: "Benedicta tue
ne le figlie
sieno in etterno le bellezze tue!". {{r|87}}
Poscia che i fiori e
a rimpetto di me da
libere fuor da quelle genti elette, {{r|90}}
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Ognuno era pennuto di sei ali;
le penne piene
se fosser vivi, sarebber cotali. {{r|96}}
A descriver lor forme più non spargo
rime, lettor;
tanto
ma leggi Ezechïel, che li dipigne
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e quali i troverai ne le sue carte,
tali eran quivi, salvo
Giovanni è meco e da lui si diparte. {{r|105}}
Lo spazio dentro a lor quattro contenne
un carro, in su due rote, trïunfale,
Esso tendeva in sù
tra la mezzana e le tre e tre liste,
sì
Tanto salivan che non eran viste;
le membra
e bianche
Non che Roma di carro così bello
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quel del Sol che, svïando, fu combusto
per
quando fu Giove arcanamente giusto. {{r|120}}
Tre donne in giro da la destra rota
venian danzando;
fossero state di smeraldo fatte;
la terza parea neve testé mossa; {{r|126}}
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e or parëan da la bianca tratte,
or da la rossa; e dal canto di questa
Da la sinistra quattro facean festa,
in porpore vestite, dietro al modo
Appresso tutto il pertrattato nodo
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ma pari in atto e onesto e sodo. {{r|135}}
di quel sommo Ipocràte che natura
a li animali fé
mostrava
con una spada lucida e aguta,
tal che di qua dal rio mi fé paura. {{r|141}}
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dintorno al capo non facëan brolo, {{r|147}}
anzi di rose e
giurato avria poco lontano aspetto
che tutti ardesser di sopra
E quando il carro a me fu a rimpetto,
un tuon
parvero aver
fermandosi ivi con le prime insegne.
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===== Altri progetti =====
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