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(correzione apostrofi e capitoli) |
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{{Qualità|avz=100%|data=18 maggio 2008|arg=Poemi}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=[[Divina Commedia/Inferno|Inferno]]<br />Canto trentaduesimo|prec=../Canto XXXI|succ=../Canto XXXIII}}
''Canto XXXII, nel quale tratta
▲''Canto XXXII, nel quale tratta de' traditori di loro schiatta e de' traditori de la loro patria, che sono nel pozzo de l'inferno.''
<poem>
come si converrebbe al tristo buco
sovra
io premerei di mio concetto il suco
più pienamente; ma
non sanza tema a dicer mi conduco; {{r|6}}
ché non è impresa da pigliare a gabbo
discriver fondo a tutto
né da lingua che chiami mamma o babbo. {{r|9}}
Ma quelle donne aiutino il mio verso
sì che dal fatto il dir non sia diverso. {{r|12}}
Come noi fummo giù nel pozzo scuro
sotto i piè del gigante assai più bassi,
e io mirava ancora a
dicere
va sì, che tu non calchi con le piante
le teste
Per
e sotto i piedi un lago che per gelo
avea di vetro e non
Non fece al corso suo sì grosso velo
di verno la Danoia in Osterlicchi,
né Tanaï là sotto
vi fosse sù caduto, o Pietrapana,
non avria pur da
E come a gracidar si sta la rana
col muso fuor de
di spigolar sovente la villana, {{r|33}}
livide, insin là dove appar vergogna
eran
mettendo i denti in nota di cicogna. {{r|36}}
tra lor testimonianza si procaccia. {{r|39}}
volsimi
che
"Ditemi, voi che sì strignete i petti",
e poi
li occhi lor,
gocciar su per le labbra, e
le lagrime tra essi e riserrolli. {{r|48}}
Con legno legno spranga mai non cinse
forte così;
cozzaro insieme, tanta ira li vinse. {{r|51}}
E un
per la freddura, pur col viso in giùe,
disse: "Perché cotanto in noi ti specchi? {{r|54}}
del padre loro Alberto e di lor fue. {{r|57}}
potrai cercare, e non troverai ombra
degna più
non quelli a cui fu rotto il petto e
con esso un colpo per la man
non Focaccia; non questi che
col capo sì,
e fu nomato Sassol Mascheroni;
se tosco
E perché non mi metti in più sermoni,
sappi
e aspetto Carlin che mi scagioni". {{r|69}}
Poscia
fatti per freddo; onde mi vien riprezzo,
e verrà sempre,
E mentre
al quale ogne gravezza si rauna,
e io tremava ne
se voler fu o destino o fortuna,
non so; ma, passeggiando tra le teste,
forte percossi
Piangendo mi sgridò: "Perché mi peste?
di Montaperti, perché mi moleste?". {{r|81}}
E io: "Maestro mio, or qui
sì
poi mi farai, quantunque vorrai, fretta". {{r|84}}
Lo duca stette, e io dissi a colui
che bestemmiava duramente ancora:
"Qual
"Or tu chi
percotendo", rispuose, "altrui le gote,
sì che, se fossi vivo, troppo fora?". {{r|90}}
"Vivo son io, e caro esser ti puote",
fu mia risposta, "se dimandi fama,
Ed elli a me: "Del contrario ho io brama.
o che capel qui sù non ti rimagna". {{r|99}}
né ti dirò
se mille fiate in sul capo mi tomi". {{r|102}}
Io avea già i capelli in mano avvolti,
e tratti
latrando lui con li occhi in giù raccolti, {{r|105}}
se tu non latri? qual diavol ti tocca?". {{r|108}}
"Omai",
malvagio traditor;
io porterò di te vere novelle". {{r|111}}
"Va via", rispuose, "e ciò che tu vuoi conta;
ma non tacer, se tu di qua entro eschi,
di quel
El piange qui
"Io vidi", potrai dir, "quel da Duera
là dove i peccatori stanno freschi". {{r|117}}
Se fossi domandato "Altri chi
tu hai dallato quel di Beccheria
di cui segò Fiorenza la gorgiera. {{r|120}}
Gianni
più là con Ganellone e Tebaldello,
Noi eravam partiti già da ello,
sì che
e come
così
là
non altrimenti Tidëo si rose
le tempie a Menalippo per disdegno,
che quei faceva il teschio e
"O tu che mostri per sì bestial segno
odio sovra colui che tu ti mangi,
dimmi
che se tu a ragion di lui ti piangi,
nel mondo suso ancora io te ne cangi, {{r|138}}
se quella con
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