Divina Commedia/Inferno/Canto XXIII: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
Alebot (discussione | contributi)
correzione apostrofi e capitoli
Riga 1:
{{Qualità|avz=100%|data=18 maggio 2008|arg=Poemi}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=[[Divina Commedia/Inferno|Inferno]]<br />Canto ventitreesimo|prec=../Canto XXII|succ=../Canto XXIV}}
 
{{capitolo
''Canto XXIII, nel quale tratta de la divina vendetta contra l'ipocritil’ipocriti; del quale peccato sotto il vocabulo di due cittadini di Bologna abomina l'auttorel’auttore li bolognesi, e li giudei sotto il nome d'Annad’Anna e di Caifas; e qui è la sesta bolgia.''
|CapitoloPrecedente=Canto ventiduesimo
|NomePaginaCapitoloPrecedente=../Canto XXII
|CapitoloSuccessivo=Canto ventiquattresimo
|NomePaginaCapitoloSuccessivo=../Canto XXIV
}}
''Canto XXIII, nel quale tratta de la divina vendetta contra l'ipocriti; del quale peccato sotto il vocabulo di due cittadini di Bologna abomina l'auttore li bolognesi, e li giudei sotto il nome d'Anna e di Caifas; e qui è la sesta bolgia.''
<poem>
Taciti, soli, sanza compagnia
n'andavamn’andavam l'unl’un dinanzi e l'altrol’altro dopo,
come frati minor vanno per via. {{r|3}}
 
Vòlt'eraVòlt’era in su la favola d'd’{{AutoreCitato|Esopo|Isopo}}
lo mio pensier per la presente rissa,
dov'eldov’el parlò de la rana e del topo; {{r|6}}
 
ché più non si pareggia 'mo'’mo’ e 'issa'’issa’
che l'unl’un con l'altrol’altro fa, se ben s'accoppias’accoppia
principio e fine con la mente fissa. {{r|9}}
 
E come l'unl’un pensier de l'altrol’altro scoppia,
così nacque di quello un altro poi,
che la prima paura mi fé doppia. {{r|12}}
 
Io pensava così: 'Questi’Questi per noi
sono scherniti con danno e con beffa
sì fatta, ch'assaich’assai credo che lor nòi. {{r|15}}
 
Se l'iral’ira sovra 'l’l mal voler s'aggueffas’aggueffa,
ei ne verranno dietro più crudeli
che 'l’l cane a quella lievre ch'ellich’elli acceffa'acceffa’. {{r|18}}
 
Già mi sentia tutti arricciar li peli
de la paura e stava in dietro intento,
quand'ioquand’io dissi: "Maestro, se non celi {{r|21}}
 
te e me tostamente, i'i’ ho pavento
d'id’i Malebranche. Noi li avem già dietro;
io li 'magino’magino sì, che già li sento". {{r|24}}
 
E quei: "S'i'S’i’ fossi di piombato vetro,
l'imaginel’imagine di fuor tua non trarrei
più tosto a me, che quella dentro 'mpetro’mpetro. {{r|27}}
 
Pur mo venieno i tuo'tuo’ pensier tra ' miei,
con simile atto e con simile faccia,
sì che d'intrambid’intrambi un sol consiglio fei. {{r|30}}
 
S'elliS’elli è che sì la destra costa giaccia,
che noi possiam ne l'altral’altra bolgia scendere,
noi fuggirem l'imaginatal’imaginata caccia". {{r|33}}
 
Già non compié di tal consiglio rendere,
ch'ioch’io li vidi venir con l'alil’ali tese
non molto lungi, per volerne prendere. {{r|36}}
 
Lo duca mio di sùbito mi prese,
come la madre ch'alch’al romore è desta
e vede presso a sé le fiamme accese, {{r|39}}
 
che prende il figlio e fugge e non s'arrestas’arresta,
avendo più di lui che di sé cura,
tanto che solo una camiscia vesta; {{r|42}}
Line 68 ⟶ 63:
e giù dal collo de la ripa dura
supin si diede a la pendente roccia,
che l'unl’un de'de’ lati a l'altral’altra bolgia tura. {{r|45}}
 
Non corse mai sì tosto acqua per doccia
a volger ruota di molin terragno,
quand'ellaquand’ella più verso le pale approccia, {{r|48}}
 
come 'l’l maestro mio per quel vivagno,
portandosene me sovra 'l’l suo petto,
come suo figlio, non come compagno. {{r|51}}
 
A pena fuoro i piè suoi giunti al letto
del fondo giù, ch'e'ch’e’ furon in sul colle
sovresso noi; ma non lì era sospetto: {{r|54}}
 
ché l'altal’alta provedenza che lor volle
porre ministri de la fossa quinta,
poder di partirs'indipartirs’indi a tutti tolle. {{r|57}}
 
Là giù trovammo una gente dipinta
Line 94 ⟶ 89:
che in Clugnì per li monaci fassi. {{r|63}}
 
Di fuor dorate son, sì ch'ellich’elli abbaglia;
ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,
che Federigo le mettea di paglia. {{r|66}}
Line 104 ⟶ 99:
ma per lo peso quella gente stanca
venìa sì pian, che noi eravam nuovi
di compagnia ad ogne mover d'ancad’anca. {{r|72}}
 
Per ch'ioch’io al duca mio: "Fa che tu trovi
alcun ch'alch’al fatto o al nome si conosca,
e li occhi, sì andando, intorno movi". {{r|75}}
 
E un che 'ntese’ntese la parola tosca,
di retro a noi gridò: "Tenete i piedi,
voi che correte sì per l'aural’aura fosca! {{r|78}}
 
Forse ch'avraich’avrai da me quel che tu chiedi".
Onde 'l’l duca si volse e disse: "Aspetta,
e poi secondo il suo passo procedi". {{r|81}}
 
Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta
de l'animol’animo, col viso, d'esserd’esser meco;
ma tardavali 'l’l carco e la via stretta. {{r|84}}
 
Quando fuor giunti, assai con l'occhiol’occhio bieco
mi rimiraron sanza far parola;
poi si volsero in sé, e dicean seco: {{r|87}}
 
"Costui par vivo a l'attol’atto de la gola;
e s'e's’e’ son morti, per qual privilegio
vanno scoperti de la grave stola?". {{r|90}}
 
Poi disser me: "O Tosco, ch'alch’al collegio
de l'ipocritil’ipocriti tristi se'se’ venuto,
dir chi tu se'se’ non avere in dispregio". {{r|93}}
 
E io a loro: "I'I’ fui nato e cresciuto
sovra 'l’l bel fiume d'Arnod’Arno a la gran villa,
e son col corpo ch'i'ch’i’ ho sempre avuto. {{r|96}}
 
Ma voi chi siete, a cui tanto distilla
quant'i'quant’i’ veggio dolor giù per le guance?
e che pena è in voi che sì sfavilla?". {{r|99}}
 
E l'unl’un rispuose a me: "Le cappe rance
son di piombo sì grosse, che li pesi
fan così cigolar le lor bilance. {{r|102}}
Line 152 ⟶ 147:
come suole esser tolto un uom solingo,
per conservar sua pace; e fummo tali,
ch'ancorch’ancor si pare intorno dal Gardingo". {{r|108}}
 
Io cominciai: "O frati, i vostri mali...";
ma più non dissi, ch'ach’a l'occhiol’occhio mi corse
un, crucifisso in terra con tre pali. {{r|111}}
 
Quando mi vide, tutto si distorse,
soffiando ne la barba con sospiri;
e 'l’l frate Catalan, ch'ach’a ciò s'accorses’accorse, {{r|114}}
 
mi disse: "Quel confitto che tu miri,
consigliò i Farisei che convenia
porre un uom per lo popolo a'a’ martìri. {{r|117}}
 
Attraversato è, nudo, ne la via,
come tu vedi, ed è mestier ch'elch’el senta
qualunque passa, come pesa, pria. {{r|120}}
 
Line 174 ⟶ 169:
che fu per li Giudei mala sementa". {{r|123}}
 
Allor vid'iovid’io maravigliar {{AutoreCitato|Publio Virgilio Marone|Virgilio}}
sovra colui ch'erach’era disteso in croce
tanto vilmente ne l'etternol’etterno essilio. {{r|126}}
 
Poscia drizzò al frate cotal voce:
"Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci
s'as’a la man destra giace alcuna foce {{r|129}}
 
onde noi amendue possiamo uscirci,
sanza costrigner de li angeli neri
che vegnan d'estod’esto fondo a dipartirci". {{r|132}}
 
Rispuose adunque: "Più che tu non speri
s'appressas’appressa un sasso che da la gran cerchia
si move e varca tutt'itutt’i vallon feri, {{r|135}}
 
salvo che 'n’n questo è rotto e nol coperchia;
montar potrete su per la ruina,
che giace in costa e nel fondo soperchia". {{r|138}}
Line 198 ⟶ 193:
colui che i peccator di qua uncina". {{r|141}}
 
E 'l’l frate: "Io udi'udi’ già dire a Bologna
del diavol vizi assai, tra ' quali udi'udi’
ch'ellich’elli è bugiardo e padre di menzogna". {{r|144}}
 
Appresso il duca a gran passi sen gì,
turbato un poco d'irad’ira nel sembiante;
ond'ioond’io da li 'ncarcati’ncarcati mi parti'parti’ {{r|147}}
 
dietro a le poste de le care piante.
Line 212 ⟶ 207:
===== Altri progetti =====
{{Interprogetto|etichetta=Inferno - Canto ventitreesimo|w=Inferno_-_Canto_ventitreesimo}}
 
{{capitolo
|CapitoloPrecedente=Canto ventiduesimo
|NomePaginaCapitoloPrecedente=../Canto XXII
|CapitoloSuccessivo=Canto ventiquattresimo
|NomePaginaCapitoloSuccessivo=../Canto XXIV
}}
 
[[en:The Divine Comedy/Inferno/Canto XXIII]]