Storia della letteratura italiana (De Sanctis 1890)/XV: differenze tra le versioni
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Dicesi che Machiavelli fosse in Roma, quando il 1515 uscì in luce
Niccolò Machiavelli,
I suoi ''Decennali'', arida cronaca delle «fatiche
▲Dicesi che Machiavelli fosse in Roma, quando il 1515 uscì in luce l' ''Orlando furioso''. Lodò il poema, ma non celò il suo dispiacere di essere dimenticato dall'Ariosto nella lunga lista ch'egli stese nell'ultimo canto di poeti italiani. Questi due grandi uomini, che dovevano rappresentare il secolo nella sua doppia faccia, ancorchè contemporanei e conoscenti, sembrano ignoti l'uno all'altro.<br />
▲Niccolò Machiavelli, ne' suoi tratti apparenti, è una fisonomia essenzialmente fiorentina ed ha molta somiglianza con Lorenzo de' Medici. Era un piacevolone, che si spassava ben volentieri tra le confraternite e le liete brigate, verseggiando e motteggiando, con quello spirito arguto e beffardo che vedi nel Boccaccio e nel Sacchetti e nel Pulci e in Lorenzo e nel Berni. Poco agiato de' beni della fortuna, nel corso ordinario delle cose sarebbe riuscito un letterato fra' tanti stipendiati a Roma, o a Firenze, e dello stesso stampo. Ma caduti i Medici, ristaurata la repubblica e nominato segretario, ebbe parte principalissima nelle pubbliche faccende, esercitò molte legazioni in Italia e fuori, acquistando esperienza degli uomini e delle cose, e si affezionò alla repubblica, per la quale non gli parve assai di sostenere la tortura, poi che tornarono i Medici. In quegli uffici e in quelle lotte si raffermò la sua tempra e si formò il suo spirito. Tolto alle pubbliche faccende, nel suo ozio di San Casciano meditò su' fati dell'antica Roma e sulle sorti di Firenze, anzi d'Italia. Ebbe chiarissimo il concetto che l'Italia non potesse mantenere la sua indipendenza, se non fosse unita tutta o gran parte sotto un solo principe. E sperò che casa Medici, potente a Roma e a Firenze, volesse pigliare l'impresa. Sperò pure che volesse accettare i suoi servigi, e trarlo di ozio e di miseria. All'ultimo, poco e male adoperato da' Medici, finì la vita tristamente, lasciando non altra eredità a' figliuoli che il nome. Di lui fu scritto: «''Tanto nomini nullum par elogium''».<br />
▲I suoi ''Decennali'', arida cronaca delle «fatiche d'Italia di dieci anni», scritta in quindici dì, i suoi otto capitoli dell' ''Asino d'oro'', sotto nome di bestie satira de' degeneri fiorentini, gli altri suoi capitoli dell' ''Occasione'', della ''Fortuna'', dell' ''Ingratitudine'', dell' ''Ambizione'', i suoi canti carnascialeschi, alcune sue stanze, o serenate, o sonetti, o canzoni, sono lavori letterari su' quali è impressa la fisonomia di quel tempo, alcuni tra il licenzioso e il beffardo, altri allegorici o sentenziosi, sempre aridi. Il verso rasenta la prosa; il colorito è sobrio e spesso monco; scarse e comuni sono le immagini. Ma in questo fondo comune e sgraziato appariscono i vestigi di un nuovo essere, una profondità insolita di giudizio e di osservazione. Manca l'immaginativa: soprabbonda lo spirito. Ci è il critico, non ci è il poeta. Non ci è l'uomo nello stato di spontaneità che compone e fantastica, come era Ludovico Ariosto. Ci è l'uomo che si osserva anche soffrendo, e sentenzia sulle sorti sue e dell'universo con tranquillità filosofica: il suo poetare è un discorrere:
<poem>
Io spero, e lo sperar cresce il tormento,
io piango, e
io rido, e il rider mio non passa drento;
io ardo, e
io temo ciò
ogni cosa mi dà nuovo dolore;
così sperando piango, rido e ardo,
e paura ho di ciò che io odo o guardo.
</poem>
Tali sono pure le sue osservazioni sul variare delle cose mondane nel capitolo della ''Fortuna''. Delle sue poesie cosa è rimasto? Qualche verso ingegnoso, come
<poem>
la voce
</poem>
e qualche sentenza o concetto profondo, come nel canto ''De diavoli o
Anche in prosa Machiavelli ebbe pretensioni letterarie, secondo le idee che correvano in quella età. Talora si mette la giornea e boccacceggia, come nelle sue prediche alle confraternite, nella descrizione della peste, e
Ma nel ''Principe'',
È visibile in Niccolò Machiavelli lo spirito incredulo e beffardo di Lorenzo, impresso sulla fronte della borghesia italiana in quel tempo. E avea pure quel senso pratico, quella intelligenza degli uomini e delle cose, che rese Lorenzo eminente
Firenze era ancora il cuore
Machiavelli per la sua coltura letteraria, per la vita licenziosa, per lo spirito beffardo e motteggevole e comico, si lega al Boccaccio, a Lorenzo e a tutta la nuova letteratura. Non crede a nessuna religione, e perciò le accetta tutte, e magnificando la morale in astratto vi passa sopra nella pratica della vita. Ma ha
Ci è un piccolo libro del Machiavelli, tradotto in tutte le lingue il ''Principe'', che ha gittato
Questa critica non è che una pedanteria. Ed è anche una meschinità porre la grandezza di
Niccolò Machiavelli è innanzi tutto la coscienza chiara e seria di tutto quel movimento, che nella sua spontaneità dal Petrarca e dal Boccaccio si stende sino alla seconda metà del Cinquecento. In lui comincia veramente la prosa, cioè a dire la coscienza e la riflessione della vita. Anche lui è in mezzo a quel movimento, e vi piglia parte, ne ha le passioni e le tendenze. Ma, passato il momento
Fra tanto fiore di civiltà e in tanta apparenza di forza e di grandezza mise lo sguardo acuto Niccolò Machiavelli, e vide la malattia, dove altri vedevano la più prospera salute. Quello che oggi diciamo decadenza egli disse «corruttela», e base di tutte le sue speculazioni fu questo fatto, la corruttela della razza italiana, anzi latina, e la sanità della germanica.<br />
La forma più grossolana di questa corruttela era la licenza
Nondimeno il clero per abito tradizionale tuonava dal pergamo contro quella licenza. Il Vangelo rimaneva sempre un ideale non contrastato, salvo a non tenerne alcun conto nella vita pratica: il pensiero non era più la parola e la parola non era più
Nessun italiano, parlando in astratto, poteva trovar lodevole quella licenza,
Rifare il medio evo, e ottenere la riforma
Machiavelli, pensoso e inquieto in mezzo a quel carnevale italiano, giudicava quella corruttela da un punto di vista più alto. Essa era non altro che lo stesso medio evo in putrefazione, morto già nella coscienza, vivo ancora nelle forme e nelle istituzioni. E perciò, non che pensasse di ricondurre indietro
Ma la sua negazione non è pura buffoneria, puro effetto comico, uscito da coscienza vuota. In quella negazione ci è
Papato e impero, guelfismo e ghibellinismo, ordini feudali e comunali, tutte queste istituzioni sono demolite nel suo spirito. E sono demolite, perchè nel suo spirito è sorto un nuovo edificio sociale e politico.<br />
Le idee che generarono quelle istituzioni sono morte, non hanno più efficacia di sorta sulla coscienza, rimasta vuota. E in
Non è possibile seguire la sua dottrina nel particolare. Basti qui accennare la idea fondamentale.<br />
Il medio evo riposa sopra questa base: che il peccato è attaccarsi a questa vita, come cosa sostanziale, e la virtù è negazione della vita terrena e contemplazione
Il simbolismo e lo scolasticismo sono le forme naturali di questo concetto. La realtà terrena è simbolica: Beatrice è un simbolo:
Tutto questo, forma e concetto, era già dal Boccaccio in qua negato, caricato, parodiato, materia di sollazzo e di passatempo: pura negazione nella sua forma cinica e licenziosa, che aveva a base la glorificazione della carne o del peccato, la voluttà,
Machiavelli vive in questo mondo e vi partecipa. La stessa licenza nella vita, e la stessa indifferenza nella teoria. La sua coltura non è straordinaria: molti a quel tempo avanzavano lui e
Nelle scienze naturali non sembra sia molto innanzi, quando vediamo che in alcuni casi accenna
Ciascun uomo ha la sua missione su questa terra, secondo le sue attitudini. La vita non è un giuoco
È negazione del medio evo, e insieme negazione del Risorgimento. La contemplazione divina lo soddisfa così poco, come la contemplazione artistica. La coltura e
Quel «dover essere», a cui tende il contenuto nel medio evo e la forma nel Risorgimento, dee far luogo
Subordinare il mondo
Risecati tutti gli elementi sopraumani e soprannaturali, pone a fondamento della vita la patria. La missione
Nel medio evo non ci era il concetto di patria: ci era il concetto di fedeltà e di sudditanza. Gli uomini nascevano tutti sudditi del papa e
Ci era ancora il papa e ci era
Di papato e
La «patria» del Machiavelli è naturalmente il comune libero, libero per sua virtù e non per grazia del papa e
Ma, osservatore sagace, non gli può sfuggire il fenomeno storico
La «patria» del Machiavelli è una divinità, superiore anche alla moralità e alla legge. A quel modo che il Dio degli ascetici assorbiva in sè
Queste idee sono enunciate dal Machiavelli, non come da lui trovate e analizzate, ma come già per lunga tradizione ammesse, e fortificate dalla coltura classica. Ci è lì dentro lo spirito
La patria assorbisce anche la religione. Uno Stato non può vivere senza religione. E se il Machiavelli si duole della corte romana, non è solo perchè a difesa del suo dominio temporale è costretta a chiamar gli stranieri, ma ancora perchè
Noi che vediamo le cose di lontano, troviamo in queste dottrine lo Stato laico, che si emancipa dalla teocrazia, e diviene a sua volta invadente. Ma allora la lotta era ancor viva, e
Stabilito il centro della vita in terra e attorno alla patria, al Machiavelli non possono piacere le virtù monacali
Alla virtù premio è la gloria. «Patria», «virtù», «gloria», sono le tre parole sacre, la triplice base di questo mondo.<br />
Come
Il mondo non è regolato da forze soprannaturali o casuali, ma dallo spirito umano, che procede secondo le sue leggi organiche e perciò fatali. Il fato storico non è la provvidenza, e non la fortuna, ma la «forza delle cose», determinata dalle leggi dello spirito e della natura. Lo spirito è immutabile nelle sue facoltà ed immortale nella sua produzione.<br />
Perciò la storia non è accozzamento di fatti fortuiti o provvidenziali, ma concatenazione necessaria di cause e di effetti, il risultato delle forze messe in moto dalle opinioni, dalle passioni e
La politica o
La grandezza e la caduta delle nazioni non sono dunque accidenti o miracoli, ma sono effetti necessari, che hanno le loro cause nella qualità delle forze che le movono. E quando queste forze sono in tutto logore, esse muoiono.<br />
E a governare, quelli che stanno solo in sul lione, non se ne intendono. Ci vuole anche la volpe, o la prudenza, cioè
Come
Le nazioni muoiono. Ma lo spirito umano non muore mai. Eternamente giovane, passa di una nazione in
Di questa filosofia della storia e di un dritto delle genti non ci è nel Machiavelli che la semplice base scientifica, un punto di partenza segnato con chiarezza e indicato
Questi concetti non sono nuovi. I concetti filosofici, come i poetici, suppongono una lunga elaborazione. Ci si vede qui dentro le conseguenze naturali di quel grande movimento, sotto forme classiche realista,
Il medio evo qui crolla in tutte le sue basi, religiosa, morale, politica, intellettuale. E non è solo negazione vuota. È affermazione, è il verbo. Di contro a ciascuna negazione sorge
Anche la base religiosa è mutata. Il Machiavelli vuole recisa dalla religione ogni temporalità, e, come Dante, combatte la confusione
Altra è pure la base morale. Il fine etico del medio evo è la santificazione
E si rinnova pure la base intellettuale. Secondo il gergo di allora, il Machiavelli non combatte la verità della fede, ma la lascia da parte, non se ne occupa, e quando vi
E si rinnova il metodo. Il Machiavelli non riconosce verità ''a priori'' e princìpi astratti, e non riconosce autorità di nessuno, come criterio del vero. Di teologia e di filosofia e di etica fa stima uguale, mondi
«Avendo la città di Firenze ... perduta parte
Qui i fatti sono schierati in modo che si appoggiano e si spiegano a vicenda: sono una doppia serie,
La prosa del Trecento manca di organismo, e perciò non ha ossatura, non interna coesione: vi abbonda
Qui
Ora possiamo comprendere il Machiavelli nelle sue applicazioni. La storia di Firenze sotto forma narrativa è una logica degli avvenimenti. Dino scrive col cuore commosso, con
Il fondamento
Quello che
È chiaro che una scienza o arte politica non è possibile, quando non abbia per base la conoscenza della materia su che si ha a esercitare, cioè
Questo punto di vista logico, preponderante nella storia, comunica
Chi legge il trattato ''De regimine principum'' di Egidio Colonna vi troverà un magnifico mondo etico, senza alcun riscontro con la vita reale. Chi legge questo ''Principe'' del Machiavelli, vi troverà un crudele mondo logico, fondato sullo studio
Machiavelli bisogna giudicarlo da
Quando Machiavelli scrivea queste cose,
Ma, se in Italia la tempra era infiacchita, lo spirito era integro. Se da una parte Machiavelli poneva a base della vita
Ci erano certo i fini cavallereschi, come la tutela delle donne, la difesa degli oppressi, ma che parevano a quel pubblico intelligente e scettico comici non altrimenti che quegli effetti straordinari di forza corporale. Si può dire di quei cavalieri foggiati dallo spirito italiano quello che Doralice dicea a Mandricardo, quando lo vedea intestato a fare per una spada e uno scudo quello avea fatto per impossessarsi di lei: - Non fu amore che ti mosse, «fu naturale ferita di core» - Lo spirito italiano adunque da una parte metteva in caricatura il medio evo come un giuoco disordinato di forze, e
Ma in Italia
Machiavelli ebbe una coscienza chiarissima di questa decadenza, o,
<br />
«Qui, - scrive - è virtù grande nelle membra, quando la non mancasse
Pure
«La ... religione, se
Certo, non è ufficio grato dire dolorose verità al proprio paese, ma è un dovere, di cui
«Chi nasce in Italia e in Grecia, e non sia divenuto in Italia oltramontano e in Grecia turco, ha ragione di biasimare i tempi suoi.»
Per lui è questo una sacra missione, un atto di patriottismo. Il suo sguardo abbraccia tutta la storia del mondo. Vede tanta gloria in Assiria, in Media, in Persia, in Grecia, in Italia e Roma. Celebra il regno
«Se la virtù che allora regnava e il vizio che ora regna non fossero più chiari del sole, andrei nel parlare più rattenuto. Ma, essendo la cosa sì manifesta che ciascuno la vede, sarò animoso in dire manifestamente quello che intenderò di quelli e di questi tempi, acciocchè gli animi
Queste parole sono un monumento. Ci si sente dentro lo spirito di Dante.<br />
Machiavelli tiene la sua promessa. Giudica con severità uomini e cose. Del papato tutti sanno quello che ha scritto. Nè è più indulgente verso i principi:
«Questi nostri principi, che erano stati molti anni nel principato loro, per averlo dipoi perso non accusino la fortuna, ma
Degli avventurieri scrive:
«Il fine delle loro virtù è stato che [Italia] è stata corsa da Carlo, predata da Luigi, forzata da Ferrando e vituperata
Nè è meno severo verso i gentiluomini, avanzi feudali, rimasti vivi ed eterni in questa maravigliosa pittura:
«Gentiluomini sono chiamati quelli che oziosi vivono
Degna di nota è qui
«
Gli oziosi sono fatalisti. Spiegano tutto con la fortuna. Anche allora
«La fortuna dimostra la sua potenza, dove non è ordinata virtù a resisterle, e quivi volta i suoi impeti, dove la sa che non sono fatti gli argini e i ripari a tenerla. E se voi considererete
<br />
Essendo
«Cercando un principe la gloria del mondo, dovrebbe desiderare di possedere una città corrotta, non per guastarla in tutto, come Cesare, ma per riordinarla, come Romolo.»
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Di Cesare scrive un giudizio originale rimasto celebre:
«Nè sia è alcuno che
Machiavelli promette, a chi prende lo Stato con la forza, non solo
«Considerino quelli a chi i cieli dànno tale occasione, come sono loro proposte due vie:
Invoca egli dunque un qualche amato dal cielo, che sani
Non è maraviglia che il Machiavelli con tanta esperienza del mondo, con tanta sagacia
<br />
«E ... nascono molte contese e molti dispetti di parole ingiuriose, e il più delle volte si combatte per un quattrino, e siamo sentiti non di manco gridare da San Casciano.»
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«Rinvolto in quella viltà, traggo il cervello di muffa, e sfogo la malignità di questa mia sorte, sendo contento che mi calpesti per quella via, per vedere se la se ne vergognasse.»
Vedilo tutto solo pel bosco con un Petrarca o con un Dante «libertineggiare» con lo spirito, fantasticare, abbandonato alle onde
«Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nello scrittoio; e in
Quel «trasferirsi in loro», quel «libertineggiare» sono frasi energiche di uno spirito contemplativo, estatico, entusiastico. Ci è una parentela tra Dante e Machiavelli. Ma è un Dante nato dopo Lorenzo
«Quali porte se gli serrerebbero? quali popoli gli negherebbero
E finisce
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Virtù contra al furore
prenderà
chè
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Ma furono brevi illusioni.
«Costoro soli hanno Stati e non gli difendono, hanno sudditi e non gli governano, e gli Stati per essere indifesi non sono lor tolti, ed i sudditi per non essere governati non se ne curano, nè pensano nè possono alienarsi da loro. ... Essendo quelli retti da cagione superiore, alla quale la mente umana non aggiunge, lascerò il parlarne; perchè, essendo esaltati e mantenuti da Dio, sarebbe ufficio
In tanta riverenza di parole non è difficile sorprendere sulle labbra di chi scrive quel piglio ironico che trovi
«Il francese ruberia con
<br />
Da questo profondo ed originale talento di osservazione, da questo spirito ironico uscì la ''Mandragola'',
Dopo i primi tentativi idillici, la commedia si era chiusa nelle forme di Plauto e di Terenzio.
«Fu pur troppo nuova cosa, - scrive il Castiglione - vedere vecchiettini lunghi un palmo servare quella gravità, quelli gesti così severi, [simular] parasiti e ciò che fece mai Menandro.»
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Accompagnamento alla commedia era la musica, e intermezzi o intromesse erano le «moresche», balli mimici. Le decorazioni magnifiche. Nella rappresentazione della ''Calandria'' in Urbino vedevi
«un tempio, ... tanto ben finito, - dice il Castiglione - che non saria possibile a credere che fosse fatto in quattro mesi: tutto lavorato di stucco, con istorie bellissime: finte le finestre di alabastro, tutti gli architravi e le cornici
«La prima fu una moresca di Iasón, il quale comparse nella scena da un capo ballando, armato
Finita la commedia nacque sul palco
«si udì una musica nascosa di quattro viole, e poi quattro voci con le viole, che cantarono una stanza con un bello aere di musica, quasi una orazione ad Amore: e così fu finita la festa, con grande satisfazione e piacere di chi la vide.»
dice sempre il Castiglione,
Cosa era questa ''Calandria'', nella cui rappresentazione Urbino e poi Roma sfoggiarono tanto lusso ed eleganza? Il protagonista è Calandro, un ''facsimile'' di Calandrino, il marito sciocco, motivo comico del ''Decamerone'', rimasto proverbiale in tutte le commedie e novelle. Non vi manca il negromante o
A prima vista ti pare alcuna cosa di simile la ''Mandragola''. Anche ivi è grande varietà
Come Machiavelli ha potuto esercitare il suo ingegno a scriver commedie?
<poem>
Scusatelo con questo, che
con questi van pensieri
fare il suo tristo tempo più soave;
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non sendo premio alle fatiche sue.
</poem>
Cattivi versi, ma strazianti. Il suo riso è frutto di malinconia. Mentre Carlo ottavo correva Italia, Piero
Callimaco,
Ligurio è un essere destituito
Un altro associato di Callimaco è il suo servo Siro. Costui ha poca parte, ma è assai ben disegnato. Ode tutto, vede tutto, capisce tutto, ed ha aria di non udire, non vedere e non capire: fa
Colui che è dietro la scena e fa ballare i suoi figurini è Ligurio. E sembra che
Callimaco è un innamorato: per aver la sua bella farebbe monete false. La parte odiosa è riversata sul capo di Ligurio. A lui le smanie e i delirii. Non è amore petrarchesco, e non è cinica volgarità: è vero amor naturale coi colori suoi, rappresentato con una esagerazione e una bonomia che lo rende comico.
«... Mi fo di buon cuore, ma io ci sto poco su; perchè
<br />
Ma queste sono figure secondarie.
Il difficile non era gabbare Nicia, ma persuadere Lucrezia.
Il carattere più interessante è fra Timoteo, il precursore di Tartufo, meno artificiato, anzi tutto naturale. Fa bottega della chiesa, della Madonna, del purgatorio. Ma gli uomini non ci credono più, e la bottega rende poco. E lui aguzza
«Io dissi mattutino, lessi una ''Vita
Il suo primo ingresso sulla scena è pieno di significato: còlto sul fatto in un dialogo con una sua penitente, pittura di costumi profonda nella sua semplicità. Sta spesso in chiesa, perchè «in chiesa vale più la sua mercanzia». È di mediocre levatura, buono a uccellar donne:
«... Madonna Lucrezia è savia e buona. Ma io la giungerò in su la bontà, e tutte le donne hanno poco cervello, e come
Conosce bene i suoi polli:
<br />
«Le più caritative persone che sieno son le donne, e le più fastidiose. Chi le scaccia, fugge i fastidi e
Biascica paternostri e avemarie, e usa i modi e il linguaggio del mestiere con la facilità indifferente e meccanica
«Messer Nicia e Callimaco son ricchi, e da ciascuno per diversi rispetti sono per trarre assai. La cosa conviene che stia segreta, perché
Se mostra inquietudine, è per paura che si sappia:
«Dio sa
Questo è
«Io son contenta, - conchiude Lucrezia - ma non credo mai esser viva domattina».
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E il frate risponde:
«Non dubitare, figliuola mia, io pregherò Dio per te, io dirò
dice la madre, e la povera Lucrezia, che non è ben persuasa, sospira:
«Dio
Quel fatto il frate lo chiama un «misterio», e il mezzano è
<br />
Queste cose movevano indignazione in Germania e provocavano la Riforma. In Italia facevano ridere. E il primo a ridere era il papa. Quando un male diviene così sparso dappertutto e così ordinario che se ne ride, è cancrena, e non ha rimedio.<br />
Tutti ridevano. Ma il riso di tutti era buffoneria, passatempo. Nel riso di Machiavelli ci è alcun che di tristo e di serio, che oltrepassa la caricatura, e nuoce
Appunto perciò la ''Mandragola'' è una commedia che ha fatto il suo tempo. È troppo incorporata in quella società, in ciò
La ''Mandragola'' è la base di tutta una nuova letteratura. È un mondo mobile e vivace, che ha varietà, sveltezza, curiosità, come un mondo governato dal caso. Ma sotto queste apparenze frivole si nascondono le più profonde combinazioni della vita interiore.
Si distinsero due specie di commedie, «
Di ogni scrittore muore una parte. E anche del Machiavelli una parte è morta, quella per la quale e venuto a trista celebrità. È la sua parte più grossolana, è la sua scoria quella che ordinariamente è tenuta parte sua vitale, così vitale che è stata detta il «machiavellismo» Anche oggi, quando uno straniero vuol dire un complimento
Del Machiavelli è avvenuto quello che del Petrarca. Si è chiamato «petrarchismo» quello che in lui è un incidente ed è il tutto
Ci è nel Machiavelli una logica formale e
La sua logica ha per base la serietà dello scopo, ciò
Si comprende che in questa generalità ci è lezioni per tutti,
Questo è il concetto fondamentale,
La serietà della vita terrestre, col suo istrumento, il lavoro; col suo obbiettivo, la patria; col suo principio,
Il fondamento scientifico di questo mondo è la cosa effettuale, come te la porge
Questo è il vero machiavellismo, vivo, anzi giovane ancora. È il programma del mondo moderno, sviluppato, corretto, ampliato, più o meno realizzato. E sono grandi le nazioni che più vi si avvicinano. Siamo dunque alteri del nostro Machiavelli. Gloria a lui, quando crolla alcuna parte
Scrittore, non solo profondo, ma simpatico. Perchè nelle sue transazioni politiche discerni sempre le sue vere inclinazioni. Antipapale, antimperiale, antifeudale, civile, moderno e democratico. E quando, stretto dal suo scopo, propone certi mezzi, non di rado
Ciò che è morto del Machiavelli non è il sistema, è la sua esagerazione. La sua «patria» mi rassomiglia troppo
Certo, oggi il mondo è migliorato in questo aspetto. Certi mezzi non sarebbero più tollerati, e produrrebbero un effetto opposto a quello che se ne attendeva Machiavelli, allontanerebbero dallo scopo.
È un bel programma. E quantunque sembri
Ma siamo ben lontani dal Machiavelli. E anche
Nel machiavellismo ci è una parte variabile nella qualità e nella quantità, relativa al tempo, al luogo, allo stato della coltura, alle condizioni morali
Il machiavellismo, in ciò che ha di assoluto o di sostanziale, è
In letteratura,
▲Il fondamento scientifico di questo mondo è la cosa effettuale, come te la porge l'esperienza e l'osservazione. L'immaginazione, il sentimento, l'astrazione sono così perniciosi nella scienza, come nella vita. Muore la scolastica, nasce la scienza.<br />
Francesco Guicciardini, ancorche di pochi anni più giovane di Machiavelli e di Michelangiolo, già non sembra della stessa generazione. Senti in lui il precursore di una generazione più fiacca e più corrotta, della quale egli ha scritto il vangelo
▲Questo è il vero machiavellismo, vivo, anzi giovane ancora. È il programma del mondo moderno, sviluppato, corretto, ampliato, più o meno realizzato. E sono grandi le nazioni che più vi si avvicinano. Siamo dunque alteri del nostro Machiavelli. Gloria a lui, quando crolla alcuna parte dell'antico edificio. E gloria a lui, quando si fabbrica alcuna parte del nuovo. In questo momento che scrivo, le campane suonano a distesa, e annunziano l'entrata degl'Italiani a Roma. Il potere temporale crolla. E si grida il «viva» all'unità d'Italia. Sia gloria al Machiavelli.<br />
▲Scrittore, non solo profondo, ma simpatico. Perchè nelle sue transazioni politiche discerni sempre le sue vere inclinazioni. Antipapale, antimperiale, antifeudale, civile, moderno e democratico. E quando, stretto dal suo scopo, propone certi mezzi, non di rado s'interrompe, protesta, ha quasi aria di chiederti scusa e di dirti: - Guarda che siamo in tempi corrotti; e se i mezzi son questi, e il mondo è fatto così, la colpa non è mia. -<br />
▲Ciò che è morto del Machiavelli non è il sistema, è la sua esagerazione. La sua «patria» mi rassomiglia troppo l'antica divinità, e assorbe in sè religione, moralità, individualità. Il suo «Stato» non è contento di essere autonomo esso, ma toglie l'autonomia a tutto il rimanente. Ci sono i dritti dello Stato: mancano i dritti dell'uomo. La «ragione di Stato» ebbe le sue forche, come l'Inquisizione ebbe i suoi roghi, e la «salute pubblica» le sue mannaie. Fu stato di guerra e in quel furore di lotte religiose e politiche ebbe la sua culla sanguinosa il mondo moderno. Dalla forza uscì la giustizia. Da quelle lotte uscì la libertà di coscienza, l'indipendenza del potere civile e più tardi la libertà e la nazionalità. E se chiamate machiavellismo quei mezzi, vogliate chiamare anche machiavellismo quei fini. Ma i mezzi sono relativi e si trasformano, sono la parte che muore: i fini rimangono eterni. Gloria del Machiavelli è il suo programma, e non è sua colpa che l'intelletto gli abbia indicati de' mezzi, i quali la storia posteriore dimostrò conformi alla logica del mondo. Fu più facile il biasimarli, che sceglierne altri. Dura lex, sed ita lex.<br />
▲Certo, oggi il mondo è migliorato in questo aspetto. Certi mezzi non sarebbero più tollerati, e produrrebbero un effetto opposto a quello che se ne attendeva Machiavelli, allontanerebbero dallo scopo. L'assassinio politico, il tradimento, la frode, le sette, le congiure sono mezzi che tendono a scomparire. Presentiamo già tempi più umani e civili, dove non sieno più possibili la guerra, il duello, le rivoluzioni, le reazioni, la ragion di Stato e la salute pubblica. Sarà l'età dell'oro. Le nazioni saranno confederate, e non ci sarà altra gara che d'industrie, di commerci e di studi.<br />
▲È un bel programma. E quantunque sembri un'utopia, non dispero. Ciò che lo spirito concepisce, presto o tardi viene a maturità. Ho fede nel progresso e nell'avvenire.<br />
▲Ma siamo ben lontani dal Machiavelli. E anche da' nostri tempi. E non è co' criteri di un mondo nascosto ancora nelle ombre dell'avvenire che possiamo giudicare e condannare Machiavelli. Anche oggi siamo costretti a dire: - Crudele è la logica della storia; ma quella è. -<br />
▲Nel machiavellismo ci è una parte variabile nella qualità e nella quantità, relativa al tempo, al luogo, allo stato della coltura, alle condizioni morali de' popoli. Questa parte, che riguarda i mezzi, è molto mutata, e muterà in tutto, quando la società sia radicalmente rinnovata. Ma la teoria de' mezzi è assoluta ed eterna, perchè fondata sulle qualità immutabili della natura umana. Il principio, dal quale si sviluppa quella teoria, è questo, che i mezzi debbono avere per base l'intelligenza e il calcolo delle forze che movono gli uomini. È chiaro che in queste forze c'è l'assoluto e il relativo, e il torto del Machiavelli, comunissimo a tutt'i grandi pensatori, è di avere espresso in modo assoluto tutto, anche ciò che è essenzialmente relativo e variabile.<br />
▲Il machiavellismo, in ciò che ha di assoluto o di sostanziale, è l'uomo considerato come un essere autonomo e bastante a se stesso, che ha nella sua natura i suoi fini e i suoi mezzi, le leggi del suo sviluppo, della sua grandezza e della sua decadenza, come uomo e come società. Su questa base sorgono la storia, la politica, e tutte le scienze sociali. Gl'inizi della scienza sono ritratti, discorsi, osservazioni di uomo che alla coltura classica unisca esperienza grande, e un intelletto chiaro e libero. Questo è il machiavellismo, come scienza e come metodo. Ivi il pensiero moderno trova la sua base e il suo linguaggio. Come contenuto, il machiavellismo su' rottami del medio evo abbozza un mondo intenzionale, visibile tra le transazioni e i vacillamenti dell'uomo politico, un mondo fondato sulla patria, sulla nazionalità, sulla libertà, sull'uguaglianza, sul lavoro, sulla virilità e serietà dell'uomo.
«Tre cose, - scrive - desidero vedere innanzi alla mia morte, ma dubito, ancora che vivessi molto, non ne vedere alcuna: uno vivere di repubblica bene ordinato nella città nostra, Italia liberata da
▲In letteratura, l'effetto immediato del machiavellismo è la storia e la politica emancipate da elementi fantastici, etici, sentimentali, e condotte in forma razionale; è il pensiero volto agli studi positivi dell'uomo e della natura, messe da parte le speculazioni teologiche e ontologiche; è il linguaggio purificato della scoria scolastica e del meccanismo classico, e ridotto nella forma spedita e naturale della conversazione e del discorso. È l'ultimo e più maturo frutto del genio toscano. Su questa via incontriamo prima Francesco Guicciardini con tutti gli scrittori politici della scuola fiorentina e veneta, poi Galileo Galilei con la sua illustre coorte di naturalisti.<br />
▲Francesco Guicciardini, ancorche di pochi anni più giovane di Machiavelli e di Michelangiolo, già non sembra della stessa generazione. Senti in lui il precursore di una generazione più fiacca e più corrotta, della quale egli ha scritto il vangelo ne' suoi ''Ricordi''. Ha le stesse aspirazioni del Machiavelli. Odia i preti. Odia lo straniero. Vuole l'Italia unita. Vuole anche la libertà, concepita a modo suo, con una immagine di governo stretto e temperato, che si avvicina a' presenti ordini costituzionali o misti. Ma sono semplici desidèri, e non metterebbe un dito a realizzarli.
Una libertà bene ordinata,
▲«Tre cose, - scrive - desidero vedere innanzi alla mia morte, ma dubito, ancora che vivessi molto, non ne vedere alcuna: uno vivere di repubblica bene ordinato nella città nostra, Italia liberata da tutt'i barbari, e liberato il mondo della tirannide di questi scelerati preti.»
Si può credere che questi fossero i desidèri anche delle classi colte. Ma erano amori platonici, senza influsso nella pratica della vita. Il ritratto di quella società è il Guicciardini, che scrive: «Conoscere non è mettere in atto». Altro è desiderare, altro è fare. La teoria non è la pratica. Pensa come vuoi, ma fa come ti torna. La regola della vita è «
Il Guicciardini biasima «
La corruttela italiana era appunto in questo, che la coscienza era vuota, e mancava ogni degno scopo alla vita. Machiavelli ti addita in fondo al cammino della vita terrestre la patria, la nazione, la libertà. Non ci è più il cielo per lui, ma ci è ancora la terra. Il Guicciardini ammette anche lui questi fini, come cose belle e buone e desiderabili, ma li ammette ''sub conditione'', a patto che sieno conciliabili col tuo «particulare», come dice, cioè col tuo interesse personale. Non crede alla virtù, alla generosità, al patriottismo, al sacrificio, al disinteresse.
Il dio del Guicciardini è il suo particolare. Ed è un dio non meno assorbente che il Dio degli ascetici, o lo Stato del Machiavelli. Tutti
Il Guicciardini si crede più savio del Machiavelli, perchè non ha le sue illusioni. Quel venir fuori sempre con
«Quanto
▲Una libertà bene ordinata, l'indipendenza e l'autonomia delle nazioni, l'affrancamento del laicato, ecco il programma del Machiavelli, divenuto il testamento del Guicciardini, e che oggi è ancora la bandiera di tutta la parte liberale e civile europea.<br />
▲Si può credere che questi fossero i desidèri anche delle classi colte. Ma erano amori platonici, senza influsso nella pratica della vita. Il ritratto di quella società è il Guicciardini, che scrive: «Conoscere non è mettere in atto». Altro è desiderare, altro è fare. La teoria non è la pratica. Pensa come vuoi, ma fa come ti torna. La regola della vita è «l'interesse proprio», «il tuo particolare».<br />
▲Il Guicciardini biasima «l'ambizione, l'avarizia e la mollizie de' preti» e il dominio temporale ecclesiastico; ama Martino Lutero, «per vedere ridurre questa caterva di scelerati a' termini debiti, cioè a restare o senza vizi o senza autorità»; ma «per il suo particolare» è necessitato «amare la grandezza de' pontefici» e servire a' preti e al dominio temporale. Vuole emendata la religione in molte parti; ma non ci si mescola, lui, «non combatte con la religione, nè con le cose, che pare che dependono da Dio; perchè questo obbietto ha troppa forza nella mente delli sciocchi». Ama la gloria e desidera di fare «cose grandi ed eccelse», ma a patto che non sia «con suo danno o incomodità». Ama la patria, e, se perisce, glie ne duole, non per lei, perchè «così ha a essere», ma per sè, «nato in tempi di tanta infelicità». È zelante del ben pubblico, ma «non s'ingolfa tanto nello Stato» da mettere in quello tutta la sua fortuna. Vuole la libertà, ma quando la sia perduta, non è bene fare mutazioni, perchè «mutano i visi delle persone, non le cose, e non puoi fare fondamento sul populo», e quando la vada male, ti tocca «la vita spregiata del fuoruscita». Miglior consiglio è portarsi in modo che quelli che «governano non ti abbiano in sospetto e neppure ti pongano fra' malcontenti». Quelli che altrimenti fanno, sono uomini «leggieri». Molti, è vero, gridano libertà, ma «in quasi tutti prepondera il rispetto dell'interesse suo». Essendo il mondo fatto così, hai a pigliare il mondo com'è, e condurti di guisa che non te ne venga danno, anzi la maggiore comodità possibile. Così fanno gli uomini «savi».<br />
▲La corruttela italiana era appunto in questo, che la coscienza era vuota, e mancava ogni degno scopo alla vita. Machiavelli ti addita in fondo al cammino della vita terrestre la patria, la nazione, la libertà. Non ci è più il cielo per lui, ma ci è ancora la terra. Il Guicciardini ammette anche lui questi fini, come cose belle e buone e desiderabili, ma li ammette ''sub conditione'', a patto che sieno conciliabili col tuo «particulare», come dice, cioè col tuo interesse personale. Non crede alla virtù, alla generosità, al patriottismo, al sacrificio, al disinteresse. Ne' più prepondera l'interesse proprio, e mette se francamente tra questi più, che sono i savi: gli altri li chiama «pazzi», come furono i fiorentini, che «vollero contro ogni ragione opporsi», quando «i savi di Firenze avrebbono ceduto alla tempesta», e intende dell'assedio di Firenze, illustrato dall'eroica resistenza di quei pazzi, tra' quali erano Michelangelo e Ferruccio. Machiavelli combatte la corruttela italiana, e non dispera del suo paese. Ha le illusioni di un nobile cuore. Appartiene a quella generazione di patrioti fiorentini, che in tanta rovina cercavano i rimedi, e non si rassegnavano, e illustrarono l'Italia con la loro caduta. Nel Guicciardini comparisce una generazione già rassegnata. Non ha illusioni. E perchè non vede rimedio a quella corruttela, vi si avvolge egli pure, e ne fa la sua saviezza e la sua aureola. I suoi ''Ricordi'' sono la corruttela italiana codificata e innalzata a regola della vita.<br />
▲Il dio del Guicciardini è il suo particolare. Ed è un dio non meno assorbente che il Dio degli ascetici, o lo Stato del Machiavelli. Tutti gl'ideali scompariscono. Ogni vincolo religioso, morale, politico, che tiene insieme un popolo, è spezzato. Non rimane sulla scena del mondo che l'individuo. Ciascuno per sè, verso e contro tutti. Questo non è più corruzione, contro la quale si gridi: è saviezza, è dottrina predicata e inculcata, è l'arte della vita.<br />
▲Il Guicciardini si crede più savio del Machiavelli, perchè non ha le sue illusioni. Quel venir fuori sempre con l'antica Roma lo infastidisce, e rompe in questo motto sanguinoso:
In questo concetto della vita il Guicciardini è di così buona fede, che non sente rimorso, e non mostra la menoma esitazione, e guarda con
▲«Quanto s'ingannano coloro che ad ogni parola allegano i romani! Bisognerebbe avere una città condizionata com'era la loro, e poi governarsi secondo quello esemplo: il quale a chi ha le qualità disproporzionate è tanto disproporzionato, quanto sarebbe volere che uno asino facesse il corso di un cavallo.»
Perchè
Questa base intellettuale è quella medesima del Machiavelli,
Ma il Guicciardini con tutta la sua saviezza trovò un altro più savio di lui, e volendo usare Cosimo a benefizio suo, avvenne che fu lui istrumento di Cosimo. Così finì la vita, come il Machiavelli, nella solitudine e
Se guardiamo alla potenza intellettuale, è il lavoro più importante che sia uscito da mente italiana. Ciò che lo interessa non è la scena, la parte teatrale o poetica, sulla quale facevano i loro esercizii rettorici il Giovio, il Varchi, il Giambullari e gli altri storici. I fatti più maravigliosi o commoventi sono da lui raccontati con una certa sprezzatura, come di uomo che ne ha viste assai e non si maraviglia e non si commove più di nulla. Non ha simpatie e antipatie, non ha tenerezze e indignazioni, e neppure ha programmi e preconcetti intorno
Lo storico avea intenzioni letterarie. La sua prosa, massime
La Storia
Il Machiavelli va più in là. Egli intravede una specie di fisica sociale, come si direbbe oggi, un complesso di leggi che regolano non solo
▲In questo concetto della vita il Guicciardini è di così buona fede, che non sente rimorso, e non mostra la menoma esitazione, e guarda con un'aria di superiorità sprezzante gli uomini che fanno altrimenti. Il che avviene, a suo avviso, non per virtù o altezza d'animo, ma «per debolezza di cervello», avendo offuscato lo spirito dalle apparenze, dalle impressioni, dalle vane immaginazioni e dalle passioni. Ci si vede l'ultimo risultato a cui giunge lo spirito italiano, già adulto e progredito, che caccia via l'immaginazione e l'affetto e la fede, ed è tutto e solo cervello, o, come dice il Guicciardini, «ingegno positivo».<br />
▲Perchè l'ingegno sia positivo si richiede la «prudenza naturale», la «dottrina» che dà le regole, l'«esperienza» che dà gli esempli, e il «naturale buono», tale cioè che stia al reale, e non abbia illusioni. E non basta. Si richiede anche la «discrezione» o il discernimento, perchè è «grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente e assolutamente e per dire così per regola, perchè quasi tutte hanno distinzione e eccezione, e queste distinzioni e eccezioni non si trovano scritte in su' libri, ma bisogna lo insegni la discrezione». Il vero libro della vita è dunque «il libro della discrezione», a leggere il quale si richiede da natura «buono e perspicace occhio». La dottrina sola non basta, e non è bene stare al giudicio di quelli che scrivono, e in ogni cosa «volere vedere ognuno che scrive: così quello tempo che s'arebbe a mettere in speculare, si consuma a leggere libri con stracchezza d'animo e di corpo, in modo che l'ha quasi più similitudine a una fatica di facchini che di dotti».<br />
▲L'uomo positivo vede il mondo altro da quello che «a' volgari» pare. Non crede agli astrologi, ai teologi, a' filosofi e a tutti quelli che scrivono le cose sopra natura, o che non si veggono, «e dicono mille pazzie: perchè in effetti gli uomini sono al buio delle cose, e questa indagazione ha servito e serve più a esercitare gl'ingegni che a trovare la verità».<br />
▲Questa base intellettuale è quella medesima del Machiavelli, l'esperienza e l'osservazione, il fatto e lo «speculare» o l'osservare. Nè altro è il sistema. Il Guicciardini nega tutto quello che il Machiavelli nega, e in forma anche più recisa, e ammette quello che il Machiavelli ammette. Ma è più logico e più conseguente. Poichè la base è il mondo com'è, crede un'illusione a volerlo riformare, e volergli dare le gambe di cavallo, quando esso le ha di asino, e lo piglia com'è e vi si acconcia, e ne fa la sua regola e il suo istrumento. Conoscere non è mettere in atto. Ciò che è nella tua mente e nella tua coscienza non può essere di regola alla tua vita. Vivere è conoscere il mondo e voltarlo a benefizio tuo. Tienti bene con tutti, perchè «gli uomini si riscontrano». Stai con chi vince, perchè «te ne viene parte di lode e di premio». «Abbi appetito della roba», perchè la ti dà riputazione, e la povertà è spregiata. Sii schietto, perchè, «quando sia il caso di simulare, più facilmente acquisti fede». Sii stretto nello spendere, perchè «più onore ti fa uno ducato che tu hai in borsa, che dieci che tu ne hai spesi». Studia di «parere buono», perchè «il buon nome vale più che molte ricchezze». Non meritarti nome di sospettoso, ma, perchè più sono i cattivi che i buoni, «credi poco e fidati poco», Questo è il succo dell'arte della vita seguita da' più, ancorchè con qualche ipocrisia, come se ne vergognassero. Ma il Guicciardini ne fa un codice, fondato sul divorzio tra l'uomo e la coscienza, e sull'interesse individuale. È il codice di quella borghesia italiana, tranquilla, scettica, intelligente e positiva, succeduta a' codici d'amore e alle regole della cavalleria.<br />
▲Ma il Guicciardini con tutta la sua saviezza trovò un altro più savio di lui, e volendo usare Cosimo a benefizio suo, avvenne che fu lui istrumento di Cosimo. Così finì la vita, come il Machiavelli, nella solitudine e nell'abbandono. Ebbe anche lui le sue illusioni e i suoi disinganni, meno nobili, meno degni della posterità, perchè si riferivano al suo particolare. Ritirato nella sua villa d'Arcetri, usò gli ozi a scrivere la ''Storia d'Italia''.
▲Se guardiamo alla potenza intellettuale, è il lavoro più importante che sia uscito da mente italiana. Ciò che lo interessa non è la scena, la parte teatrale o poetica, sulla quale facevano i loro esercizii rettorici il Giovio, il Varchi, il Giambullari e gli altri storici. I fatti più maravigliosi o commoventi sono da lui raccontati con una certa sprezzatura, come di uomo che ne ha viste assai e non si maraviglia e non si commove più di nulla. Non ha simpatie e antipatie, non ha tenerezze e indignazioni, e neppure ha programmi e preconcetti intorno a' risultati generali dei fatti e alle sorti del suo paese. Il suo intelletto chiaro e tranquillo è chiuso in sè, e non vi entra nulla dal di fuori che lo turbi o lo svii. È l'intelletto positivo, con quelle qualità che abbiamo notate, e che in lui sono egregie, la prudenza naturale, la dottrina, l'esperienza, il naturale buono e la discrezione. Maravigliosa è soprattutto la sua discrezione nel non riconoscere princìpi, nè regole assolute, e giudicare caso per caso, guardando in ciascun fatto la sua individualità, quel complesso di circostanze sue proprie, che lo fanno esser quello e non un altro: dov'è la vera distinzione tra il pedante e l'uomo d'ingegno. Con queste disposizioni è naturale che lo interessa meno la scena che il dietroscena, dove penetra con sicurezza il suo occhio perspicace. Ha comune col Machiavelli il disprezzo della superficie, di ciò che si vede e si dice il parere, e lo studio dell'essere, di ciò che è al di sotto, e che non si vede. Hai innanzi non la sola descrizione de' fatti, ma la loro genesi e la loro preparazione, li vedi nascere e svilupparsi. I motivi più occulti e vergognosi sono rivelati con la stessa calma di spirito che i motivi più nobili. Ciò che l'interessa non è il carattere etico o morale di quelli, ma la loro azione su' fatti. Il motivo determinante è l'interesse, ed è sagacissimo nell'indagazione non meno degl'interessi privati che degl'interessi detti pubblici, e sono interessi di re e di corti. Ma gl'interessi hanno la loro ipocrisia, e si nascondono sotto il manto di fini più nobili, come la gloria, l'onore, la libertà, l'indipendenza, fini che escono in mezzo, quando si vuol cattivare i popoli o gli eserciti. Di che nasce, massime nelle concioni, una specie di rettorica,'' ad usum delphini'', voglio dire ad uso de' volgari, che non guardano nel fondo, e si lasciano trarre alle belle apparenze. I popoli e gli eserciti vi stanno come istrumenti, e i veri e principali attori sono pochi uomini, che li movono con la violenza e con l'astuzia, e li usano a' fini loro.<br />
▲Lo storico avea intenzioni letterarie. La sua prosa, massime ne' ''Ricordi'', ha la precisione lapidaria di Machiavelli, con quella rapidità e semplicità e perfetta evidenza, che l'avvicina agli esempli più finiti della prosa francese, senza che ne abbia i difetti. Lo stile e la lingua in questi due scrittori giunge per vigore intellettuale ad un grado di perfezione che non è stato più avanzato. Ma il Guicciardini, di un giudizio così sano nell'andamento de' fatti umani, avea de' preconcetti in letteratura, opinioni ammesse senza esame, solo perchè ammesse da tutti. Lo scrivere è per lui, come per i letterati di quel tempo, la traduzione del parlare e del discorso naturale in un certo meccanismo molto complicato e a lui faticoso, quasi vi facesse allora per la prima volta le sue prove. Molti uomini mediocri, quali il Casa, o il Castiglione, o il Salviati, o lo Speroni, vi riescono con minore difficoltà, come disciplinati ed educati a quella forma. La sua chiarezza intellettuale e la sua rapida percezione è in visibile contrasto con quei giri avviluppati e affannosi del suo periodo. Li diresti quasi artifici diplomatici per inviluppare in quelle pieghe i suoi concetti e le sue intenzioni, se non fosse manifesta la sua franchezza spinta sino al cinismo. Sono artifici puramente letterari e rettorici. E sono rettorica le sue circonlocuzioni, le sue descrizioni, le sue orazioni, le sue sentenze morali, un certo calore d'immaginazione e di sentimento, una certa solennità di tuono. Al di sotto di questi splendori artificiali trovi un mondo di una ossatura solida e di un perfetto organismo, freddo come la logica ed esatto come la meccanica, e che non è forse in fondo se non un corso di forze e d'interessi seguiti nei loro più intimi recessi da un intelletto superiore.<br />
▲La Storia d'Italia è in venti libri e si stende dal 1494 al 1532 Comincia con la calata di Carlo ottavo, finisce con la caduta di Firenze. Apparisce in ultimo, come un funebre annunzio di tempi peggiori, Paolo terzo, il papa della Inquisizione e del Concilio di Trento. Questo periodo storico si può chiamare la «tragedia italiana», perchè in questo spazio di tempo l'Italia dopo un vano dibattersi cesse in potestà dello straniero. Ma lo storico non ha pur sentore dell'unità e del significato di questa tragedia; e il protagonista non è l'Italia e non è il popolo italiano. La tragedia c'è, e sono le grandi calamità che colpiscono gl'individui, le arsioni, le prede, gli stupri, tutt'i mali della guerra. Avvolto fra tanti «atrocissimi accidenti», sagacissimo a indagarne i più riposti motivi nel carattere degli attori e nelle loro forze, l'insieme gli fugge. La Riforma, la calata di Carlo, la lotta tra Carlo quinto e Francesco primo, la trasformazione del papato, la caduta di Firenze, e l'Italia bilanciata di Lorenzo divenuta un'Italia definitivamente smembrata e soggetta, questi fatti generali preoccupano meno lo storico che l'assedio di Pisa e i più oscuri pettegolezzi tra' principi. Sembra un naturalista, che studi e classifichi erbe, piante e minerali, e indaghi la loro struttura interna e la loro fisiologia, che li fa essere così o così. L'uomo vi apparisce come un essere naturale, che operi così fatalmente come un animale, determinato all'azione da passioni, opinioni, interessi, dalla sua natura o carattere, con la stessa necessità che l'animale è determinato da' suoi istinti e qualunque essere vivente dalle sue leggi costitutive. Considerando l'uomo a questo modo, lo storico conserva quella calma dell'intelletto, quell'apatia e indifferenza che ha un filosofo nella spiegazione de' fenomeni naturali. Ferruccio e Malatesta gl'ispirano lo stesso interesse; anzi Malatesta è più interessante, perchè la sua azione è meno spiegabile e attira più la sua attenzione intellettuale. Di che si stacca questo concetto della storia, che l'uomo, ancora che sembri nelle sue azioni libero, è determinato da motivi interni, o dal suo carattere, e si può calcolare quello che farà e come riuscirà quasi con quella sicurezza che si ha nella storia naturale. Perciò chi perde, ha sempre torto, dovendo recarne la cagione a se stesso, che ha mal calcolato le sue forze e quelle degli altri. Questa specie di fisica storica non oltrepassa gl'individui, i quali ci appaiono qui come una specie di macchinette, maravigliose, anzi miracolose alla plebe, a noi poco interessanti, perchè sappiamo il segreto, conosciamo l'ingegno da cui escono quei miracoli, e tutto il nostro interesse è concentrato nello studio dell'ingegno.<br />
▲Il Machiavelli va più in là. Egli intravede una specie di fisica sociale, come si direbbe oggi, un complesso di leggi che regolano non solo gl'individui, ma la società e il genere umano. Perciò patria, libertà, nazione, umanità, classi sociali sono per lui fatti non meno interessanti che le passioni, gl'interessi, le opinioni, le forze che movono gl'individui. E se vogliamo trovare lo spirito o il significato di questa epoca, molto abbiamo ad imparare nelle sue opere. Indi è che, come carattere morale, il segretario fiorentino ispira anche oggi vive simpatie in tutti gl'intelletti elevati, che sanno mirare al di là della scorza nel fondo delle sue dottrine, e come forza intellettuale, unisce alla profonda analisi del Guicciardini una virtù sintetica, una larghezza di vista, che manca in quello. Lui, è un punto di partenza nella storia, destinato a svilupparsi; l'altro è un bel quadro, finito e chiuso in sè.
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