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''Dallo scartafaccio segreto della contessa Livia''.
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Ieri nel mio salotto giallo, mentre
Trentanove anni!... tremo nello scrivere questa orribile cifra.
Diedi un colpetto leggiero con le mie dita affusolate sulla mano calda
Ho bisogno di mortificare la vanità. Alla inquietudine, che rode la mia anima e che lascia quasi intatto il mio corpo,
Troverò, spero, un altro conforto nello scrivere i miei casi di sedici anni addietro, ai quali vado ripensando con acre voluttà. Lo scartafaccio, chiuso a tre chiavi nel mio scrigno segreto, non potrà essere visto da occhio umano, e, appena compiuto, lo getterò sul fuoco, disperdendone le ceneri; ma il confidare alla carta i vecchi ricordi deve servire a mitigarne
O che gioia, confidarsi unicamente a sé, liberi da scrupoli, da ipocrisie, da reticenze, rispettando nella memoria la verità anche in ciò che le stupide affettazioni sociali rendono più difficile a proclamare, le proprie bassezze! Ho letto di santi anacoreti, i quali vivevano in mezzo ai vermi ed alle putrefazioni (quelle, certo, erano lordure), ma credevano di alzarsi tanto più in su quanto più si avvoltolavano nel fango. Così il mio spirito
Se non fosse
Mio marito, vecchio, acciaccoso, pieno di fiducia in me, mi lascia spendere quanto voglio e fare quel che mi piace; sono una delle prime dame di Trento: corteggiatori non mi mancano, e la cara invidia delle mie buone amiche, invece di scemare, si rinfocola sempre più.
Di venti anni ero, naturalmente, più bella. Non che le fattezze del mio volto sieno mutate, o che il mio corpo sembri meno svelto e flessuoso; ma negli occhi miei
Direi di avere toccato il colmo della mia bellezza (
Lo avevo pigliato spontaneamente, anzi lo avevo proprio voluto io. I miei erano contrarii ad un matrimonio così male assortito; né, bisogna dire la verità, il
Sino ai ventidue anni passati il mio cuore era rimasto chiuso. Le mie amiche, deboli in faccia alle lusinghe
A sedici anni avevo assodata già la mia fama scherzando con
A Venezia rinascevo. La mia bellezza sbocciava intiera. Negli occhi degli uomini brillava, quando mi guardavano, un lampo di desiderio; sentivo le fiamme degli sguardi rivolti sulla mia persona anche senza vederli. Persino le donne mi fissavano in volto, poi mi ricercavano giù giù sino ai piedi, ammirando. Sorridevo come un regina, come una dea. Diventavo, nella contentezza della mia vanità, buona, indulgente, famigliare, spensierata, spiritosa: la grandezza del mio trionfo mi faceva quasi apparire modesta.
Mio marito,
Ai freschi, alle serenate non mancavo mai. In piazza di San Marco al caffè Quadri avevo intorno un nuvolo di satelliti: ero il sole di un nuovo sistema planetario: ridevo, scherzavo, canzonavo chi voleva pigliarmi con i sospiri o con i versi, mi mostravo una fortezza inespugnata, ma non mi affaticavo poi troppo, per non iscoraggire nessuno, a sembrare proprio inespugnabile. La mia corte si componeva in massima parte di ufficialetti e
La testa piantata superbamente sul collo robusto; le spalle non erano quadre e massiccie, ma scendevano giù con grazia; il corpo muscoloso, stretto nella divisa bianca
Questo tenente di linea, il quale aveva solo ventiquattro anni, due più di me, era riuscito a divorarsi la ricca sostanza paterna, e continuando sempre a giuocare, a pagar donne, a scialarla da signore, nessuno oramai sapeva come vivesse; ma nessuno lo vinceva nel nuoto, nella ginnastica, nella forza del braccio. Non aveva mai avuto occasione di trovarsi in guerra; non amava i duelli, anzi due ufficialetti mi raccontarono una sera, che, piuttosto che battersi, aveva più volte ingoiato atrocissimi insulti. Forte, bello, perverso, vile, mi piacque. Non glielo lasciavo intendere, perché mi compiacevo
Venezia, che non avevo mai vista e che avevo tanto desiderato di vedere, mi parlava più ai sensi che
La moglie del Luogotenente volle condurmi un giorno a vedere la galleria
Mio marito fumava, russava, diceva male del Piemonte, comperava cosmetici: io avevo bisogno di amare.
Ora ecco in qual modo principiò la mia terribile passione per
Costumavo tutte le mattine di recarmi al bagno galleggiante di Rima, posto fra il giardinetto del Palazzo Reale e la punta della Dogana. Avevo preso per
Oh la bella acqua smeraldina, ma limpida, sotto alla quale vedevo ondeggiare vagamente le mie forme sino ai piedi sottili! e qualche pesce piccoletto e argentino mi guizzava intorno. Nuotavo
Sapevo che tutte le mattine, alle sette, il tenente Remigio vi andava a nuotare. In acqua era un eroe: saltava
Una mattina, mentre guardavo sulla mia coscia destra una macchietta livida, forse una contusione leggiera, che deturpava un poco la bianchezza rosea della pelle, udii fuori un romore come di persona, la quale nuotasse rapidamente.
Così principiò la nostra relazione; e
Talvolta egli premeva di soppiatto con il suo piede il mio, e non di rado mi faceva tanto male che diventavo tutta rossa in volto; ma quello stesso dolore mi piaceva. Non ero mai parsa tanto bella alla gente e a me stessa, mai tanto sana e allegra e contenta di me, della vita, di tutto e di tutti. La seggiola di paglia su cui mi adagiavo in Piazza San Marco diventava un trono; credevo che la banda militare, la quale suonava i valzer degli Strauss e le melodie del Meyerbeer innanzi alle Procuratìe vecchie, indirizzasse la sua musica soltanto a me, e mi sembrava che il cielo azzurro e i monumenti antichi godessero della mia contentezza.
Il luogo dei nostri ritrovi non era sempre il medesimo. Alle volte Remigio in una gondola chiusa mi aspettava alla riva sudicia di una lunga calletta buia, che riesciva ad un canale stretto, fiancheggiato di casupole tanto gobbe e storpie da parere crollanti, e alle finestre delle quali pendevano cenci di ogni colore; alle volte, lasciata la prudenza, si entrava in barca da qualche luogo frequentato della città, persino dal Molo innanzi alla Piazzetta. Coperta il viso
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Questo avvocatino Gino mi secca. Guarda con certi occhi stralunati, che spesso mi fanno ridere, ma qualche volta mi fanno gelare; dice che non può più vivere senza la carità
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Avevo dei risparmii miei, poi mio marito largheggiava con me, anzi era lieto quando gli domandavo qualcosa; ma venne un momento in cui gli parve che spendessi troppo. Mi offesi, mi adirai tempestosamente; egli, bonone per solito e pieghevole, tenne duro una giornata intiera.
Quella giornata appunto Remigio aveva bisogno urgente, immediato di dugentocinquanta fiorini: mi accarezzava, mi diceva tante cose belle e con una voce così ardente
Il dì seguente Remigio mancò
- Tutta la notte fuori? - domandai, non avendo capito bene.
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Il soldato alzò le spalle ghignando.
- Ma, rispondete,
Brontolò finalmente: - A cena con la Gigia, o la Cate, o la Nana, o con tutte e tre in compagnia. Altro che disgrazie!
Compresi allora che il tenente Remigio era la mia vita. Il sangue mi si gelò, caddi quasi priva di sensi sul letto nella camera buia, e
Mi piaceva in
Due sole volte e per un solo istante
Gli occhi abbacinati riposavano in certe ombre cupe, lì dove si affondava un sottoportico o si stringeva una calle; e
Mi fermai a guardare, mentre Remigio mi raccontava le sue grandezze passate. A un tratto quel diavoletto di bimbo, non potendo in una corsa precipitosa fermare il piede al ciglio della fondamenta, volò nel canale.
Intanto uno dei fanciulli più grandi
Quando seppi la cosa mi disperai: senza
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Da tre mesi non vedo questo mio scartafaccio. Non mi sono attentata di portarlo in viaggio, e mi doleva, confesso, di averlo lasciato a Trento. Riandando nella memoria i casi di tanti anni or sono, il cuore torna a palpitare e sento
Ho avuto
Ecco la costanza degli uomini, ecco la saldezza delle passioni! - Contessa Livia, muoio, mi uccido; la sua immagine sparirà dal mio petto con
E chi sposa? Una scioccherella di diciotto anni, che i suoi parenti non hanno voluto condurre in casa mia, perché la contessa Livia, si sa, è donna troppo galante; una scipita con due mele ingranate per guance, le mani corte, grasse e rosse, i piedi da stalliere, e
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Il mio ufficiale di sedici anni addietro, se non era un
Cominciavano a diffondersi delle vaghe voci di guerra, poi le solite notizie contradditorie e le consuete smentite: armano, non armano, sì, no; intanto un certo movimento insieme febbrile e misterioso si propagava dai militari ai civili, i treni della ferrovia principiavano a ritardare, a portare giù nuovi soldati e cavalli e carriaggi e cannoni, mentre i giornali non ismettevano di negare pur
Nel dargli
Il conte, ritornando dalla campagna, mi trovò, dieci o dodici giorni dopo la partenza di Remigio, smagrita e pallida. Soffrivo in realtà moltissimo. Di quando in quando sentivo delle accensioni alla testa e mi venivano dei capogiri, tanto che tre o quattro volte, barcollando, dovetti appoggiarmi alla parete o ad un mobile per non cadere. I medici, che mio marito, premuroso ed inquieto, volle consultare, ripetevano, stringendosi nelle spalle: - Affare di nervi -; mi raccomandarono di far moto, di mangiare, di dormire e di stare allegra.
Eravamo alla metà
Avevo le furie in corpo: da Verona in sei settimane
Una mattina,
- Ti fermi a Trento, non è vero?
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- Uno?
- Parto fra
Rimasi accasciata; il mio cuore, pieno un minuto prima di gaie speranze, si riempì
- E non tentare di trattenermi. In tempo di guerra non si scherza.
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- Ad ogni costo.
- Senti dunque. Con duemilacinquecento fiorini i due medici
- Mi piacerebbe, se tu fossi a Trento. Verrei da te ogni giorno, due volte al giorno. Già quando ti credono malato, stare a Verona o a Trento non è lo stesso?
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- No, i regolamenti vogliono che il militare malato stia nella sede del Comando, sotto la continua e coscienziosa vigilanza dei medici. Ma, appena finita la guerra, tornerò qua. La guerra sarà fiera, ma breve.
- Mi amerai sempre, mi sarai sempre fedele, non guarderai
- Sì, sì, te lo giuro; ma
- Subito?
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- Sicuro, devo portarli con me.
- Ma nello scrignetto credo di avere appena una cinquantina di napoleoni
- Insomma, trovali.
- Come vuoi
-
- Non ti amo? io che ti darei volentieri tutto il mio sangue.
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Mi prendeva le mani, e le baciava.
Ero già vinta. Andai alla scrivania a prendere le tre piccole chiavi dello scrignetto: temevo di far romore; camminavo in punta di piedi, benché avessi i piedi nudi. Remigio mi accompagnò nel gabinetto dietro
- Ecco, prendi.
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Costò quasi dodicimila lire. Troverai da venderlo?
Remigio mi tolse di mano
- Usurai ce
- Sarebbe un peccato il darlo via per poco. Cerca modo di poterlo ricuperare.
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- E i denari me li dai? - chiese Remigio, - mi farebbero comodo.
Cercai nello scrigno i napoleoni
- Se ti preme la mia vita, lasciami andare.
- Fa piano, non senti che gli stivali scricchiolano? E poi, aspetta. Voglio vedere se
La cameriera, infatti, attendeva in una stanza vicina.
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- Ogni due giorni?
Volevo dare un ultimo bacio
Aperte le invetriate, guardai nella via. Il sole indorava le alte cime dei monti. Innanzi al portone stavano discorrendo fra loro il mozzo di stalla ed il guattero. Alzarono gli occhi e mi videro; poi videro uscire dal palazzo Remigio, che camminava in fretta con le tasche
Tornai a letto e piansi tutto il giorno:
"Livia adorata,
Amami sempre come io
REMIGIO".
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La lettera mi lasciò sconcertata e disgustata, così mi parve volgare; ma poi, nel tornarvi su, a poco a poco mi persuasi che il tono in cui era scritta fosse affettatamente leggiero e gaio, e che
Vivevo quasi nella solitudine. Già la mia società
Scrissi a Verona ad un generale che conoscevo, a due colonnelli, poi a qualcuno di quegli ufficialetti, i quali mi avevano tanto corteggiato a Venezia: nessuno rispose. Tempestavo Remigio di lettere; niente.
Intanto le ostilità principiarono: la vita civile era soppressa; la ferrovia, le strade non servivano ad altro che ai carriaggi delle munizioni, delle ambulanze, delle proviande, agli squadroni di cavalleria, che passavano in mezzo a nuvoli di polvere, alle batterie, che facevano tremare le case, ai reggimenti di fanteria, che si svolgevano
Una mattina calda, affannosa, il 26 del giugno, capitarono le prime notizie di una battaglia orribile:
Mio marito era in villa, e doveva starci una settimana. Suonai con furia; la cameriera non veniva; tornai a suonare; si presentò
- Dormite tutti? maledetti poltroni. Fammi venire subito il cocchiere, ma subito, intendi?
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- No, signora contessa; andai da Roveredo a Verona.
- Fa lo stesso. Da qui a Roveredo so bene
- Due ore e mezzo, scusi, signora contessa.
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- Sì, insieme.
Giacomo sorrise con una
- Scusi, signora contessa, non è possibile. Lo stallone...
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- Signora padrona, scusi, ma questo proprio non si può.
- Ed io lo voglio, hai capito? - replicai con accento così imperioso che il
- Abbia compassione di me. Accopperemo le due cavalle, e il padrone mi caccerà sulla strada.
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- La responsabilità è mia. Obbedisci e non pensare ad altro - e gli diedi quattro marenghi. - Ti darò il doppio quando saremo tornati, ad un patto per altro, che tu non dica niente a nessuno.
- Per questo non
- Ci penso io.
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- Bene, alle quattro dunque, e silenzio. Se taci avrai quello che ti ho promesso, se parli ti licenzio sui due piedi e senza salario. Hai inteso? Bada che tutti, anche la cameriera, devono credere che andiamo a San Michele, dalla marchesa Giulia.
Giacomo, rannuvolato,
Di quando in quando bisognava rallentare la corsa con mio fiero dispetto, o a dirittura fermarsi alcuni minuti per aspettare che i pesanti e cigolanti carri avessero lasciato libero il passo: le cose per altro andavano assai meglio di quello che avesse predetto Giacomo. Una pattuglia di gendarmi a cavallo fermò la carrozza, ma il sergente, vedendo che
Fino ad ora eravamo scesi con la corrente degli uomini e dei veicoli, ora ci
Mi feci accompagnare a piedi da un ragazzaccio nella via Santo Stefano al numero 147.
Si dovette camminare più volte su e giù nella strada, guardando
- Chi è?
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- Sta qui il tenente Remigio Ruz?
-
Il fanciullo suonò
- Chi è?
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Passò un altro minuto e finalmente la porta si aprì.
Remigio
Toccavo la cima delle mie speranze, sentivo già le braccia
La consolazione mi fiaccava: dovetti sedermi sopra una seggiola, che stava accanto
Io non mi potevo più muovere; ero inchiodata al mio posto, con gli occhi fissi, le orecchie tese, la gola arsa.
- Mostrami i ritratti della contessa Livia.
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- Mostrameli, te ne prego.
- È bella la contessa Livia?
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- Nessuna donna mi può parer più bella di te.
- Vedi, in questa fotografia il vestito da ballo lascia scoperte le braccia intiere e le spalle giù giù - e la fanciulla
- Guarda, ti sembro più bella?
- Mille volte più bella.
La fanciulla, accanto alla lucerna, fissando negli occhi
- Ma tu, cattivo, le dici pure di volerle bene.
- Sai che glielo dico il meno possibile; ma ho bisogno di lei, e non saremmo qui insieme, cara, se non
- Quanto
- Cinquecento fiorini, che sono già in parte sfumati. Bisogna scrivere a Trento alla cassa: ogni parola dolce, un marengo.
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- Eppure - disse la donna con gli occhi pieni di lagrime - eppure mi pesa.
In quel punto il cuore mi si rivoltolò dentro:
Tante emozioni
Poco dopo entrarono due altri ufficiali; un giovinetto, che poteva avere diciannove anni, lungo, smilzo, con i baffetti sottili, ed un uomo sui quaranta, tozzo, pesante, con il muso pavonazzo a bitorzoli ed a bernoccoli, le larghe sopracciglia nere come il carbone e due mustacchi sotto il naso grosso così folti ed irti che parevano setole; aveva in bocca una pipa boema, corta nel cannello, ma enorme nel camino, dalla quale uscivano ampie nubi di fumo, che andavano
Il giovinetto andò dritto a salutare gli ufficiali
- Bisognerebbe che aggiustassero quelle dei nostri generali - brontolò il Boemo, ghignando.
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Nessuno badava a me.
Entrò, sola, una ragazza, pareva una crestaia, e si pose a sedere a lato
- Me lo paghi un caffè?
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- Guardala bene. E come sta Remigio?
- Qualche doloretto alla gamba, che lo fa guaire ogni tanto, e zoppica un poco, ecco tutto. È stata proprio una malattia provvidenziale quella. Gli altri arrischiano la pelle, si logorano nelle fatiche, nei calori
- Chi vuoi che lo mantenga quel buon mobile?
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- Povera sciocca!
- Remigio la chiama la sua Messalina. Non me ne ha detto il casato, ma mi ha confidato
-
- Contessa Livia, Livia, ricordatelo bene - gridò
Costanza riprese:
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- Ma Remigio è malato per davvero?
- Oh per questo poi sì. Capisci bene che non la si dà a bere a quattro medici: uno del reggimento di Remigio, un altro scelto dal generale in un altro reggimento e due
- Finita la guerra, guarita la gamba insistette la Costanza.
- Non lo dite neanche per ischerzo - osservò il secondo ufficiale sdraiato, il quale fino allora non aveva fatto sentir la sua voce. - Sai che per il solo sospetto di un inganno il tenente ed i medici verrebbero fucilati in
- E se la meriterebbero, per Dio - esclamò ruggendo il Boemo senza cavarsi la pipa di bocca.
- Il generale Hauptmann non aspetterebbe neanche
A queste parole
- Il generale Hauptmann! - ripetevo tra me.
Le vampe, che mi salivano al capo,
Uscii con lui. Durante la via, che non era lunga, mi disse poche e rispettose parole. Io gli chiesi chi fosse il generale Hauptmann, dove avesse il suo uffizio e altre notizie, le quali mi premevano per le mie buone ragioni. Seppi come il generale del Comando stesse in Castel San Pietro.
Il portone
- Sono io, signora contessa, io che vorrei dirle, col debito ossequio, una sola parola.
Abbassai il cristallo, e
- Non manca né una carta, né un soldo.
- Ma le carte sono state lette? - e pensavo alla lettera di Remigio,
- No, signora contessa. Sono stati visti i suoi biglietti da visita e il ritratto del tenente Remigio: niente altro, lo dichiaro sul mio onore.
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La mattina seguente, prima delle nove, mi feci condurre nella mia carrozza al Comando della fortezza.
Fui condotta attraverso logge, corridoi e terrazze in una sala, che dominava dalle tre larghe finestre la città intiera.
Entrarono nella sala con fracasso di risa e salti due bimbe, le quali avevano il volto color di rosa e i capelli biondi paglierini. Vedendomi, di primo botto rimasero impacciate, ma poi subito si fecero coraggio e mi vennero accanto. La più grandicella disse:
- Signora,
- No, fanciulla mia, aspetto il tuo babbo.
- Il babbo non
- Lo voglio vedere io il babbo - gridò la più piccina. - Gli voglio tanto bene io al babbo.
In quella entrò il generale, e le bimbe gli corsero incontro, gli si avviticchiarono alle gambe, tentavano di saltargli sulle spalle; egli prendeva
- Scusi, signora;
Feci un cenno al generale perché allontanasse le bambine, ed egli disse loro con voce piena di dolcezza: - Andate, figliuole mie, andate, dobbiamo parlare con la signora.
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- No, sono trentina.
- Ah, va bene - esclamò, guardandomi con una
- Legga - e gli porsi in atto risoluto la lettera di Remigio, quella che avevo ritrovata nel taschino del portamonete.
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- Sì, generale.
- Dunque
Non risposi. Il generale cavò di tasca un sigaro e lo accese,
- Dunque, ho fretta, si sbrighi.
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- E poi?
- La lettera parla chiaro.
- Ho inteso. Il tenente era
- Dei medici non
Il generale stette un poco meditabondo con le ciglia aggrottate, poi mi stese la lettera, che gli avevo data:
- Signora, ci pensi: la delazione è
- Signor generale - esclamai, alzando il viso e guardandolo altera - compia il suo dovere.
La sera, verso le nove, un soldato portò
"Domattina alle quattro e mezzo precise verranno fucilati nel secondo cortile di Castel San Pietro il tenente Remigio Ruz ed il medico del suo reggimento. Questo foglio servirà per assistere alla esecuzione. Il sottoscritto chiede scusa alla signora contessa di non poterle offrire anche lo spettacolo della fucilazione degli altri medici, i quali, per ragioni che qui è inutile riferire, vennero rimandati ad un altro Consiglio di guerra.
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Alle tre e mezzo nella notte buia uscivo a piedi
Le stelle impallidivano, si diffondeva intorno un albore giallastro. Seguii
Non so che cosa seguisse; leggevano, credo; poi udii un gran frastuono, e vidi il giovane bruno cadere, e nello stesso punto mi accorsi che Remigio era nudo fino alla cintura, e quelle braccia, quelle spalle, quel collo, tutte quelle membra, che avevo tanto amato,
Alla vista di quella femmina turpe si ridestò in me tutto lo sdegno, e con lo sdegno la dignità e la forza. Avevo la coscienza del mio diritto,
Alla soglia del cancello mi sentii strappare il velo dal volto; mi girai e vidi innanzi a me il grugno sporco
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- Livia, sei un angelo!
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