Rime (Stampa)/Rime d'amore/CCXLIV: differenze tra le versioni
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De le ricche, beate e chiare rive
ove sì dolce si soggiorna e vive,
donna, avendo lontano il suo signore,
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per isfogar gli ardenti disir suoi,
con queste voci lo sospira e chiama;
voi, rive, che
Tu, che volando vai di rama in rama,
consorte amata e fida tortorella,
e sai quanto si tema e quanto
quando, volando in questa parte e
sei vicina al mio ben, mostragli aperto
in note,
digli
or che, lassa, da lui mi trovo lunge
per ria fortuna mia e non per merto.
E tu, che
Eco, soggiorni, il suon
rendi a
E voi, dolci aure ed amorosi venti,
i miei sospir accolti in lunga schiera
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mostrate tutte al mio signore espresso
che non pur i diletti mi son noia,
ma la vita
Ei si portò, partendo, ogni mia gioia,
e, se, tornando omai, non la rimena,
per forza converrà tosto
La speme sola al viver mio dà lena,
la qual, non
da soverchio disio vinta e da pena.
liete e tranquille, mentre
or
Ma, lassa, a torto del suo mal si pente,
a torto chiama il suo destin crudele,
chi volontario al suo morir consente.
Lassa, io devea con mie giuste querele
far che non andasse, o far
non desse al vento senza me le vele;
né temenza
non
Emendate, signor, la colpa mia
voi, ritornando ove
più che la propria vita si disia.
E, se rimena il sole un dì quel giorno,
non pensate mai più da me partire,
poi
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