Morgante/Cantare ventesimoprimo: differenze tra le versioni

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<poem>
<span style="font-size:80%">1</span>&nbsp;&nbsp; Dio ti salvi, Maria di grazia piena,
e il Signor teco in sempiterno sia,
o benedetta, o santa, o nazarena
fra tutte l'altrel’altre donne tu, Maria;
sanza la qual la mia barchetta arrena,
se non aiuti nostra fantasia
che insino a qui fatta hai tanto veloce:
non mi lasciar, ch'i'ch’i’ veggo omai la foce.
 
<span style="font-size:80%">2</span>&nbsp;&nbsp; I forestieri e tutti i terrazzani
ognun si rappresenta in su la piazza.
Era, a veder, la ciurma de'de’ pagani
cosa parte mirabil, parte pazza:
mai non si vide tanti uomini strani,
di tante lingue e d'ognid’ogni nuova razza.
Disse Rinaldo: - In piazza ce n'andiamon’andiamo,
e tutta questa gente sbaragliamo. -
 
<span style="font-size:80%">3</span>&nbsp;&nbsp; Mettono in punto l'armel’arme e'e’ lor destrieri.
Lo 'mperador’mperador fa intanto diceria:
- Chi si vanta di voi, buon cavalieri,
di vendicarmi della ingiuria mia,
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<span style="font-size:80%">4</span>&nbsp;&nbsp; Levossi ritto il gran Can di Gattaia,
e disse: - Io sarò quello, imperadore,
che, s'ios’io dovessi ucciderne a migliaia,
al conte Orlando vo'vo’ cavare il cuore. -
E così gli altri ognun si vanta e abbaia
uccider pure Orlando il traditore,
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<span style="font-size:80%">5</span>&nbsp;&nbsp; Rinaldo in su la piazza il primo viene.
Can di Gattaia, come l'hal’ha veduto,
disse: - Baron, s'ios’io ti conosco bene,
ch'alch’al soprassegno t'hot’ho riconosciuto,
per Macometto, ancor rider mi tiene
che tu credevi e'e’ ti fussi creduto
a chieder soldo con quattro poltroni
a misura di crusca e di carboni. -
 
<span style="font-size:80%">6</span>&nbsp;&nbsp; Disse Rinaldo: - S'ioS’io chiesi per cento,
a questa volta io ne vo'vo’ due cotanti;
e s'eglis’egli è ver quel che da molti sento,
tu se'se’ fra questi il primo che ti vanti
di far tante vendette o fummo o vento:
se vuoi giostrar con meco, fatti avanti! -
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turbato tutto una gran lancia prese,
 
<span style="font-size:80%">7</span>&nbsp;&nbsp; e va inverso Rinaldo, acceso d'irad’ira.
Rinaldo riscontrò questo arrabbiato:
al gorzaretto gli pose la mira
e 'l’l collo con la lancia gli ha infilzato,
sì che pel gorgozzul l'animal’anima spira.
Lo 'mperador’mperador di ciò molto è crucciato,
e dice: - Troppe volte offeso m'haim’hai;
ma d'ognid’ogni cosa te ne pentirai. -
 
<span style="font-size:80%">8</span>&nbsp;&nbsp; Disse Rinaldo: - A non tenerti a tedio,
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e questo è quel famoso Orlando conte
contra al qual sai che non arai rimedio;
e questo è Ulivier, che t'èt’è qui a fronte;
e questo è Ricciardetto, mio fratello,
ed Aldighieri, e a me cugino e a quello.
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Né prima ebbe Rinaldo così detto
che cominciò a fuggir quel popol matto.
Lo 'mperador’mperador, sentendo tale effetto,
sùbito disse come stupefatto:
- Può far questo fortuna o Macometto?
Piglia del campo come reo nimico,
ch'ioch’io ho a purgar più d'und’un peccato antico. -
 
<span style="font-size:80%">10</span> Rinaldo si voltò pien di furore;
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<span style="font-size:80%">11</span> Ed Aldighier con sua gente dà drento,
e 'l’l conte Orlando fa incredibil cose,
ed Ulivier non serba il suo ardimento,
né Ricciardetto il suo certo nascose.
Ma 'n’n piccol tempo il gran furor fu spento,
ché, veggendo tante arme sanguinose
e ricordare Orlando ed Ulivieri
e 'l’l prenze, ognun si fugge volentieri.
 
<span style="font-size:80%">12</span> E per arroto Orlando aveva morto
nella battaglia il gran re di Murrocco:
questo fu quel che diè tanto sconforto
che 'l’l popol si fuggì bestiale e sciocco.
Ognun la nave sua ritruova al porto
sanza aspettar più greco che scilocco:
e 'n’n questo modo finiva la guerra,
e'e’ cristian nostri pigliorno la terra.
 
<span style="font-size:80%">13</span> E nel palazzo ove lo 'mperio’mperio stava
vanno Rinaldo, Orlando ed Aldighieri;
e Ricciardetto ed Ulivier v'andavav’andava,
e di Rinaldo un gentile scuderi,
il qual con Aldighier si battezzava
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<span style="font-size:80%">14</span> benché Aldighier per nulla non voleva.
Poi battezzâr quell'ostequell’oste Chiarïone
ed una bella figlia ch'eglich’egli aveva,
che medicò con tanta affezïone
Rinaldo, e ristorar costei voleva.
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vi capitò, quel di buona dottrina.
 
<span style="font-size:80%">15</span> E come e'e’ fu dismontato di nave,
sentì come costor son coronati
e che tenien dello imperio la chiave:
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di dar la figlia del loro oste a quello,
e dissegli: - Fanciulla mia piacente,
ascolta e 'ntendi’ntendi ben quel ch'ioch’io favello.
Io ti promissi di tòr per isposa:
questo sarebbe a me impossibil cosa,
 
<span style="font-size:80%">17</span> ch'ioch’io ho lasciato altra mogliera in Francia;
ma vo'vo’ che Greco qui tuo sposo sia;
e darotti tal dota e sì gran mancia
che sempre ognun di voi contento fia. -
Un poco rossa si fece la guancia
quella fanciulla; e poi gli rispondia
ch'erach’era contenta alle sue giuste voglie:
e così Greco la tolse per moglie;
 
<span style="font-size:80%">18</span> ma innanzi che la tolga è battezzato.
Rinaldo gli donò poi tanto avere
che del servigio l'hal’ha ben meritato,
e sanza navicar potrà godere.
Però questo proverbio è pur provato,
che mai non si perdé nessun piacere,
e bench'abench’a molti uom serva sanza frutto,
per mille ingrati un sol ristora il tutto.
 
<span style="font-size:80%">19</span> Poi fecion Chiarïon governatore
di tutto il regno, che si ricordorno
che di sua povertà fe'fe’ loro onore.
E riposati in Monaca alcun giorno,
per aiutare infin quel traditore
del conte Gan, da lui s'accomiatornos’accomiatorno;
e non potrebbe lingua o penna dire
qual fussi il pianto in questo lor partire:
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<span style="font-size:80%">20</span> piangea il padron che pareva battuto;
piangea la dama dolorosamente;
piangea l'ostierl’ostier, ch'assaich’assai glien'èglien’è incresciuto;
piangeva il popol tutto unitamente;
piangea Rinaldo, e non sare'sare’ creduto;
piangeva Orlando e 'l’l marchese possente;
piangeva Ricciardetto ed Aldighieri;
piangeva insino al povero Rinieri.
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chi vuol che Greco al governo restassi,
chi dice Chiarïone e Greco seco,
e l'unol’uno e l'altrol’altro insieme governassi.
Ma, a mio parere, è Chiarïon, non Greco,
acciò ch'ognunch’ognun Rinaldo ristorassi,
e perch'egliperch’egli era della città nato
e de'de’ costumi lor più ammaestrato.
 
<span style="font-size:80%">22</span> Orlando e gli altri insieme se ne vanno,
tanto che son presso a Castelfalcone;
e due pastori appresso trovati hanno:
l'unol’uno era quel che mandò Ganellone
a Bambillona, e gran festa gli fanno;
e domandâr se Gan vivo è in prigione
o s'eglis’egli è morto, o quel ch'erach’era seguìto,
se lo sapeva, o quel ch'e'ch’e’ n'han’ha sentito.
 
<span style="font-size:80%">23</span> Il pastor disse ch'eglich’egli è vivo e sano
nella prigion, ma con assai disagio.
Poi prese del caval la briglia in mano
d'Orlandod’Orlando, e tutti gli mena al palagio
dove stava il pastor che impiccò Gano,
dicendo: - Qui solea star quel malvagio
ch'aveach’avea il corsier di Rinaldo imbolato:
noi c'imbucamoc’imbucamo, come e'e’ fu impiccato. -
 
<span style="font-size:80%">24</span> Quivi son tutti i cristiani smontati;
e pastor certi capretti uccidiéno,
e certi lor lattonzi hanno infilzati;
del latte v'èv’è da versarsi pel seno;
e'e’ destrier son come lor vezzeggiati:
gran sacca d'orzod’orzo e gran fasci di fieno.
Rinaldo disse: - Al mio date orzo e paglia:
e poi si dice caval da battaglia. -
 
<span style="font-size:80%">25</span> Quivi mangiorno e riposârsi alquanto.
Orlando que'que’ pastor vien domandando
come il castel pigliar si possi, intanto;
e'e’ pastor tutto venien disegnando
come guardato sia da ogni canto,
e per sei porte vi si viene entrando,
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barbuta e guercia e maliziosa e pronta,
e sempre aveva spiriti incantati,
e par piena di rabbia, d'irad’ira e d'ontad’onta;
e per paura non è chi la guati:
pilosa e nera, arricciata e crinuta,
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<span style="font-size:80%">27</span> mai non si vide più sozza figura,
tanto ch'ellach’ella pareva la versiera,
e Satanasso n'arebben’arebbe paura
e Tesifóne ed Aletto e Megera;
e gran fatica fia drento alle mura
entrar per questa spaventevol fiera.
E de'de’ giganti ogni cosa contavano
di lor costumi, e quel che in man portavano.
 
<span style="font-size:80%">28</span> Or questo è quel ch'ach’a Rinaldo piaceva,
quanto e'e’ sentia più cose oscure e sozze;
e dove far qualche mischia credeva,
e'e’ gli pareva proprio andare a nozze.
Non domandar come il cuor gli cresceva!
e dice: - Se le man non mi son mozze,
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<span style="font-size:80%">30</span> Questo lïon di terra un salto spicca
ed a Rinaldo si scagliava addosso,
e'e’ fieri artigli nello scudo ficca;
la bocca aperse e 'l’l capo un tratto ha scosso.
Rinaldo un colpo alle zampe gli abbricca
e tagliagli la carne e 'l’l nervo e l'ossol’osso:
donde il lïon diè in terra della bocca;
allor Rinaldo alla testa raccocca
 
<span style="font-size:80%">31</span> e spiccò il capo dallo 'mbusto’mbusto a questo,
e morto si rimase in su la soglia.
Disse Aldighieri: - Io mi ti manifesto:
uccider vo'vo’ quest'altroquest’altro, ch'ioch’io n'hon’ho voglia. -
Rinaldo gli rispose: - Uccidil presto,
acciò che non ti dessi affanno e doglia. -
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Orlando disse: - Il terzo uccidrò io. -
Ecco il lïon che inverso lui ne viene
e 'nginocchiossi’nginocchiossi mansüeto e pio.
Orlando Durlindana sua ritiene,
e disse: - Questo è misterio di Dio.
Seguite me, ché 'l’l Ciel ci spigne drento,
e non arem dagli altri impedimento. -
 
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e questo come scorta innanzi andava.
Orlando inverso i giganti ne gìa:
maravigliârsi, e l'unl’un di lor parlava:
- Che gente è questa, e donde entrata fia?
Può fare il Ciel che'che’ lïon non gli udissino
e tutti a sei a un'ottaun’otta dormissino?
 
<span style="font-size:80%">34</span> Questo mi par pure il più nuovo caso. -
Subitamente uscîr fuor del palazzo;
fecesi innanzi l'unl’un ch'èch’è sanza naso,
e va inverso Rinaldo come un pazzo:
la barba lunga aveva e 'l’l capo raso.
Rinaldo guarda quel viso cagnazzo
che non parea né d'uomd’uomd'animalid’animali,
e disse: - Dove appicchi tu gli occhiali?
 
<span style="font-size:80%">35</span> con che fiuti tu l'annol’anno le rose?
Tu par'par’ bestia dimestica a vedere. -
Questo gigante a Rinaldo rispose:
- Io tel farò, ghiotton, tosto sapere. -
Rinaldo un colpo alla zucca gli pose
ch'arebbech’arebbe ben dimezzate le pere,
e cacciagli Frusberta insino agli occhi,
tanto che morto convien che trabocchi.
 
<span style="font-size:80%">36</span> Come e'e’ fu in terra questo fastellaccio,
l'altrol’altro s'avventas’avventa addosso ad Aldighieri:
volle menargli d'und’un suo bastonaccio;
ma e'e’ prese un salto che parve un levrieri,
e schifa il colpo; e menavagli al braccio,
tal che, se sa schermir, gli fa mestieri,
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Aldighier, quando lo vide caduto,
subitamente un gran colpo gli mena:
al collo del gigante s'ès’è abbattuto
e con la spada tagliente lo svena.
L'altroL’altro fratel, come questo ha veduto,
si scaglia a Ulivier di furia acceso,
ed abbracciollo, e portanel di peso
 
<span style="font-size:80%">38</span> come farebbe il lupo un pecorino.
Ma 'l’l buon pastore Orlando lo soccorse,
e disse: - Posa, posa, saracino,
posalo giù: tu non credevi forse
che fussi presso il guardian né 'l’l maschino. -
Di che il gigante per ira si morse,
che 'l’l sangue a Ulivier voleva bere,
ma per paura sel lascia cadere.
 
Line 353 ⟶ 348:
e nella trippa una punta disserra,
dicendo: - Tu berai la morte amara! -
e con quel colpo morto giù l'atterral’atterra,
e bisognòe che trovassi la bara.
Eron già morti tre, restavane uno,
ch'erach’era più fiero e forte che nessuno.
 
<span style="font-size:80%">40</span> Orlando disse: - La battaglia è mia,
e tocca a me quest'altroquest’altro che ci resta. -
E 'l’l fer gigante, pien di bizzarria,
d'und’un mazzafrusto gli diè in su la testa,
che poco men ch'Orlandoch’Orlando non cadia.
Gridò Rinaldo: - Ed anco tua fia questa
picchiata, come hai detto la battaglia.
Non se'se’ tu Orlando, o 'l’l brando più non taglia? -
 
<span style="font-size:80%">41</span> Allora Orlando lo scudo abbandona
e 'l’l pome della spada appoggia al petto,
e 'nverso’nverso il saracin se stesso sprona,
quando e'e’ sentì quel che 'l’l cugino ha detto,
e terminò passargli la persona:
giunse la punta al bellico al farsetto,
ch'erach’era di ferro, ed ogni cosa infilza,
e passò il ventre e 'l’l fegato e la milza;
 
<span style="font-size:80%">42</span> e rïuscì di drieto un braccio o piùe
Line 380 ⟶ 375:
e questo pilastron rovina giùe,
e mancò poco non gli cadde addosso,
se non ch'Orlandoch’Orlando molto destro fue;
e parve che 'l’l terren si sia riscosso.
Della qual cosa in gran superbia monta
la fiera madre incantata Creonta.
Line 390 ⟶ 385:
travolge gli occhi e la bocca avea aperta:
non fu tanto Ericon mai infuriata.
Rinaldo l'aiutaval’aiutava con Frusberta,
ma di tagliarla la spada s'infignes’infigne;
allor Rinaldo la gola gli strigne.
 
<span style="font-size:80%">44</span> Ell'avevaEll’aveva Aldighier ghermito in modo
che sare'sare’ me'me’ abbracciare un orsacchino,
e portanelo a forza, e tiello sodo.
Orlando gli ponea le mani al crino,
ma non poteva ignun disfar tal nodo;
ed Aldighier gridava pur, meschino:
- Io credo che 'l’l dïavol m'abbim’abbi preso
e nello inferno mi porti di peso! -
 
<span style="font-size:80%">45</span> Orlando allor gli mena della spada,
ma indrieto si ritorna Durlindana,
quantunque ella sia forte e ch'ellach’ella rada.
Dicea ridendo la donna pagana:
- Voi date al vento i colpi o la rugiada,
a ferir me; ch'ognich’ogni fatica è vana:
non ne potete aver di questo vello
per nessun modo, o uscir del castello. -
Line 414 ⟶ 409:
<span style="font-size:80%">46</span> Orlando tutto allor si raccapriccia,
e vede che costei gli dice il vero;
a tutti in capo ogni capel s'arriccias’arriccia
veggendo quel demòn cotanto fiero,
la faccia brutta, affummicata, arsiccia:
Line 425 ⟶ 420:
e come questo in pace mai comporti,
massime avendo i suoi nimici in gabbia!
Poi si ricorda di mill'altrimill’altri torti
pur de'de’ suoi figli, e per grande ira arrabbia,
come fa Salaý del cadimento,
ch'udendolch’udendol ricordar par sì scontento.
 
<span style="font-size:80%">48</span> Poi diventò più che Niello gentile;
Line 437 ⟶ 432:
non par Sottìn, che in francioso parlasse,
non Obysìn per certo alla favella,
o Rugiadàn, che ne portò l'anellal’anella;
 
<span style="font-size:80%">49</span> e non parea nel suo parlar Bilette
Line 448 ⟶ 443:
e cominciò a parlar discretamente:
 
<span style="font-size:80%">50</span> Io vi perdono, io vo'vo’ con tutti pace,
tanto m'aggradam’aggrada vostra gagliardia;
e libero sia Gan come vi piace:
disposta son non vi far villania.
De'De’ miei figliuol, quantunque e'e’ mi dispiace,
altra vendetta non vo'vo’ che ne sia,
se non che mai di qui non uscirete;
e fate tutti ciò che far sapete. -
Line 459 ⟶ 454:
<span style="font-size:80%">51</span> Era ciascun tutto maravigliato,
e trasson di prigion sùbito Gano,
ch'erach’era in una citerna incarcerato
nell'acquanell’acqua, in luogo molto oscuro e strano;
e come e'e’ fu di prigion liberato,
e'e’ pose presto alla spada la mano
e vuol Creonta a ogni modo uccidere;
e finalmente e'e’ la vedeva ridere.
 
<span style="font-size:80%">52</span> Orlando ed Ulivier si riprovorno,
e gli altri, se potessino ammazzalla,
e molti colpi alla donna menorno:
ella rideva, e 'l’l lor pensier pur falla.
Alcuna volta alla porta n'andornon’andorno:
quivi persona non era a guardalla;
ma per se stessa, come ignun s'accostas’accosta,
si riserrava ed apriva a sua posta.
 
<span style="font-size:80%">53</span> Dunque e'e’ si reston pur drento al castello,
ognun da questo error molto confuso.
Intanto Malagigi lor fratello,
gittando l'artel’arte un giorno come era uso,
vide e conobbe finalmente quello
come Rinaldo suo si sta rinchiuso,
Line 484 ⟶ 479:
e sùbito a Guicciardo lo dicìa;
 
<span style="font-size:80%">54</span> ed a Parigi presto 'Astolfo’Astolfo scrisse
che sùbito venissi a Montalbano.
Astolfo per camin tosto si misse,
Line 498 ⟶ 493:
tre cavalier pagani hanno scontrati,
e salutârsi nel nome di Dio.
L'unL’un di costor, come e'e’ si son trovati,
guardava pur d'Astolfod’Astolfo il suo cavallo,
e non si vergognò di domandallo.
 
Line 506 ⟶ 501:
e dice: - Mai caval non vidi alcuno
che non avessi in sé qualche magagna;
salvo ch'ioch’io n'hon’ho pure oggi veduto uno,
e 'ntendo’ntendo che con meco si rimagna. -
Diceva Astolfo: - Odi pensier fallace!
Quanto più il lodi, tanto più mi piace. -
 
<span style="font-size:80%">57</span> Ecco ch'ognunch’ognun questo caval vorrebbe!
- Ah, - disse Lïombrun - tu non vuoi intendere! -
Diceva Astolfo: - E chi t'intenderebbet’intenderebbe? -
Disse il pagan: - Chi ti facessi scendere. -
Rispose Astolfo: - Più di me potrebbe.
- O s's’ tu nol vuoi giucar, donar né vendere,
vo'vo’ che tu l'abbil’abbi con la lancia in mano:
prendi del campo allor - disse il pagano.
 
Line 523 ⟶ 518:
abbassaron le lance con gran fretta;
ma, perché la sua regola non falli,
Astolfo si trovò sopra l'erbettal’erbetta
tra mille odori e fior vermigli e gialli.
Alardo che 'l’l vedea: - Sia maladetta, -
diceva - Astolfo, la tua codardia!
Mai più cadesti, per la fede mia! -
Line 531 ⟶ 526:
<span style="font-size:80%">59</span> Lïombruno il caval voleva allora.
Alardo disse: - Io il credo tu il torresti.
E'E’ ci è di molta via sassosa ancora:
vedi che non se'se’ oca, e beccheresti.
E'E’ ti convien con meco giostrare ora,
e s's’ tu m'abbattim’abbatti, vo'vo’ che tuo si resti;
ma non istimo come lui cadere,
ch'ioch’io non ismonto prima ch'ach’a l'ostierel’ostiere. -
 
<span style="font-size:80%">60</span> Lïombrun disse: - Tu fai villania,
ma non la stimo perch'ioperch’io non ti prezzo.
Veggiàn come tu smonti all'osteriaall’osteria:
tu ne potresti scender prima un pezzo.
Piglia del campo, e disfidato sia,
ch'ioch’io so di chi sarà il caval da sezzo. -
Alardo si voltò sì destro e snello
che ben parea di Rinaldo fratello.
 
<span style="font-size:80%">61</span> «Ah!» disse Antea, «e'e’ si conosce bene
la prodezza del sangue di Chiarmonte!».
Or ecco Lïombrun che innanzi viene,
e con le lance si truovono a fronte;
ma il saracin d'Alardod’Alardo non sostiene
il colpo, ch'eglich’egli arìa passato un monte:
la lancia gli trapassa il cor pel mezzo,
e morto cadde tra'tra’ fioretti al rezzo.
 
<span style="font-size:80%">62</span> Diceva l'unl’un coll'altrocoll’altro suo compagno:
- Questo sarebbe troppo a'a’ paladini:
qui è poca civanza e men guadagno;
costor non son per certo saracini:
e'e’ sarà buon mostrar loro il calcagno
e ritornarci ne'ne’ nostri confini. -
E fecion come e'e’ disson tosto e netto,
però che tolson sù presto il sacchetto.
 
<span style="font-size:80%">63</span> Astolfo si tenea vituperato,
massimamente perché e'e’ v'erav’era Antea,
e 'l’l me'me’ ch'e'ch’e’ può del cader s'ès’è scusato:
- Questo destrier ch'ioch’io cavalco, - dicea
- da poco in qua è restio diventato:
mentre la lancia correr mi credea,
mi dibatté, perché e'e’ giucò di schiena;
io mi lasciai cader giù per la pena. -
 
<span style="font-size:80%">64</span> Diceva Antea: - Che ti bisogna scusa?
Non ho io bene ogni cosa veduto?
E se tu fussi pur cascato, e'e’ s'usas’usa. -
Guicciardo, poi che molto ebbe taciuto,
non poté più tener la bocca chiusa,
e disse: - Mai più, Astolfo, se'se’ caduto:
questo caval si vorrebbe impiccare,
che mille volte t'hat’ha fatto cascare. -
 
<span style="font-size:80%">65</span> Malagigi tagliava le parole;
Astolfo sopra 'l’l suo caval rimonta.
Cavalcono alla luna tanto e al sole
che capitorno al castel di Creonta.
Malgigi certo incanto, come e'e’ suole,
fece all'entrarall’entrar, ché l'artel’arte aveva pronta,
e innanzi a tutti gli altri fa la scorta;
e dove e'e’ giugne, s'aprivas’apriva ogni porta.
 
<span style="font-size:80%">66</span> Giunsono in piazza, e l'abbracciatel’abbracciate fanno;
non conosceva Aldighier Malagigi:
e'e’ gli dicìen come trovato l'hannol’hanno,
e che volevon menarlo a Parigi;
poi di Creonta tutto ciò che sanno.
Malgigi guarda i suoi brutti vestigi,
e lei pur lui, e par piena d'angosced’angosce,
che l'unl’un diavolo ben l'altrol’altro conosce.
 
<span style="font-size:80%">67</span> Dicea Malgigi: - Io ero a Montalbano,
e vidivi qua tutti in gran periglio,
e mandai per Astolfo a mano a mano,
e d'aiutarvid’aiutarvi facemo consiglio. -
Rinaldo intanto tenea per la mano
Antea, che 'l’l volto avea tutto vermiglio
e sente amaro e dolce e freddo e caldo
e non si sazia di guatar Rinaldo.
 
<span style="font-size:80%">68</span> Perché intendiate, - seguitava poi
Malgigi - e'e’ ci sarà da far pur molto,
disse colui che non ferrava i buoi
ma l'ochel’oche, e già lo 'ncastro’ncastro aveva tolto.
Questa crudel con certi incanti suoi
(diciàn più pian, ch'ioch’io la veggo in ascolto)
ha fatta certa imagine di cera,
come colei c'hac’ha l'artel’arte tutta intera;
 
<span style="font-size:80%">69</span> e 'n’n certa parte sta di quel palagio,
ed un dragone appresso v'èv’è a guardalla.
Tanto è che più di lei sarò malvagio;
ma questa donna bisogna piglialla
e tenerla qui tanto, ch'ach’a bell'agiobell’agio
io possa questa imagine guastalla;
e nel guastar questa figura orribile,
Line 635 ⟶ 630:
che cominciava gli occhi a sfavillare
e far certe carattere già in terra;
ed Ulivieri e gli altri ognun l'afferral’afferra.
 
<span style="font-size:80%">71</span> A gran fatica tener la potiéno:
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Malgigi intanto Rinaldo sù guida
dove getta il dragon fuoco e veleno,
e dice quanto può presto l'uccidal’uccida.
Rinaldo, sanza fargli altra risposta,
a quel dragon con Frusberta s'accostas’accosta.
 
<span style="font-size:80%">72</span> Non domandar come il drago si cruccia
e, come e'e’ vide Rinaldo, si rizza.
Rinaldo trasse, e la spada gli smuccia
al collo, tal che gli cava la stizza;
ch'appenach’appena sol si tenev'atenev’a la buccia,
tanto che poco la coda più guizza:
dunque Rinaldo è quel ch'uccisech’uccise il drago,
e fe'fe’ di sangue e di veleno un lago.
 
<span style="font-size:80%">73</span> Malgigi a quella imagine s'accostas’accosta,
ch'erach’era fatta di cera pura e bella
delle prime ape, molto ben composta
sotto costellazion d'alcunad’alcuna stella,
con tutti i membri insino a una costa;
e sopra il destro piè si posa quella,
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<span style="font-size:80%">74</span> La faccia aveva sopra tutto fiera.
Malgigi, che sapea di punto il giuoco,
fece per arte, che l'aveval’aveva vera,
presto apparire un gran lampo di fuoco
che s'appiccòs’appiccò di tratto a quella cera,
e struggela e consuma a poco a poco.
E mentre che così la cera scema,
l'arial’aria e la terra ed ogni cosa triema.
 
<span style="font-size:80%">75</span> Rinaldo più d'und’un tratto s'ès’è riscosso
per la paura che gli entrò nel cuore;
Malgigi gli facea sigilli addosso,
e disse: - Non aver di ciò timore;
fa'fa’ che per nulla tu non ti sia mosso:
vedrai che presto cesserà il furore. -
Ma in questo che l'imaginl’imagin si struggea,
mirabil cose la donna facea:
 
<span style="font-size:80%">76</span> ella si storce, rannicchia e raggruppa,
poi si distende come serpe o bisce,
poi si raccoglie e tutta s'avviluppas’avviluppa;
ella si graffia e percuote e stridisce;
e tutta l'arial’aria in un tratto s'inzuppas’inzuppa
di piogge e venti e co'co’ tuoni squittisce,
e grandine e tempeste e 'ncendii’ncendii e furie
cominciono apparir con triste agurie.
 
<span style="font-size:80%">77</span> Orlando, benché ognuno abbi paura,
ed Ulivieri e gli altri tenien forte
colei, che si divora per l'arsural’arsura
ch'ach’a poco a poco la conduce a morte:
come si distruggea quella figura,
tanto che tosto aperte fien le porte,
parea ch'ach’a forza l'animal’anima si svella
e come Meleagro ardessi quella.
 
Line 703 ⟶ 698:
come fu quella imagine distrutta.
Allor Malgigi del palagio scende,
e l'arial’aria rischiarata era già tutta;
e ciascun grazia a Malagigi rende
che spenta ha questa cosa così brutta
Line 711 ⟶ 706:
<span style="font-size:80%">79</span> Un dì non si poté tenere Alardo
che non dicessi come il fatto era ito
d'Astolfod’Astolfo, che facea sì del gagliardo.
Rinaldo, quando questo ebbe sentito,
lo dileggiava e chiamaval codardo;
tanto ch'Astolfoch’Astolfo si tenne schernito,
e per isdegno e per grand'iragrand’ira caldo
trasse la spada per dare a Rinaldo.
 
<span style="font-size:80%">80</span> Rinaldo si scostò dicendo: - Matto!
che vuoi tu fare? Io intendo riguardarti
com'iocom’io t'hot’ho riguardato più d'und’un tratto;
ma da qui innanzi di questo atto guârti. -
Orlando gli dispiacque questo fatto,
e disse con Rinaldo: - Tu ti parti,
per Dio, dalla ragion, ch'Astolfoch’Astolfo nostro
più che fratello amor sempre ci ha mostro. -
 
<span style="font-size:80%">81</span> E mancò poco che non l'appiccaval’appiccava
Orlando con Rinaldo, la schermaglia;
se non che pur Rinaldo si chetava,
ché sa, quando e'e’ s'adiras’adira, quel che e'e’ vaglia.
Astolfo tanto di ciò s'infiammavas’infiammava
che in qua ed in là come un leon si scaglia;
e dipartissi la seguente notte,
Line 737 ⟶ 732:
 
<span style="font-size:80%">82</span> Però noi non facciam mai ignun disegno
ch'unch’un altro non ne faccia la Fortuna;
e dà sempre nel brocco a mezzo il segno
sanza pietà, sanza ragione alcuna.
Questa persegue i buon perché gli ha a sdegno,
insin che v'èv’è delle barbe solo una;
e fa de'de’ matti savi e i savi matti,
e chi prestar vorrebbe, ch'eglich’egli accatti.
 
<span style="font-size:80%">83</span> Astolfo va per un luogo deserto
di qua, di là, come avvien gli smarriti.
Era di notte: un lume s'ès’è scoperto,
dove abitavan tre santi romiti
ch'aviench’avien più tempo disagio sofferto
per riposarsi agli etterni conviti;
Astolfo, come vide il lumicino,
sùbito inverso quel prese il cammino.
 
<span style="font-size:80%">84</span> Giunto a'a’ romiti, la porta bussava
e ricettato fu nel romitoro.
La notte certi pagan v'arrivavav’arrivava
e 'mbavagliorno’mbavagliorno e ruborno costoro;
e perché pure il bottin magro andava,
d'Astolfod’Astolfo anco il caval vollon con loro.
Astolfo si destava: essendo desto,
di questo caso s'accorgevas’accorgeva presto;
 
<span style="font-size:80%">85</span> e sciolti que'que’ romiti e sbavagliati,
e'e’ domandò donde e'e’ preson la via
color che gli hanno così mal trattati.
Un di costoro 'Astolfo’Astolfo rispondia:
- Lasciagli andar, che saran ben pagati
de'de’ lor peccati e d'ognid’ogni colpa ria
da quel Signor che etterno ha stabilito
che 'l’l ben sia ristorato e 'l’l mal punito.
 
<span style="font-size:80%">86</span> Questi son rubator che sempre stanno
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ed altra volta già rubati ci hanno;
ma non ci manca il pane celestiale,
e sempre ci ristora d'ognid’ogni danno.
Se gli trovassi, e'e’ ti potrien far male:
lasciagli andar, ché Iddio ragguaglia tutto
e rende a'a’ servi suoi merito e frutto. -
 
<span style="font-size:80%">87</span> Rispose Astolfo: - A cotesta mercede
non intend'iointend’io di star del mio destriere,
ch'ioch’io so ch'ioch’io me n'andrein’andrei sanz'essosanz’esso a piede,
e 'l’l Signor vostro si staria a vedere.
Questa vostra speranza e questa fede
a me non dètte mai mangiar né bere:
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<span style="font-size:80%">88</span> E missesi a cercar tanto, che pure
e'e’ gli trovò che sono in su 'n’n un prato
e stanno a riposarsi alle verzure;
e 'l’l caval si pascea così sellato;
avean chi lance, chi spade e chi scure.
Astolfo a un di lor si fu accostato,
gridando: - Traditor, ladron di strada! -
e 'nsino’nsino al mento gli cacciò la spada.
 
<span style="font-size:80%">89</span> L'altroL’altro gli mena con una giannetta:
Astolfo vede la punta venire,
e con un colpo tagliò l'astel’aste netta;
poi con un altro lo fece morire.
Addosso agli altri compagni si getta,
tanto che tutti gli ha fatti stordire:
quattro n'ucciden’uccide di dieci pagani;
agli altri il collo legava e le mani.
 
<span style="font-size:80%">90</span> E rimontò sopra 'l’l suo palafreno,
e inverso il romitoro si tornava.
Quando i romiti i mascalzon vediéno,
ognun d'Astolfod’Astolfo si maravigliava,
e ringraziorno lo Iddio nazareno.
Astolfo a questi romiti parlava:
- Io vo'vo’ che voi impicchiate a ogni modo
questi ladron pien di malizia e frodo. -
 
Line 820 ⟶ 815:
Iddio non vuol che giustizia si faccia:
pertanto questo uficio si fia vostro. -
Diceva Astolfo: - Io credo ch'ach’a Dio piaccia
più questo assai che dire il paternostro,
se vero è che i cattivi gli dispiaccia.
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<span style="font-size:80%">92</span> Questi romiti fanno del vezzoso
e par ch'ognunch’ognun di lor si raccapricci.
Astolfo, ch'erach’era irato e dispettoso,
comincia a bastonargli come micci,
dicendo: - Al cul l'aràl’arà chi fia ghignoso! -
tanto che fuor balzorono i cilicci,
sentendo fra Mazzon che scuote i panni,
e parean tutti all'arteall’arte usi cent'annicent’anni.
 
<span style="font-size:80%">93</span> Astolfo se ne va pur poi soletto
per questa selva, ove la via lo porta,
sanza certo proposito o concetto.
Lasciallo andar, che l'angioll’angiol gli sia scorta.
Orlando si recò questo in dispetto,
ed una notte uscì fuor della porta
Line 848 ⟶ 843:
Diceva Antea: - Che facciàn noi qui piùe?
Ogni nostra speranza veggo tolta.
Io v'accomandov’accomando al vostro Iddio Gesùe,
e inverso Bambillona darò volta. -
Rinaldo e gli altri ognun presto dicìa
Line 854 ⟶ 849:
 
<span style="font-size:80%">95</span> E piangon tutti quanti il conte Orlando:
e'e’ ne 'ncresceva’ncresceva insino al traditore
di Ganellone, e sempre lacrimando:
- Dove se'se’ tu, - dicea - mio car signore? -
E così giorno e notte cavalcando,
avendo Orlando pur fitto nel core,
Line 862 ⟶ 857:
che del suo mal più da presso piangea.
 
<span style="font-size:80%">96</span> Non v'hav’ha trovato il suo misero padre,
che lo lasciò contento e sì felice;
non vi rivede più l'usatel’usate squadre,
e molte cose lamentabil dice.
Rinaldo con parole assai leggiadre
diceva: - Qui regina e imperatrice
ti lascerò della tua patria antica;
e so ch'Orlandoch’Orlando vuol che così dica. -
 
<span style="font-size:80%">97</span> Adunque in Bambillona Antea si resta,
e fu da tutto il popol vicitata,
e non si potre'potre’ dir con quanta festa
da'da’ cittadin costei fussi onorata;
e la corona real tiene in testa
e la città parea risuscitata.
Rinaldo si posò quivi alcun giorno,
e tutti insieme poi s'accomiatornos’accomiatorno.
 
<span style="font-size:80%">98</span> E con molti sospir cercando vanno
se potessin trovar per Pagania
Orlando, e dove e'e’ cerchin già non sanno.
A Monaca n'andârn’andâr di compagnia,
e Greco e Chiarïon qui trovato hanno:
e domandâr quel che d'Orlandod’Orlando sia;
Rinaldo rispondea che 'l’l suo fratello
si partì per disdegno dal castello.
 
Line 900 ⟶ 895:
<span style="font-size:80%">100</span> Così con Chiarïon lasciamo un poco
in Monaca costoro a riposare.
Astolfo andava d'unod’uno in altro loco
sanza saper dove egli abbia arrivare,
come falcon che s'ès’è levato a giuoco
ed ha disposto paese vagare
e non tornare al suo signor più a segno,
Line 909 ⟶ 904:
<span style="font-size:80%">101</span> Così faceva il nostro paladino,
tanto che in Barberia già si ritruova;
dove era una città d'und’un saracino
ch'aveach’avea trovata una sua fede nuova:
non crede in Cristo, non in Apollino,
non Macometto o Trivigante appruova,
anzi adorar fa sé, ch'erach’era gigante
molto superbo, e detto Chiaristante.
 
Line 919 ⟶ 914:
e Filiberta si chiama la moglie:
dipinti questi due nella moschea
erano iddii, e 'l’l popol quivi accoglie,
e per paura adorar si facea.
Volea cavarsi tutte le sue voglie,
Line 926 ⟶ 921:
 
<span style="font-size:80%">103</span> Avea già fatte tante crudeltade
che tutto il regno suo l'odiaval’odiava a morte.
Astolfo, capitando alla cittade
dismonta a un ostier fuor delle porte,
e 'ntese’ntese da costui la veritade
come il signor governava sua corte
con tanta infamia, ingiustizia e vergogna;
e riposossi, perché e'e’ gli bisogna.
 
<span style="font-size:80%">104</span> Or non lasciàn però per sempre Orlando.
E'E’ si partì donde morì Creonta;
a que'que’ romiti venìa capitando,
dove alcun ghiotto i buon bocconi sconta.
Un de'de’ romiti gli vien raccontando
di que'que’ ladroni, e la storia avea pronta
come impiccar gli fece un cavaliere,
perché gli avevon rubato il destriere.
 
<span style="font-size:80%">105</span> Ma e'e’ si dolieno ancor delle mazzate,
ch'Astolfoch’Astolfo aveva lor le schiene rotte,
un poco le schiavine rassettate;
ma de'de’ ladron che rimisson le dotte
lo ringraziavon per la sua bontate.
Orlando si posò quivi la notte
e fece carità di quel che v'erav’era
il me'me’ che può co'co’ romiti la sera.
 
<span style="font-size:80%">106</span> E poi ch'ognunch’ognun di lor fu addormentato,
l'angioll’angiol di Dio apparve in visïone
a un romito, ed hallo salutato,
dicendo: - Sappi che questo barone
è il conte Orlando, ch'avetech’avete albergato:
fategli onor, ch'eglich’egli è il nostro campione.
Quel che impiccò color, fu il suo cugino
chiamato Astolfo, un altro paladino. -
 
<span style="font-size:80%">107</span> E 'l’l simigliante a Orlando apparì
l'angioll’angiol dicendo: - Orlando, che farai?
Sappi ch'Astolfoch’Astolfo tuo capitò qui,
e presto sano e salvo il troverrai
non passerà da ora il sesto dì;
Line 973 ⟶ 968:
sùbito a Vegliantin mette la sella.
Intanto a lui ne veniva il romito
e dicegli dell'angioldell’angiol la novella,
sì come in visïon gli era apparito
mentre ch'e'ch’e’ si dormia nella sua cella;
e molta reverenzia gli facìa.
Orlando l'abbracciòl’abbracciò, poi si partia;
 
<span style="font-size:80%">109</span> e dirizzossi giù per un vallone,
dove ha trovato un orribil serpente
che s'azzuffavas’azzuffava con un bel grifone.
Orlando a questo fatto pose mente,
e piacegli veder la lor quistione;
ma quel grifone alfin resta perdente,
perché il serpente gli avvolge la coda
un tratto al collo e con esso l'annodal’annoda.
 
<span style="font-size:80%">110</span> Parve il grifone a Orlando sì bello,
e mai più forse non n'avean’avea veduto,
che terminò d'aiutard’aiutar questo uccello;
e con un ramo di faggio fronduto
dètte al serpente, e liberato ha quello,
e 'l’l suo nimico giù morto è caduto:
donde il grifon ne va per l'arial’aria a volo,
Orlando al suo camin pensoso e solo.
 
Line 1 000 ⟶ 995:
trovava, e Vegliantin tutto è aombrato
quando ha veduti questi compagnoni.
L'unoL’uno a Orlando ne vien difilato,
apre la bocca e distende gli unghioni.
Orlando Durlindana nel costato
gli cacciò tutta, fuor che l'elsal’elsa e 'l’l pome.
Gli altri l'assaltonl’assalton non ti dico come.
 
<span style="font-size:80%">112</span> Orlando i colpi allor misura e 'nsala’nsala,
però ch'ach’a mal partito si vedea.
Ecco il grifon che per l'arial’aria giù cala
con tal furor che non si conoscea
se fussi un vento, oppure uccel con l'alal’ala;
ed un lïon che più pressa facea
al conte Orlando, cogli unghion ghermia
agli occhi, tal che schizzar gliel'gliel’ facìa.
 
<span style="font-size:80%">113</span> Questo lïon dalla zuffa si spicca.
Orlando un altro col brando n'ucciden’uccide;
e poi col quarto il grifon si rappicca
per aiutar Orlando, e in aria stride;
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<span style="font-size:80%">114</span> Non si perde servigio mai nessuno:
servi qualunque, e non guardar chi sia,
dice il proverbio; e s's’ tu disservi alcuno,
pensa che a tempo la vendetta fia;
ma semina tra'tra’ sassi o sotto il pruno,
sempre germuglia alfin la cortesia;
e noti ognun la favola d'd’{{AutoreCitatoAc|Esopo|Isopo}},
che il lïone ebbe bisogno d'und’un topo.
 
<span style="font-size:80%">115</span> Vuolsi servire insino agli animali,
ché qualche volta merito si rende,
come dicono i Detti de'de’ morali,
e fassi schiavo chi il servigio prende;
e tanto è degno più, quanto più vali:
sempre il servigio il cuor d'amord’amor raccende,
e vien da generoso animo e magno,
e torna alfine a casa con guadagno.
 
<span style="font-size:80%">116</span> Quel lïon cieco il grifon non l'offesel’offese
per gentilezza, e così fece Orlando;
e finalmente le grande ale stese
e dipartissi per l'arial’aria volando;
e così il suo camino Orlando prese,
Astolfo pure all'usatoall’usato cercando.
E cavalcando giorno e notte questo,
giunse a Corniglia, abbrevïando il testo.
Line 1 053 ⟶ 1 048:
<span style="font-size:80%">117</span> E dismontato a un oste pagano,
attese Vegliantino a ristorare,
ch'erach’era più giorni per coste e per piano
andato, ed apparato a digiunare.
Or lasciàn riposarlo lieto e sano:
'Astolfo’Astolfo ci bisogna ritornare,
che col suo oste fuor della cittate
si stava, e molte cose ha ragionate.
Line 1 062 ⟶ 1 057:
<span style="font-size:80%">118</span> Videl turbato un dì tutto nel volto,
e la cagion di ciò volle sapere;
e'e’ gliele disse sanza pregar molto:
che 'l’l signor vuol la sua figlia tenere,
se non che gli sarà l'albergol’albergo tolto
con essa insieme, e la vita e l'averel’avere;
ma che più tosto morire è contento
che ubbidir questo comandamento;
Line 1 073 ⟶ 1 068:
che si sentia di duolo il cor dividere.
Astolfo disse: - Questo non bisogna:
forse ch'ancorch’ancor di ciò potresti ridere.
Or manda a Chiaristante a dir se sogna;
o se ci manda più suo messaggiero,
fa'fa’ ch'ioch’io lo vegga, e lascia a me il pensiero. -
 
<span style="font-size:80%">120</span> Ben sai che Chiaristante non soggiorna:
a mano a mano un messo gli raccocca.
Disse l'ostierel’ostiere: - Il messaggier ritorna. -
Rispose Astolfo: - Non ci aprir tu bocca. -
Costui dicea che la fanciulla adorna
si mandi a corte presto, e pur ritocca.
Astolfo allo scudier quivi s'accostas’accosta,
e disse: - Io ti farò per lui risposta.
 
<span style="font-size:80%">121</span> Rispondi in questo modo a Chiaristante:
che 'l’l popol suo l'hal’ha troppo comportato,
ma che e'e’ potrebbe farne tante e tante
che d'ognid’ogni cosa sarà poi purgato.
Non si dice altro per tutto Levante
se non di questo tristo scelerato:
Line 1 098 ⟶ 1 093:
<span style="font-size:80%">122</span> Quel messaggio le stimite faceva,
e dice: - Tu debbi esser qualche pazzo. -
Astolfo un'altraun’altra volta gli diceva:
- Ritornati al signor, dico, al palazzo. -
L'osteL’oste si tacque e nulla rispondeva.
Disse colui: - La cosa va di guazzo:
questo poltron riprende il signor nostro!
Lascia ch'ioch’io torni, e fiagli l'errorl’error mostro. -
 
<span style="font-size:80%">123</span> Vanne al signor come un gatto arrostito
sùbito, e 'nginocchiossi’nginocchiossi il damigello,
e dice ciò ch'eglich’egli aveva sentito.
Disse il signor: - Chi fia quel ladroncello?
E'E’ sarà qualche matto che è smarrito.
Ma l'ostel’oste non rispose nulla a quello? -
Disse il sergente: - E'E’ s'intendeas’intendea con lui;
e non mi pare un matto anco costui. -
 
<span style="font-size:80%">124</span> Rispose Chiaristante: - Or torna tosto;
digli che vengan lui e l'ostel’oste a me.
Ma e'e’ si sarà o fuggito o nascosto. -
Dicea il messaggio: - Non fia, per mia fé,
fuggito, in modo ti dico ha risposto. -
Astolfo stava armato e sopra sé,
e disperato va cercando guerra.
E 'ntanto’ntanto il messo torna dalla terra,
 
<span style="font-size:80%">125</span> e dice: - Tu che rispondesti dianzi,
dice il signor che l'ostel’oste e tu vegnate
a corte presto: avvïatevi innanzi. -
E vuògli mandar fuor con le granate.
Rispose Astolfo: - Acciò che tempo avanzi,
di'di’ al signor m'aspettim’aspetti alla cittate,
se meco vuol provarsi; e digli come,
se e'e’ nol sapessi, Gallïano ho nome;
 
<span style="font-size:80%">126</span> e ch'ioch’io farò forse costargli caro
questa imbasciata, e vengo ora a trovallo. -
Il messo torna con un viso amaro,
e disse: - E'E’ viene a trovarvi a cavallo,
e dice è Gallïan, per farti chiaro,
e mi faceva paura a guardallo;
Line 1 142 ⟶ 1 137:
 
<span style="font-size:80%">127</span> A Chiaristante parve il fatto strano,
e disse: - Di'Di’ che venga in su la piazza
a ritrovarmi questo Gallïano,
o vuol con lancia o con ispada o mazza:
vedrén chi fia questo poltron villano,
ch'ioch’io non intendo questa cosa pazza. -
Il messo 'Astolfo’Astolfo all'ostierall’ostier ritornòe.
Astolfo armato alla terra n'andòen’andòe.
 
<span style="font-size:80%">128</span> L'osteL’oste gli pare Astolfo uom molto degno,
e dice: «Forse Iddio l'hal’ha qui mandato.
Ma sia chi vuol, ch'ioch’io vo'vo’ con questo sdegno
morir, più tosto che essere sforzato»;
e disse: - Va'Va’, Macon sia tuo sostegno. -
Astolfo in su la piazza è capitato,
ed ognun corre a vedere il giostrante;
e in questo tempo s'armas’arma Chiaristante.
 
<span style="font-size:80%">129</span> Orlando, che sentito ha già il romore
come in piazza era venuto un guerriere
il qual provar si volea col signore,
presto s'armòs’armò per andare a vedere.
Ma l'ostierl’ostier suo, per non pigliare errore,
volle che pegno lasciassi il destriere,
ché non istà degli scotti alla fede;
poi gliene increbbe veggendolo a piede,
 
<span style="font-size:80%">130</span> e disse: - Torna, e 'l’l caval tuo ne mena
come persona libera e discreta. -
Orlando scoppia di duolo e di pena,
Line 1 178 ⟶ 1 173:
 
<span style="font-size:80%">131</span> che solea sempre dar bastoni o spade
all'osteall’oste, quando i danar gli mancavano.
Mentre ch'Orlandoch’Orlando va per la cittade,
e fanciulli a diletto il dileggiavano,
ché Vegliantino a ogni passo cade,
Line 1 186 ⟶ 1 181:
- Chi è questo uccellaccio così spunto?
 
<span style="font-size:80%">132</span> Questo caval bisogno are'are’ d'und’un maggio
che fussi almeno un anno, non un mese. -
Orlando se n'andavan’andava a suo vïaggio,
e ciò che si dicea per tutto intese,
però che e'e’ sapea bene ogni linguaggio.
Un saracin per la briglia lo prese,
come alcun si diletta di far male,
Line 1 198 ⟶ 1 193:
Orlando non poté sofferir più,
e con un pugno la gota e le ciglia
e 'l’l naso e gli occhi gli cacciava giù:
ognun che 'l’l vide n'avean’avea maraviglia,
ché mai tal pugno veduto non fu;
poi scese in terra di disdegno pieno
e racconciava a Vegliantino il freno.
 
<span style="font-size:80%">134</span> Colui, ch'aveach’avea del viso forse il terzo,
trasse la spada ch'avevach’aveva a'a’ galloni,
però che questo non gli pare scherzo.
Orlando lo diserta co'co’ punzoni:
pensa che, s'eglis’egli avessi avuto il berzo,
morto l'arebbel’arebbe con due rugioloni;
un tratto nella tempia un glien'glien’ accocca
che gli facea il cervello uscir per bocca.
 
<span style="font-size:80%">135</span> E risaltò di netto in sul cavallo
sanza staffa operar, con l'armadural’armadura,
tanto ch'ognunoch’ognuno stupiva a guardallo
e scostasi dallato per paura.
Intanto Chiaristante viene al ballo,
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e poi si scosta e del campo pigliava,
 
<span style="font-size:80%">136</span> e l'unol’uno e l'altrol’altro sollecita e sprona.
Il saracino Astolfo riscontrava:
l'astel’aste non resse, benché fussi buona;
quella d'Astolfod’Astolfo non si dicrollava
e tutto il petto al saracino intruona,
tanto che nulla lo scudo approdava,
e pose lui e 'l’l cavallo a giacere,
ed una staffa perdé nel cadere.
 
<span style="font-size:80%">137</span> Poi si rizzò, lui e 'l’l destrier, sù presto.
Diceva Astolfo: - Tu se'se’ mio prigione. -
Disse il pagano: - E'E’ non sarebbe onesto,
ché fu difetto del caval rozzone. -
Rispose Astolfo: - E chi giudica questo?
- Colui ch'uccisech’uccise un qua con un punzone -
disse il pagan, ch'Orlandoch’Orlando avea veduto,
e molto gli era quell'attoquell’atto piaciuto.
 
<span style="font-size:80%">138</span> Rispose Astolfo: - Sia quel delle pugna. -
Orlando dètte a Chiaristante il torto.
Disse il pagan: - Tedesco pien di sugna,
vedi tu ch'ioch’io non t'avevot’avevo ben scorto,
che dèi succiar più vin ch'acquach’acqua la spugna.
Io veggo ben che tu mi guati torto:
non fu mai guercio di malizia netto,
ch'ioch’io ti conosco insin drento all'elmettoall’elmetto. -
 
<span style="font-size:80%">139</span> Rispose Orlando: - Tu mi domandasti:
non vuoi tu ch'ioch’io risponda al parer mio?
Tu sai che l'unal’una staffa abandonasti:
ognun giudicherà come ho fatto io.
Ma s'as’a tuo modo, pagan, non cascasti
e di cader di nuovo hai pur disio,
così cattivo e guercio come hai detto
con teco giosterrò, per Macometto!
 
<span style="font-size:80%">140</span> Vero è che 'l’l mio caval, come ognun vede,
è molto magro e stracco e ricaduto;
ma noi possiam provar le spade a piede. -
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e quel, che fussi Orlando, mai non crede.
Orlando avea ben lui già conosciuto,
ma perché e'e’ parla come saracino,
non si conosce lui né Vegliantino.
 
<span style="font-size:80%">141</span> E se tu vuoi ch'ioch’io ti presti il cavallo, -
diceva Astolfo - io son molto contento. -
Rispose il saracin: - Se vuoi accettallo,
noi proverren questo tuo ardimento,
da poi che m'ham’ha invitato un vil vassallo,
che de'de’ tuoi par ne vo'vo’ dintorno cento. -
Rispose Orlando: - E'E’ basterà forse uno. -
Tanto è ch'e'ch’e’ preson del campo ciascuno.
 
<span style="font-size:80%">142</span> Chiaristante credette un uom di paglia
trovar, che si lasciassi il mantel tòrre,
e con gran furia par ch'Orlandoch’Orlando assaglia;
e ruppe la sua lancia in una torre.
Orlando gli passò corazza e maglia
d'und’un colpo che non fe'fe’ mai tale Ettorre,
ch'arebbech’arebbe ben passato una giraffa;
e non si disputò più della staffa.
 
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il nome tuo mi venga palesando.
Io tolsi a un signor qua di Levante,
ch'andatoch’andato è per lo mar poi tapinando,
Greco appellato, di buona dottrina,
questa città per forza e per rapina.
 
<span style="font-size:80%">144</span> Credo ch'ioch’io muoia per questo peccato,
ché così vuol la divina giustizia;
e Macometto è quel che t'hat’ha mandato
per punir questo ed ogni mia tristizia. -
Orlando del cavallo è dismontato,
e 'l’l popol pieno intorno è di letizia;
e disse nell'orecchionell’orecchio al saracino:
- Sappi ch'ioch’io sono Orlando paladino. -
 
<span style="font-size:80%">145</span> Rispose Chiaristante: - Io ti perdono,
da poi che, s'ios’io dovevo pur morire,
dal più franco guerrier del mondo sono
ucciso... - e non poté più oltre dire.
Il popol si levò tutto a un tuono,
come e'e’ fu morto, quel corpo a schernire,
e non pareva ignun contento o sazio
se non faceva di lui qualche strazio:
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<span style="font-size:80%">146</span> chi gli mordeva il braccio e chi le mani,
chi lo pelava, chi il petto gli straccia:
pareva una lepretta in mezzo a'a’ cani,
come veggiam talvolta presa a caccia;
così mordean costui questi pagani:
chi lo calpesta e chi gli sputa in faccia,
dicendo: - Ora è venuta l'oral’ora e 'l’l punto
che 'l’l tuo peccato t'hat’ha, traditor, giunto.
 
<span style="font-size:80%">147</span> Ecco che tu non hai goduto il regno
che tu togliesti al signor nostro antico,
ch'andatoch’andato è per lo mar con un sol legno
già tanto tempo povero e mendico. -
Or vedi quanta forza ha il giusto sdegno!
Guardisi ognun da popol suo nimico,
ch'ioch’io credo che sia pur più sù che 'l’l tetto
Chi vede e 'ntende’ntende ogni nostro concetto.
 
<span style="font-size:80%">148</span> Poi si levò fra tutti un gran romore,
e fu levato da caval di peso
Orlando, e volean pur farlo signore.
Orlando quanto può s'ès’è vilipeso,
dicendo: - Io non sono uom da tanto onore;
e questo cavalier v'hav’ha lui difeso,
che venne il primo a combattere al campo,
poi mi prestò il caval per vostro scampo.
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e tutto lieto è questo popol pazzo,
ed Astolfo è da tutti molto amato;
un'altraun’altra volta il crucifiggeranno
e chiameran crudel questo e tiranno.
 
<span style="font-size:80%">150</span> Tant'èTant’è che spesso è util disperarsi
e fassi per isdegno di gran cose.
Astolfo si sta ora a riposarsi,
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<span style="font-size:80%">151</span> Diceva Orlando: - Io voglio in cortesia
che tu mi dica se tu se'se’ pagano,
e 'l’l nome tuo. - Astolfo rispondia:
- Chiamar mi fo per tutto Gallïano,
e nacqui di buon sangue in Barberia.
Cercato ho tutto 'l’l mondo, il poggio e 'l’l piano,
e 'nsino’nsino a qui poca ventura avuto;
se non che tu vedi or quel ch'èch’è accaduto. -
 
<span style="font-size:80%">152</span> Orlando d'unod’uno in altro ragionare
rïesce finalmente dove e'e’ vuole;
comincia molto Orlando a biasimare,
dicendo: - E'E’ non è uom più sotto il sole
che come lui cercassi rovinare. -
Astolfo si turbava alle parole,
e finalmente gli conchiuse questo:
ch'e'ch’e’ si partissi di sua corte presto.
 
<span style="font-size:80%">153</span> Orlando seguitò pure il suo detto,
tanto ch'Astolfoch’Astolfo tutto furïava;
per la qual cosa e'e’ si cavò l'elmettol’elmetto.
Astolfo d'allegrezzad’allegrezza lacrimava;
e disson l'unol’uno all'altroall’altro ogni suo effetto
dal dì ch'Astolfoch’Astolfo con lor s'adiravas’adirava,
come eran capitati quivi e quando,
baciando mille volte Astolfo Orlando.
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che gli rendé il caval cortesemente:
di Chiaristante gli donò il destriere.
Astolfo all'osteall’oste suo similemente
e la fanciulla donò molto avere,
ch'onoratoch’onorato l'aveanl’avean sì lietamente;
e ringraziavon tutti di buon cuore
che Chiaristante è morto, il lor signore.
 
<span style="font-size:80%">155</span> Astolfo facea lor larga l'offertal’offerta.
Or lasceremo Astolfo e 'l’l suo fratello,
e ritorniamo un poco a Filiberta,
ch'erach’era fuggita a un certo castello.
Essendo un dì la porta in bando aperta,
due pellegrini entrati sono in quello,
e dicon ch'ach’a costei voglion parlare
e vanno Filiberta a vicitare,
 
<span style="font-size:80%">156</span> e disson: - Donna, fa'fa’ che tu sia saggia
e quel che ti fia detto intenda bene,
ch'unach’una parola in terra non ne caggia.
A tutti incresce di tue tante pene
e piangonne le fiere in ogni piaggia;
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pensato abbiam solamente un rimedio.
 
<span style="font-size:80%">157</span> Rinaldo, quel cristian c'hac’ha tanta fama,
con Ulivieri, Alardo e Ricciardetto
e Gan cui traditore il mondo chiama,
Guicciardo, Malagigi ed un valletto,
come e'e’ si sia, noi non sappiam la trama,
a Monaca si truovano in effetto;
vanno pel mondo, e sai quanto sien forti,
e soglion dirizzar sempre ta'ta’ torti.
 
<span style="font-size:80%">158</span> Forse conoscon questo Gallïano.
Io me n'andrein’andrei a Rinaldo, e ginocchione
direi di dargli la città in sua mano
se venissi a punir questo ghiottone:
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e renderatti la tua signoria.
 
<span style="font-size:80%">159</span> E se bisogna, accoccala 'Apollino’Apollino
e Macometto; e quel che noi diciamo,
ché ogni cosa è per voler divino,
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non guardar più scudier che pellegrino:
amici antichi di tua stirpe siamo,
forse ciriffi ch'andiamch’andiam nella Mecche.
Questo ti dèe bastar. Salamalecche -
 
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Filiberta restò maravigliata,
e parvegli il consiglio di lor buono,
tanto che infino a Monaca n'èn’è andata;
ch'ognich’ogni speranza ha messa in abandono,
e gioveràgli d'esserd’esser disperata,
come avvien sempre, e che pensar bisogna:
chi cerca truova, e chi si dorme sogna;
 
<span style="font-size:80%">161</span> e la Fortuna volentieri aiuta,
come dice un proverbio ch'ognunch’ognun sa,
gli arditi sempre, e'e’ timidi rifiuta.
Filiberta a Rinaldo se ne va,
e volentier da tutti fu veduta,
e raccontò la sua calamità;
e 'ncrebbe’ncrebbe tanto di questa a Rinaldo,
che della impresa par più di lei caldo.
 
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e grida: - Il regno mio, che mi fu tolto,
vedi che più nol tieni, o meschinella!
Né Chiaristante l'hal’ha tenuto molto.
Andato son con la mia navicella
per molti mar, per lunghi e gravi errori,
da poi ch'ioch’io son della mia patria fuori;
 
<span style="font-size:80%">163</span> e la ragione avuto ha poi pur loco.
Questo già non credette il tuo marito,
di dimorar nel mio regno sì poco;
ch'e'ch’e’ si pensò, quando e'e’ l'ebbel’ebbe rapito,
signoreggiar la terra e l'arial’aria e 'l’l fuoco
con sua superbia, e del mare ogni lito,
tanto che sai ch'adorarch’adorar si facea
e 'l’l simulacro fe'fe’ nella moschea.
 
<span style="font-size:80%">164</span> E'E’ si pensò di far come fe'fe’ Belo;
e'e’ si pensò per sempre essere iddeo;
e'e’ si pensò pigliar sù Giove e 'l’l cielo;
e'e’ si pensò aver fatto Prometèo;
e'e’ si pensò poter far caldo e gelo;
e'e’ si pensò tòr fama a Campaneo;
e'e’ si pensò di vincer la fortuna
e far tremare il sol, non che la luna.
 
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ma sempre a luogo e tempo e con misura:
ogni cosa di sopra si ragguaglia.
Ecco ch'ioch’io piansi della mia sciagura,
ed or fortuna il tuo legno travaglia;
dunque cosa non ci è che sia sicura:
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<span style="font-size:80%">166</span> La giustizia di Dio non può fallire;
dove tu vai ti verrà sempre appresso:
non l'hail’hai potuto, misera, fuggire;
dove è il tuo scetro e la corona adesso? -
Rinaldo stupefatto sta a udire,
e maraviglia n'avean’avea seco stesso;
e Filiberta non risponde a Greco,
ma del peccato antico piangea seco.
Line 1 504 ⟶ 1 499:
che Greco fu di Corniglia signore;
non gli risponde, mentre il vide acceso,
perché e'e’ potessi sfogar tutto il core;
poi disse a Greco: - Chi t'hat’ha tanto offeso,
che si rinnuova tanto tuo dolore? -
Greco gli disse: - Io vo'vo’ che tu lo 'ntenda’ntenda,
acciò ch'ancorch’ancor di me pietà ti prenda. -
 
<span style="font-size:80%">168</span> E dal principio ogni cosa dicea.
Disse Rinaldo: - Perché non l'hail’hai detto
il primo giorno? - E costui rispondea:
- Non volli rinnovar tanto dispetto,
Line 1 517 ⟶ 1 512:
non avessi di me questo diletto. -
Disse Rinaldo: - Or che la cosa ho intesa,
tanto più volentier farò la 'mpresa’mpresa.
 
<span style="font-size:80%">169</span> Vedi che pur tu non degeneravi,
ché non si perdon gli antichi costumi:
e'e’ si conosce i modi onesti e gravi,
benché Fortuna la roba consumi,
ché non ha questi sotto le sue chiavi
Line 1 533 ⟶ 1 528:
e con Gano e con gli altri si consiglia
che vi si debba andar sanza dimora;
e finalmente e'e’ si truova la briglia,
e tutti in compagnia sono a cavallo,
che non ci misson di tempo intervallo.
Line 1 540 ⟶ 1 535:
che sono un giorno a Corniglia arrivati;
e mandon così a dir, pur minacciando,
'Astolfo’Astolfo come e'e’ son diliberati
di render questa terra a suo comando
a Filiberta, come suoi pregati;
Line 1 546 ⟶ 1 541:
che in ogni modo volevon la terra.
 
<span style="font-size:80%">172</span> Astolfo e 'l’l conte Orlando rispondevano
che non avìen di lor gente paura,
e che con giusto titol possedevano,
Line 1 552 ⟶ 1 547:
a provarsi con lor, ché non temevano
di lor minacce o di maschera scura;
come nell'altronell’altro cantar vi riserbo.
Guardivi Quello a chi presso era il Verbo.
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