Le novelle della nonna/La gobba del Buffone: differenze tra le versioni
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
m Conversione intestazione / correzione capitolo by Alebot |
Correzione pagina via bot |
||
Riga 1:
{{Qualità|avz=75%|data=19 settembre 2008|arg=fiabe}}
{{IncludiIntestazione|sottotitolo=La gobba del Buffone|prec=../La morte di messer Cione|succ=../La sorte di Biancospina}}
:'''La gobba del Buffone'''
Nella settimana trascorsa dopo
- Di casa nostra non
Momo, con quanti
- Abbi pazienza, si tratta di giorni, e poi nulla ci separerà più, - diceva ella guardandolo serenamente con quegli occhi sinceri e pieni di fiducia nel loro avvenire.
Cecco se ne andava più consolato, ma poco dopo
Verso il venerdì, la Maria incominciò a migliorare, e le prime parole che disse furon queste:
- Vezzosa, non mi scorderò mai di quello che hai fatto per me!
Momo gongolava tutto, un
Il sabato e la domenica era continuato il miglioramento della Maria, e la sera della festa ella stava tanto benino, che fu lei che spinse Vezzosa ad andare a veglia dai Marcucci.
- Ti svagherai un
Vezzosa esitava; ma poi, vedendo che la matrigna, verso sera, aveva preso sonno, le preparò tutto il necessario accanto al letto, e raccomandando alle sorelline di non lasciarla, uscì.
- Ecco Vezzosa! - urlarono i bimbi Marcucci, appena la scòrsero
Dopo pochi istanti comparve il
Vezzosa rideva di tutto
- Ora guarda! -
Ed ella guardò e
La lunga tavola sulla quale desinavano i Marcucci era coperta di una bella tovaglia di bucato, e su questa vi erano asciugamani, federe, grembiuli di seta, calze, pezzuole con le frange colorate, fazzoletti da naso, un bel cappello di paglia finissimo, e tante altre cose. Accanto a ogni oggetto era collocato un cartellino col nome del donatore, e i piccini si mettevano in punta di piedi per indicare il proprio regalo, dicendo: «Questo è mio! Questo è mio!».
- Dunque tutti, tutti avete pensato a me? - domandò Vezzosa commossa.
Line 34 ⟶ 29:
- Figlia mia, quando sarò morta, tu penserai a me in questa camera, e ti rammenterai che a questo mondo ti ho chiesto una cosa sola: quella di render felice il mio Cecco.
- Oh! per questo non temete! - esclamò la ragazza.
- Io non ho unito il mio regalo a quelli del resto della famiglia, perché non potevo portarlo giù. Ma qui in
- Grazie! Grazie, mamma! Come farò a rendere a voi, a tutti, il bene che mi fate?
-
Le due donne scesero, e la Regina, per contentare i nipotini, prese a dire:
- Tanti, tanti anni fa, un certo conte Alessandro di Romena sposò una signora di fuorivia. La contessa era piuttosto bruttina e malaticcia, e
Il marito, non sapendo che cosa fare per divertirla e non vederla più sbadigliare, scrisse al suocero che gli mandasse uno di quei buffoni che i signori solevano tenere alla Corte e che chiamavano giullari.
Il suocero non rispose nulla, ma in capo a tre mesi comparve a Romena un ometto piccino piccino, tutto vestito di panno a strisce rosse e gialle, con una gobba che pareva un popone e un berretto in testa tutto coperto di sonagli. Cavalcava sopra un cavallino piccolo piccolo, e quando arrivò al castello disse con piglio altero
- Dimmi, villano,
- Dove gli pare, - rispose
- Guarda con chi parli! Io sono Riccio, il celebre Riccio, e giungo
Il gobbo parlava con tanta arroganza, che il fante non osò rispondergli per le rime, e, chiamato un compagno, fece avvertire il signore di Romena
- Chi ti manda, gobbo? - gli domandò.
Riccio finse di non vederlo e continuò a batter gli sproni sul lastrico.
Line 55 ⟶ 50:
- Ma sei gobbo e anche gobbo reale! - disse il Conte.
- Anche tu sei pelato come una zucca, e se io ti chiamassi pelato non mi risponderesti certo.
Il Conte non rise a questa facezia, ma fanti, famigli e valletti sparirono dietro le porte per dare sfogo
Riccio disse allora chi lo mandava e che veniva da Milano, sua patria; poi presentò al Conte la lettera del suocero.
- È inutile, signore, che tu
- Le lettere non sono occupazione degna di signori, - disse il Conte sprezzantemente.
- Lo so che la pianta grassa, cosidetta ignoranza, cresce e vegeta nei castelli, e per questo permetti a un poverello, nato in un tugurio, di decifrare codesta lettera. Ma questo non è luogo opportuno per leggere; non supponevo mai, dopo un così lungo viaggio, di essere ospitato sotto la cappa del cielo, nella reggia di tutti i vènti. Dimmi, è così ospitale il conte di Romena?
Il Conte, che sapeva esser concesso ai giullari di parlare liberamente anche a duchi ed a re, non si offese di ciò che diceva Riccio, e lo invitò a salire nella sala
Questa stava rincantucciata in un seggiolone, sotto
Appena il giullare entrò, fece una comica riverenza abbassando la testa e ponendo in evidenza
- Madonna, io posso inforcare quella lumaca del mio destriero e ritornare da tuo padre!
- Perché? - domandò la contessa Berta.
Line 68 ⟶ 63:
La Contessa continuò a ridere e il gobbo prese a dire:
- Messere e madonna, eccomi qui nella vostra casa. Se volete che restiamo amici, dobbiamo fare i nostri patti.
- Che patti? - esclamò il Conte. - Sarebbe bella e nuova che un giullare
Riccio non rispose, ma scrollò il berretto coperto di sonagli e si avviò verso la porta.
- Dove vai? - domandò il Conte.
- Dove mi pare. Tu mi hai chiamato perché facessi quello che tu non sai fare, cioè tenere allegra la tua sposa; tu vuoi da me un favore ma non permetti che io domandi un compenso, e io me ne vado. Siamo tutti pari: arrivederci!
- E la lettera di mio suocero?
- È inutile, messere, che io te la consegni, tu non sai leggerla. Io tornerò a chi
- Tu non partirai, gobbo maledetto!
- A chi dici, messere? Tu sai che mi chiamo Riccio; se tu mi chiami gobbo, io ti chiamo pelato.
A questo punto la Contessa rise, e risero tutte le dame presenti; il Conte soltanto fremé nel sentirsi burlato in presenza della moglie, e per tagliar corto a quel discorso che lo seccava, ordinò a Riccio di leggergli la lettera del suocero.
Il giullare
<poem>
Un giullar mi chiedesti per madonna,
Line 85 ⟶ 80:
</poem>
- Come leggi spedito! - disse il Conte.
- Ci vuol poco; questi versacci sono miei, proprio miei e di nessun altro. Ora ho letto la lettera, che non è lunga, e ti snocciolerò la filastrocca
- Sentiamola! - disse la Contessa, che si divertiva a far parlare il giullare.
- Voglio un letto di piume finissime, che mi permetta di riposar bene, perché la mia metà non può giacere sul duro.
- E
- Sei forse cieco? Eppure la porto bene in mostra; la mia cara metà è unita a me da legami indissolubili, ed io, meschino, debbo chinar la testa e sopportare tutte le noie che
- Questa tua metà, sarebbe forse la gobba? - domandò il Conte, il quale incominciava a divertirsi.
- Non la chiamar così, signor mio! Fra i suoi difetti,
-
- Passiamo al secondo patto: io ho bisogno di quattro vestiti
-
- La quantità è niente, lo so pur io; - rispose Riccio, - ma siccome quando vestite me, vi conviene vestire anche
- Il nostro sarto ti farà i quattro vestiti, e Collinetta amena sarà contenta! - disse il Conte ridendo.
- Passiamo al terzo patto, - soggiunse il giullare. - Collinetta amena ha lo stomaco delicato; i cibi ordinari non li digerisce, ed ha bisogno di brodi sostanziosi, di carni tenere, di caccia fine, di gelatine e pasticcini. Se mi prometti di trattarla bene, rimarrò, altrimenti mi conviene di partire.
- Non dubitare, tu mangerai alla nostra tavola e Collinetta amena pure, dal momento che siete inseparabili.
- Non vuol dir nulla questa vaga promessa. Mangiare alla tavola di un signore, non
-
- Ci rimane il più e il meglio. Collinetta amena è previdente, essa pensa alla vecchiaia e non fida troppo sulla generosità dei grandi. Ogni anno essa vuole
- Madonna Collinetta avrà
-
E abbassando la testa fece fare alla gobba tre inchini. Questa mossa bastò, come la prima volta, per far ridere a crepapelle la Contessa e le sue dame.
Col giullare era entrata davvero
Se erano a mensa e si accorgeva che non rimaneva per lui nessun boccone prelibato, si alzava, e senza tanti complimenti lo prendeva dal piatto di madonna Berta; dopo pranzo si metteva a cantare con una voce quasi chioccia le bellezze di Collinetta amena, e sfogava i supposti tormenti del suo cuore con parole così buffe, accompagnate da gesti così ridicoli, che madonna Berta si smascellava dalle risa e doveva imporgli di tacere.
A Romena tutti eran pazzi di Riccio e gli permettevano di parlar liberamente e di far quello che gli pareva. Il solo che non potesse vederlo era un certo messer Lapo, un poetastro lungo e secco come una pertica, e noioso, aiutatemi a dire noioso. Questo tale non rideva mai alle facezie del gobbo e lo schivava quanto più poteva. E il giullare, che voleva divertire i signori alle spalle di quel figuro, lo tormentava sempre e non si lasciava sfuggire qualunque occasione si presentasse per metterlo alla berlina. Questo messer Lapo era un uomo alquanto pauroso; aveva paura degli animali, aveva paura dei morti, delle streghe, e, soprattutto, degli spiriti.
Ora Riccio, saputo questo, volle fargli una burla, e siccome dormiva in una camera vicina a quella del poetastro, una sera, mentre questi sfogava alla finestra il suo estro poetico cantando alla luna,
Quando ser Lapo ebbe sfogato ben bene la voglia di cantare, chiuse la finestra e si coricò. Ma era appena nel primo sonno, che si destò di soprassalto sentendosi tirare le coperte.
- Gli spiriti! - disse con un fil di voce.
Le stratte alle coperte si ripeterono insistenti, e poi sentì una mano diaccia che gli toccava i piedi:
- Sono morto, - urlò, e con tutti e due i pugni si diede a batter nella parete per destare Riccio.
Ma Riccio non rispondeva e continuava a tirar le coperte, a smuover le panchette e a far
- Anime sante! vi farò dire una messa, due messe, dieci messe, ma lasciatemi in pace!
Nulla. Il diavolìo aumentava, gli sgabelli andavano per terra, i vestiti volavano come pipistrelli, battendo nel viso di ser Lapo: pareva il finimondo, e
La mattina dopo il poetastro e il giullare
- Non hai dormito neppur tu, compare? - domandò Riccio.
- No, - rispose brevemente
- Madonna e messere, nelle nostre camere ci son gli spiriti! - disse Riccio. - La mia Collinetta amena è tutta ammaccata dai colpi che le hanno dato.
- Dunque li hai sentiti anche tu? - domandò ser Lapo sgranando gli occhi.
Line 125 ⟶ 120:
- Amico, la paura mi ha fatto morire la voce nella strozza.
- Io non vi dormo più in quella stanza, con licenza di madonna e di messere, - disse Lapo.
-
- E io neppure ci dormo, - disse Riccio. - Andrò in Torre
Bisogna sapere che il castello di Romena era fiancheggiato da molte torri, ma ve
Così il gobbo e il poeta quel giorno stesso presero le loro carabattole e andarono a stare nella Torre. In essa non vi era altro che una stanza per piano. Lapo prese quella di sotto e Riccio quella di sopra.
Intanto il giullare aveva avvertito i signori che la storiella degli spiriti era una burla preparata da lui al poeta per tenere allegra la nobile compagnia, e aveva pregato il Conte di dar ordine che nessuno, di notte, rispondesse, qualora Lapo si mettesse a urlare e chiedere aiuto.
In quel giorno Riccio, approfittando
Quando fu notte e tutti erano a letto, Riccio alzò uno dei mattoni smossi, e, legati per una zampa i pipistrelli a un cordino, li spinse giù. Questi si abbatterono sul viso di ser Lapo e con le grandi ali sbatacchiavano sulle coltri, sul guanciale e facevano un vero diavolìo. Lapo, che dormiva con un occhio solo, si destò di soprassalto, e stava per balzare dal letto e correr su da Riccio, quando sentì questi che urlava:
- Salvatemi! Ho i diavoli in camera! Mi scorticano vivo!
Allora capì che era inutile ricorrere al buffone, e messa la testa sotto le coltri si raccomandò
Quando piacque a Riccio, i pipistrelli cessarono di sbatacchiar le ali sul letto di Lapo; ma questi non si riaddormentò più, e la mattina dopo disse al Conte che nella Torre non ci voleva più stare, perché
- Guardami, signor mio, e ti accorgerai dal mio viso quello che io abbia passato stanotte. A centinaia sono comparsi i diavoli alati in camera mia e io ho gridato, ho tempestato, mi son fatto il segno della croce, ma tutto è stato inutile. Se non mi dài
La contessa Berta, che sapeva tutto, non poteva trattenere le risa, vedendo la faccia impaurita che faceva il giullare nel raccontar a sua volta le avventure della notte, e lo spavento vero che gli si leggeva negli occhi.
- Ti darò
Anche quel giorno il poeta e il buffone presero le loro carabattole e le portarono in due stanzoni quasi bui.
Riccio faceva animo al poeta dicendogli:
- Stasera, prima di andare a letto, faremo venir qui
Riccio,
La sera,
- Aiuto! aiuto! Ecco i diavoli!
Il poeta si destò, spalancò gli occhi e vedendo quella processione di lumicini impazzì quasi dalla paura, mentre Riccio continuava a urlare:
- Ahimè! Amico, soccorrimi, dei piccoli diavoli mi salgono nel mio letto, mi camminano sulle carni, mi entrano in bocca, sono indiavolato
Ser Lapo non parlava per non aprir la bocca e non esporsi alla stessa sorte del compagno.
Intanto Riccio urlava sempre:
- Son dannato! Me ne sono entrati dieci in bocca, mi brucian le viscere, mi dilanian lo stomaco, mi strappano il cuore!
Tutta la notte il buffone continuò a gridare e a smaniare, e quando fu giorno andò in camera di ser Lapo, facendo gesti di ossesso e boccacce e sgambetti, come se avesse davvero avuto cento e non dieci diavoli in corpo.
Ser Lapo era più morto che vivo, e questa volta, senza vedere né messere né madonna, fece un fagottino e se ne andò da Romena per compiere il pellegrinaggio prima alla Verna e poi in Gallizia.
Quello che ridessero la Contessa e il conte di Romena al racconto delle avventure di quella notte, fatto da Riccio, non si può dire con parole. La Contessa badava a dirgli basta, perché dal tanto ridere soffriva. E
Intanto,
- Salute alla compagnia! - disse Riccio entrando e agitando il berretto con i sonagli.
- Salute a te! - rispose la Contessa. - Che vuol dir, Riccio, codesto saluto diverso dal solito?
- Gli è, madonna, che oggi non è un giorno come tutti gli altri.
- Come sarebbe a dire? Che io sappia, non ricorre nessuna solennità.
- È giorno
- Parli da senno?
- Da senno, madonna;
- Ma tu sai, Riccio, che qui ti vogliamo bene e abbiamo mantenuto tutti i nostri patti. Hai avuto il morbido letto di piume per Collinetta amena, hai avuto quattro abiti di panno di velluto, hai avuto buoni bocconi...
- Sì, madonna; anche tu però hai avuto giorni lieti e hai imparato a ridere.
- È vero.
- Però Collinetta amena deve avere ancora
- È giusto; - rispose il Conte, - ma tu non ci lascerai, non è vero?
- Io vi lascerò, e Collinetta amena vuole subito quello che le spetta.
- Sia fatta la tua volontà! - disse il Conte; e presa una borsa
Riccio intanto
- Non ti basta? - domandò messer Alessandro.
- Collinetta amena può contenere altre monete, - rispose Riccio.
Il Conte tornò al forziere, prese una manciata
- Collinetta amena può contenere altre monete; signor di Romena, rammentati dei patti.
Il Conte tornò al forziere, prese altro oro, e lo mise nella gobba; ma più lui ne buttava e più Riccio cavava capecchio.
A farla breve, per empir la gobba ci volle tutto
Messer Alessandro era su tutte le furie e madonna Berta rideva.
Quando la gobba fu piena zeppa di monete
- Collinetta amena contiene molte monete, ma
Dopo aver detto queste parole, uscì. Nel cortile, il cavallino, sul quale era giunto, era già sellato, un altro era carico della roba del giullare, e lo montava un villano.
La contessa Berta rimase in sala a ridere e non dimenticò più la consuetudine presa di aprir la bocca alle franche e sonore risate, e tutte le volte che il Conte si lagnava di essere stato spogliato dal giullare, essa gli rispondeva:
-
La novella aveva messo tutti di buonumore, e Vezzosa aveva riso veramente di cuore.
Line 186 ⟶ 181:
- La novella mi ha fatto ridere, ma quel che ha dileguato la mia tristezza è stata la vostra accoglienza, la vostra bontà per me; io sono felice, felice, e non rammento più i brutti giorni passati. Ma ora dico come Riccio. Salute alla compagnia! e me ne torno a casa.
Cecco e Maso uscirono insieme con Vezzosa, e per tutta la via non fecero altro che parlare del bel modo col quale la Regina narrava e della freschezza di mente di quella donna già tanto avanti negli anni.
- È stata una benedizione per la nostra famiglia; - disse Maso, - cerca
Vezzosa sorrise e rispose:
- M’ingegnerò.
E corse su dalla malata.
{{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}
|