Le novelle della nonna/Il gatto del Vicario: differenze tra le versioni
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
m Conversione intestazione / correzione capitolo by Alebot |
Correzione pagina via bot |
||
Riga 1:
{{Qualità|avz=75%|data=19 settembre 2008|arg=fiabe}}
{{IncludiIntestazione|sottotitolo=Il gatto del Vicario|prec=../Il grembiule di madonna Chiara|succ=../L'Albergo Rosso}}
:'''Il gatto del Vicario'''
Il tempo era brutto, ma brutto, e invece di maturare il grano, le piogge e i vènti lo facevano piegare a terra.
Regina leggeva nel cuore
- Vi ho parlato spesso di Poppi e dei suoi signori; ora dovete sapere che,
Da quel giorno, che segnò la fine della signoria dei conti Guidi a Poppi e in Casentino, la repubblica di Firenze mandò sempre, ad esercitare la Vicaria di Poppi, cittadini illustri, come lo provano le iscrizioni murate nel cortile del castello.
Al tempo di cui tratto io, era Vicario per Firenze messer Cicciaporco Cicciaporci, uomo robusto quanto mai, e nemico del genere umano. Non aveva né fratelli, né sorelle, né famiglia propria, e il solo compagno suo era un gatto con la coda e gli orecchi mozzati e cieco da un occhio, che faceva schifo soltanto a guardarlo.
Tuttavia, per messer Cicciaporco, quel gatto era un essere soprannaturale e, non solo gli faceva apparecchiare un posto alla sua tavola, ma lo teneva anche a dormir seco, permettendo che quel bruttissimo animale posasse la testa sullo stesso guanciale, e gli appuntasse le zampe sulla bocca.
Essi però non sapevano quali legami esistessero fra messer Cicciaporco e il gatto Merlino; se li avessero saputi, invece di fremere, sarebbero scappati da Poppi, lasciando il palazzo in balìa del Vicario e del suo micio.
Tre anni prima, messer Cicciaporco era seduto in una vasta camera del suo palazzo di
Infatti il nobile signore aveva motivo di essere pensoso.
Suo padre era morto la sera prima, e avanti di chiuder gli occhi gli aveva detto:
- Cicciaporco, da te non ho avuto mai consolazioni e voglio che tu paghi con altrettanti dolori le pene che mi hai fatto soffrire. Ho fatto un testamento in tutta regola, e
Queste erano state le ultime parole del vecchio, che si erano impresse nella mente del figliuolo, come se ve le avesse incise con un ferro rovente.
Il cadavere del vecchio era nella sua camera circondato di ceri, i preti salmodiavano ai piedi della bara e Cicciaporco pensava alla sua triste sorte.
È vero che non era stato un figlio affezionato, che aveva trascurato i negozi paterni, che gli era piaciuto sempre di divertirsi e di fare a modo suo; ma, insomma, non era giusto che il vecchio lo lasciasse nella miseria e avesse disposto chi sa come del suo patrimonio.
- Se potessi entrare nella stanza del tesoro, magari con
Appena ebbe pronunziata questa esclamazione, una delle finestre della grande camera si spalancò violentemente, come spinta da un buffo di vento, e Cicciaporco si vide davanti un gatto scodato e spelacchiato.
A quella vista il sangue gli si gelò nelle vene. Il gatto, appena entrato nella stanza, si lasciò cadere sul pavimento, e quindi si avanzò verso Cicciaporco miagolando sommessamente, quasi volesse rassicurarlo.
Line 31 ⟶ 26:
Appena la mano di Cicciaporco ebbe toccato il pelo del gatto, questo si trasformò in un Diavolo.
- Che vuoi da me? - domandò Cicciaporco spaventato.
- Non mi hai invocato, forse? - rispose
- Tu non fai nulla disinteressatamente; - rispose Cicciaporco, - che cosa chiedi in cambio del servizio che mi offri?
- Una cosa da poco; dammi
Cicciaporco rifletté un poco, e poi disse:
- Prenditi pure
- Va bene, - rispose il Diavolo.
E foratosi con la punta di un pugnale la vena del polso, scrisse sopra una pergamena, di suo pugno, una dichiarazione in tutta regola.
- Ora, messere, sta a te scrivere la cessione, - disse
Cicciaporco si forò pure la vena e scrisse, sotto dettatura del Diavolo:
«Io, messer Cicciaporco di Bencio Cicciaporci e di madonna Vincenza Carnesecchi, entrambi defunti, cedo
- Firma, - ordinò il Diavolo.
Il gatto conosceva benissimo gli andirivieni e le scale che conducevano alla stanza del tesoro, perché precedé sempre Cicciaporco senza esitare un istante, e quando fu alla porta, fece un lancio, appoggiò il muso alla serratura, vi soffiò dentro, e la porta ferrata si aprì come per incanto.
Ma fatto questo, non era nulla, perché le pareti erano rivestite di sportelli di ferro, dentro ai quali il morto aveva riposto il denaro, le cose preziose e il famoso testamento.
Peraltro il gatto dissipò presto il timore di Cicciaporco. Con un lancio accostò la bocca a uno degli sportelli, soffiò nel buco della chiave, e lo sportello si aprì lasciando scorgere uno scaffale, nel quale vi erano tanti rotoli di carte. Su quello di mezzo stava scritto: «Testamenti».
Cicciaporco lo prese con mano tremante, lo sciolse, e, in mezzo ai testamenti di tutti i suoi antenati, trovò quello del padre, ancora suggellato; lo aprì e lesse la sua condanna. Il vecchio aveva lasciato tutti i suoi averi allo spedale di San Paolo e alla Confraternita della Misericordia, meno pochi legati alle persone di servizio.
- E ora come faccio! - esclamò Cicciaporco. - Se distruggo il testamento, messer Neri
Il gatto addentò il signore per il lucco e lo fece sedere a un tavolino, sul quale vi era della carta eguale a quella usata dal vecchio per scrivere il suo testamento. Cicciaporco si provò a imitare il carattere del padre, e, vedendo che vi riusciva perfettamente, scrisse un lungo elogio di se stesso e
Il gatto teneva gli occhi fissi, immobili sul testamento, come se fosse stato un topo. A un tratto fece un lancio, addentò la carta e la inghiotti in un boccone.
- È bravo chi viene a cercare il testamento in corpo a te! - disse Cicciaporco.
Line 64 ⟶ 59:
Cicciaporco, tutto in furore, lo minacciò, dicendogli:
- Credi, gatto, che io voglia sopportare questa prepotenza?
- Non importa, miao, miao, che tu
Nel giorno furono fatti i funerali del morto; ma prima giunse messer Neri
Cicciaporco andò incontro al nuovo venuto, il quale lo guardò con compassione, come si guardano i figli diseredati dal padre.
Accompagnato dal cancelliere del tribunale e da quattro testimonî,
Giunsero tutti a uno a uno e si collocarono lungo le pareti, e per ultimo giunse Cicciaporco, seguìto dal gatto, e rimase accanto alla finestra.
Messer Neri
Ma dopo che
- Messer Bencio prima di morire si è burlato di me!
- Perché? - domandarono il cancelliere e i testimonî.
Line 78 ⟶ 73:
Neri incominciò a leggere a voce alta, e la sua lettura era accompagnata da colpi continui dentro la cassa. Pareva che il morto, infuriato, battesse la testa, le gomita, le ginocchia contro le pareti di legno.
Cicciaporco era diventato livido e non poteva fare un passo; i famigli eran tutti scappati, i testimonî si guardavano in faccia.
- Forse hanno messo nella cassa un vivo, - osservò Neri
E, accostatosi alla bara, incominciò a gridare:
- Messer Bencio! Messer Bencio, se siete vivo, rispondete!
I rumori erano cessati e non fu udita nessuna risposta.
- I rumori dovevano venire dal piano superiore; - disse messer Neri, - qui, signori, non ci rimane altro che dare esecuzione alla volontà
In quel momento dalla cassa partì un colpo tremendo, e il gatto, fatto un lancio, andò ad accoccolarvisi accanto. I testimonî impallidirono e dissero che bisognava aprirla per accertarsi se Bencio era vivo.
- Purtroppo è morto! - disse Cicciaporco con un filo di voce. - Fino da ieri egli ha esalato
La spiegazione era così plausibile, che i testimonî non fiatarono, e dopo che il cancelliere ebbe steso
- Gatto, non ti muovere di costì e accompagna il feretro fino a
- Miao, miao, ho capito, - rispose il gatto.
Vennero i fratelli della Misericordia, si caricarono la bara sulle spalle, e il gatto sempre dietro. Nessun rumore fu udito più, e la bara venne calata
Fin qui le cose erano andate bene, e il gatto era ritornato a casa, dove Cicciaporco era circondato dai parenti che gli facevano le condoglianze; ma egli non si sentiva punto sicuro, e prima di sera ordinò che un fabbro forasse il marmo
Ma li aveva appena vuotati sulla tavola che la porta fu scossa come se fosse urtata da una mazza di ferro, e Cicciaporco si fece livido come un morto.
Il gatto, intanto, aveva arricciato il pelo e gonfiato la coda, e stava pronto a slanciarsi su chiunque entrasse.
- Apri! - ordinava una voce cavernosa dal di fuori.
- Gatto mio, salvami! è lui! - disse Cicciaporco accarezzandolo.
In quel momento
Lo spettro di messer Bencio, nel vederlo, fuggì come il vento, lasciando il lenzuolo per terra.
- Amico, - disse il Diavolo a Cicciaporco, - io ti posso liberare dallo spettro di tuo padre; ma non ho il potere di farlo stare tranquillo
- Assistimi, per carità, io non voglio esser povero, perché la miseria mi spaventa più di quello spettro.
- Tu morrai ricco e quando piacerà a te, stimato da tutti; di questo puoi esserne certo.
- Mi basta.
Dopo questo dialogo il Diavolo riprese la forma di gatto, e Cicciaporco si rimise a contare i fiorini, che erano tanti, e tutti
Il gatto grufolava il muso nel piatto del padrone, e i servi volevano cacciarlo; ma Cicciaporco
Ma la gente di casa, che non sapeva nulla di quel che era avvenuto, diceva che il nuovo padrone era matto, e lo screditava nel vicinato.
La seconda notte dopo i funerali, Cicciaporco si coricò di
Così avveniva tutte le notti, e benché Cicciaporco non avesse più paura, pure era seccato di quella visita incresciosa, e sapendo che il Vicariato di Poppi era vacante, chiese e ottenne di andare in Casentino.
- Lassù non ci verrà, - diceva. - Se deve tutte le notti far questo viaggetto, si stancherà presto. Che ne dici, gatto?
Il gatto, per tutta risposta, metteva fuori le granfie e arricciava il pelo, come per dire:
- Se viene, ci sono io!
Cicciaporco dunque regolò a Firenze tutte le sue faccende, lasciò messer Neri
I servi del Vicario erano ormai assuefatti a vedergli sempre quel gatto alle costole e non ci badavano più, ma gli abitanti di Poppi, quando lo videro giungere con quella strana compagnia, fecero le matte risate e soprannominarono il gatto: «Il Bargello del Vicario».
La prima notte, e anche la seconda e molte altre ancora, Cicciaporco dormì come un papa nella camera
Il gatto però, che gli leggeva nel pensiero, un giorno che erano soli gli disse.
- Cicciaporco mio, miao, miao, io me ne devo andare. Il re
Aveva appena finito di pronunziare queste parole, che era già sparito.
- Meno male! - esclamò Cicciaporco mandando un gran sospiro di soddisfazione. - Ormai posso dirmi un uomo contento. Messer Bencio è spaventato del viaggio e mi lascia in pace; il gatto piglia il largo; io sono ricco, solo, occupo un bel posto... chi è più felice di me? Ora è tempo di pigliar moglie!
E senza tanto riflettere, perché da un pezzo la sua scelta era fatta e soltanto la presenza del gatto lo tratteneva dal conchiudere il parentado, fece sellare un bel cavallo e andò a Bibbiena, in casa dei Saccone, dove
Il padre di lei, manco a dirlo, fu tutto felice della chiesta, e lì sul tamburo furono stabilite le nozze per il mese successivo. In casa Saccone ci fu quella sera stessa un banchetto per festeggiare la chiesta.
Cicciaporco, molto allegro per il vino bevuto in soverchia quantità, tornò a notte tarda al castello, e appena entrato a letto si addormentò come un ghiro. Ma era ancora nel primo sonno, quando si sentì prendere per i piedi da due mani gelate e tirar di sotto dal letto.
Line 124 ⟶ 119:
- Pentiti, furfante, dannato! - seguitava a dire messer Bencio, senza smettere di malmenare il figliuolo.
- Gatto mio, aiutami! - badava a dire il Vicario.
Così durò per
In quel giorno il Vicario non si poté alzare dal letto e rimase sempre solo a ripensare alla scena della notte, col timore che si ripetesse anche in quella che si avvicinava.
Verso sera sentì miagolare
- Miao, miao, che cosa ti è successo? - gli domandò.
- Gatto mio, non mi lasciar più. Vedi come mi ha ridotto il padre mio!
- Lo sapevo, miao, miao; ma siccome tu ruminavi in testa il pensiero di sbarazzarti di me, ti ho voluto far provare che cosa sarebbe di messer il Vicario se non avesse accanto il suo gatto.
- Hai ragione, ho mancato verso di te, ma perdonami: io volevo ammogliarmi, e temevo che la tua presenza potesse essere
- Ammogliati pure, purché io ti faccia da testimonio.
- È impossibile! - esclamò il Vicario. - Il matrimonio non sarebbe valido.
- Tu credi, mio caro amico, che io voglia presentarmi in veste di gatto? Saprò trasformarmi in dottore, in cavaliere, in quello che vuoi.
-
E le nozze si prepararono infatti con molta pompa, e nella chiesa della Pieve a Bibbiena si presentò come testimone del Vicario di Poppi un bellissimo cavaliere che disse di chiamarsi messer Lando Carnesecchi, e di esser cugino dello sposo. Però, mentre il prete benediva
La sposa impallidì e cadde svenuta; la madre di lei mandò un grido; il prete fuggì, e dietro a lui fuggirono tutti gli astanti. La gente urlava, si pigiava per scappar più presto, e tutti dicevano che era stato commesso un sacrilegio, che la chiesa era profanata e che ci doveva essere il Diavolo, e il Diavolo non poteva essere altri che il Vicario o il suo testimone. Questa voce era così generale, che formava quasi un coro, e giunse anche
- Qui non è aria per noi! - disse sottovoce il finto cavaliere al Vicario.
Questi andò per uscire, ma la folla, appena lo ebbe riconosciuto, incominciò a gridare:
Line 144 ⟶ 139:
Allora da molte parti si udì dire:
- Prepariamo il rogo, bruciamolo vivo!
E cento e più persone corsero a pigliar legna e fascine e ne fecero una catasta proprio nel punto dove
Cicciaporco Cicciaporci si vide perduto, e in quel momento si pentì di tutto il male che aveva fatto, e più di tutto di aver patteggiato col Demonio.
Quando poi sentì crepitare le legna del rogo, vedendosi perduto, piuttosto che far la morte di san Lorenzo, esclamò:
- Diavolo, salvami dal rogo, ma prenditi
Appena ebbe detto così, la terra su cui stava disteso si spalancò, e quelli che già si ripromettevano una festa di bruciarlo vivo, rimasero con un palmo di naso.
Il gatto fu veduto correre intorno alla voragine spalancata; e quando si accòrse che la folla stava per lapidarlo, spiccò un salto e sparì anche lui,
Dopo la morte di messer Cicciaporco ognuno si rese ragione
- E qui la novella è terminata, - disse al solito la Regina, - e chi non
Nessuno
- Vi ringrazio, mamma, di avermi fatto passar le paturne col raccontare codeste fandonie. Almeno, per un paio
-
- No davvero! - risposero le cognate. - E tu, Vezzosa, con queste parole
Cecco non disse nulla, ma guardò la Regina e poi Vezzosa che si mostrava così saggia e piena di premura per la famiglia.
E tanto era
Non rivelerò i pensieri che occupavano la mente di tutti. Ormai già conoscete quei buoni contadini e sapete che essi erano pronti a qualunque sacrifizio, pur di risparmiare ai congiunti, e specialmente alla vecchia Regina, crucci e amarezze. In seguito vedremo con quale animo forte essi sopportarono la sventura: e sempre più spinti saremo ad ammirarli. Ma per ora non mettiamo il carro avanti i buoi, e lasciamo che la narrazione segua il suo corso.
{{Conteggio pagine|[[Speciale:Statistiche]]}}
|