Le laudi/Prefazione: differenze tra le versioni

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===I.===
Delle laudi conosciute della Lucrezia Tornabuoni, moglie a Piero de'de’ Medici, due erano inedite, una veniva ogni tanto ripubblicata sotto il nome del Savonarola, e in generale quelle edite presentavano varj guasti nella lezione. Perciò mi sono indotto a riunirle tutte e offrirle al pubblico più corrette; cogliendo così l'l’ occasione di affacciarmi a quella selva selvaggia, ch'ch’ è la nostra letteratura religiosa popolare dei secoli XIV e XV. Anche restringendo la mia attenzione a un soggetto molto limitato (e giova, a sciogliere molte questioni intricate, cominciare da quelle più semplici) ho potuto vedere qualche cosa delle relazioni in cui son tra loro le antiche raccolte di laudi a stampa.
 
Circa sei anni dopo che in Firenze era uscita alla luce la prima edizione delle laudi di {{AutoreCitatoAc|Feo Belcari}} (1480?), a cura di Iacopo de'de’ Morsi se ne pubblicava una seconda, dove ad alcune di queste laudi si sostituivano altre nuove dello stesso Belcari e vi se ne aggiungevano anche di altri autori: e tra quelle che venivano ad ingrossar la raccolta se ne trovan sei della Lucrezia de'de’ Medici. Senza data, ma sempre nel secolo XV, usciva una terza edizione con nuove, ma non numerose aggiunte, e le sei laudi della Lucrezia vi mantennero il loro posto, come lo mantennero nella ristampa del Pacini di Pescia, ancora più ricca delle precedenti, e in quella di poco posteriore di Venezia (Bindoni), come è probabile lo mantenessero in altre riproduzioni che si fecero ai primi del Cinquecento e che non ho potuto vedere.
 
Queste quattro antiche edizioni da me esaminate rappresentano, rispetto alla nostra Lucrezia, una sola tradizione che fa capo alla stampa del Morsi, che, anteriore alle altre, è di esse più corretta. Per convincersi che formano una sola famiglia, basta osservare che le laudi della Medici sono sempre le stesse, nello stesso ordine e con didascalie quasi identiche, ed è ormai risaputo come le vecchie stampe popolari fossero l'l’ una riproduzione dell'dell’ altra. E poichè nello stabilire tali parentele giovano molto le lacune e gli errori, noterò come la laude ''Viene l messaggio'', che dovrebbe essere di undici strofette, in tutte le stampe suddette ne ha solamente otto, e sole sei ne ha un'un’ altra (''Ben veng'veng’ osanna'') che dovrebbe contarne due di più. Le stampe poi presentano alcune lezioni tutte loro particolari, confrontate coi manoscritti. Si veda ad es. nelle note della laude ''Ben veng'veng’ osanna'' le varianti non indifferenti che offre la ed. 1486, varianti che son comuni alle altre antiche stampe.
 
Due di queste sei laudi, quelle sulla natività di Cristo, ebbero particolarmente fortuna e furono prima ripubblicate nel 1563 in una raccolta ordinata da Fra Serafino Razzi e poi in un libretto popolare che fu impresso più volte. È notevole che della raccolta del Razzi ci si è conservato anche l'l’ autografo; ma la stampa non s's’ accorda col manoscritto: sia nell'nell’ una che nell'nell’ altro il testo della Medici sembra ritoccato con intenzioni letterarie: e ciò non deve far meraviglia, pensando che il compilatore era persona colta. Invece il libretto popolare dà un testo difettoso, giacchè in tutt'tutt’ e tre le edizioni manca una strofetta della laude ''Deh venitene, pastori'' ed una della lauda ''Ecco 'l’l Messia'' è guasta. Ecco la lezione della stampa popolare, che il lettore può confrontare con quella data da me:
 
::Venite, Angeli Santi
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::Con dolce melodia.
 
Il senso potrebbe stare, ma la metrica è sovvertita. Nel 1680 dall'dall’ edizione Pacini il Cionacci ripubblicava insieme con le liriche religiose di altri di casa Medici quel solito mazzetto di sei laudi della Lucrezia, restituendo però alla sua integrità coll'coll’ aiuto d'd’ un codice, ora in Magliabechiana (VII, 367), una che vi era malconcia: e tale raccolta fu poi riprodotta a Bergamo nel 1760.
 
Finalmente dal Villari e dal Guasti fu riprodotta la laude ''Ecco 'l’l Messia'' come cosa del {{AutoreCitatoAc|Girolamo Savonarola|Savonarola}}.
 
Di tutte queste stampe, fino a quella del Guasti, si dà qui appresso la descrizione nella ''Bibliografia'': qui dirò, per ciò che riguarda la presente edizione, che le quattro antiche raccolte rammentate, a cui si può aggiungere una ristampa del 1556, e le due edizioni Cionacci, come risulta da ciò che ho già osservato, formano un sol gruppo, di cui è autorevole rappresentante quella del 1486, e che perciò di questa mi sono servito. L'L’ edizione Razzi e l'l’ opuscolo popolare dànno una lezione ripulita o guasta e sono troppo tarde; e quanto al Razzi, si può anche tener presente che non doveva attingere a una fonte molto antica, se non sa distinguere, in una nota della raccolta manoscritta, la madre di {{AutoreCitatoAc|Lorenzo de' Medici|Lorenzo il Magnifico}} dalla sua omonima nipote. Del Guasti ho tenuto conto in quanto riproduceva meglio del Villari il codice Savonarola, che non ho potuto consultare direttamente. E quanto agli altri manoscritti, qui appresso indicati, li ho posti anch'anch’ essi a profitto, lasciando però da parte, per le ragioni dette, quello del frate Razzi e, per le ragioni che dirò, uno ch'ch’ è nella biblioteca di Rimini.
 
Il cod. D. IV. 206 della biblioteca Gambalunghiana contiene una raccolta di laudi che per una parte del prologo e per la scelta dei componimenti e le loro didascalie corrisponde esattamente alla stampa del 1486 e ne differisce per poche e leggere trasposizioni. Mi sono procurata, per saggio del testo, una copia della laude ''Ben veng'veng’ osanna'' Dalla cortesia del Prof. M. Francesconi, che devo ringraziare anche di alcuni ragguagli datimi intorno a questo codice., che tra tutte presenta maggiori difficoltà, e ho osservato che la lezione del codice di Rimini è tale quale quella della edizione del 1486. Che qui si abbia il ms. che è servito alla stampa, non mi par verosimile per più ragioni. Essendo il preambolo del cod. di Rimini una parte di quello della stampa, è facile immaginare che si tratti di un copista che ha tralasciato qualche cosa, sia perchè gli sembrasse inopportuno (nome del compilatore e data), sia perchè gli sembrasse inutile (le parole ''et aogni lauda è scripto di sopra il nome dello auctore & dappie il modo come si cantano tutte ordinatamente''). Inoltre sono state riportate le parole: ''le quali laude sono scripte insu la tavola per alphabeto & a quante carte''; alle quali si fa seguire il distico ''Chi leggie i uersi ecc''. senza che si abbia subito l'l’ indice dei capiversi, come invece abbiamo nella stampa. Un indice si trova in fine al cod.; ma è principiato e lasciato lì; i quali particolari ci fan pensare a un trascrittore della stampa, forse poco paziente.. Ad ogni modo, accertata la identità della lezione, è indifferente seguir l'l’ uno o l'l’ altro dei due testi.
 
Sicchè, concludendo, io mi son valso dell'dell’ unica stampa del 1486 e di quattro manoscritti. Degli otto componimenti due sono conservati solo dal cod. Magl. VII, 1159 (VI e VIII) e altri due (IV e V) solo dall'dall’ edizioni rappresentate dalla predetta stampa; onde per questi quattro a me non è restato che riprodurli secondo i due antichi testi, ammodernando l'l’ ortografia e correggendo ove fosse errore manifesto, ma avvertendo in nota il lettore della lezione scartata. Per gli altri quattro ho riprodotto un ms. o la stampa, secondo che mi è parso più corretto l'l’ uno o l'l’ altra, giovandomi talora anche del testo o dei testi non preferiti e in ogni modo segnandone in nota le varianti.
 
 
===II.===
Il Villari pubblicò per il primo come cosa del Savonarola la laude ''Ecco 'l’l Messia''; ma egli la credeva inedita e non conosceva l'l’ attribuzione alla Lucrezia de'de’ Medici; fu il Guasti quello che sostenne le ragioni del grande Domenicano. Il trovarla, senza indicazione d'd’ autore, in un ms. autografo del frate insieme ad altre cose che gli appartengono gli parve sufficiente motivo per assegnarla a lui, sembrandogli poco probabile «che Fra Girolamo copiasse la roba d'd’ altri in un quadernuccio di suoi studi e il proprio mescolasse con l'l’ altrui, senza farne alcun motto». ''Poesie di Fra G. Savonarola tratte dall'dall’ autografo'', p. X. E se la cosa stesse veramente in questi termini, cioè se il contenuto del quadernuccio fosse interamente savonaroliano, non ci sarebbe gran che da ridire; ma il male si è ch'ch’ egli stesso, il Guasti, descrivendo più oltre il ms., distrugge l'l’ importanza di questo argomento. Ci dice infatti che « Pare un libricciuolo di ricordi e di estratti, nel quale il Savonarola, oltre tutto l'l’ intiero opuscolo spirituale che ha per titolo ''Solatium itineris mei'', più volte stampato, scrisse testi e autorità della Santa Scrittura, de'de’ Padri e dei Canoni, e l'l’ ordito di molti sermoni, frammettendovi a quando a quando le Poesie ecc. ». ''Poesie cit''., p. XIII.
 
Se dunque nel suo libretto Fra Girolamo copiava brani della Bibbia e dei Padri, poteva benissimo riportare anche una laude non sua che gli fosse piaciuta. Che forse non hanno un'un’ origine simile altri zibaldoni antichi?
 
Il Guasti non conobbe tutte le stampe, nè tutti i manoscritti che hanno la laude in questione col nome della Lucrezia: conobbe bensì la raccolta pubblicata a Firenze nel 1486; e credè sufficiente, per togliere importanza ad essa, di notare che il suo compilatore « sopra trecento componimenti non seppe di ottantadue dir l'l’ autore ». ''Poesie cit''., p. X. Veramente la proporzione è diversa, perchè, se non ho contato male, le laudi adespote sarebbero trentaquattro sopra dugentoventicinque; con che l'l’ insufficienza del raccoglitore si ridurrebbe a men della metà di quanta gliene aggiudicherebbe il Guasti. Ma quel che più importa, quando un editore onestamente dichiara, col lasciare in bianco il nome dell'dell’ autore, di non sapere a chi appartengano certi componimenti, non credo che ciò tolga fede alle sue asserzioni, quando poi di altri può dirci di chi siano; anzi, se mai, quella confessata ignoranza mi renderebbe più disposto a credergli.
 
Dunque il ms. savonaroliano non dice nulla, nè è dimostrata finora poco esatta nelle attribuzioni la raccolta di laudi del 1486, che, essendo stata pubblicata quando il Savonarola era vivo ed era morta da poco (1482) la pia Lucrezia, merita perciò d'd’ esser tenuta in considerazione. Ma c'c’ è di più. Il Guasti non ha conosciuto un manoscritto che, secondo me, ha molta importanza nella questione, il Magliab. VII, 1159. È questo un bel codicetto membranaceo scritto calligraficamente di mano forse degli ultimi del quattrocento. Esso contiene soltanto composizioni della Medici, la ''Vita di S. Giovanni Battista'', la ''Storia di Giuditta'' e alcune laudi. Per la cura con cui apparisce messo insieme ha tutta l'l’ aria di essere uno di quegli esemplari ch'ch’ eran destinati a conservarsi nella famiglia o a donarsi a'a’ parenti come ricordo. Ora a c. 54r si legge la laude ''Ecco 'l’l Messia'' con la rubrica ''Lauda della natività Composta per madonna lucretia de medici''. Non credo che si richieda di più per togliere questa poesia al Savonarola, al quale probabilmente sarà da toglierne altre, troppo frettolosamente attribuitegli.
 
 
===III.===
Non è il caso, essendo queste della Medici così poche, di discorrere qui delle laudi in genere; ma devo al lettore qualche schiarimento. Quattro di queste laudi, come altre di quel tempo, venivan cantate secondo l'l’ aria d'd’ una canzone a ballo delle più note, cioè di quella che comincia: ''Ben venga maggio'', di cui avevano, naturalmente, anche il metro. Nei manoscritti e nelle stampe troviamo che la ripresa ora è in un modo, ora è in un altro. Prendo ad esempio quella della laude ''Ecco 'l’l Messia''. A volte si legge ''Ecco 'l’l Messia | Ecco 'l’l Messia | E la madre Maria'', a volte ''Ecco 'l’l Messia, ecco 'l’l Messia | E la madre Maria'', e finalmente ''Ecco 'l’l Messia | E la Madre Maria''. Sono dunque, secondo il copista o lo stampatore, sempre due versi o tre. Ora io credo che il canto maggiaiolo deva cominciare ''Ben venga maggio — e 'l’l gonfalon selvaggio'', che insomma la ripresa di questa forma di ballata sia un endecasillabo con rimalmezzo; e in tutte le quattro laudi ho adottato questo tipo strofico ''a-A: b.c.b.c. c.a''. La musica faceva naturalmente sentire anche di più la pausa del primo emistichio, già molto sensibile per la rimalmezzo, e così si riceveva l'l’ impressione che il quinario stesse da sè, tanto più poi avendosi, nel canto, la ripetizione di esso. Alla tendenza dell'dell’ endecasillabo con rimalmezzo a dissolversi nelle due parti costitutive accenna il FLAMINI, ''Studi di storia letter. ital. e stran.'', p. 147. Anche il CASINI non ammette il quinario, come verso a sè, nella ballata (''Riv. critica d. lett. it.'', I, 85). Che si avesse la ripetizione del primo emistichio nel canto, si ricava dalla musica pubblicata nella raccolta del Razzi (c. 15 e 16). È vero che così, mentre la ripresa ha un sol verso ed endecasillabo, la volta invece ne ha due e settenari; ma esempi di violazioni delle leggi che regolavan la ballata si posson trovare facilmente nel sec. XV,(2) Tra le ballate del {{AutoreCitatoAc|Angelo Poliziano|Poliziano}} se ne trovan quattro (XVII, XX, XXV e XXVI dell'dell’ ed. Casini) che hanno il seguente schema: ''a.a: b.c.b.c. c.d.d.a'', dove la ripresa ha due versi meno della volta. Per altre irregolarità nelle antiche ballate v. ''Riv. critica d. lett. it.'', I, 87. e ad ogni modo, anche lasciando la ripresa di due versi, si avrebbe che al quinario della ripresa corrisponderebbe nella volta un settenario: ossia la regola non sarebbe osservata nemmeno rispettando la maniera di scrivere degli antichi. Discorre della Lucrezia de'de’ Medici il prof. LEVANTINI-PIERONI nei suoi ''Studi storici e letterari'', (pp. 1-83) ma poco vi si dice degli scritti della pia gentildonna. A lavoro compiuto ho avuta notizia di un libro sullo stesso argomento pubblicato della sigma F. Giulia Mondino, ma, per quante ricerche abbia fatte, non son riuscito a procurarmelo..
 
Pistoia, 20 novembre 1900
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