Le Metamorfosi/Libro Secondo: differenze tra le versioni
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Il sublime, real, superbo tetto
Di lui, che
È
Con gemme riccamente ivi conteste.
E non terreno intaglio, ma celeste;
E che val (di tal pregio è quel lavoro)
Più
Il muro in quadro è di massiccio argento,
Che fanno insieme historia, et ornamento,
E mostran tutti gli effetti del Sole.
Avorio è
De la superba, incomparabil mole.
Quel poi, che sporge in fuori, e che traspare,
Son tutte gemme pretiose, e rare.
Sporgon con tutto il fregio intere in fuore,
Di rubin, di zaffir,
Diversi
Ricchi carbonchi, trasparenti, e belli
Ornan tutta la parte inferiore.
Line 34 ⟶ 29:
Posano queste senza base in terra
Di sette teste e
Di tre colonne un van tra lor si serra,
Esse stan sotto à i triglifi del fregio.
Piovon più sotto quei triglifi à terra
Sei rare goccie
Più sotto il capitel rendono adorno
Gli uovoli, che gli fan corona intorno.
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Che monstran tutti il lor diverso effetto.
À i corpi mezzo fuor del muro usciti
Fan
Adornan le metope in più maniere
Astrolabij, quadranti, horloggi, e sfere.
Di qui tolsero i Dori il bel lavoro,
Che Dorico hor si fa per tutto
Come tolser
Da la forma de
Quì le colonne di diamante foro
Col capitel, che incurva i lati al tondo,
Diverso vuol tredici volte il centro.
Le seconde colonne un quarto meno
Son de le prime, ma col piedestallo
Vien
Nove larghezze del cerchio più pieno
Dan lor
Fanciulli ignudi sì vaghi, e lascivi
Fra festoni
Intorno à
I segni splendon del zodiaco in oro,
E ciascun sopra il suo mese risponde
Co i proprij influssi, che piovono in loro.
Foco il Leon, ghiaccio
Sparge il mondo di fior
Più quà sta il Cancro, e più là il Capricorno,
Questo fa un lungo, e quel fa breve il giorno.
È poca cosa differente à quello,
Le figure, le pietre, e
Questo à fogliami par, che mostri, e scopra
Un artificio più svelto, e più bello.
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Par, che nel terzo fregio si dispicchi
Un viticcio, che va con varij giri,
E con questa e con quella herba
E intorno à lor
Robini in oro, smeraldi, e zaffiri.
Fior, fronde, e frutti ingombran dentro il loco,
Di lauro, cedro, girasole, e croco.
I terzi vani ingombran con
Tutti i pianeti: e ciaschedun sta dove
Risponde à piombo sopra quella parte,
Che
Sopra Ariete e Scorpion si vede Marte,
Sta sopra Pesci, e Sagittario Giove.
Haver si veggon due case ciascuno:
Non son
È ben ver,
Mostra in lor lo scarpello, e la scultura.
Son però tutte cose appartenenti
Al chiaro Dio, che di quel luogo ha cura.
Ma tutto è nulla à quel, che di sua mano
Ne la gran porta
Il mar vi fe, che circonda la terra,
Nel mar pose i marittimi divini,
Dove
Sopra
Triton con la man destra il corno afferra,
Con
E muta à suo piacer persona, e faccia.
Con le Nereidi
Ritratte in atti gratiosi e belli.
Questa coglie in un scoglio varij fiori,
E secca al Sole i suoi verdi capelli:
Quella sta sopra un pesce mezza fuori;
Tutte un viso non han, non vario molto,
Qual si convien fra le sorelle il volto.
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E giunti in un fan la sfera rotonda:
Ben che quì Pluto, ivi Nettuno appare.
La terra
Di monti, e boschi, stagni, e laghi, e fiumi,
Di Ninfe, e mille suoi terrestri Numi.
Fetonte la facciata altera vede,
Che sotto à
Non cura
Non men di quella,
Alza, e pon sù la ricca soglia il piede
Da maggior cura spinto e persuaso,
Line 153 ⟶ 148:
Che la luce del Sol ne gli occhi il fere,
E per forza gli fa chinar la fronte,
E
Huomini, e donne assai leggiadre, e conte,
Che lo stanno à servir, cerca vedere;
E, per mirar quel,
De le sue proprie man fa scudo à gli occhi.
Ne
Gli ammantan
Queste fanciulle son,
Succinto per fuggir
Han
E fan tutte le cose in un momento.
Stannovi anchora, e servitù gli fanno
Con gran prestezza il Giorno, il Mese e
Gli sta da la man destra una donzella,
Line 178 ⟶ 173:
Una donna, il cui viso arde, e risplende,
Con un specchio,
Dove il suo raggio è ribattuto, e spinto.
Tutto quel, che percote, in modo offende,
Che resta secco, strutto, arso, et estinto.
Ovunque si riverberi, et allumi,
Cuoce
Stavvi
Dio de i tre mesi, i quai precede Agosto;
Che
E sta sordido, e grasso, e pien di mosto.
Ha il fiato infetto, e tardi sì rinfranca
Chi vien dal suo venen nel letto posto.
Di fichi, e ricci di castagne, e ghiande.
Un vecchio
E fa tremar ciascun,
Sol per traverso il Sol tal volta il vede.
Ei stà rigido, e freme, e batte il dente.
Line 202 ⟶ 197:
Nè men brama ghiacciar quel raggio ardente;
E nel fiatar, tal nebbia spirar suole,
Ha
E par, che non si mova mai di loco.
Hor se ne sta col verno, hor col fratello,
Hor con colei,
Hor con
Nè mai tien fermi i suoi veloci piedi.
Con qualunque si stia, vuol mangiar sempre,
E cibi poco pretiosi gode.
Par, che
E se si pon trovar cose più sode,
Ma molto più si pasca, e si nutrichi
Di statue rotte, e
Se ben il Tempo è tanto ingordo vecchio,
Egli è padre del vero, un lume, un specchio,
Ha sì
Che non bisogna,
Parlar mai sì secreto, ò mai
Sì sol,
Ciò, che i secoli suoi gli dan davante,
E i lustri, e gli anni, e i mesi, e i giorni, e
Non che
Trangugghia le scritture tutte quante,
Mangia la gloria altrui,
Sol tre libri
Incoronati di palma, e
Ha rosa à questo intorno la coperta,
Ma la corona non ha punto guasta.
La lettera,
La scrittura si sta libera, e certa,
Che
Quivi son tutte
Filosofi, Poeti, et Oratori.
Guarda quei libri di
E rodergli si sforza più che mai,
Poi fra se dice, e verrà bene il tempo,
Che di si saldi io
Questo non sarà già così per tempo,
Nè le glorie già mai spegner potrai
Di quei prudenti Principi, e discreti,
Amici
Nè spegnerai, come di molti Heroi,
Acciò che dia più bella forma al mondo.
Cantan già molti i chiari gesti suoi,
Con sì felice stile, e sì giocondo,
Ti varran poco i tuoi rabbiosi denti.
Line 271 ⟶ 266:
Vide il figliuol, che Climene ha produtto,
Star con le luci basse, e vergognose;
Ó figliuol, disse, e chi
Chi tanto alto desir nel cor ti pose?
Chi
Di pervenire al bel regno paterno?
Ó padre, ei disse,
Di poterti chiamar per questo nome,
Per lo splendor ti prego illustre, e degno,
Line 283 ⟶ 278:
Onde si vegga manifesto, come
Io sia vero à te figlio, à me tu padre,
Nè
Il Sol,
Per poter meglio à lui parlar, si spoglia
Del suo più chiaro, e luminoso raggio.
Nè basta, che
E gli mostri nel viso il suo coraggio,
Per dimostrar,
Disse lieto ver lui queste parole.
Non si potrà negar già mai Fetonte,
Per quel, che mostran
Che ti scopron figliuol
Non mente Febo, e Climene, et ho pronte
Le voglie ad empir meglio il tuo desio.
Chiedi pur quel, che più
Che di questo vedrai più certa prova.
Line 306 ⟶ 301:
Serva Palude stigia il tuo rigore;
Voglio, perche ei non dubiti del vero,
De la proferta il giovinetto altiero,
Troppo si confidò del suo valore,
E disse un giorno
Del suo bel carro, e de la sua gran luce.
Udito
Subito il padre si venne à pentire
De la promessa e del gran giuramento,
Che
Crollando il capo illustre, e mal contento
Disse, ò figliuol, questo è troppo alto ardire;
Line 322 ⟶ 317:
Da questo figliuol mio ti dissuado,
Come quel,
Che mio tu periresti, e tuo mal grado,
E se credi altramente, tu
Per le tue forze, e per sì teneri anni.
Questo pensier,
È per gli homeri tuoi troppo gran peso.
Figliuol,
Ma quel, che cerchi, dal mortal si parte,
Che regger questo carro alcun non vale,
Fuor,
Gli sfrenati destrier, le rapide ale
Non potria raffrenar Giove, ne Marte.
Giove, che aventa i folgori, e
E che si può trovar maggior di Giove?
Erta è la prima via sì, che à gran stento
I miei freschi destrier posson montarla.
Quando à
E vengo con la mente à misurarla,
E tremo, figlio, anchor solo à pensare
Quanto bassa allhor sia la terra, e
Quindi comincio à declinare al basso,
E tal furia à la china il carro mena,
E pommi in tal travaglio, in tal conquasso,
Che mi fa perder
E regger posso affaticato, e lasso
Con ambedue le man la briglia à pena,
Tal, che Theti
Non pera co i cavalli, e
E più bisogna opporsi al ciel, che gira,
Di via le toglie et le trabocca à
Me dal viaggio mio già non ritira,
Gli vò sicuro incontro, e non lo stimo.
Line 369 ⟶ 364:
Selve, e città del ciel poter godere,
Pensa pur pria, che giunghi al vecchio Mauro,
lnsidie attraversar
Che
Questo mai del zodiaco non si parte,
E ne guarda di dodici una parte.
Line 378 ⟶ 373:
E dove rugghia il feroce Leone.
E ciaschedun di lor crudo aversario
A chi passa di là, tosto
Di quel, che fa
Un piega, e
Che fuor del segno suo la Libra abbraccia.
Line 388 ⟶ 383:
Che sbuffan fuor, indomiti, et altieri,
Poter ben governar sotto il tuo freno?
Posso à pena
Per la gran fugga han maggior foco in seno.
Deh figliuol mio non
Perche
Tu cerchi solo un fido pegno havere,
Line 398 ⟶ 393:
Da la pietà, che sta ne gli occhi miei.
In lor puoi chiaro scorgere, e vedere,
Che penetrar potessi ne
Per veder meglio il mio pensier paterno.
Che mi preghi infelice, che
Per ottenere il temerario intento,
Che senza, che parola più ne facci,
Ho da servar lo stigio giuramento.
Mi spiace ben, che cosa ti procacci,
Cio, che chiedi, haverai: ma ben
Che più nel chieder tuo ti mostri accorto.
Ciò, che di ricco ha
Chiedi figliuol, che non ti si contende:
Ma questo, che detto hai, lascialo stare,
Quel desio, che ti fa tanto elevare,
Sol la bassezza tua cerca, et attende.
Sarà la morte tua, la tua vergogna.
Line 430 ⟶ 425:
Di ricche gemme è quel bel carro adorno,
Et ha
Le curvature de le rote intorno
Da salda fascia
I raggi son, che fan più chiaro il giorno,
E tutto insieme sì gran lume porge,
Mentre mira il magnanimo Fetonte
Il nobil carro, il lavoro eccellente,
Sparge di rose tutto
Fuggon le stelle, e si bendan la fronte
Tosto,
Se fuor non vede pria spuntare il Sole.
Febo, che
Vede, e fuggir le tenebre
Comanda a
E ciò, che fa mestier per uscir fuora.
Corre la velocissima famiglia,
E fa tutte le cose allhora allhora.
Tosto i freschi destrier
Sentiro al collo i lor sonori freni.
Il Sol pria, che Fetonte il lume prenda,
Gli unge di liquor sacro il capo, e
Che da la fiamma rapida il difenda,
E
Gli veste i raggi, e fa che
E poi, che nel suo seggio il vide assiso,
Piangendo disse; Poi,
À quel,
La sferza co i destrier non usar troppo,
Ma fa, che sappi ben tenergli in freno,
Perche con
Faran questo viaggio in un baleno:
Attendi hor per non
À quel camin,
Per quella zona hai da guidare il plaustro,
Un cerchio obliquo questa zona cinge,
Line 480 ⟶ 475:
Il vestigio vedrai, che vi depinge
Il carro mio, che per tutto è segnato:
Ma fa,
Per far la terra, e
Fa, che troppo alto ò basso andar non tenti.
Se spieghi verso il ciel troppo alto
Gli arderai tutti i suoi corpi lucenti:
Ma se troppo à
Con la terra arderai gli altri elementi.
Se
Fra
Io raccomando à la fortuna il resto,
Che meglio di te stesso ti consigli,
E di nuovo
Che
Ma bisogna
Da i colori del ciel, bianchi, e vermigli;
E già la notte fuggendo tal vista,
Ne
Più non può starsi, eccoti il freno in mano,
Line 508 ⟶ 503:
E da poterne uscir con poco honore.
Deh non voler andar, deh prendi figlio
Più tosto, che
Egli con giovinil corpo, e pensiero
Possiede allegro il bel carro paterno.
Allegro prende il fren
Gli accoglie allegro sotto il suo governo,
E più, che fosse mai vano, e leggiero,
Ringratia il padre, che
Mostra col sospirar,
E con ogni attion, che
In tanto Eto, e Piroo, con gli altri augelli,
Che senton de la sferza il moto, e
Si movon, si raccolgon, si fan belli,
E co piè zappan tutto
Sbuffan fiamme, annitriscon, come quelli,
Che tutto hanno al volar
Tolti tutti i ripari, e
Trapassan gli euri in quelle bande nati.
Gioisce
Cantando il vago augel
E saluta la luce, che vien fuori.
Superbo
Che spera al Sol goder gli usati amori.
Godono huomini, e fiere intorno intorno,
Line 538 ⟶ 533:
Ó cieca terra, ò miseri animali,
Non sapete, che mal il Sol
Ne men,
Dal suo foco crudel distrutti, e morti.
Poco à te vago augel, gioveran
Poco à voi serpi,
E te terra, à cui par,che tanto giove,
Vedrò contra di lui dolerti à Giove.
Line 549 ⟶ 544:
Co i piedi, con le penne, e con le rote;
È le fa tosto rimaner distrutte
E leve il peso, et le rote condutte
Son da i destrier per regioni ignote,
Che non sentendo à
Van come in mar mal governata nave.
Line 559 ⟶ 554:
Che sì sopra acqua il mar vagando fiede,
Che par, che sempre stia per traboccare,
Hor
Così quel carro era costretto à fare,
E senza il peso suo con più
Gir balzando per
Di questo novo lor più dolce morso,
Lasciano il noto lor trito viaggio,
Line 571 ⟶ 566:
Che non ha più consiglio, ne soccorso.
Non sà dove si vada, ò per qual via,
Ne se
Vaghi forse veder varij paesi
Line 577 ⟶ 572:
Dove il giorno, e la notte è di sei mesi,
Dove si vede il Polo immobil starsi.
Già
Nel prohibito mar voller tuffarsi,
E tu non men di lor tardo Boote
Line 587 ⟶ 582:
Diventò fiero, horribile, e importuno.
Già si prepara, e si mette in assetto
E
Che gli fece cangiar strada, e pensiero.
Per fuggire i cavalli e danno, e scorno,
Voltan la groppa al Drago, e via
Tanto affrettando verso il mezzo giorno,
Che
Già non pensan gir là dal Capricorno,
Come nel noto lor viaggio stanno,
Ma per non gir, come havean fatto à caso,
Si drizzan per la pesta in ver
Hor come
Mira da
Trema, e diventa pallido nel volto,
E poco men, che non ruina à terra.
Già quel tanto splendor gli ha
Che gli occhi contra il suo voler gli serra.
Vorria già haver creduto à la sua madre,
Line 613 ⟶ 608:
Stupiscon, che i solari ardenti rai
Veggon da Polo à Polo esser condutti,
E più, che ardon si torridi,
Gli han quasi tutti quanti arsi, e distrutti,
Ma ben novo stupor allhor
Che farà
Un gran spatio di ciel dietro à le spalle,
E già si vede à quel giogo arrivato,
Line 624 ⟶ 619:
Ó voglia andar da questo, ò da quel lato,
Forza è calar ne la profonda valle:
Tien il fren, ma
Mentre scorrendo il ciel piange, e sospira
Il timido garzon, ne sa, che farsi,
Molti horrendi animali incontra, e mira,
Che son per tutto
Il carro intanto, et ecco appresentarsi
Che
Quando il pentito giovane
De
E ruggiadoso, et humido lo scorge
Di mortifer venen per tutto
Che reflette la coda, e innanzi sporge
Per fuggir lascia il freno, e, più che puote
Con la sferza i destrier batte, e percuote.
Come i cavalli abbandonato in tutto
Sentono il freno, e battersi
Schivan
E
Scorrono hor alto, hor basso, il ciel per tutto.
Che più
Il misero
E più fermo, che può, su
Come il nocchier, che
Perde, risolve il suo dubbioso petto,
Contra il voler del mar più non
Che non può più salvarsi al suo dispetto:
Ma si da tutto à sua discretione,
Indi si volge à Dio con caldo affetto,
Tanto verso la terra il carro scende,
Line 668 ⟶ 663:
Vedersi sotto i destrier del germano.
Fuman le nubi, e la terra si fende,
Arde già il monte, e tutto aperto è
I pascoli dal Sol percossi, e secchi,
Diventan tuttavia canuti, e vecchi.
Line 675 ⟶ 670:
Occasion, che vi si appicchi il foco,
E porgono materia al lor gran danno,
Gli arbori senza honor ne i monti stanno,
Già si veggon fumare à poco à poco.
Arde
E sembra un Mongibello ogni montagna.
Arde il già vivo frassino, e
Come faria lino incerato, ò paglia.
Tutto è foco Ida, et Emo, e Tauro, et Ete,
In Frigia, in Tracia, in Cilicia, in Tessaglia.
Freddi monti di Scithia, non potete
Far, che
Caucaso abbruggia, et Cinto, Olimpo, e Calpe,
Et ogni parte, ove dividon
Il pien di nebbie, e silvoso Apennino,
E Pindo, et Ossa, e Parnaso
Più basso arde il Tarpeio, e
Di raddoppiate fiamme Etna risplende.
Indi prende nel pian forza, e domino
Line 701 ⟶ 696:
Vede il mesto Fetonte il mondo acceso,
E star di vive fiamme risplendente,
Non sa che far,
Dal cieco fumo, e dal calor, che sente.
Il metallo del carro ha
Che dà Vulcan ne la fucina ardente.
Confuso sta, ne sa dove andar debbia,
Cieco da la fumosa oscura nebbia.
Allhor si crede,
Dal foco il sangue à la suprema carne,
E quel nero color venisse à trarne.
Allhor fu al terren Libio il vigor tolto,
Line 718 ⟶ 713:
Beotia Dirce, et Efiro Pirene
Cercano, et Argo
Ne sol
Ma i fiumi, che più larghe hanno le sponde.
Chi da i lati
In mezzo
Xanto impara à gittar fiamme e faville,
Per saper arder ben poi contra Achille.
Arse in Armenia Eufrate, in Siria Oronte,
Il Gange, dove à noi nasce
Arse in Scithia il veloce Termodonte,
In Spagna il Tago, che
Nel mondo estremo la superba fronte
Nascose il Nil, che sta nascosta anchora;
E le sue parti già da
Fur sette valli aduste, et arenose.
I fiumi de
De gli altri frati lor secchi, et asciutti.
Il Rodano restò
E
Il mar, che suol haver sì gonfio il seno,
Allhor mancò
Molti bracci di mar chiusi fra terra
Restar campi arenosi, arida terra.
Crescon per tutto
Che
Più non sono i Delfini agili, e pronti
À saltar sopra il mar tutti scoperti.
Altro pesce non
Ne stan molti sù i liti arsi, e deserti,
Molti
Ne vanno à galla arrovesciati, e morti.
Line 760 ⟶ 755:
Infino al petto uscì tre volte fuori,
E tre volte attuffossi, e non ste saldo,
Per non poter soffrir le luce, e
Ha fessure, e voragini la terra,
Che scuopron dentro ogni suo luogo interno,
Tal che
Fa lume al Re del tenebroso inferno.
Teme ei, che
Per privarlo del suo Stigio governo.
Percote Erinni il petto afflitta, e mesta,
E
Non può vetar, che
Dove son seco ritirati à stare
I fonti nel materno ombroso ventre.
Alza il fruttifer volto per parlare,
Oppon la mano à
Vuol dir, trema, e si move; e gir si lassa
Più, che star non solea, terrena, e bassa.
Line 784 ⟶ 779:
Se ti par, che perir merti di foco,
Fà, che dal foco tuo senta bruciarmi;
Aventa il folgor tuo, che
Se tu
Che
Se questo tu farai, che
Perche sì crudo, et empio hoggi il Sol viene,
Che meco i dolci figli arde, e consuma?
Perche non fa quel,
Ne il mondo come pria scalda, et alluma?
Perche fa quel,
Che faccia à tutto
E tu presente il vegga, e
Oime, che à pena la mia debil voce
Nel mio flebil parlar risolver posso,
Impedita dal foco, che mi coce
Il mio già lieto volto, e tutto
Il qual non solo in quel,
Ma strugge dentro la medolla, e
Guarda gli arsi capei,
De le già membra mie sì vaghe, e belle.
È questo il guiderdone, è questo il frutto?
Dunque i miei premij, i miei merti son tali?
De la fertilità,
Di fior,
Dal crudo aratro, e da gli empi mortali.
Nutrisco piante, augei, montoni, e buoi,
E fò le biade à
È dunque ben, che per premio, e per merto
Di convertirmi in cener ne consegua?
Or sù poniam per qualche mio demerto,
Che
In mezzo à
Che
Perche gli manca il mar? perche discresce
Quel gran regno,
Perche gli uccide il suo gregge, il suo pesce
Il più superbo Dio de la tua corte?
Hor se di me, ne di lui non
E giudichi ambedue degni di morte,
Deh movati il tuo ciel, deh guarda intorno
Come
Deh gran rettor del ciel provedi innante,
Che
E fan già rosso il cielo in ogni parte,
E cuocon sì le spalle al vecchio Atlante,
Che lascierà cader Mercurio, e Marte,
E te, se i poli il foco arde, e consuma;
E vedi ben, che
Perche non pera il ciel, la terra, e
Ne torniam, come pria, tutti in confuso,
Salva dal foco quel, che puoi salvare,
E riserva le cose à
Il vapor non potè più sopportare
La terra, e
Si ristrinse nel suo luogo più interno,
Presso al già buio, hor luminoso inferno.
Line 855 ⟶ 850:
Tutto chiamò per testimonio il cielo,
E quel, che diede il carro, e quella veste,
Che sforza
E mostrando le fiamme ingorde, e preste,
Che fa nel mondo il distruttor del gielo,
Disse: arderà, se da noi gli è permesso,
La Terra, il Cielo, il Mar,
Tosto à
Onde di nubi, e nebbie il mondo ingombra,
E di neve, e di grandine, e di pioggia,
Di tutto quel,
Ma la trovò con nova, e strana foggia
Tutta dal foco esser bruciata, e sgombra,
E
Ritrovò tutto dileguato, e vano.
À la
Onde trà le saette, accende i lampi;
Un mortifero folgore in man prende,
Poi fa, che
Lancia, e tornando impetuoso scende
Quel tolse al miser
Onde foco per foco allhor si spense.
Dal foco, dal gran colpo, e dal romore
Sbigottiti i cavalli un salto fanno
Contrario
Tolgon dal giogo, e vagabondi vanno.
Spargonsi i raggi, e quel chiaro splendore,
Le rotte rote in quella parte stanno,
Qui
Per gli arsi campi, e
Si volge in precipitio il corpo estinto,
Ardendo
E per
Sembra quando dal ciel cade una stella,
E se non cade, e quel cadere è finto,
Pur par, che cada, e che dal ciel si svella.
Lontan da la sua patria il Pò
E lava lui con
Le ninfe de
(
Gli dier sepolcro; e fer
Così notar da le fabrili piume;
Fetonte giace quì,
Del carro esser rettor del maggior lume,
E se reggere al fin ben
Pur osando alte imprese arse, e cadeo.
Line 909 ⟶ 904:
Al mondo ascose, e tutto sol si dolse,
E se creder vogliam quel, che si dice,
Un dì passò,
Ardeva, al mondo il suo splendor non tolse:
Tutto
Tanto, che pur giovò quel danno un poco.
Poi, che la madre Climene hebbe detto
Quel,
Stracciando i crini e percotendo il petto
Fè noto à tutto
Come insensata uscì del patrio tetto
Spargendo amare lagrime per gire
Per tutto
Che potesse al figliuol morire à canto.
Line 935 ⟶ 930:
Alzando al cielo poi gli humidi rai
Disse dal dolor cieca, e da lo sdegno,
Deh perche Giove un figlio tolto
Degno de la tua corte, e del tuo regno?
Che
Dunque un cor sì magnanimo, e sì forte,
Dovea per premio haver da voi la morte?
Non hebbe intention
Quando
Non ornò di quei raggi il suo crin biondo
Per
Per saper quel viaggio obliquo, e tondo,
Che fa, che vario il giorno à noi si scopra
Potea giovar talhora al padre stanco.
Line 954 ⟶ 949:
Rapirlo dal bel carro, ove sedea?
E tal nel tuo superbo imperio farlo,
Qual meritava
Molto
Per lo spirto divin, che in lui splendea.
Ben potevi schivar quel gran periglio,
Line 961 ⟶ 956:
Questa nobile idea sublime, e degna,
A cui, figliuol, tutto
Può star,
E caper possa in così stretto loco?
Ahi saetta mortifera, et indegna,
Ahi crudo ingrato, e sconoscente foco,
Che nota fe la tua possanza, e forza.
Line 973 ⟶ 968:
Si straccia i crini, e si graffia le gote,
E con tal maestà si dole, e lagna,
Che movere à pietà
Le rive, i monti, i boschi, e la campagna.
E tanto il Pò ne pianse, e se ne dolse,
Che
Ogni sorella di Fetonte, e figlia
Line 985 ⟶ 980:
E quando incolpa Giove, e quando il Sole:
Quella sopra il sepolcro si distende,
E chiama il frate in van, che non
La terza stanca al fin
Le man commette, e
E fra le braccia il muto capo serra
Col pensiero al fratello intento, e fiso.
Stavvi un gran pezzo, e poi le man disserra,
E rompe quel silentio à
Si graffia, e straccia, e le man batte, e stride,
Fin che di novo si stanca, e
Passando van
Et ad ogni atto gratioso, e mesto
Danno un soave, e doloroso accento.
Line 1 003 ⟶ 998:
Dove le move, e sprona il lor tormento,
E tutti indicio manifesto fanno
Del crudel caso, e del dolor, che
Quattro volte scoperte, e quattro ascose
La Luna havea le luminose corna;
Da quattro segni havea di gigli, e rose
Cento, e più volte havea tutte le cose
Scoperto il biondo Dio, che
E quelle per lungo habito, e costume
Anchor piangeano il mal rettor del lume.
Stanca Fetusa, la maggior sirocchia
Pensa sedersi, e trova
Le giunture indurate, e le ginocchia,
Ne come prima più seder le lice.
Lampetie andar vi vuol, che questo adocchia,
Ma la ritiene insolita radice.
Crede
E si trova le man piene di fronde.
Line 1 028 ⟶ 1 023:
Farsi due lunghi rami ambe le braccia.
Veggono intanto una più dura scorza,
Che
Sol restava la voce, e
Con cui ne diero à la lor madre aviso.
Hor che può far la sconsolata, e mesta
Che sì strano spettacolo rimira?
Et à le figlie vede
Se non andar dove il furor la tira?
Corre, e soccorrer vuole hor quella, hor questa,
Vuol far, ne sa, che farsi, e pur
Guarda, e non vede cosa in quel contorno
Da torle quel novello arbor
À i piu teneri rami al fin
E
Per liberar
Da
Fa del suo sangue la terra vermiglia
Ogni ferita, e lacerata pianta.
E dice, non troncar madre, se
Che laceri il mio corpo in questi rami.
La scorza in tanto tutte le circonda,
E toglie à loro il volto, e le parole;
Il pianto nò, che più che mai
Ben
Le lagrime indurate à più
Esse hor son pioppi, ambre i disfatti lumi,
Queste adornan le donne, e quelli fiumi.
Line 1 063 ⟶ 1 058:
Dal grande amore à quel sepolcro tratto,
Che porta al folgorato suo parente.
Ma
Che gli era giunto
E lo stimò sì generoso, e degno,
Più folti i boschi per li novi rami
De le meste sorelle di Fetonte,
Ripieni havea di dolorosi, e grami
Pianti, e lamenti, e
E vedendo
Che coprian lor la dolorosa fronte,
Credo,
Che fosser fuor del solito dolore.
Line 1 080 ⟶ 1 075:
Di bianche piume poi coprir si vede,
Il collo se gli allunga, e si distende,
Lega rossa giuntura i diti,
La bocca un rostro non agguzza prende,
Cigno havea nome il Re Ligure, e quello
Nome ritenne essendo fatto augello.
In mente anchor quanto già nocque, serra
À Fetonte à spiegar troppo alto
Però non molto alzarsi osa da terra,
Che teme Giove, e
Sol fra paludi egli
E per non cader giù, poco alto sale.
Habita fiumi, e laghi, et ogni loco,
Line 1 097 ⟶ 1 092:
Squalido il padre di Fetonte intanto,
Come morto cader del carro il mira,
Odia il giorno, e se stesso, e
E senza il suo splendor piange, e sospira:
Ne basta, che si doni in preda al pianto,
Che dal pianto si dona in preda à
E nega in volto irato, e furibondo
Troppo è stato inquieto il viver mio
Dal secolo primier,
Vagato son senza posarmi mai,
Poi,
Me ne starò
Trovisi
Che guidi il carro, che la luce porta.
Guidilo il Re
Allhor saprà, che non merta la morte
Chi guida i miei cavalli, anchor
À cagion, che talhor lanciar
Lo stral, che rende i padri orbati, e mesti.
Mentre che
Tutti i celesti Dei gli stanno intorno;
E pregan lui con supplici parole,
Che renda il mondo del suo lume adorno:
Che vede ben, che
Fia tenebrosa, se le toglie il giorno.
Giove si scusa, e prega, indi minaccia,
Line 1 132 ⟶ 1 127:
Gli sparti raggi per gli arsi sentieri
Febo ritrova, e
Gli anchor smarriti, e stupidi destrieri
Sotto il suo duro fren di novo accoglie;
E incolpa lor, che sì vani, e leggieri
Mal secondar
E come sian cagion del suo martoro,
Gli batte, e sferza, e incrudelisce in loro.
Poi che
Vide raccor dal suo rettor primiero,
Volle veder, se
Nociuto havesse al suo superbo impero,
Dove Vener trovò Saturno, e Marte
Line 1 150 ⟶ 1 145:
Discende in terra, e la sua maggior cura
È di rifarle in tutto il torto, e
E trova i fiumi anchor pien di paura,
Che nel materno ventre ascosi stanno,
E
Il timor,
Egli li fece uscir, ben che sospetti
À dar da bere à i lor bruciati letti.
Line 1 162 ⟶ 1 157:
Tutti fa ritornar nel primo stato
Di tutti i pregi lor lieti, e fecondi.
Fà, che
E fiumi, e piante, e prati, et herbe, e fiori,
Racquistar tutti i lor perduti honori.
Andando Giove in questa parte, e in quella
Per veder
Trova in Arcadia una vergine bella,
Serve Diana, e Calisto
Figlia à colui, che lupo era rimasto,
Quando per far le temerarie prove,
Line 1 178 ⟶ 1 173:
Sopra tre lustri havea girato il Sole
Una volta il suo cerchio intorno intorno
Dal dì,
Che fe di sì bel dono il mondo adorno.
Ben mostran le bellezze uniche, e sole,
Che non ha più, ne manco tempo un giorno:
Che
Ben corrisponde à la sua verde etade.
Non vuol, ne men
Che capei biondi si proccaci, ò finga,
À i vestimenti suoi succinti, e scarsi
Basta tanta cintura, che li cinga;
Line 1 195 ⟶ 1 190:
Sola, e sicura la vergine bella
Figlia del Re
Vestita à guisa
Come à la legge sua si convenia;
Perche costume fu
Che di Diana la norma seguia,
Fuggir le pompe, e vestir puro, e schietto
Per dimostrar la purità del petto.
Il vago
E le maniere gratiose, e sante,
Che mostran la bellezza interiore,
E
Quante
Con dolce vago fan,
Fà Venere albergar nel suo bel volto.
Giove come farà,
Un sì leggiardo, e sì divino aspetto,
Che novo amor per lei nol prenda, et arda,
Che non cerchi gustar novo diletto?
Per lo piacer,
Del suo libero andar senza sospetto.
Quel bello andar dal suo desio
Che fa superbo
Dal più supremo ciel Febo havea visto
Tutti il caldo fuggir del mezzo giorno;
Volta era al cerchio
Col metro la cicala infame, e tristo,
Rendea noioso il mondo
Volle por meta alquanto al suo viaggio.
Dal Sole in una selva si nasconde
Di grossi faggi, e
Che cento volte havea cangiate fronde,
Ne mai sentiti
Si ferma ad un ruscel di limpide onde
Ma
E tocca un sol de le distese corna.
Indi si china à la gelata fonte,
E spesso
Le sitibonde fauci aperte, e pronte
Quella parte
Beve, e poi lava la sudata fronte,
Indi
Lava poi (che veduta esser non crede)
Vestito
E ben tre volte trattasi la sete,
E la faretra toltasi dal fianco,
Line 1 257 ⟶ 1 252:
E fa guanciale à le vermiglie gote.
Giove, che sempre
Con
Et à la vaga sua maniera, e forma,
Di sì belle attioni ha posto mente,
Non si cura aspettar,
Ma si muta di volto immantinente,
Da lei la riverita forma piglia
Line 1 268 ⟶ 1 263:
Già non saprà questo mio furto, e frodo,
Disse, la dispettosa mia consorte;
E se
Che disprezzi un piacer di questa sorte?
Quando
In così rara aventurosa sorte?
E giunto à lei con la mentita faccia
Le domandò
Tosto si leva la Vergine bella,
E riverente à la sua Dea
E dice con la sua dolce favella;
Ó vera de le Vergini Regina
Sappi,
À tutta quanta la corte divina,
Et anchor,
Tu sei di castitate un vero essempio
À le dilette tue pudiche ancelle,
Egli si fa talhor rapace, et empio
Ver le donne,
Trasforma il volto, e con lor grave scempio
Suole ingannar le semplici donzelle.
Ride ei, che preferir
Et accusar del suo propinquo eccesso.
Line 1 297 ⟶ 1 292:
E non, che ad una vergine stia bene,
Ma sarià troppo ad una meretrice.
Ella per far quel,
De la sua caccia le ragiona, e dice;
Ma trattosi egli le mentite spoglie
Dir non la lascia, e
La misera donzella per salvarsi
Line 1 306 ⟶ 1 301:
Ma come puote una fanciulla aitarsi
Contra chi tutto move, e tutto intende?
Pur
Guarda, guarda, Giunon,
Che non saran sì crudi i pensier tuoi,
Ne il mal farai, che le facesti poi.
Line 1 313 ⟶ 1 308:
Giove nel ciel vittorioso riede,
E lascia quella, sconsolata, e mesta,
Dal consapevol loco à torre il piede
Si move sì sollicita e sì presta,
Et ha tanta la fretta
Che quasi
Mentre fra se la sua fortuna piagne,
E quasi ad ogni suo passo sospira,
Diana scevra da le sue compagne
Venirle incontro à
La Dea fa cenno à lei, che
Ma quella al primo fugge, e si ritira;
Che teme anchor, che Giove insidioso
Non si dimori in quella forma ascoso.
Ma come poi
Non lungi
E che conosce esser lontan
Ahi come asconde mal seta, ne panno
Quel vitio, che fa donne le donzelle;
Come ne danno indubitato aviso
Le maniere, e
Più non si vede andar lieta, e superba
Innanzi à
Ma gli occhi non ardisce alzar da
Ne
Pur cerca asconder la sua doglia acerba,
Per non far noto il caso,
Ma di poterla ben celar
Dal raddoppiato suo rossor del volto.
Line 1 354 ⟶ 1 349:
Prima, che passi il nono mese intero.
Vivete pure, e conversate insieme,
Che saprete il dolor,
Dal dì,
Sfogò
Nove volte mostrò le corna nove
La Luna, et altrettante il tondo empio
Line 1 365 ⟶ 1 360:
Per fuggire i fraterni estivi raggi.
Lodato
Le parve fare il saggio anchor de
E dentro il piede postovi, e sentito
Il suo temperamento, assai le piacque;
E fatto à tutte un generale invito
Di doversi bagnar, lor non dispiacque,
Et ogni occhio, et ogni arbitro discosto.
Hor che farà Calisto? se si spoglia,
Ma
E scopron la cagion de la sua doglia,
E
Ella non può con man celar sì
Che
Fuggi putta sfacciata, e come hai fronte
Line 1 387 ⟶ 1 382:
Non profanar questo sacrato fonte,
Non macchiar questo limpido liquore.
Deh non Diana, non le dir
Che
Hà sano il suo di dentro, ma la scorza
Non, che
La casta compagnia sdegnata diede
À la compagna rea perpetuo essiglio.
Scontenta, e trista al patrio albergo riede,
Dove poco dapoi diè fuora un figlio,
Che riuscì da seme sì perfetto
Nobil di sangue,
Giunon lo stupro havea già presentito,
Che fatto havea
Et haveva in buon tempo stabilito
Di castigar colei di mala sorte;
Ma come hà poi notitia,
Hà fatto un figlio,
Che più la pena à lei tardar non vole,
Per
Questo mancava un testimonio certo
De
Disse, ma tosto
À te la forma, à me la gelosia.
Non havrai più quel sì lodato volto
Col quale il senno al mio marito hai tolto.
La prende con gran rabbia
E la declina à terra, e tira, e straccia.
E supplice ver lei stende le braccia.
Già coprono le braccia horridi velli,
E ver la bocca
Si veste à poco à poco tutto il dosso
Poi le toglie il parlar grato, e giocondo
Line 1 432 ⟶ 1 427:
Un minaccevol suono, et iracondo
Dal roco gozzo suo si sente uscire.
E si rende atta à graffiare, e ferire,
Curvar prima la mano, e poi si vede
Quel sì leggiadro, e gratioso aspetto,
Line 1 441 ⟶ 1 436:
Divenne un fero, e spaventoso obietto
À gli occhi altrui sotto odioso velo.
Servò sotto
Questa,
Se Giove ingrato ben chiamar non puote
Ingrato dentro à
E se non può con le dolenti note,
Quelle mani, che puote, al ciel distende.
E
Che tutto il mal,
E che appartenga à lui di darle aiuto.
Ó quante volte sola dubitando
Gir per le selve come
Sen giva intorno à le sue case errando,
Over per mezzo à qualche suo podere
De i propri, e noti suoi frutti mangiando
Pruni, mele, castagne, noci, e pere.
Che del suo puote, e vuol mangiar
Ó quante, e quante volte
Scordatasi,
Fuggì tai fiere,
Se non cercan di lor seguir la traccia.
Quante volte
Da cani, e cacciatori hebbe la caccia.
Se vide i lupi, hebbe paura
Anchor che
Fugge gli Orsi essendo Orsa, e amor la sforza
Fuggirsi al proprio albergo, ò lì vicino.
Misera dove vai? ragione, e forza
Ti toglie il tuo per
Non può la mente tua sotto tal scorza
Tenerne più possesso, ne domino:
Che la legge del mondo
Che sei fatta una fera, e
Quanto infelice sei, se ben ci pensi,
Tu vergine, e compagna di Diana
Sei per sfogar gli altrui sfrenati sensi,
Dal suo tempio
Quanti huomini hai col tuo bel viso accensi,
Et hor non hai pur la sembianza humana.
Tu vedi il tuo bel regno, e
Ne
Giovane, e nobil ne le caccie altera
Et hor, che sei sì valorosa fera
Ogni
Deh mostra lor la faccia horrenda, e fera,
Fa loro udir la tua tremenda voce.
Le forze, il morso, e
Che non hai da temer gli altri animali.
Ó sfortunata, abbandonata, e priva
De la lor specie sei, lor non sei schiva,
Non dei temere i lor graffi, i lor morsi.
Quanto meglio saria non esser viva,
Pur per men mal,
E i lor costumi impara, e le lor leggi.
Figlia del Re
Fra tanti Regi eleggerti un consorte,
Ahi quanto, quanto credo, che
Sopporti à
Fallo scontenta, fa, che farlo devi,
Mentre non ha di te pietà la morte.
Per
Ma gli Orsi almen
Io veggo, io veggo ben, come tu piagni
Levata in piè, stendendo al ciel le braccia.
Col batter zampa à zampa ancho accompagni
Il suon, che
Oime non ti graffiar, vedi che bagni
Del sangue tuo la tua ferina faccia,
Che
Quella solo usar dei,
Arcade, il figlio, che già fe Calisto,
(Così havea nome) del Rettor superno
Fra le stagion de
Quindici volte esser signore il verno;
E
Havea vagato il bel regno paterno,
Insidiata, e piena
Senza tor compagnia
Cacciando per le selve
Arcade, e ricercando ogni pendice,
Con cani, e reti, e con cento altri à canto,
Come ei la vede, si ritira alquanto,
Ma non si ritirò quella infelice,
Line 1 545 ⟶ 1 540:
Tenne in lui fermo il trasformato ciglio.
Ei, che
Teme di qualche mal, se non
Lo strale, e
E pensa darle una mortal ferita.
Che farai scelerato, e sconoscente
Line 1 554 ⟶ 1 549:
Se non tuo figlio ucciderà sua madre.
Per vetar Giove,
Quel maleficio, al quale il vede intento,
Gli cangia in un momento e sesso, e faccia,
Fallo
Verso Boote assiderato, e lento,
E tanto le portò per
Là dove poi la lor rugosa pelle
Line 1 567 ⟶ 1 562:
E si fer tutte le lor membra stelle.
Questa è men grande, e quella è più lucente,
Hor
Et Orse anchor son dette da la gente,
E per
Ahi come si gonfiò
Giunon, visto colei splender nel cielo,
Et esser fatta del celeste regno
Senza
Come se
Del novo nato al cor timore, e gelo.
Come andò tosto à scoprir le sue voglie
Al canuto Oceano, et à la moglie.
Io sò,
Disse,
Altri nel ciel possiede il loco mio,
Più grata al mio marito, e più gioconda,
E vederete ben, che non mento io,
Tosto, che
Se in ciel ver Borea drizzate lo sguardo
Nel cerchio,
Chi fia per
Chi, che mi tema più per quel,
Come nel mondo il mio poter
Da me tal pena ogni nocente attenda,
Questa è la gran possanza,
Per nocer toglio altrui
E giovo, e folla divenir celeste.
Perche non rende à lei
Come à la figlia
Perche dal letto mio me non discaccia?
Non fa divortio, e non mi manda altrove?
Line 1 608 ⟶ 1 603:
E per socero suo non sceglie un lupo?
Hor voi, se
Voi mia nutrice, e tutti i Dei del mare,
Le sette stelle, che vedrete insieme
Fra
Che fan
Una stuprata, et una meretrice.
Line 1 620 ⟶ 1 615:
Di volerle osservar quanto chiedea,
Onde tornossi al suo celeste regno
Nel carro suo tornò nobile, e degno,
Che più, che mai superbo risplendea,
Poi, che la morte
Fece sì belle al suo pavon le piume.
Con diligenza, e tacito il pavone
À servir la sua Dea contento attese.
E quando venne poi
Vedete il guiderdon, che glie ne rese.
Imita Henrico invitto hoggi Giunone,
Et Alessandro il mio Signor Farnese,
Che chi con lealtà ben serve loro,
Talhor del ben servir
Mai se non mal del mal servir non venne.
E può di questo ogni huom rendere esperto,
Quel,
Corvo loquace sai, che
Fece altramente à te cangiar le penne,
E
Tu ne portasti biasmo, infamia, e scorno.
Line 1 649 ⟶ 1 644:
Cosa, onde nascer può scandalo, e danno.
Tu sai, che per mercè del tuo fallire,
Ti convenne vestir
E dove bianco, e grato eri, et allegro,
Sei brutto, e mesto, et odioso, e negro.
Non fu veduto mai più vago augello,
Più grato ne
Un manto il corvo havea sì bianco, e bello,
Che non cedeva à le colombe, e al cigno,
Ma dentro il core havea crudele, e fello,
E
E ben il dimostrò, quando non tacque,
Cosa, onde poi tanta ruina nacque.
Tempo fu già,
Febo in Thessaglia, nata Larissea,
Che la beltà restar fatta havria nulla
Line 1 668 ⟶ 1 663:
La vede il corvo un dì, che si trastulla
Con altro amante, e che ad Apollo è rea,
E và per accusar
Che per nome Coronide
Il corvo se ne va veloce, e presto,
Line 1 680 ⟶ 1 675:
Che sempre volontier ragiona, e gracchia.
Ella, che
Con tanto studio il suo camin spacciare,
Subito prese indicio, et argomento,
Line 1 686 ⟶ 1 681:
È de le donne universale intento
Volere i fatti altrui sempre spiare,
Fè sì,
Dopo molto pregar trovato un faggio
Line 1 700 ⟶ 1 695:
Per quel, che da i più savij odo, et osservo,
(Cosa prima da me mal custodita)
Se ben tu sei
Non però dei scoprir
Tenuto sei, se qualche empio, e protervo
Gli machina nel regno, ò ne la vita;
Line 1 707 ⟶ 1 702:
E molte men se mal ne puote uscire.
Ó quanti quanti per
Pensando
E per mostrar
Parlando in danno altrui sempre in absenza,
Imparan poi quel, che il lor dir importi,
Che
E ne restan scherniti, e vilipesi,
E ben tu
E se conoscer vuoi, che non sta bene,
E che senza alcun dubbio erra colui,
Che dice più di quel, che gli conviene,
Ricerca quel,
E
Per voler troppo esser fedele altrui,
Sì come intenderai, se tu
Quando i Giganti mosser guerra à Giove,
Giove con
Parve, che
Fatta la scala havean, che salda stette.
Vulcano allhor certe saette nove
Formò per questo fin proprie, e perfette,
E diero al fallo lor degno supplicio.
Line 1 737 ⟶ 1 732:
Promise al Fabro dar ciò, che chiedea.
Egli, che se ben zoppo era, e canuto,
De
Gli disse, che per moglie havria voluto
La casta, e saggia, e bellicosa Dea.
Giove, che
Disse,
Vulcano allegro Pallade ritrova,
Ella, à cui questo par cosa assai nova,
Contrasta acerbamente à le sue voglie.
Lussurioso il vecchio usa ogni prova.
Ella lo scaccia, ei da lei non si scioglie.
Al fin con tal fervor con lei
Che sparge per dolcezza il seme in terra.
Pur conoscendo al fin,
Scornato il Fabro, altrove
Ma del suo seme poi la terra pregna
Parturì
Fece un figliuol,
La faccia, e
Col nodo de le cosce, e
Fù di serpente spaventoso, e brutto.
Line 1 768 ⟶ 1 763:
Ma, che non la scoprisser, loro impose.
Queste donzelle, in guardia al mostro date
Del re
Sopra
Guardando hor questa, hor
Ne la prima non fa, ne la seconda
La legge di Minerva irrita, e nulla.
La terza una, e due volte, e tre circonda
La mal fidata, e mostruosa culla.
Chiama al fin
Il volto humano, e
À Pallade io riporto tutto
Sperando al ben servir condegno merto,
Come servar Pandroso, et Herse il patto,
Ma ben,
Ne sol per se quel cesto havea scoperto,
Ma
Quel mostro,
Dir non mi curo, come
Quel figlio, e come poi fu sì prudente,
Che
Cosa di tanto commodo à la gente;
Ne come sempre poi
Per nascondere i piedi del serpente,
Che
E
Ne men dirò, come Giove allettato
Dal suo sottile, et elevato ingegno,
Nel ciel
Ne come tutto in stelle trasformato
Si fe
Che
Con Perseo han per confin Gemini, e
Ma ben dirò, che per la lingua mia,
Line 1 810 ⟶ 1 805:
Io ne fui detta novelliera, e spia,
E tolta da la guardia di Minerva.
E dove io
Tolse in mio luogo altra compagna, e serva.
E questo
Dovrebbe far la mia disgratia accorto
Line 1 819 ⟶ 1 814:
E quanto merta biasmo, e quanto ha torto
Quel, che i delitti altrui cerca scoprire.
Tu vedi ben la pena,
Priva del grado mio, del mio servire,
Che già
Di sua compagna, e vò narrarti come.
Di Coroneo di Focide fui figlia,
Oime,
Vergine, regia, e bella à maraviglia,
E già fei molti Re servi
Mio nome al nome di colei simiglia,
Che cerchi
Gia de la mia beltà molti Re presi
Per moglie mi bramar, ma non
Perche le voglie mie pudiche, e monde
Fean resistenza, come à
Andando un dì per
Del mar con lenti passi, come io soglio,
Arder feci Nettuno in mezzo à
Si come
Ne il mar suo tutto potè spegner dramma,
De
Ó Dio, che lusinghevoli parole
Mi disse. O donna,
Donna, che col tuo sguardo almo, e gradito
Pareggi, e passi il lampeggiar del Sole,
Non fuggir, ma quel Dio gradir ti piaccia,
Il cui gran regno tutto
Quel Dio Signor di quel degno elemento
Line 1 857 ⟶ 1 852:
Temendo non restare in foco spento,
Fuggito è ne la più suprema sede,
Da
Perche ne le caverne de la terra,
Ne le spelonche,
Si gela, e sface, e forma il fiume, e
Per li porosi lochi entra sotterra
Novo
Dove vien se medesimo à trasformare,
Per dar tributo al mio superbo mare.
Io di ricchezze tanto, e tanto abondo
Che quante ne fur mai per tutto
Si trovan tutte nel mio regno ascose,
Nel mar stà il mio palazzo più profondo,
Line 1 878 ⟶ 1 873:
Di Latini, di Greci, Arabi, e Persi.
Signor son
Et acquisto ogni dì ricchezze nove,
E se ti piace
Cose vedrai, che non hai viste altrove.
Per tutto aprir ti farò
Strade del mar, fin che tu giunga dove,
Sta
Per te, per li parenti, e per chi vuoi.
Ei non restava di seguir dicendo,
Io fuggir con destrezza havrei voluto,
Al fin
Si prepara à la forza, il corso io stendo,
E gli huomini, e gli Dei chiamo in aiuto,
Line 1 898 ⟶ 1 893:
Levar la cuffia, e i crin stracciar di testa
Volendo, empio le man di nera penna,
La cuffia già
E fa radice ne la mia cotenna.
Io cerco alleggerirmi de la vesta,
Ma quella anchora in me
Graffiar volsi le parti ignude, e belle,
Ma ne man non trovai, ne nuda pelle.
Correva à più poter per liberarmi,
Ne
Ma in aria dal desio sentia levarmi,
Ne de lo Dio del mar facea più stima,
Più non temea, che potesse arrivarmi,
Ne guadagnar di me la spoglia opima,
Poi, perche à
Io fui fatta compagna di Minerva.
Ó sfortunata, e che mi giova hor questo?
Poi
Che dal dì, che
Di chi scoperse il Dragon di Vulcano,
Nettimene,
E fatto un novo augel notturno, e strano,
Pallade in loco mio sua serva feo.
Ó Dio, che veggo? e chi
Una, che de
Fù tanto scelerata, e tanto ardita,
Et hebbe tanto à ciò la voglia intesa,
Dal padre suo fù per la moglie presa:
Ma scopertosi il fallo, acceso il lume,
Line 1 933 ⟶ 1 928:
Un manto di Civetta la coperse,
La luce ha in odio, perche la scoperse,
E non ardisce comparir di giorno,
Line 1 939 ⟶ 1 934:
Che tutti gli altri augei le vanno intorno,
E perche sanno il suo peccato atroce,
Ogni augel, più che può,
Hor la Civetta, perche serve, e tace,
Pose nel loco mio, me scacciò via,
Dicendo,
Et
Si che corvo non esser pertinace,
Non sprezzar
Non accusar colei,
Che te
Sorride il corvo udendo la cornacchia,
Che fa profession
E dice, à posta tua cicala, e gracchia,
Da
Trova il padrone, e gli racconta, e dice
Quel, che gli havea vetato la Cornice.
Ahi come à
La gelosia, e
Già Febo offesa ha
Gli trema il cor,
Lascia il plettro cader, perde la forza.
Gli cade il lauro intorno al capo involto.
Con
Corre, e ritrova al fin
Con la destra lo stral nel nervo incocca,
Poi la saetta,
Tanto, che la sinistra il ferro tocca,
Apre la destra, e
Là, dove
La misera fanciulla, che si vede
Line 1 983 ⟶ 1 978:
Poi disse, il corpo mio senza mercede
Febo potevi far restare essangue,
Ma pria lasciarmi parturir,
Uccidi meco un tuo figliuolo anchora.
Quei fere, e quella con
Si toglie
Al fin si scioglie da quel nodo
A cui sì breve tempo è stata unita.
De la già bianca, et hor purpurea salma
Tinta da più
Si scarca
Che ne la faccia sua la morte imprime.
Il rigoroso arcier quando non giova:
E che tanto
Odia
Odia
La tocca, e pur di rivocar fa prova
Lo spirto, che dimora in altra parte,
Oprando in van la medicina, e
Ma poi,
Per arder il bel corpo di colei,
Più di quel, che conviensi à i sommi Dei.
Come giuvenca, che
In terra andar da
Mugge, e si duol del figlio ucciso à torto.
Le diede Apollo al fin
E poi, che in braccio più volte
E fe
Trasse del corpo
E quindi il trasportò poi, che partissi,
À te saggio Chiron, perche
Sperava il corvo guiderdone, e merto
Del vero suo, ma scandoloso aviso,
Ma
Per satisfare in parte al corpo ucciso.
Maledico, loquace, fatti esperto,
Se in mal non vuoi cangiar mantello, e viso:
Non iscoprir già mai
Chiron, che del figliuol preso havea cura,
Fù sol virile insino à la cintura,
Tutto era forma di cavallo il resto.
Fù figliuol di Saturno, e la natura
Fe,
Saturno amò già Filira, che nacque
De
Un dì perche la sua moglie, e sorella,
Che
Prese à bel studio una forma novella,
E si fece di subito un cavallo.
Gravida lasciò poi la Ninfa bella,
Onde nacque Chiron semicavallo,
Che
Trasse dal trasformato genitore.
Questi con studio di nutrir godea
Sì degna prole fra la sua famiglia,
E de
Vivea contento, e lieto à maraviglia.
Più cura una donzella ne tenea,
Che sapea, che quel parto almo, e giocondo
Salute esser dovea di tutto il mondo.
In Frigia già ne
Del furioso, e rapido Caico
Questa indovina Vergine,
Chiamossi Ocira, et hebbe sì seconde
Le stelle al suo natale, e
Che profetò gli altissimi decreti,
Che in mente de gli Dei stavan secreti.
Tutta infiammare un dì la fata Ocira
Si sente da lo Dio,
Rivolge gli occhi al dolce infante, e
Scapigliata, et horribil ne
Indi secondo il suo furor
Scioglie la lingua à quel, che le vien detto,
Cresci fanciul, la cui somma virtute
Di te gloria sarà,
Alma gentil, più che mai fosse in terra
Accetta, salutifera, e gradita,
Tu
Tornar por tra i di novo al corpo unita,
Tu sol saprai trar
Donando al corpo sì stupenda aita,
Ma ti torrà da sì mirande prove
Lo stral de
E
Di mortal morto, e poi di morto Dio,
Onde più volte il tuo destin fatale,
Così rinoverai,
Così dicea la donna spiritale
Al picciolo fanciul, ne qui finio,
Line 2 096 ⟶ 2 091:
E tu, nato immortal padre, che gli anni
Pensi, che non ti debbian mancar mai,
Voglio, che da me sappi, che
E vo dirti una cosa, che non sai,
In questa grotta, in questi stessi scanni
Un tuo nipote un dì seder vedrai
Figlio
Ucciso, albergherai nel tetto nostro.
Line 2 109 ⟶ 2 104:
E nove giorni un gran dolor provando,
Non cesserai di dimandar mercede,
E pregherai, che
Ti facciano mortal, dove hor non sei.
Line 2 115 ⟶ 2 110:
Che tronchino il tuo fil le tre sorelle.
De i fatti Ocira, che sol gli Dei sanno,
Havea da dir
E forse, che gli Dei trasformeranno
Le sue membra biforme in tante stelle,
Line 2 121 ⟶ 2 116:
Faran, che splenderà Centauro in cielo.
Ma tosto lasciò star
Da maggior cura la Vergine oppressa,
E non curando ragionar
Volse il suo profetar tutto à se stessa,
Ahi lassa Ocira, et indovina fui,
Line 2 131 ⟶ 2 126:
Dolce genitor mio ferma le ciglia
Ben fise in me, se mai cara
Godi con gli occhi la tua mesta figlia,
Pria che perda la forma, che le desti,
Line 2 137 ⟶ 2 132:
Dolce antro, dolci foschi, e dolci vesti,
Godetevi quel poco, che si puote
Felice me, troppo felice,
Non havessi saputi i gran secreti,
De
Ne men scoperti i suoi santi decreti,
Non perderei
E vedrei tutti voi contenti, e lieti,
Mentre pascendo andrò per la foresta.
Già
Già perdo il mio bel volto, à voi sì grato,
Già più
Che qual si voglia cibo più pregiato,
Già capricciosa, indomita, e superba,
Scorrer vorrei per ampio, e verde prato,
Già prendo (e servo sol
La cavallina forma mia parente.
Servassi almen
Già mio padre ha viril
Che
Dapoi non fu ne parlar, ne nitrito,
Ma parve un, che fingesse di nitrire,
Line 2 166 ⟶ 2 161:
Che hinniti mandò fuor, spediti, e chiari.
Star si sforza in due piedi, et usa
Per voler esser donna, e non le giova,
Ma trasformar si sente à parte, à parte,
Già
Si congiungon le dita, e non si parte
Più
La lega, unisce, e cerchia intorno intorno,
Si stringe ove si prende il cibo, e
Per lo giogo del collo fan radice
Gli sparsi crini, e van dal destro lato.
Line 2 182 ⟶ 2 177:
Cangiò contra sua voglia il primo stato.
Sì fe cuoio col pelo, indi incarnossi,
Ben
Il misero Chiron piangendo forte,
Del suo destin doleasi, e de la sorte,
Che tanto tempo il sostenesse in vita.
Chiamava tutta la celeste corte,
Ma più,
À Febo, onde attendea fidel consiglio,
Per haver dato al mal cagione il figlio.
Line 2 195 ⟶ 2 190:
Meraviglia non è, se non soccorre,
Apollo il suo Chirone, e non si move,
Le man dove sententia il sommo Giove,
Non può manco pregar Giove, che torre
Voglia le membra à lei ferine, e nove,
Che
Chiron non aspettar da Febo aiuto,
Line 2 207 ⟶ 2 202:
Per stimar poco il suo padre, e signore,
Col folgor Giove havea morto abbatuto
Un, che
Un, che Febo amò già più che se stesso,
Ma non è tempo à dir chi fosse adesso.
Che non può contra Giove vendicarsi,
Da i Ciclopi, che fer quel dardo, offeso
Si tiene, e contra lor pensa sfogarsi.
Gli strali immantinente, e
Trova i Ciclopi affumicati, et arsi;
Nel primo che trovò, la mira prese,
E la saetta,
Una man preme
E
Anzi par, che ambe diano in un parere
Di romper
Scocca
Volar la freccia di ferire ingorda,
E la vista da lei mai non disgiunge,
Line 2 230 ⟶ 2 225:
Veduto il primo strale obediente,
Ne scocca
Et odia sì
Che non vi lascia Sterope, ne Bronte,
Sdegnato Giove, e tutto il suo consiglio,
Line 2 239 ⟶ 2 234:
Sì che Chiron tu preghi senza frutto,
Sbandito egli dal ciel
Pastor
Dove deposta
Menava i giorni suoi lieto, e contento,
E fu sì saggio, temperato, e forte,
Line 2 248 ⟶ 2 243:
Con una pelle da pastore intorno,
Con un grosso baston
E quando pasce il monte, e quando il piano.
Passa talhor con la sampogna il giorno,
Line 2 259 ⟶ 2 254:
Che san col tempo accommodar la vita.
Hor mentre Febo i suoi soavi accenti
Gusta, e
Ha sì gli spirti al suo cantare intenti,
Che gli è la guardia sua di mente uscita,
Line 2 265 ⟶ 2 260:
Stavan senza custodia à pascolarsi.
E perche
La man per gravar lui di doppie some,
I buoi
Un canuto pastor, che Batto ha nome.
Questi pascea fra Pilo, e
I buoi Mercurio imbosca, indi si parte,
Line 2 278 ⟶ 2 273:
Ritrova Batto, e tiratol da parte
(Disse) qual tu ti sia, che in questa valle
Guardi una razza per
Di sì superbe, e nobili cavalle,
Serba dentro al tuo cor nascosto e muto.
E per farti conoscer,
E
Questa giuvenca candida ti lasso,
In premio, e guiderdon de la tua fede.
Rispose Batto, e dimostrando un sasso
Prima dirà le tue bovine prede
Che quel pastor,
Il messaggier di Giove per far prova
Si parte, e si trasforma, e torna, e trova,
Quel, che del don bovin lasciò contento,
E con
Del pur dianzi da lui rubato armento,
Se tu mi fai pastor del furto certo,
Line 2 303 ⟶ 2 298:
Il buon pastor, che raddoppiarsi udio
Il premio di colui, che il furto scopre,
(Disse) in quei monti più silvosi,
Quivi starà, fin che
Ma come al sonno
Darà la preda al suo paese infame.
Rise Mercurio, e disse, ahi mancatore
Di fe, questo è
Che non credendo me
Hai me medesmo accusato à me stesso.
E tratto il primo suo sembiante fuore,
Disse; Guarda, e conosci,
Dicesti, che
Ma non vo,
Nero il fa divenir, qual è un carbone,
E sì
Quel sasso il fa, che chiamiam paragone,
Che vero saggio dà
Là dove poi mutò conditione,
Nessun poi tradì più, non fe più fallo,
Disse poi sempre il ver, per quel
Per non si trasformar di male in peggio.
Lasciato Apollo il suono,
Dove il gregge pascea, ne vede i buoi,
Dal luogo, ove sedea, subito sorge,
Line 2 337 ⟶ 2 332:
Ma non so ritrovar chi gliel dicesse.
Il corvo non fu già,
Nova non dar mai più buona, ne rea,
Poi che
Per quella donna,
Et oltre à questo, Appollo havea lasciato,
Perche sbandito, e misero il vedea.
Che ogni vil servo, perche non
Lascia il padron ne la fortuna trista.
Se ben Febo di Dio fatto è pastore,
Non però
Anchor
De la sua cocca, e stia disteso, e scarco,
Ma già
E tira il nervo in sù, fin che
Trova Mercurio, e in lui drizza lo sguardo,
E tende
Sì cruda voglia di ferir
Che gli fa nel tirar perder la mira,
E manda alquanto à man destra lo strale,
E par, che dica al dardo, che fa male,
Se non si drizza
Ma dove ei si drizzò,
Per cenni de la mano, ò de la testa.
Veduto il primo colpo senza effetto,
À
Ma Mercurio cangiò subito aspetto,
E si fece invisibile, e disparve.
Come
E di lui più nulla sembianza apparve.
Io non saprei ben dir, che forma havesse,
Che non soffrì,
Apollo si raggira, e più non vede
E gira, e move indarno
E cerca con gran studio quel contorno,
Ben che Mercurio al fin visibil riede,
E prega, e stagli con tai mezzi intorno,
Che fan la pace, e rende il tolto armento,
E fallo
Hebbe Mercurio un perspicace ingegno,
E poco prima ritrovato havea
Di quel, che Apollo allhora usar solea.
Questo era un cavo, e ben disposto legno,
Che con nervi ineguali il suon rendea,
Dando un
Faceano un suono amabile, e soave.
Per dimostrar Mercurio in qualche parte
Gli diè questo istrumento, e insieme
Questa è la cetra,
Die sì sonoro, e dilettevol tuono.
Rendè con questa Apollo esperte, et use
Line 2 402 ⟶ 2 397:
Deh suona Apollo la tua cetra, suona
Mentre la Musa mia di te favella,
Dia gratia à quel,
La tua dolce armonia sonora, e bella,
Sì
Tragga la nostra anchor nova favella.
Deh rendi à noi sì le tue corde amiche
Line 2 410 ⟶ 2 405:
Febo un bastone havea di sua man fatto,
Con quattro, ò cinque groppi in un
Intorno à quel bastone aviticchiati.
Ambi un cerchio facean, ma non à fatto
Verso la testa
E le teste guardavano à quel punto,
Donollo à chi già Batto fe di pietra
Lo sbandito dal Ciel novo pastore
Non più per ricompensa de la cetra,
Che, per mostrar
Cosi poi che perdon ciascuno impetra,
E fede acquista al rinovato amore,
Restando
Questi al ciel si tornò, quelli à
Mentre il messo di Giove al cielo aspira
Con
La prudente città passando mira,
À cui Minerva diè
Porge gli occhi per tutto, e vaga, e gira,
E di tornare al ciel si scorda, come
Vede
Di mille vaghe, e nobili donzelle.
Era un festivo, et honorato giorno
Consacrato à Minerva, e si facea
Nel tempio suo più de
Un sacrificio à la pudica Dea.
E di fiori, e di frutti ogniuna havea
Un bel canestro in capo, per donare
Line 2 449 ⟶ 2 444:
Già fan gli huomini à i lati due spalliere,
Et esse in mezzo una superba lista.
Un
Che non vuol perder sì leggiadra vista.
Quel,
E corre per vederlo in altra parte.
Sì come splende sopra ogni altra stella
Quella,
Come la Luna appar di lei più bella,
E come
Così splendeva sopra ogni donzella,
Fra tanta Virginal concorsa prole,
Line 2 464 ⟶ 2 459:
Lo Dio stupisce di sì bella, e vaga
Donna,
E del bel viso suo tanto
Che quel piacer, che può, con gli occhi prende;
Pensa rapirla, e si raggira, e vaga,
Ma il popol, che
Pensa di torla, e non
Stà in dubbio, e ruota, e
Sì come quando in
Fan sacrificio i sacerdoti à Giove,
Se il Nibio vede à
Onde solea spirar,
Più volte ruota intorno al cor funesto,
E la speranza gir nol lascia altrove,
Line 2 483 ⟶ 2 478:
Poi che nel proprio albergo si coperse
Ciascuna de le Vergini, e spariro,
E Mercurio perdè la vista
Ardente, più che mai crebbe il disiro,
Tosto à la terra
E non si curò più
Ma per fil dritto à terra se ne venne
Battendo à più poter
Con quel furor, che caccia un raggio ardente
Il fuoco, che
Che venga tratto da torre eminente,
Che sibila, e vien giù ratto, e veloce:
Tal Mercurio à
Da quello ardor, che sì
Giunto per comparir non si trasforma,
Se bene il suo divin sembiante è tale,
Che mirabile appar parte per parte,
Pur rassetta il cappel, rassetta
E cerca
Aggiusta i serpi, e fa pendere eguale
La veste; e con tal studio la comparte,
Che mostra tutto il bel del suo lavoro,
E tutto
Accommodato il suo celeste ammanto,
Al palazzo regal ratto
Affretta il passo assai, non però tanto,
Stanno in tre stanze,
Le tre sorelle come in compagnia,
Con ornamento assai superbo, e quale
Line 2 519 ⟶ 2 514:
Con degno, e pretioso adornamento
Pandroso ha il destro, Aglauro ha il manco lato,
Visto Mercurio Aglauro, hebbe ardimento
Di dir, che
Chi fosse, e dove andasse, e
À cui
Quel, che volando
Son del gran padre mio mio padre è Giove.
Ne la sorella tua, ver lei mi move.
Qui dentro Herse mi chiama, e ti conforto,
Che vedi, se ciò fai, parente, e zia
De la prole sarai celeste mia.
I cupidi occhi, onde prima scoprio
Quel,
Ferma nel bello innamorato Dio
Aglauro, e ben tutto il contempla, e vede,
Poi dando speme al suo caldo desio,
Tutto quel disse far,
E dimandato un gran tesor, gli disse,
Guardò con torto, e con crudele aspetto
Aglauro allhor la bellicosa Dea,
E tal sospir diè fuor, che tremò il petto,
E lo scudo,
Vede,
Per prezzo scelerata, avara, e fella
Cerca vender
Più la sdegnata Dea non può soffrire
Costei, che sì malefica comprende,
Ne men del suo licentioso ardire,
Biasma
Per
Verso
Che vuol che da
Aglauro, troppo avara, e troppo ardita.
Una stretta, selvaggia, e scura valle
Ne la gelata Scithia si nasconde,
Fra monti, che
Che
Al Sol, da spessi rami, arbori, e fronde,
Che non sol Febo mai non vi penetra,
Line 2 578 ⟶ 2 573:
La magra Invidia si ripara, e tura.
Quei, che son sempre seco in casa, e fuore,
Son la miseria, il dispregio, e
Quivi drizzò la Dea prudente, e casta
Il suo santo vestigio, e
Giunta percote la porta con
E quella al primo picchio
E, che vipera, et aspido, e cerasta
Magna
E, che la pascon carni di serpenti,
Non si degna la Dea dentro à la porta
Porre il suo altero, e venerabil passo,
Anzi tal vista, e
Le fa
Mormora, e move il piede afflitto, e lasso:
Lascia mezzo mangiate hidre, e lacerti,
Line 2 599 ⟶ 2 594:
Come meglio la Dea superba mira
Dal profondo del cor geme, e sospira
Vedendo à se sì povera gonnella.
Line 2 607 ⟶ 2 602:
E mal disposto, e rugginoso il dente.
È tutto fele amaro il core, e
La lingua è infusa
Ciò, che
Avelena col fiato, e mai non ride,
Se non talhor, che prende in gran diletto,
Tanto il gioir altrui
Allhor si strugge, si consuma, e pena,
Line 2 626 ⟶ 2 621:
La temeraria figlia Aglauro detta
Del Re
E
Nel modo più pestifero, che sai.
Percote
E lascia lei ne i suoi continui guai,
Che mormora,
Prende una verga in man di spini avolta,
Line 2 641 ⟶ 2 636:
Avelena, fa nausa, infetta, e noce.
Corrompe le città, gli huomini attosca,
E fa,
Struggendosi
Giunge ad Athene, e sta mirando alquanto
Quel popol, che in ricchezza ogni altro eccede
Line 2 654 ⟶ 2 649:
Con le man rugginose, più, che puote,
Batte per far venir pallide, e smorte
Che cosi belle, e così grate ha scorte.
Con la spinosa poi verga percote
Quattro, e sei volte lei, più che può forte.
E tal virtute han la sua verga, e palma,
Che non nocendo al corpo affliggon
Mentre
À più poter la misera fagella,
Fa, che nel suo pensier contempla, e guata
Le pone innanzi à gli occhi fortunata
Sopra
Che sfogherà
Con così vago, e così bello Dio.
Poi che di fiato putrido, e veneno
Ha
La bellicosa Dea, prudente e casta,
Ritorna à
À pascer nova vipera, e cerasta,
E lascia Aglauro à tutto invidiosa,
Giorno e notte
E
Ma dice pian
E sfoga sotto voce il suo dolore.
Come una pira, che non sia ben spenta,
Essala, e sfoga in qualche parte, e fuma,
E dentro à poco à poco si consuma.
Line 2 692 ⟶ 2 687:
Più tosto che patir, che la sua vista
Vedesse la sorella in sì gran sorte.
Che vede
Si duol,
E quanto più ci pensa, più
Che membra habbia à goder tanto leggiadre.
E non men
Che di figli
E vuol più tosto procacciar che mora,
E dire il tutto al lor rigido padre.
Sù
Per discacciar Mercurio, se ritorna.
Line 2 710 ⟶ 2 705:
E vien con gran tesor per la risposta,
Pien di felicità, pien di speranza.
Aglauro come vede,
Con villana, e non solita creanza
Lo scaccia, e mostra farne poca stima,
E più non
Allhora il cauto Dio pien di malitia
Scopre il tesor,
Come ella il vede, aggiunge al cor tristitia,
Che in lei
Al fin forza è, che perda
E
Non può patir
Tutta la sua facondia, et eloquenza
Con grande affetto usa il figliuol di Giove,
Ma quella à più poter fa risistenza,
Ne
Non farò, dice à lui, di qui partenza,
Se prima te non scaccio, e mando altrove.
Hor sù, disse ei, mi piace,
Che tu stia sempre qui, se non mi scacci.
Tocca col suo baston la chiusa porta,
E quella al primo tratto
Riman
Sapendo quanto à lei tal fatto importa,
Si move per levarsi donde siede,
Line 2 742 ⟶ 2 737:
Per troppo gravità mover non puote.
Ella
E ponvi ogni suo sforzo, ogni sua cura.
Non si piega il ginocchio, e non
Che già indurato ha il nervo, e la giuntura.
Quel mortal freddo à poco à poco prende
Quel corpo, e già
Già ne la parte fredda, e senza lena
La carne hanno un color,
Sì come
Serpendo rode un corpo, e sempre acquista,
E
Rende sempre maggior la parte trista,
Tanto, che tutto il face infetto, e lordo,
Così quel male il ben propinquo attrista,
E
Del vivo più vicin sasso facendo.
Già duro ha il petto, e
Le toglie il troppo in
Non provò di parlar, ne fece male,
Però, che chiuso havria trovato il passo.
La pietra tanto in su crescendo sale,
Che fa ne
La nera mente sua nera anchor fece
La nova statua, come inchiostro, ò pece.
E pontando le man sopra il suo scanno,
Mostra un gran sforzo per levarsi in piede,
Line 2 779 ⟶ 2 774:
Il celeste corrier si torna dove
Con desiderio, et ansia
Il superno Rettor, suo padre Giove,
Che gran bisogno del suo aiuto havea.
Come io ti voglio in ciel, tu fuggi altrove,
Giove, à cui novo amor
Disse; Deh non haver te tanto à core,
Che
Mercurio allhor per iscusarsi in parte.
E, perche Giove ha gran piacer
Quando tal volta egli dal ciel si parte,
Volea tutto narrar parte per parte,
Ma Giove,
Un novo amor, non volle,
Ma, fattolo tacer, così gli disse.
Non è tempo di dir messo mio fido
I bei diporti tuoi di questi giorni,
Che per un novo amor,
È forza, che di novo in terra torni:
Vanne in Fenicia, e fa scender su
Fa, che sì presso al mar dal monte scenda,
Il nipote
E
Questo, non molto à la città discosto,
Era uno ameno, e dilettevol sito.
Line 2 817 ⟶ 2 812:
E di Tiro, e Sidonia fu Signore.
La figlia Europa hebbe sì grato aspetto,
Ahi come stanno male in un soggietto,
Con grave maestà, lascivo amore.
Come opran,
Cose fuor di misura, e fuor di legge.
Quel, che dà legge à gli alti Dei del cielo,
Quel,
Chi con sua pioggia, e con suo ardente telo.
Può sommerger la terra, ardere il mare,
Vestì mentito, e vergognoso pelo,
Per lascivo pensier, per troppo amare,
Fuor
Prese per troppo amor forma
E misto fra
La giogaia, che pende sotto al mento,
Infino à le ginocchia si distende.
Ne
Che suol
Il manto suo di neve esser si vede,
Che non ha guasta Sol, vento, ne piede.
Line 2 843 ⟶ 2 838:
Come una gemma il chiaro, e picciol corno
Sì bel risplende, che par fatto à mano:
Move con dignità
E mostra un volto amabile, et humano.
Dolce rimira quel bel viso adorno,
Poi si move ver lei quieto, e piano.
Paurosa ella
E
Ella del suo muggir si maraviglia,
Che vede, che si dole, e che la guarda,
E che tien ferme in lei
E che per non noiarla il piè ritarda;
Dal prato per provar de
E verso lui và paurosa, e tarda;
Cresce col destro piè, stende la mano,
E poi sì ferma alquanto à lui lontano.
Il collo, il capo, e
E mostra di
Pian pian poi con bel modo à lei
Perche non tema la mentita spoglia.
Ella stende la mano, e
E come ei stà per abboccar la foglia,
Cader la lascia, e fugge, e si ritira,
E
Il toro per mostrar
Gli fù quel don de
Senza punto toccar
Quella mangiò,
Vedendolo ella così ben creato,
À lui con esca, nova si converse,
E senza haverne più tanta paura,
Il toro abbocca
Poi le lecca la man tutto modesto,
E tanto il move
Ella fa
Che vuol veder se
Legare il toro allegro il corno lassa,
E poi la segue come un cane à lassa.
Line 2 888 ⟶ 2 883:
Ella senza timor, senza sospetto,
Per tutto il vuol menar, per tutto il tocca:
Gli palpa leggiermente il collo, e
E sicura la man gli mette in bocca.
Segue la donna baldanzosa, e sciocca,
Laqual più volte le mentite corna
Di vaghi fiori, e di ghirlande adorna.
Sù
E col bugiardo sen la terra cova.
Allhor
Di veder sempre qualche cosa nova,
Sù
Che vuol far del giuvenco
Prova vuol far la semplicetta, e stolta,
Se vuol come un destrier portarla in volta.
Line 2 907 ⟶ 2 902:
E move da principio il passo à pena,
E la donzella in su le spalle porta,
Poi drizza il falso piè verso
La semplice fanciulla, e male accorta
Non credendo ad un Dio premer la schena,
Lieta lasciò portarsi ove à lui piacque,
Et egli à poco à poco entrò ne
Che
Ma come il lito poi scostarsi vede,
E trarsi in dietro
Non potendo à
Perche il mar non
Sù
Un corno, e
Bagna di pianto la donzella il volto,
Che la terra
Dritto à Favonio il toro il nuoto volto,
Cipro, e Rodi à man destra vede, e passa.
Veder dal lato manco à
Le gran bocche del Nil,
Ella non crede più poter campare,
Le bionde chiome, il vestimento, e
Movea dolce aura, e
Scacciate havean le nubi, il Sole, e
Per mirar la bellezza unica, et alma.
Giove sotto il buggiardo, e novo pelo,
Con sì soave, e pretiosa salma,
Per
Tanto, che giunse à
</poem>
[[en:Metamorphoses/Book II]]
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