Storia della letteratura italiana (De Sanctis 1890)/VII: differenze tra le versioni

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Chi mi ha seguito vede che la «''Divina Commedia''» non è un concetto nuovo, nè originale, nè straordinario, sorto nel cervello di Dante e lanciato in mezzo a un mondo maravigliato. Anzi il suo pregio è di essere il concetto di tutti, il pensiero che giaceva in fondo a tutte le forme letterarie, rappresentazioni, leggende, visioni, trattati, tesori, giardini, sonetti e canzoni. L'''Allegoria dell'anima'' e la ''Commedia dell'anima ''sono gli schemi, le categorie, i lineamenti generali di questo concetto.<br />
Nel ''Convito'' la sostanza è l'etica, che Dante cerca di rendere accessibile agl'illetterati, esponendola in prosa volgare. Qui il problema è rovesciato. La sostanza sono le tradizioni e le forme popolari rannodate intorno al mistero dell'anima, il concetto di tutt'i misteri e di tutte le leggende, ed è in questo quadro che Dante gitta tutta la coltura di quel tempo. Con questa felice ispirazione, pigliando a base della coltura le tradizioni e le forme popolari, riunisce le due letterature, che si contendevano il campo, intorno al comune concetto che le ispirava, il mistero dell'anima. La rappresentazione e la leggenda esce dalla sua rozza volgarità e si alza a' più alti concepimenti della scienza; la scienza esce dal santuario e si fa popolo, si fa mistero e leggenda. Indi l'immensa popolarità di questo libro, che gl'illetterati accettavano nel senso letterale e i dotti comentavano come un libro di scienza, come la ''Somma'' di san Tommaso. Il popolo vedeva in quei versi quel medesimo che sentiva nelle prediche, nelle divozioni e rappresentazioni, nè è maraviglia che qualcuno guardando Dante con quella faccia pensosa e come alienata, dicesse: - Costui par veramente uscito ora dall'inferno. - Gli eruditi si affannavano a cercare il senso de' versi strani, e il Boccaccio iniziava quella serie di comenti che spesso in luogo di squarciare il velo lo fanno più denso.<br />
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L'immaginazione morendo manda in questi bei versi l'ultimo raggio. All'«alta fantasia» manca la possa; e insieme con la fantasia muore la poesia.<br />
Così finisce la storia dell'anima. Di forma in forma, di apparenza in apparenza, ritrova e riconosce se stessa in Dio, pura intelligenza, puro amore e puro atto. Ed è in questa concordia che l'anima acqueta il suo desiderio, trova la pace. Nell'''Inferno'' signoreggia la materia anarchica: le sue forme ricevono d'ogni sorte differenze, spiccate, distinte, corpulente e personali. Nel ''Purgatorio'' la materia non è più la sostanza, ma un momento: lo spirito acquista coscienza di sua forza, e contrastando e soffrendo conquista la sua libertà: la realtà vi è in immaginazione, rimembranza del passato da cui si sprigiona, aspirazione all'avvenire a cui si avvicina; onde le sue forme sono fantasmi e rappresentazioni dell'immaginativa anzi che obbietti reali: pitture, sogni, visioni estatiche, simboli e canti. Nel ''Paradiso'' lo spirito già libero di grado in grado s'india; le differenze qualitative si risolvono, e tutte le forme svaporano nella semplicità della luce, nella incolorata melodia musicale, nel puro pensiero. Quel regno della pace che tutti cercavano, quel regno di Dio, quel regno della filosofia, quel «di là», tormento e amore di tanti spiriti, è qui realizzato. Il concetto della nuova civiltà, di cui avevi qua e là oscuri e sparsi vestigi, è qui compreso in una immensa unità, che rinchiude nel suo seno tutto lo scibile, tutta la coltura e tutta la storia. E chi costruisce così vasta mole, ci mette la serietà dell'artista, del poeta del filosofo e del cristiano. Consapevole della sua elevatezza morale e della sua potenza intellettuale, gli stanno innanzi, acuti stimoli all'opera, la patria, la posterità, l'adempimento di quella sacra missione che Dio affida all'ingegno, acuti stimoli, ne' quali sono purificati altri motivi meno nobili, l'amor della parte, la vendetta, le passioni dell'esule: ci è là dentro nella sua sincerità tutto l'uomo, ci è quel d'Adamo e ci è quel di Dio. A poco a poco quel mondo della fantasia diviene parte del suo essere, il suo compagno fino agli ultimi giorni, e vi gitta, come nel libro della memoria, l'eco de' suoi dolori, delle sue speranze e delle sue maledizioni. Nato a immagine del mondo che gli era intorno, simbolico, mistico e scolastico, quel mondo si trasforma e si colora e s'impolpa della sua sostanza, e diviene il suo figlio, il suo ritratto. La sua mente sdegna la superficie, guarda nell'intimo midollo, e la sua fantasia ripugna all'astratto, a tutto dà forma. Onde nasce quella intuizione chiara e profonda che è il carattere del suo genio. E non solo l'oggetto gli si presenta con la sua forma, ma con le sue impressioni e i suoi sentimenti. E n'esce una forma, che è insieme immagine e sentimento, immagine calda e viva, sotto alla quale vedi il colore del sangue, il movere della passione. E con l'immagine tutto è detto, e non vi s'indugia e non la sviluppa, e corre lievemente di cosa in cosa, e sdegna gli accessorii. A conseguire l'effetto spesso gli basta una sola parola comprensiva, che ti offre un gruppo d'immagini e di sentimenti, e spesso, mentre la parola dipinge, non fosse altro, con la sua giacitura, l'armonia del verso ne esprime il sentimento. Tutto è succo, tutto è cose, cose intere nella loro vivente unità, non decomposte dalla riflessione e dall'analisi. Per dirla con Dante, il suo mondo è un volume non squadernato. È un mondo pensoso, ritirato in sè, poco comunicativo, come fronte annuvolata da pensiero in travaglio. In quelle profondità scavano i secoli, e vi trovano sempre nuove ispirazioni e nuovi pensieri. Là vive involto ancora e nodoso e pregno di misteri quel mondo, che sottoposto all'analisi, umanizzato e realizzato, si chiama oggi letteratura moderna.
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