Gerusalemme liberata/Canto dodicesimo: differenze tra le versioni
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{{Qualità|avz=75%|data=20 gennaio 2009|arg=Poemi epici}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=Canto Dodicesimo|prec=../Canto undicesimo|succ=../Canto tredicesimo}}
<poem>
{{O|1}}Era la notte, e non prendean ristoro
co
ma qui vegghiando nel fabril lavoro
stavano i Franchi a la custodia intenti,
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gian rinforzando tremule e cadenti
e reintegrando le già rotte mura,
e
{{O|2}}Curate al fin le piaghe, e già fornita
de
e rallentando
Pur non accheta la guerriera ardita
e sollecita
Va seco Argante, e dice ella a se stessa:
{{O|3}}"Ben oggi il re
fèr meraviglie inusitate e strane,
ché soli uscír fra tante schiere e tante
e vi spezzàr le machine cristiane.
Io (questo è il sommo pregio onde mi vante)
sagittaria, no
Dunque sol tanto a donna e piú non lice?
{{O|4}}Quanto
a le fère aventar dardi e quadrella,
mostrarmi qui tra cavalier donzella!
Ché non riprendo la feminea vesta,
Cosí parla tra sé; pensa e risolve
al fin gran cose ed al guerrier si volve:
{{O|5}}"Buona pezza è, signor, che in sé raggira
un non so che
la mia mente inquieta: o Dio
o
Fuor del vallo nemico accesi mira
i lumi; io là
e la torre arderò:
effetto segua, il Ciel poi curi il resto.
{{O|6}}Ma
nel mio ritorno mi rinchiuda il passo,
e de le care mie donzelle io lasso.
Tu ne
le donne sconsolate e
Fallo per Dio, signor, ché di pietate
ben è degno quel sesso e quella etate."
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{{O|7}}Stupisce Argante, e ripercosso il petto
da stimoli di gloria acuti sente.
"Tu là
qui lascierai tra la vulgare gente?
E da secura parte avrò diletto
mirar il fumo e la favilla ardente?
No, no; se fui ne
esser
{{O|8}}Ho core
che ben si cambi con
"Ben ne fèsti"
con quella tua sí generosa uscita.
Pure io femina sono, e nulla riede
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{{O|9}}Replicò il cavaliero: "Indarno adduci
al mio fermo voler fallaci scuse.
Seguirò
ma le precorrerò, se mi ricuse."
Concordi al re ne vanno, il qual fra i duci
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giú per le crespe guancie a lui cadette;
e: "Lodato sia tu," disse "che a i servi
tuoi volgi gli occhi e
{{O|11}}Né già sí tosto caderà, se tali
animi forti in sua difesa or sono.
Ma qual
dar a i meriti vostri o laude o dono?
Laudi la fama voi con immortali
voci di gloria, e
Premio
vi fia del regno mio non poca parte."
{{O|12}}Sí parla il re canuto, e si ristringe
or questa or quel teneramente al seno.
Il Soldan,
la generosa invidia onde egli è pieno,
disse: "Né questa spada in van si cinge;
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{{O|13}}Cosí gli disse, e con rifiuto altero
già
ma
a Soliman con placido sembiante:
"Ben sempre tu, magnanimo guerriero,
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che tutti usciate, e dentro alcun non resti
di voi che sète i piú famosi in armi.
Né men consentirei
(ché degno è il sangue lor che si risparmi),
che fornita per altri esser potesse.
{{O|15}}Ma poi che la gran torre in sua difesa
che da poche mie genti esser offesa
non pote, e inopportuno è uscir con molte,
la coppia che
e
vada felice pur,
che sola piú che mille insieme vale.
{{O|16}}Tu, come al regio onor piú si conviene,
con gli altri, prego, in su le porte attendi;
e quando poi (ché
ritornino essi e desti abbian gli incendi,
se stuol nemico seguitando viene,
lui risospingi e lor salva e difendi."
Cosí
rimaneva al suo dir, ma non già lieto.
{{O|17}}Soggiunse allora Ismeno: "Attender piaccia
a voi,
sin che di varie tempre un misto
Forse allora averrà che parte giaccia
di quello stuol che la circonda e guarda."
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{{O|18}}Depon Clorinda le sue spoglie inteste
e senza piuma o fregio altre ne veste
(infausto annunzio!) ruginose e nere,
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la nudrí da le fasce e da la culla,
{{O|19}}e per
Vede costui
del gran rischio
e se
in lei servendo ha fatto e per la pia
memoria
che da
{{O|20}}Onde ei le disse alfin: "Poi che ritrosa
sí la tua mente nel suo mal
che né la stanca età, né la pietosa
voglia, né i preghi miei, né il pianto cura,
ti spiegherò piú oltre, e saprai cosa
di tua condizion che
poi tuo desir ti guidi o mio consiglio."
Ei segue, ed ella inalza attenta il ciglio.
{{O|21}}"Resse già
Senapo ancor con fortunato impero,
il qual del figlio di Maria la legge
osserva, e
Quivi io pagan fui servo e fui tra gregge
ministro fatto de la regia moglie
che bruna è sí, ma il bruno il bel non toglie.
{{O|22}}
ben de la gelosia
Si va in guisa avanzando a poco a poco
nel tormentoso petto il folle zelo
che da
vorria celarla a i tanti occhi del cielo.
Ella, saggia ed umil, di ciò che piace
al suo signor fa suo diletto e pace.
{{O|23}}
figure la sua stanza era dipinta.
Vergine, bianca il bel volto e le gote
vermiglia, è quivi presso un drago avinta.
Con
giace la fèra nel suo sangue estinta.
Quivi sovente ella
le sue tacite colpe e piange e prega.
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(e tu fosti colei) candida figlia.
Si turba; e de gli insoliti colori,
quasi
Ma perché il re conosce e i suoi furori,
celargli il parto alfin si riconsiglia,
argomentato in lei non bianca fede.
{{O|25}}Ed in tua vece una fanciulla nera
pensa mostrargli, poco inanzi nata.
E perché fu la torre, ove
da le donne e da me solo abitata,
a me, che le fui servo e con sincera
mente
né già poteva allor battesmo darti,
ché
{{O|26}}Piangendo a me ti porse, e mi commise
Chi può dire il suo affanno, e in quante guise
lagnossi e raddoppiò gli ultimi amplessi?
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le sue querele da i singulti spessi.
Levò alfin gli occhi, e disse: "O Dio, che scerni
{{O|27}}
son queste membra e
per me non prego, che mille altre ho fatte
malvagità: son vile al tuo cospetto;
salva il parto innocente, al qual il latte
nega la madre del materno petto.
Viva, e sol
{{O|28}}Tu, celeste guerrier, che la donzella
togliesti del serpente a gli empi morsi,
tu per lei prega, sí che fida ancella
possa in ogni fortuna a te raccòrsi."
Qui tacque; e
e di pallida morte si dipinse.
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fuor ti portai, tra fiori e frondi ascosa;
ti celai da ciascun, che né di questa
diedi sospizion né
Me
caminando di piante orride ombrosa,
vidi una tigre, che minaccie ed ire
avea ne gli occhi,
{{O|30}}Sovra un arbore
lasciai, tanta paura il cor mi prese.
Giunse
testa volgendo, in te lo sguardo intese.
Mansuefece e raddolcio
vista con atto placido e cortese;
lenta poi
con la lingua, e tu ridi e
{{O|31}}ed ischerzando seco, al fero muso
la pargoletta man secura stendi.
Ti porge ella le mamme e, come è
di nutrice,
Intanto io miro timido e confuso,
come uom faria novi prodigi orrendi.
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{{O|32}}ed io giú scendo e ti ricolgo, e torno
là
e preso in picciol borgo alfin soggiorno,
celatamente ivi nutrir ti fei.
Vi stetti insin che
portò a i mortali e diece mesi e sei.
Tu con lingua di latte anco snodavi
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{{O|33}}Ma sendo io colà giunto ove dechina
ricco e sazio de
nel partir diemmi con regale ampiezza,
da quella vita errante e peregrina
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viver, temprando il verno al proprio foco.
{{O|34}}Partomi, e vèr
te conducendo meco, il corso invio,
e giungo ad un torrente, e riserrato
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lasciar non voglio, e di campar desio.
Mi gitto a nuoto, ed una man ne viene
rompendo
{{O|35}}Rapidissimo è il corso, e in mezzo
in se medesma si ripiega e gira;
ma, giunto ove piú volge e si profonda,
in cerchio ella mi torce e giú mi tira.
Ti lascio allor, ma
e
stanco, anelando, io poi vi giungo a pena.
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tutte in alto silenzio eran le cose,
vidi in sogno un guerrier che minacciando
a me su
Imperioso disse:
ciò che la madre sua primier
che battezzi
del Cielo, e la sua cura a me
{{O|37}}Io la guardo e difendo, io spirto diedi
di pietate a le fère e mente a
Misero te
Svegliaimi e sorsi, e di là mossi i piedi
come del giorno il primo raggio nacque;
ma perché mia fé vera e
stimai, di tuo battesmo non mi calse,
{{O|38}}né de i preghi materni; onde nudrita
pagana fosti, e
Crescesti, e in arme valorosa e ardita
vincesti il sesso e la natura assai:
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sia stata poscia tu medesma il sai;
e sai non men che servo insieme e padre
io
{{O|39}}Ier poi su
nel sonno
ma in piú turbata vista e in suon piú forte:
Ecco,
che dée cangiar Clorinda e vita e sorte:
mia sarà mal tuo grado, e tuo fia il duolo.
Ciò disse, e poi
{{O|40}}Or odi dunque tu che
a te, diletta mia, strani accidenti.
Io non so; forse a lui vien che dispiaccia
Forse è la vera fede. Ah! giú ti piaccia
depor
Qui tace e piagne; ed ella pensa e teme,
{{O|41}}Rasserenando il volto, al fin gli dice:
"Quella fé seguirò che vera or parmi,
che tu co
sugger mi fèsti e che vuoi dubbia or farmi;
né per temenza lascierò, né lice
a magnanimo cor,
non se la morte nel piú fer sembiante
che sgomenti i mortali avessi inante."
{{O|42}}Poscia il consola; e perché il tempo giunge
parte e con quel guerrier si ricongiunge
che si vuol seco al gran periglio esporre.
Con lor
quella virtú che per se stessa corre;
e lor porge di zolfo e di bitumi
due palle, e
{{O|43}}Escon notturni e piani, e per lo colle
uniti vanno a passo lungo e spesso,
tanto che a quella parte ove
la machina nemica omai son presso.
Lor
né può tutto capir dentro se stesso:
gli invita al foco, al sangue, un fero sdegno.
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{{O|44}}Essi van cheti inanzi, onde la guarda
"A
ma piú non si nasconde e non è tarda
al corso allor la generosa coppia.
In quel modo che fulmine o bombarda
co
movere ed arrivar, ferir lo stuolo,
aprirlo e penetrar, fu un punto solo.
{{O|45}}E forza è pur che fra
percosse il lor disegno al fin riesca.
Scopriro i chiusi lumi, e le faville
Chi può dir come serpa e come cresca
già da piú lati il foco? e come folto
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{{O|46}}Vedi globi di fiamme oscure e miste
fra le rote del fumo in ciel girarsi.
Il vento soffia, e vigor fa
Fère il gran lume con terror le viste
La mole immensa, e sí temuta in guerra,
cade, e breve ora opre sí lunghe atterra.
{{O|47}}Due squadre
dove sorge
Minaccia Argante: "Io spegnerò quel foco
co
Pur ristretto a Clorinda, a poco a poco
cede, e raccoglie i passi a sommo il monte.
Line 430 ⟶ 425:
la turba, e li rincalza e con lor poggia.
{{O|48}}Aperta è
è il re,
per raccòrre i guerrier da sí gran fatto,
quando al tornar fortuna abbian seconda.
Saltano i due su
diretro ad essi il franco stuol
ma
è poi la porta, e sol Clorinda esclusa.
{{O|49}}Sola esclusa ne fu perché in
e corse ardente e incrudelita fora
a punir Arimon che la percosse.
Punillo; e
non
ché la pugna e la calca e
a i cor togliea la cura, a gli occhi il senso.
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nel sangue del nemico e in sé rivenne,
vide chiuse le porte e intorniata
sé
Pur veggendo
Di lor gente
cheta
{{O|51}}Poi, come lupo tacito
dopo occulto misfatto, e si desvia,
da la confusion, da
favorita e nascosa, ella se
Solo Tancredi avien che lei conosca;
egli quivi è sorgiunto alquanto pria;
vi giunse allor
vide e segnolla, e dietro a lei si mise.
{{O|52}}Vuol ne
degno a cui sua virtú si paragone.
Va girando colei
verso altra porta, ove
Segue egli impetuoso, onde assai prima
che giunga, in guisa avien che
che corri sí?" Risponde: "E guerra e morte."
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Non vuol Tancredi, che pedon veduto
ha il suo nemico, usar cavallo, e scende.
E impugna
ed aguzza
e vansi a ritrovar non altrimenti
che duo tori gelosi e
{{O|54}}Degne
teatro, opre sarian sí memorande.
Notte, che nel profondo oscuro seno
chiudesti e ne
piacciati
a le future età lo spieghi e mande.
Viva la fama loro; e tra lor gloria
splenda del fosco tuo
{{O|55}}Non schivar, non parar, non ritirarsi
voglion costor, né qui destrezza ha parte.
Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi:
toglie
Odi le spade orribilmente urtarsi
a mezzo il ferro, il piè
sempre è il piè fermo e la man sempre
né scende taglio in van, né punta a vòto.
{{O|56}}
e la vendetta poi
onde sempre al ferir, sempre a la fretta
stimol novo
si fa la pugna, e spada oprar non giova:
dansi
cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi.
{{O|57}}Tre volte il cavalier la donna stringe
con le robuste braccia, ed altrettante
da
nodi di fer nemico e non
Tornano al ferro, e
con molte piaghe; e stanco ed anelante
e questi e quegli al fin pur si ritira,
e dopo lungo faticar respira.
{{O|58}}
su
Già de
al primo albor
Vede Tancredi in maggior copia il sangue
del suo nemico, e sé non tanto offeso.
Ne gode e superbisce. Oh nostra folle
mente
{{O|59}}Misero, di che godi? oh quanto mesti
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sanguinosi guerrier cessaro alquanto.
Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse,
perché il suo nome a lui
{{O|60}}"Nostra sventura è ben che qui
tanto valor, dove silenzio il copra.
Ma poi che sorte rea vien che ci neghi
e lode e testimon degno de
pregoti (se fra
che
acciò
chi la mia morte o la vittoria onore."
{{O|61}}Risponde la feroce: "Indarno chiedi
quel
Ma chiunque io mi sia, tu inanzi vedi
un di quei due che la gran torre accese."
Arse di sdegno a quel parlar Tancredi,
e: "In mal punto il dicesti"; indi riprese
"il tuo dir e
barbaro discortese, a la vendetta."
{{O|62}}Torna
benché debili in guerra. Oh fera pugna,
ove, in vece,
Oh che sanguigna e spaziosa porta
fa
ne
non esce, sdegno tienla al petto unita.
{{O|63}}Qual
cessi, che tutto prima il volse e scosse,
non
ritien de
tal, se ben manca in lor co
quel vigor che le braccia a i colpi mosse,
serbano ancor
da quel sospinti a giunger danno a danno.
{{O|64}}Ma ecco omai
che
Spinge egli il ferro nel bel sen di punta
che vi
e la veste, che
le mammelle stringea tenera e leve,
morirsi, e
{{O|65}}Segue egli la vittoria, e la trafitta
Line 587 ⟶ 582:
Ella, mentre cadea, la voce afflitta
movendo, disse le parole estreme;
parole
spirto di fé, di carità, di speme:
virtú
in vita fu, la vuole in morte ancella.
{{O|66}}"Amico, hai vinto: io ti perdon... perdona
tu ancora, al corpo no, che nulla pave,
a
battesmo a me
In queste voci languide risuona
un non so che di flebile e soave
e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza.
{{O|67}}Poco quindi lontan nel sen del monte
scaturia mormorando un picciol rio.
Egli
e tornò mesto al grande ufficio e pio.
Tremar sentí la man, mentre la fronte
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tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,
e premendo il suo affanno a dar si volse
vita con
Mentre egli il suon
colei di gioia trasmutossi, e rise;
e in atto di morir lieto e vivace,
dir parea: "
{{O|69}}
come
e gli occhi al cielo affisa, e in lei converso
sembra per la pietate il cielo e
e la man nuda e fredda alzando verso
il cavaliero in vece di parole
Line 628 ⟶ 623:
passa la bella donna, e par che dorma.
{{O|70}}Come
rallenta quel vigor
e
al duol già fatto impetuoso e stolto,
la vita, empie di morte i sensi e
Già simile a
al colore, al silenzio, a gli atti, al sangue.
Line 640 ⟶ 635:
spezzando a forza il suo ritegno frale,
la bella anima sciolta al fin seguiva,
che poco inanzi a lei spiegava
ma quivi stuol
cui trae bisogno
e con la donna il cavalier ne porta,
in sé mal vivo e morto in lei
{{O|72}}Però che
conosce a
onde
la vaga estinta, e duolsi al caso strano.
E già lasciar non volle a i lupi esposto
il bel corpo che stima ancor pagano,
ma sovra
e ne vien di Tancredi al padiglione.
Line 658 ⟶ 653:
non si risente il cavalier ferito;
pur fievolmente geme, e quinci è noto
che
Ma
dimostra ben che
Cosí portati, è
ma in differente stanza al fine è messo.
{{O|74}}I pietosi scudier già sono intorno
con vari uffici al cavalier giacente,
e già se
e le mediche mani e i detti ei sente;
ma pur dubbiosa ancor del suo ritorno,
non
Stupido intorno ei guarda, e i servi e
al fin conosce; e dice afflitto e fioco:
{{O|75}}"Io vivo? io spiro ancora? e gli odiosi
rai miro ancor di questo infausto die?
Dí testimon
che rimprovera a me le colpe mie!
Ahi! man timida e lenta, or ché non osi,
Line 683 ⟶ 678:
{{O|76}}Passa pur questo petto, e feri scempi
co
ma forse, usata
stimi pietà dar morte al mio dolore.
Dunque
misero mostro
misero mostro, a cui sol pena è degna
de
{{O|77}}Vivrò fra i miei tormenti e le mie cure,
mie giuste furie, forsennato, errante;
paventarò
che
e del sol che scoprí le mie sventure,
a schivo ed in orrore avrò il sembiante.
Line 702 ⟶ 697:
{{O|78}}Ma dove, oh lasso me!, dove restaro
le reliquie del corpo e bello e casto?
Ciò
dal furor de le fère è forse guasto.
Ahi troppo nobil preda! ahi dolce e caro
troppo e pur troppo prezioso pasto!
ahi sfortunato! in cui
irritaron me prima e poi le belve.
{{O|79}}Io pur verrò là dove sète; e voi
meco avrò,
Ma
stati sian cibo di ferine voglie,
e
onorata per me tomba e felice,
ovunque sia,
{{O|80}}Cosí parla quel misero, e gli è detto
rischiarar parve il tenebroso aspetto,
qual le nube un balen che passe e vóle;
e da i riposi sollevò del letto
e traendo a gran pena il fianco lasso,
colà rivolse vacillando il passo.
{{O|81}}Ma come giunse, e vide in quel bel seno,
opera di sua man,
e quasi un ciel notturno anco sereno
senza splendor la faccia scolorita,
Line 736 ⟶ 731:
dolce, ma raddolcir non puoi mia sorte!
{{O|82}}Oh bella destra che
quali or, lasso!, vi trovo? e qual ne vegno?
E voi, leggiadre membra, or non son questi
Line 743 ⟶ 738:
vestigi miserabili e funesti?
Oh di par con la man luci spietate:
essa le piaghe
{{O|83}}Asciutte le mirate? or corra, dove
nega
Qui tronca le parole, e come il move
suo disperato di morir desio,
squarcia le fasce e le ferite, e piove
da le sue piaghe essacerbate un rio;
e
co
{{O|84}}Posto su
fu richiamata a gli odiosi uffici.
Ma la garrula fama omai non tace
Vi tragge il pio Goffredo, e la verace
turba
Ma né grave ammonir, né pregar dolce
{{O|85}}Qual in membro gentil piaga mortale
tocca
tal da i dolci conforti in sí gran male
piú inacerbisce medicato il core.
Ma il venerabil Piero, a cui ne cale
come
con parole gravissime ripiglia
il vaneggiar suo lungo, e lui consiglia:
Line 774 ⟶ 769:
{{O|86}}"O Tancredi, Tancredi, o da te stesso
troppo diverso e da i princípi tuoi,
chi sí
di cecità fa che veder non puoi?
Questa sciagura tua del Cielo è un messo;
non vedi lui? non odi i detti suoi?
che ti sgrida, e richiama a la smarrita
strada che pria segnasti e te
{{O|87}}A gli atti del primiero ufficio degno
di cavalier di Cristo ei ti rappella,
che lasciasti per farti (ahi cambio indegno!)
drudo
Seconda aversità, pietoso sdegno
con leve sferza di là su flagella
tua folle colpa, e fa di tua salute
te medesmo ministro; e tu
{{O|88}}Rifiuti dunque, ahi sconoscente!, il dono
del Ciel salubre e
Misero, dove corri in abbandono
a i tuoi sfrenati e rapidi martíri?
Sei giunto, e pendi già cadente e prono
su
Miralo, prego, e te raccogli, e frena
quel dolor
{{O|89}}Tace, e in colui de
poté de
Nel cor dà loco a
ma non cosí che ad or ad or non gema
e che la lingua a lamentar non scioglia,
ora seco parlando, or con la sciolta
anima che dal Ciel forse
{{O|90}}Lei nel partir, lei nel tornar del sole
chiama con voce stanca, e prega e plora,
come usignuol cui
dal nido i figli non pennuti ancora,
che in miserabil canto afflitte e sole
piange le notti, e
Al fin co
i lumi, e
{{O|91}}Ed ecco in sogno di stellata veste
Line 826 ⟶ 821:
fedel mio caro, e in me tuo duolo acqueta.
{{O|92}}Tale
del mortal mondo, per error, togliesti;
tu in grembo a Dio fra gli immortali e divi,
per pietà, di salir degna mi fèsti.
Quivi io beata amando godo, e quivi
spero che per te loco anco
ove al gran Sole e ne
vagheggiarai le sue bellezze e mie.
{{O|93}}Se tu medesmo non
e non travii co
vivi e sappi
quanto piú creatura amar conviensi."
Cosí dicendo, fiammeggiò di zelo
per gli occhi, fuor del mortal uso accensi;
poi nel profondo
e sparve, e novo in lui conforto infuse.
{{O|94}}Consolato ei si desta e si rimette
e intanto sepellir fa le dilette
membra
E se non fu di ricche pietre elette
la tomba e da man dedala scolpita,
Line 873 ⟶ 868:
{{O|97}}non di morte sei tu, ma di vivaci
ceneri albergo, ove è riposto Amore;
e ben sento io da te
men dolci sí, ma non men calde al core.
Deh! prendi i miei sospiri, e questi baci
prendi
e dalli tu, poi
a le amate reliquie
{{O|98}}Dalli lor tu, ché se mai gli occhi gira
tua pietate e mio ardir non avrà in ira,
Perdona ella il mio fallo, e sol respira
in questa speme il cor fra tante doglie.
Sa
che,
{{O|99}}Ed amando morrò: felice giorno,
quando che sia; ma piú felice molto
se come errando or vado a te
allor sarò dentro al tuo grembo accolto.
Faccian
sia
ciò che
Oh se sperar ciò lice, altera sorte!"
{{O|100}}Confusamente si bisbiglia intanto
del caso reo ne la rinchiusa terra.
Poi
de la città smarrita il romor erra
misto di gridi e di femineo pianto;
non altramente che se presa in guerra
tutta ruini, e
volino per le case e per li tèmpi.
{{O|101}}Ma tutti gli occhi Arsete in sé rivolve,
miserabil di gemito e
Ei come gli altri in lagrime non solve
il duol, ché troppo è
ma i bianchi crini suoi
si sparge e brutta, e fiede il volto e
Or mentre in lui vòlte le turbe sono,
va in mezzo Argante e parla in cotal suono:
{{O|102}}"Ben
che fuor si rimanea la donna forte,
seguirla immantinente; e ratto corsi
Line 923 ⟶ 918:
preghiere al re che fèsse aprir le porte?
Ei me pregante, e contendente invano,
con
{{O|103}}Ahi! che
qui ricondotta la guerriera avrei,
o chiusi,
con memorabil fine i giorni miei.
Ma che potevo io piú? parve al consiglio
de gli uomini altramente e de gli dèi:
ella morí di fatal morte, ed io
{{O|104}}Odi, Gierusalem, ciò che prometta
Argante; odi
fulmina su
giuro di far ne
che per la costei morte a me
né questa spada mai depor dal fianco
insin
e
{{O|105}}Cosí disse egli, e
con applauso seguír le voci estreme;
e imaginando sol, temprò gli amari
Oh vani giuramenti! ecco contrari
seguir tosto gli effetti a
e cader questi in tenzon pari estinto
sotto colui
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