Fermo e Lucia/Tomo Primo/Cap I: differenze tra le versioni
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{{Qualità|avz=75%|data=9 novembre 2008|arg=Romanzi}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=[[Fermo e Lucia/Tomo Primo|Tomo Primo]] - Capitolo Primo<br />Il curato di...|prec=../../Introduzione rifatta da ultimo|succ=../Cap II}}
{{§|Incipit|Quel ramo del lago di Como d'onde esce l'Adda e che giace fra due catene non interrotte di monti da settentrione a mezzogiorno, dopo aver formati varj seni e per così dire piccioli golfi d'ineguale grandezza, si viene tutto ad un tratto a ristringere; ivi il fluttuamento delle onde si cangia in un corso diretto e continuato di modo che dalla riva si può per dir così segnare il punto dove il lago divien fiume. Il ponte che in quel luogo congiunge le due rive, rende ancor più sensibile all'occhio ed all'orecchio questa trasformazione: poiché gli argini perpendicolari che lo fiancheggiano non lasciano venir le onde a battere sulla riva ma le avviano rapide sotto gli archi; e presso quegli argini uno può quasi sentire il doppio e diverso romore dell'acqua, la quale qui viene a rompersi in piccioli cavalloni sull'arena, e a pochi passi tagliata dalle pile di macigno scorre sotto gli archi con uno strepito per così dire fluviale.}} Dalla parte che guarda a settentrione e che a quel punto si può chiamare la riva destra dell'Adda, il ponte posa sopra un argine addossato alla estrema falda del Monte di San Michele, il quale si bagnerebbe nel fiume se l'argine non vi fosse frapposto. Ma dall'opposto lato il ponte è appoggiato al lembo di una riviera che scende verso il lago con un molle pendio, sul quale per lungo tratto il passaggero può quasi credere di scorrere una perfetta pianura. Questa riviera è manifestamente formata da tre grossi torrenti i quali spingendo la ghiaja, i ciottoli, e i massi rotolanti dal monte, hanno a poco a poco spinte le rive avanti nel lago, ed erano abbastanza vicini perché le ghiaje gettate da essi a destra e a sinistra abbiano potuto col tempo toccarsi e formare un terreno sodo. Allora hanno cominciato a correre in un letto alquanto più regolare, poiché questi stessi depositi hanno loro servito d'argine, e il successivo loro impicciolimento cagionato dall'abbassamento dei monti, dal diboscamento, e dalla dispersione delle acque gli ha rinchiusi in un letto più angusto. Così il terreno che li divide ha potuto essere abitato e coltivato dagli uomini. Il lembo della riviera che viene a morire nel lago è di nuda e grossa arena presso ai torrenti, e uliginoso negli intervalli, ma appena appena dove il terreno s'alza al disopra delle escrescenze del lago e del traripamento della foce dei torrenti, ivi tutto è prati campagne e vigneti, e questo tratto d'ineguale lunghezza è in alcuni luoghi forse d'un miglio. Dove il pendio diventa più ripido son più frequenti, e assai più lo erano per lo passato, gli ulivi; al disopra di questi e sulle falde antiche dei monti cominciano le selve di castagni, e al di sopra di queste sorgono le ultime creste dei monti in parte nudo e bruno macigno in parte rivestite di pascoli verdissimi, in parte coperte di carpini, di faggi, e di qualche abete. Fra questi alberi crescono pure varie specie di sorbi, e di dafani, il cameceraso, il rododendro ferrugigno, ed altre piante montane le quali rallegrano e sorprendono il cittadino dilettante di giardini che per la prima volta le vede in quei boschi, e che non avendole incontrate che negli orti e nei giardini è avvezzo a considerarle colla fantasia come quasi un prodotto della coltura artificiale piuttosto che una spontanea creazione della natura. Dove però la mano dell'uomo ha potuto portare una più fruttifera coltivazione fino presso alle vette, non ha lasciato di farlo, e si vedono di tratto in tratto dei piccioli vigneti posti su un rapido pendio, e che terminano col nudo sasso del comignolo. La riviera è tutta sparsa di case e di villaggi: altri alla riva del lago, anzi nel lago stesso quando le sue acque s'innalzano per le piogge, altri sui varj punti del pendio, fino al punto dove la montagna è nuda, perpendicolare, ed inabitabile.▼
▲{{§|Incipit|Quel ramo del lago di Como d'onde esce l'Adda e che giace fra due catene non interrotte di monti da settentrione a mezzogiorno, dopo aver formati varj seni e per così dire piccioli golfi d'ineguale grandezza, si viene tutto ad un tratto a ristringere; ivi il fluttuamento delle onde si cangia in un corso diretto e continuato di modo che dalla riva si può per dir così segnare il punto dove il lago divien fiume. Il ponte che in quel luogo congiunge le due rive, rende ancor più sensibile all'occhio ed all'orecchio questa trasformazione: poiché gli argini perpendicolari che lo fiancheggiano non lasciano venir le onde a battere sulla riva ma le avviano rapide sotto gli archi; e presso quegli argini uno può quasi sentire il doppio e diverso romore dell'acqua, la quale qui viene a rompersi in piccioli cavalloni sull'arena, e a pochi passi tagliata dalle pile di macigno scorre sotto gli archi con uno strepito per così dire fluviale.}} Dalla parte che guarda a settentrione e che a quel punto si può chiamare la riva destra
Lecco è la principale di queste terre e dà il nome alla riviera: un grosso borgo a questi tempi, e che altre volte aveva l'onore di essere un discretamente forte castello, onore al quale andava unito il piacere di avervi una stabile guarnigione, ed un comandante, che all'epoca in cui accade la storia che siamo per narrare era spagnuolo. Dall'una all'altra di queste terre, dalle montagne al lago, da una montagna all'altra corrono molte stradicciuole ora erte, ora dolcemente pendenti, ora piane, chiuse per lo più da muri fatti di grossi ciottoloni, e coperti qua e là di antiche edere le quali, dopo aver colle barbe divorato il cemento, ficcano le barbe stesse fra un sasso e l'altro, e servono esse di cemento al muro che tutto nascondono. Di tempo in tempo invece di muri passano le anguste strade fra siepi nelle quali al pruno e al biancospino s'intreccia di tratto in tratto il melagrano, il gelsomino, il lilac e il filadelfo. Una di queste strade percorre tutta la riviera ora abbassandosi, ora tirando più verso il monte, ora in mezzo alle vigne, ed ora sulla linea che divide i colti dalle selve. Questa strada è talvolta seppellita fra due muri che superano la testa del passaggero, dimodoché egli non vede altro che il cielo e le vette dei monti: ma spesso lascia un libero campo alla vista la quale quasi ad ogni passo scopre nuovi ampi e bellissimi prospetti. Poiché guardando verso settentrione tu vedi il lago chiuso nei monti, che sporgono innanzi e rientrano, e formano ad ogni tratto seni, o ameni o tetri, finché la vista si perde in uno sfondo azzurro di acque e di montagne; verso mezzogiorno vedi l'Adda che appena uscita dagli archi del ponte torna a pigliar figura di lago, e poi si ristringe ancora e scorre come fiume dove il letto è occupato da banchi di sabbia portati da torrenti, che formano come tanti istmi: dimodoché l'acqua si vede prolungarsi fino all'orizzonte come una larga e lucida spira. Sul capo hai i massi nudi e giganteschi, e le foreste, e guardando sotto di te, e in faccia, vedi il lungo pendio distinto dalle varie colture, che sembrano strisce di varj verdi, il ponte ed un breve tratto di fiume fra due larghi e limpidi stagni, e poscia risalendo collo sguardo lo arresti sul Monte Barro che ti sorge in faccia, e chiude il lago dall'altra parte. Ma non termina quel monte la vista da ogni parte, poiché di promontorio in promontorio declina fino ad una valle che lo separa dal monte vicino; e come in alcune parti la stradetta si eleva al disopra del livello di questa valle, da quei punti il tuo occhio segue fra i due monti che hai in prospetto un'apertura che dalla valle ti lascia travedere qualche parte dell'amenissimo piano che è posto al mezzogiorno del Monte Barro. La giacitura della riviera, i contorni, e le viste lontane, tutto concorre a renderlo un paese che chiamerei uno dei più belli del mondo, se avendovi passata una gran parte della infanzia e della puerizia, e le vacanze autunnali della prima giovinezza, non riflettessi che è impossibile dare un giudizio spassionato dei paesi a cui sono associate le memorie di quegli anni.▼
▲Lecco è la principale di queste terre e dà il nome alla riviera: un grosso borgo a questi tempi, e che altre volte aveva
Su questa stradetta veniva lentamente dicendo l'ufizio, ed avviandosi verso casa, una bella sera d'autunno dell'anno 1628, il Curato di una di quelle terre che abbiamo accennate di sopra. (Questa è la prima reticenza del nostro storico). Talvolta tra un salmo e l'altro metteva l'indice nel breviario al luogo dov'era rimasto, e tenendo così socchiuso il libro nella destra mano, e la destra nella sinistra dietro le spalle, continuava il suo passeggio guardando in qua e in là, e ripigliando i pensieri oziosi che erano stati sospesi così così nel tempo che aveva recitata l'ultima parte di ufizio. Uscendo poi da questa meditazione egli girava gli occhi intorno, e arrestava lo sguardo sulle cime del monte, osservando come aveva fatto tante altre volte sul monte i riflessi del sole già nascosto, ma che mandava ancora la sua luce sulle alture, distendendo sulle rupi e sui massi sporgenti come larghi strati di porpora.▼
▲Su questa stradetta veniva lentamente dicendo
Ripigliato poscia il breviario e recitato un altro pezzo di vespro giunse ad una rivolta della strada dov'era solito di alzar gli occhi dal libro e di guardare quasi macchinalmente dinnanzi a sè, e così fece anche quel giorno. Dopo la rivolta la strada andava diritta forse un centinajo di passi, e poi si divideva; a destra saliva verso il monte, e dall'altro lato scendeva nella valle fino ad un torrente. Da questa parte il muro non giungeva che all'anche del passaggero, e lasciava libera la vista del pendio sottoposto, fino al torrente, e ad un pezzo di monte che lo rinchiudeva dall'altra parte. In faccia a colui che aveva voltata la strada, e alla separazione delle due strade v'era una cappelletta sulla quale erano dipinte certe figure lunghe, serpeggianti, e terminate in punta che nella intenzione del pittore, e agli occhi degli abitanti del vicinato volevano dir fiamme, e fra l'una e l'altra certe altre figure da non potersi descrivere, che volevano dire anime del purgatorio; anime e fiamme color di mattone su un fondo bianco con qualche scrostatura in varie parti. Al rivolgimento dunque della strada alzando gli occhi verso la cappelletta il nostro Curato vide una cosa che non si aspettava e che non avrebbe voluta vedere. Due uomini stavano uno rimpetto all'altro ai due capi della strada: uno seduto a cavalcioni sul muricciuolo con l'un piede appoggiato sul terreno della strada e l'altro penzoloni giù lungo il muro, l'altro in piedi appoggiato al muro con una gamba sopra l'altra, e le braccia incrocicchiate sotto le ascelle. L'abito e il portamento non lasciavano dubbio della loro professione. Avevano entrambi una reticella verde in capo la quale cadeva su una spalla terminata in un gran fiocco di seta: due grandi mustacchi inanellati all'estremità, il lembo del farsetto coperto e avviluppato da una cintura lucida di cuojo, ripiena di cartoccini di polvere, ed alla quale erano appese due pistole con uncini: un picciol corno ripieno di polvere appeso al collo come i vezzi delle signore: alla parte destra delle larghe e gonfie brache una tasca donde usciva un manico di coltellaccio, due legacce rosse al disotto del ginocchio a un dipresso come i cavalieri della giarrettiera: uno spadone dall'altro lato con una elsa di lamette d'ottone attorcigliate come una cifra; al primo aspetto si mostravano di quella specie d'uomini tanto comune a quei tempi, che avevano nome di bravi, specie che ora si è del tutto perduta come tante altre buone istituzioni.▼
▲Ripigliato poscia il breviario e recitato un altro pezzo di vespro giunse ad una rivolta della strada
Che quei due stessero lì aspettando qualcheduno era cosa troppo evidente; ma quello che più spiacque al Curato fu di accorgersi per certi atti che quegli che aspettavano era egli poiché al suo apparire si erano guardati alzando la testa, con un moto che dava a divedere che avevan detto tutti e due a un tratto: egli è desso: e quegli che stava a cavalcioni tirò la sua gamba sulla strada e si alzò, l'altro si staccò dal muro; e si avvicinarono rivolti verso il curato. Questi tenendo sempre il breviario aperto dinanzi come se leggesse, alzava gli occhi per ispiare i loro movimenti e vedendoli inviarsi così verso di lui, mille pensieri alla rinfusa gli corsero pel capo. Domandò subito in fretta a se stesso, se tra i bravi e lui vi fosse qualche uscita di strada a dritta o a sinistra, e gli sovvenne tosto di no. Pensava se avesse qualche inimicizia, se potesse temere qualche vendetta, e in quel turbamento il testimonio consolante della coscienza lo rassicurava alquanto; ma i bravi si avvicinavano. Pose la mano nel collare, come per ricomporlo e intanto piegò indietro la testa e guardò colla coda dell'occhio fin dove poteva, se qualcheduno arrivasse, e non vide nessuno. Diede un'occhiata al disopra del muricciolo, nei campi; nessuno: guardò sulla via che gli era dinanzi; nessuno fuorché i bravi. Che fare? tornare indietro, non era a tempo: fuggire; era lo stesso che farsi inseguire, o peggio. Non potendo fuggire il pericolo gli corse incontro; perché i momenti di quella incertezza erano allora così penosi per lui che non desiderava altro che di abbreviarli: allungò il passo, recitò un versetto a voce più alta, compose la faccia a tutta quella quiete ed ilarità che potè, fece ogni sforzo per preparare un sorriso, e quando fu accostato dai due galantuomini, disse mentalmente: ci siamo; e si fermò sui due piedi.▼
▲Che quei due stessero lì aspettando qualcheduno era cosa troppo evidente; ma quello che più spiacque al Curato fu di accorgersi per certi atti che quegli che aspettavano era egli poiché al suo apparire si erano guardati alzando la testa, con un moto che dava a divedere che avevan detto tutti e due a un tratto: egli è desso: e quegli che stava a cavalcioni tirò la sua gamba sulla strada e si alzò,
«Signor curato»: disse uno di quei due, piantandogli gli occhi in faccia.
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«Chi mi comanda?» rispose subito il curato alzando gli occhi dal libro e tenendolo spalancato e sospeso con ambe le mani.
«Ella ha intenzione», proseguì
«Non lo posso negare»: rispose il curato col tuono
«Bene bene», interruppe il bravo, «questo matrimonio non si deve fare, ma né domani né mai». «Ma, Signori miei», replicò il curato colla voce
«Orsù» interruppe ancora il bravo che pareva avesse giurato di non lasciargli compire un periodo, «se la cosa andasse a ciarle, ella ne avrebbe più di noi: ma noi non sappiamo né vogliamo sapere altro: era nostro dovere
«Ma», interruppe questa volta
«Zitto, zitto», ripigliò
.......
Abbondio non nobile, non ricco, non animoso, si era presto avveduto di essere nella società come il vaso di terra cotta in compagnia di molti vasi di bronzo sempre in movimento. Aveva quindi secondata assai lietamente la volontà dei suoi parenti che lo avevano avviato allo stato ecclesiastico. A dir vero il suo fine principale non era stato quello di servire agli altri col ministero. Egli aveva pensato a trovare un modo di vivere, e a porsi in una classe rispettata e forte, nella quale il debole fosse difeso dalle forze riunite degli altri. Ma non basta appartenere ad una classe per goderne tutti i vantaggi, come ognun sa: bisogna anche che
Ma il povero Don Abbondio non avrebbe voluto esser conscio a se stesso di esser mosso da principj bassi e da non confessarsi; e si era quindi fatto (come accade sempre) una dottrina sua propria, secondo la quale la sua condotta era ragionevole anzi la sola ragionevole e onesta. Quando poi si vide in virtù di questa sua buona condotta, bastantemente al coperto dalle offese altrui, pensò, come accade, ad attaccare, e divenne un rigido censore delle azioni e degli uomini che non tenevano la sua condotta, quando però questa sua censura potesse esercitarsi senza alcuno anche lontano pericolo.
Chi era stato percosso e non era in caso di far vendetta era almeno almeno un imprudente, un ammazzato era certamente un torbido, e se non lasciava parenti irritati della sua morte, era un birbante; ma chi aveva commesso un omicidio poteva esser certo che Don Abbondio non gli avrebbe mai trovato un difetto. Quello poi che più gli dava collera era il vedere qualcuno dei suoi confratelli pigliare le parti di un debole, difenderlo contro una soperchieria. Questo chiamava egli un comprarsi le brighe a contanti, un volere addirizzare le gambe ai cani. I potenti, i ricchi, i facinorosi, i protettori, i protetti, insomma i vittoriosi
Colla compagnia di questi pensieri giunse a casa, chiuse diligentemente la porta e andò a gettarsi su un seggiolone nel suo salotto, dove la sua serva Vittoria stava parecchiando la tavola per la solita cena. Poche cose a questo mondo sono più difficili a nascondersi di quello che sieno i pensieri sul volto
«Ma che cosa ha, Signor padrone?»
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«Tacete, tacete, e non parecchiate altro, che questa sera non cenerò».
Quando Vittoria intese questo fu certa che
In fondo il curato aveva voglia di scaricare il peso del suo cuore, onde fattigli ripetere seriamente i più grandi giuramenti le narrò il miserabile caso, mentre la buona Vittoria, tra la gioja del trionfo, e
«Pur troppo», disse Vittoria, «ma non si lasci spaventare: eh! se costoro potessero aver fatti come parole, il mondo sarebbe loro: Dio lascia fare ma non strafare: e qualche volta cane che abbaja non morde». «Lo conoscete voi questo cane? e sapete quante volte ha morso?...» «Lo conosco e so bene che...» «Zitto, zitto, questo non serve». «Signor padrone, ella ci penserà questa notte, ma intanto non cominci a rovinarsi la salute per questo: mangi un boccone».
«Ma se non ho voglia». «Ma se le farà bene», e detto questo, si avvicinò al seggiolone
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