Elegia di madonna Fiammetta (Laterza, 1939)/Capitolo Quinto: differenze tra le versioni
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''Nel quale la Fiammetta dimostra come alli suoi orecchi pervenne Panfilo aver presa moglie, mostrando appresso quanto del suo tornare disperata e dolorosa vivesse.''
Lievi sono state infino a qui le mie lagrime, o pietose donne, e i miei sospiri piacevoli a rispetto di quelli, i quali la dolente penna, piú pigra a scrivere che il cuore a sentire,
Dico adunque, donne, che con cosí varie imaginazioni, quali poco avanti avete potute comprendere nel mio dire, io stava continuo, quando, di piú d’uno mese essendo il tempo trapassato promesso, a me cosí
Egli, sí come io alla sua favella compresi, ed esso medesimo da una di quelle dimandatone confessò, era della terra di Panfilo mio. Ma poi che egli mostrate molte delle sue cose, e di quelle da esse alcune per lo convenuto pregio prese, e
Certo io ne fui contentissima, e gli orecchi alla risposta levai. Il mercatante senza indugio rispose:
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"Molto bene; e dicovi che il dí medesimo che io mi partii, vidi con grandissima festa entrare di nuovo in casa sua una bellissima giovine, la quale, secondo che io intesi, era a lui novellamente sposata.
Io, mentre che il mercatante queste cose diceva, ancora che con amarissimo dolore
Ma la giovine, forse con quella medesima forza che io, ritenendo dentro il dolore, come se stata non fosse quella che
Venuti meno i nostri ragionamenti, ciascuna si dipartí, e io con anima piena
"Ora, o misera Fiammetta, sai perché il tuo Panfilo non ritorna; ora sai la cagione della sua dimora tanto da te disiata; ora hai quello che tu andavi cercando di trovare. Che, misera, chiedi piú? Che piú addimandi? Bastiti questo: Panfilo non è piú tuo. Gitta via omai i disiderii di riaverlo, abandona la mal ritenuta speranza, poni giú il fervente amore, lascia i pensieri matti; credi omai agli agurii e alla tua divinante anima,.e comincia a conoscere gl’inganni
E con queste parole mi raccesi nell’ira, e rinforzai il pianto; e da capo con parole troppo piú fiere ricominciai cosí a parlare:
"O iddii ove sete? Ove ora mirano gli occhi vostri?
Ohimè misera! Perché non è egli possibile che voi
Poi, non meno accesa
"O Panfilo, ora la cagione della tua dimora conosco, ora i tuoi inganni mi sono palesi, ora veggo che ti ritiene, e qual pietà. Tu ora celebri i santi imenei, e io, dal tuo parlare e da te e da me medesima ingannata, mi consumo piagnendo e con le mie lagrime apro la via alla mia morte, la quale con titolo della tua crudeltà debitamente segnerà la sua dolente venuta; e gli anni, i quali io cotanto disiderai
Ohimè! or chi averebbe mai potuto credere che falsità fosse nelle tue parole nascosta e che le tue lagrime fossero con arte mandate fuori? Certo non io; anzi cosí come fedelmente parlava, cosí con fede le parole e le lagrime riceveva E se forse in contrario dicessi e le lagrime vere e i saramenti e la fede prestati con puro cuore, concedasi; ma quale scusa darai tu al non averli servati cosí puramente come promessi? Dirai tu: "La piacevolezza della nuova donna ne è stata cagione?". Certo debole fia, e manifesta dimostrazione di mobile animo. E oltre a tutto questo, sarà egli però satisfatto a me? Certo no. O malvagissimo giovine! Non
Deh, Panfilo, dimmi ora: avea io commesso alcuna cosa per la quale io meritassi da te
Oh, quante doglie e come acerbe
Ma ricorditi, tra le cose che non vere racconterai, di narrare i tuoi veri inganni, per li quali me piagnevole e misera potrai dire aver lasciata, e con essi i ricevuti onori, acciò che bene facci la tua ingratitudine manifesta
Come che io fossi molto da queste dolenti ramaricazioni offesa, e sovente sopra esse tornassi, e non solamente quello dí ma molti altri seguenti, nondimeno mi pungeva
"Deh, perché, o Panfilo, mi dolgo io del tuo essere lontano, e che tu di nuova giovine sii divenuto, con ciò sia cosa che, essendo tu qui presente, non mio ma
Deh, desti tu a tutte, o almeno a questa una, che male ha saputo celare quello che tu hai bene celato, quella fede, quelle promessioni, quelle lagrime che a me donasti? Se ciò facesti, tu puoi, sí come ùa niuna obligato, dimorarti sicuro, perciò che quello che a molti indistintamente si dona, non pare che ad alcuno sia donato. Deh, come può egli essere che chi di tante piglia i cuori non sia il suo alcuna volta preso? Narcisso, amato da molte, essendo a tutte durissimo, ultimamente fu preso dalla sua forma; Atalanta, velocissima nel suo córso, rigida superava i suoi amanti, infino che Ipomenes con maestrevole inganno, come ella medesima volle, la vinse. Ma perché vo io per gli essempli antichi? Io medesima, non potuta mai da alcuno essere presa, fui presa da te. Tu adunque come tra le molte non hai trovato chi
Dopo questi molti parlari e vani, però che né
"O misera, perché disideri tu che Panfilo qui torni? Credi tu con maggiore pazienza sostenere vicino quello che gravissimo
Egli mi sarebbe duro il potere, o donne, mostrare con quanta focosa ira, con quante lagrime, con quanta strettezza di cuore, io quasi ogni dí cotali pensieri e ragionamenti solessi fare; ma però che ogni dura cosa in processo di tempo si pur matura e ammollisce, avvenne che, avendo io piú giorni cotale vita tenuta, né potendo piú oltre nel dolore procedere che proceduta mi fossi, esso alquanto si cominciò a cessare. E tanto quanto egli della mente disoccupava, cotanto, fervente amore e tiepida speranza ne raccendevano, e cosí a poco a poco con esso il dolore dimorandovi, me fecero di voglia cambiare, e il primo disiderio di riavere il mio Panfilo ritornò. E quantunque in ciò mi fosse alcuna speranza di mai dover riaverlo contraria, tanto ne divenne maggiore il disio; e cosí come le fiamme
Io, riguardando a quello a che
"O stoltissima giovine, di che cosí ti turbi? Perché senza certa cagione in ira
Priega adunque Iddio che Amore, il quale piú che saramento o promessa fede puote, il costringa a tornarci. E oltre a questo, perché per la turbazione della giovine di lui prendi sospetto? Non sai tu quanti giovini te amano invano, i quali, sappiendo te essere di Panfilo, senza dubbio si turberebbero? Cosí dei credere possibile lui essere amato da molte, alle quali pare duro di lui udire quello che a te dolse, benché per diverse ragioni a ciascuna ne incresca.
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E in cotale modo me medesima dimentendo quasi in sulla prima speranza tornando, dove molte bestemmie mandate aveva, con orazioni supplico in contrario.
Questa speranza in cotal guisa tornata, non avea però forza di rallegrarmi, anzi con tutta essa con turbazione continua e
Li miei dubbiosi pensieri il piú mi traevano tutto il giorno incerta di dolermi o di rallegrarmi; ma vegnendo la notte, attissimo tempo alli miei mali, trovandomi nella mia camera sola, avendo prima e pianto e molte cose con meco dette, quasi mossa da consiglio migliore, le mie orazioni a Venere rivolgea, dicendo:
"O del cielo bellezza speciale, o pietosissima dèa, o santa Venere, la cui effigie nel principio de’ miei affanni in questa camera fu manifesta, porgi conforto alli miei dolori, e per quello venerabile e intrinseco amore che tu portasti ad Adone, mitiga li miei mali. Vedi quanto per te io tribulo; vedi quante volte per te la terribile imagine della morte sia già stata innanzi agli occhi miei; vedi se tanto male ha la mia pura fede meritato, quanto io sostegno. Io, lasciva giovine, non conoscendo li tuoi dardi, al primo tuo piacere senza disdire mi ti feci suggetta. Tu sai quanto per te mi fu promesso di bene, e certo io non niego che parte già non
Manda il tuo figliuolo con le sue saette e con le tue fiaccole al mio Panfilo, là dove egli ora da me dimora lontano, e lui se forse per non vedermi nel mio amore è raffreddato, o di quello
In questi cosí fatti prieghi, ancora che vani gli vedessi poi riuscire, pure allora quasi essauditi credendomi, alquanto con isperanza alleviava il mio tormento, e nuovi mormorii ricominciando, diceva:
"O Panfilo, dove se’ tu ora? Deh, che fai tu ora? Hatti la tacita notte senza sonno e con tante lagrime quante me, o forse nelle braccia ti tiene della giovine male per me udita? O pure senza alcuno ricordo di me soavissimamente dormi? Deh, come può questo essere che Amore due amanti con disiguali leggi governi, ciascuno ferventemente amando, come io fo, e forse come tu fai? Io non so, ma se cosí è, che quelli pensieri te, che me, occupino quali prigioni e quali catene ti tengono, che quelle rompendo a me non torni? Certo io non so chi mi potesse tenere di venire a te, se lamia forma sola, la quale senza dubbio
Deh vieni, vieni, ché ’l cuor ti chiama: non lasciar perire la mia giovinezza presta
E questo detto, quasi come se egli le mie parole avesse intese súbito mi levava e correva alla finestra, me
"O Sonno, piacevolissima quiete di tutte le cose, e degli animi vera pace, il quale ogni cura fugge come nemico, vieni a me, e le mie sollecitudini alquanto col tuo operare caccia del petto mio. O tu, che i corpi ne’ duri affanni gravati diletti, e ripari le nuove fatiche, come non vieni? Deh, tu dài ora a ciascun altro riposo: donalo a me, piú che altra di ciò bisognosa. Fuggi degli occhi alle liete giovini, le quali ora tenendo i loro amanti in braccio nelle palestre di Venere essercitandosi, te rifiutano e odiano, ed entra negli occhi miei, che sola e abandonata, e vinta dalle lagrime e
Egli, piú pietoso che alcuno altro iddio a cui io porga prieghi, avvegna che indugio ponga alla grazia chiesta
Non viene, posto che il sonno venga, però in me la disiata pace, anzi, in luogo de’ pensieri e delle lagrime, mille visioni piene
Di tutte queste cose, delle lagrime e del dolore dico, ma non della cagione,
Poi che l’ingannato marito vedea le molte medicine poco giovare, anzi niente, di me piú tenero che il dovere, da me in molte nuove e diverse maniere la mia malinconia
"Donna, come tu sai, poco di là dal piacevole monte Falerno, in mezzo
Io allora, queste parole udendo, quasi dubbiosa non nel mezzo della nostra dimora tornasse il caro amante, e cosí nol vedessi, lungamente penai a rispondere; ma poi, vedendo il suo piacere, imaginando che, vegnendo egli, esso dove che io fossi verrebbe, risposi me al suo volere apparecchiata, e cosí
Oh, quanto contraria medicina operava il mio marito alle mie doglie! Quivi posto che i languori corporali molto si curino, rade volte o non mai vi
In cosí fatto luogo, o pietosissime donne, mi solea il mio marito menare a guarire
Come al caro marito aggradiva, cosí quivi varii diletti a prendere si cominciarono. Noi alcuna volta, levati prima che il giorno chiaro apparisse, saliti sopra i portanti cavalli, quando con cani e quando con uccelli e quando con amenduni, ne’ vicini paesi di ciascuna caccia copiosi, ora per
Noi alcuna volta sotto gli altissimi scogli sopra il mare estendentisi e facienti ombra graziosissima, sulle arene poste le mense con compagnia di donne e di giovini grandissima mangiavamo. Né prima eravamo da quelle levate, che sonantisi diversi strumenti, i giovini varie danze incominciavano, nelle quali me medesima, quasi sforzata, alcuna volta convenne pigliare; ma in esse, sí per
Ma poi che le danze in molti giri volte e reiterate hanno le giovini donne rendute stanche, tutte postesi con noi a sedere, piú volte avvenne che i giovini vaghi, di sé
"Oh felici voi a’ quali come a me non è tolta la vista di voi stessi! Ohimè! che cosí come voi fate, soleva io per addietro fare. Lunga sia la vostra felicità, acciò che io sola di miseria possa essemplo rimanere a’ mondani. Almeno, se Amore, faccendomi mal contenta della cosa amata da me, sarà cagione che li miei giorni si raccorcino, me ne seguirà che io, come Dido, con dolorosa fama diventerò etterna.
E questo detto, tacendo torno gli occhi a riguardare quello che diversi diversamente adoperino. Oh quanti già in simili luoghi ne vidi, li quali dopo avere mirato, e non avendo la loro donna veduta, reputando meno che bello il festeggiare, malinconiosi si partivano!
Adunque, carissime donne, cosí disposta, quale le mie parole dimostrano,
Egli avvenne, non una volta ma molte, che dovendo novelle spose andare a’ loro mariti, primieramente io, o per parentado stretto, o per amistà, o per vicinanza fui invitata alle nuove nozze, alle quali andare piú volte mi costrinse il mio marito, credendosi in cotale guisa la manifesta mia malinconia alleggiare. Adunque in questi cosí fatti giorni li lasciati ornamenti mi convenia ripigliare, e i negletti capelli,
Pervenute adunque alli luoghi diputati alle nozze, ancora che diversi e in diversi tempi fossero, non altramente che in una sola maniera mi videro, cioè con viso infinto, qual io poteva, ad allegrezza, e con
Egli mi ritornava a mente quanto solenne fosse stata quella festa, la quale a questa simile già per me
"Deh, guarda quella giovine, alla cui bellezza nulla ne fu nella nostra città simigliante, e ora vedi quale ella è divenuta! Non miri tu come ella
E detto questo, mirandomi con atto umilissimo quasi da compassione delli miei mali compunti, partendosi, me di me lasciavano piú che
Certi ve
"La palidezza di questa giovine dà segnali
Quando questo avvenne, dico che io non potei ritenere alcuno sospiro, veggendo di me molta piú pietà in altrui che in colui che ragionevolmente avere la dovria. E dopo li mandati sospiri, con voce tacita pregai per li coloro beni umilemente gl’iddii. E certo egli mi ricorda la mia onestà avere avute tra quelli che cosí ragionavano tante forze che alcuni mi scusavano, dicendo:
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"Ohimè!" diceva io allora fra me medesima "quanto sono costoro lontani alla verità, me innamorata non reputando, perciò che come pazza negli occhi e nelle bocche de’ giovini non metto li miei amori, come molte altre fanno!".
Quivi ancora mi si paravano molte volte davanti giovini nobili, e di forma belli, e
Perché nasconderò io a voi, o donne, quel che non solamente a me, ma generalmente a tutte dispiace
Oltre a queste cose, ancora mi ricordo io essermi alcuna volta in cosí fatte feste avvenuto che io in cerchio con donne
Essendo adunque per alcuno spazio le donne, sedendosi, riposate,
Ma poi che quelle danze con gravissima noia di me alcuna volta per lungo spazio rimirate avea, essendomi divenute per altro pensiero tediose, quasi da altra sollecitudine mossa, del publico luogo levatami, volonterosa di sfogare il raccolto dolore, se fatto mi veniva acconciamente, in parte solitaria me
"O Fortuna, spaventevole nemica di ciascuno felice, e de piú miseri singulare speranza, tu, permutatrice
Ma io, ancora nuova, te delle passioni dell’anima donatrice non sappiendo che tanta parte avessi
I tuoi ingegni, per addietro rotti col nostre senno, si risarcirono per altra via, e inimica a lui parimente e a me, con li tuoi accidenti porgesti cagione di dividere da me
Ahi, maladette siano
Oh quante piú altre cose ancora dissi piú volte, le quali lungo e tedioso sarebbe il raccontarle! Ma tutte, brievemente, in amare lagrime terminavano, dalle quali alcuna volta avvenne che io, dalle donne sentita, con varii conforti levatane, alle festevoli danze fui rimenata a mal mio grado.
Chi crederebbe possibile, o amorose donne, tanta tristizia nel pretto capere
Venute adunque ne’ luoghi da noi cercati, e presi per li nostri diletti ampissimi luoghi, secondo che il nostro appetito richiedeva, ora qua e ora là, ora questa brigata di donne e di giovini, e ora
Ma poi che noi medesimi avevamo, si come gli altri, mangiato con grandissima festa, e dopo le levate mense piú giri dati in liete danze al modo usato, risalite sopra le barche, subitamente or qua e ora colà
Che giova il faticarsi in voler dire ogni particulare diletto che quivi si prende? Egli non verrebbero meno giammai. Pensi seco chi ha intelletto, quanti e quali essi debbano essere, non andandovi (e se vi pur va, non vi si vede) alcuno altro che giovine e lieto. Quivi gli animi aperti e liberi sono, e sono tante e tali le cagioni per le quali ciò avviene, che appena alcuna cosa addimandata negare vi si puote. In questi cosí fatti luoghi confesso io, per non turbare le compagne,
La nostra città, oltre a tutte
Quivi tra cotanta e cosí nobile compagnia non lungamente, si siede né vi si tace, né mormora; ma stanti gli antichi uomini a riguardare, li chiari giovini, prese le donne per le dilicate mani, danzando, con altissime voci cantano i loro amori: e in cotal guisa con quante maniere di gioia si possono divisare, la calda parte del giorno trapassano. E poi che
Quale lingua sí
A queste cosí fatte feste e piacevoli giuochi, come io solea, ancora, misera, sono chiamata; il che senza grandissima noia di me non avviene, perciò che, queste cose mirando, mi torna a mente
Oh quanto
Essendo adunque la lieta schiera due o tre volte, cavalcando con piccolo passo, dimostratasi
E posto che io alcuna volta a queste feste o a simiglianti con infinto viso la celi, e dea sosta
"Oh, felice colui il quale innocente dimora nella solitaria villa, usando
Oh come è dilettevole, e quanto è grazioso con tranquillo e libero animo il priemere le ripe de trascorrenti fiumi, e sopra i nudi cespiti menare li lievi sonni, li quali il fuggente rivo con mormorevoli suoni e dolci senza paura nutrica! Questi senza alcuna invidia sono conceduti al povero abitante le ville, molto piú da disiderare che quelli, li quali, allettati con piú lusinghe, sovente o da pronte sollecitudini cittadine o da strepiti di tumultuante famiglia sono rotti. La costui fame, se forse alcuna volta lo stimola, li còlti pomi nelle fedelissime selve raccolti la scacciano, e le nuove erbette di loro propria volontà fuori della terra uscite sopra li piccoli monti ancora gli ministrano saporosi cibi. Oh quanto gli è, a temperare la sete, dolce
Deh, or fosse stato piacere
Oh quanto buona cosa è a niuno resistere, e sopra la terra giacendo, pigliare li cibi sicuro! Rade volte, o non mai, entrano li peccati grandissimi nelle piccole case. Alla prima età niuna sollecitudine
Deh, or
Queste cose cosí fra me ragionate, alcuna volta, pensando che le cose da me operate siano appo Iddio gravi molto, e le pene a me senza comparazione noiose, hanno forza
A cosí fatta vita e a piggiore m’ha la fortuna lasciata consolazione cosí piccola, come udite; né intendiate consolazione che me di dolore privi, sí come
"O donna, adórnati; venuta è la solennità di cotale tempio, la quale te sola aspetta per compimento.
Ohimè! che egli mi torna a mente che io alcuna volta a loro furiosa rivolta, non altramente che
"Via, vilissima parte della nostra casa, fate lontani da me questi ornamenti: brieve roba basta a coprire gli sconsolati membri, né piú alcuno tempio né festa per voi a me si ricordi, se la mia grazia
Oh, quante volte già, come io udii, furono quelli da molti nobili visitati, li quali piú per vedermi, che per divozione alcuna venuti, non veggendomi, turbati si tornavano indietro, nulla dicendo senza me valere quella festa! Ma come che io cosí le rifiuti, pure alcuna volta, in compagnia delle mie nobili compagne, me le conviene costretta vedere, con le quali io semplicemente e di feriali vestimenti vestita vi vado, e quivi non i solenni luoghi, come già feci, cerco, ma, rifiutando li già voluti onori, umile, ne piú bassi luoghi tra le donne
"Oh, quale maraviglia è questa! Questa donna, singulare ornamento della nostra città, cosí rimessa e umile è divenuta? Qual divino spirito l’ha spirata? Ove le nobili robe? Ove gli altieri portamenti? Ove le mirabili bellezze si sono fuggite?
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Alle quali parole, se licito mi fosse stato, avrei volontieri risposto: "Tutte queste cose, con molte altre piú care, se ne portò Panfilo dipartendosi".
Quivi ancora dalle donne intorniata, e da diverse domande trafitta, a tutte con infinto viso mi conviene satisfare.
"O Fiammetta, senza fine di te me e
A costei e a piú altre aspettanti le mie parole rendo io con umile voce cotale risposta:
"Donne, o per piacere a Dio o agli uomini si viene a questi templi. Se per piacere a Dio ci si viene,
E quinci le lagrime dall’intrinseca verità cacciate per forza fuori mi bagnano il mesto viso, e con tacita voce cosí con meco medesima dico:
"O Iddio, veditore de’ nostri cuori, le non vere parole dette da me non
Oh quante volte, o donne, ho io per questa iniquità pietose laude ricevute, dicendo le circustanti donne me divotissima giovine di vanissima ritornata! Certo, io intesi piú volte di molte essere oppinione, me di tanta amicizia essere congiunta con Dominedio, che niuna grazia a lui da me dimandata, negata sarebbe; e piú volte ancora dalle sante persone per santa fui visitata, non conoscendo esse quel che
Come io ho a quella, che prima addimandata
"O Fiammetta,
Da questa con poche parole sciogliendomi, dico:
"Manifesta cosa è
E questo detto, non potendo le lagrime ritenere, chiusa sotto il mio mantello, copiosamente le spando, e meco con cotali parole mi dolgo:
"O bellezza, dubbioso bene de mortali, dono di piccolo tempo, la quale piú tosto vieni e pàrtiti, che non fanno
Quinci mi richiamano le donne, e biasimano le mie soperchie lagrime, dicendo:
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A queste voci io, le lagrime restrignendo, alzo la testa, la quale già in giro non volgo come io soleva, fermamente sappiendo che quivi non è il mio Panfilo,per mirarlo, né per vedere se da altrui, o da cui sono mirata, o quello che di me pare agli occhi de’ circustanti; anzi attenta a colui, che per la salute di tutti diede se medesimo; porgo pietosi prieghi per lo mio Panfilo, e per la sua tornata, con cotali parole tentandolo:
"O grandissimo rettore del sommo cielo e generale arbitro di tutto il mondo, poni oramai alle mie gravi fatiche modo, e fine alli miei affanni. Vedi niuno giorno a me essere sicuro; continuamente il fine
Ma dalla tua giustizia medesima si dee muovere il meno male piuttosto volere che
E se questo è grave ad essermi conceduto, concedamisi quella che
▲Ma dalla tua giustizia medesima si dee muovere il meno male piuttosto volere che 'l maggiore. A te, a cui niente s'occulta, è manifesto a me per niuna maniera potere uscire della mente il grazioso amante né li preteriti accidenti, del quale e de’ quali la memoria a sí fatto partito mi rieca con gravi dolori, che già per fuggirli mille modi di morte ho dimandati; li quali tutti un poco di speranza, che di te m'è rimasa, m’ha levati di mano. Dunque, se minore male è il mio amante tenere, come io già tenni, che insieme il corpo uccidere con l'anima trista, sí come io credo, torni e rendamisi. Sieti piú caro li peccatori vivere, e possibili a te conoscere! che morti, senza speranza di redenzione, e vogli innanzi parte che tutto perdere delle creature da te create.
Queste parole dette, odorosi incensi e degne offerte, per farli abili
▲E se questo è grave ad essermi conceduto, concedamisi quella che d'ogni male è ultimo fine, prima che io costretta da maggiore doglia, da me con diterminato consiglio la prenda. Vengano le mie voci nel tuo cospetto; le quali se te toccare non possono, o qualunque altri iddii tenenti le celestiali regioni s'alcuno di voi vi si trova, il quale mai quaggiú vivendo, quell'amorosa fiamma provasse la quale io pruovo, ricevetele, e per me le porgete a colui, il quale da me non le prende, si che impetrandomi grazia, prima quaggiú lietamente, e poi nella fine de’ miei giorni costassú con voi io possa vivere, e innanzi tratto alli peccatori dimostrare convenevole l'uno peccatore all'altro perdonare, e dare aiuto.
▲Queste parole dette, odorosi incensi e degne offerte, per farli abili a' prieghi miei e alla salute di Panfilo, pongo sopra li loro altari; e, finite le sacre cerimonie, con l'altre donne partendomi, torno alla trista casa.
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