Della moneta/Libro IV/Capo I: differenze tra le versioni

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Io chiamo correre la moneta quel passare ch'ella fa d'una mano in un'altra, come prezzo d'opera o di fatiche; sicché produca in colui che la dà via, acquisto e consumazione di qualche comodità; perché quando si trasferisce diversamente, fa un rigiro inutile di cui non intendo qui favellare. Così se il principe destinasse mille ducati, i quali ogni mattina dovessero trasportarsi dalla casa d'un suo suddito a quella d'un altro, un tanto giro né gioverebbe allo stato, né accrescerebbe forze o felicità, ma solo molestia e trapazzo a' cittadini. È adunque il corso della moneta un effetto, non una causa delle ricchezze; e se non si suppongono preesistenti molte merci utili che possano trafficarsi, la moneta non può far altro che un giro vano ed infruttuoso. Perciò quegli ordini che conferiscono a moltiplicar le merci venali, sono buoni; gli altri sono tutti cattivi e dannosi. Stieno in una camera chiuse cento persone con una certa somma di denaro a giuocare. Dopo lungo giuoco avrà il denaro avute certamente innumerabili vicende, ed altrettante la ricchezza e la povertà de' giuocatori; ma il totale non è né cresciuto, né diminuito mai, e nel luogo non si può dire variata la ricchezza. Vero è che il mancare il corso impedisce il proseguimento delle industrie e perciò genera povertà, come per contrario il corso veloce le fomenta: ma chi ben riguarda osserverà che il corso della moneta può ingrandire e stabilire le ricchezze già cominciate ad essere in uno stato, non generarle ove non sieno. Sicché sempre è vero che s'abbia a pensare prima ad aver merci, e poi a dar loro il corso, acciocché vendute e consumate presto le une, si dia luogo alle altre di succedere. È vero ancora che un rapido giro fa apparire una non reale ricchezza, come è là dove la nobiltà vive con lusso e spese superiori alle rendite sue, e i debiti che fa non gli paga. I nobili non si persuadono essere impoveriti; ma il mercante che numera i suoi crediti come certa ricchezza, si stima ricco e sulla creduta rendita ingrandisce la spesa; fino a che tutti e due, il nobile e il mercatante, vanno giù poveri, e troppo tardi disingannati. È dunque tanto peggiore un tale rigiro pieno di fantasmi di ricchezze, quanto è peggiore della povertà il credersi ricco e non esserlo.
 
Io chiamo correre la moneta quel passare ch'ellach’ella fa d'unad’una mano in un'altraun’altra, come prezzo d'operad’opera o di fatiche; sicché produca in colui che la dà via, acquisto e consumazione di qualche comodità; perché quando si trasferisce diversamente, fa un rigiro inutile di cui non intendo qui favellare. Così se il principe destinasse mille ducati, i quali ogni mattina dovessero trasportarsi dalla casa d'und’un suo suddito a quella d'und’un altro, un tanto giro né gioverebbe allo stato, né accrescerebbe forze o felicità, ma solo molestia e trapazzo a'a’ cittadini. È adunque il corso della moneta un effetto, non una causa delle ricchezze; e se non si suppongono preesistenti molte merci utili che possano trafficarsi, la moneta non può far altro che un giro vano ed infruttuoso. Perciò quegli ordini che conferiscono a moltiplicar le merci venali, sono buoni; gli altri sono tutti cattivi e dannosi. Stieno in una camera chiuse cento persone con una certa somma di denaro a giuocare. Dopo lungo giuoco avrà il denaro avute certamente innumerabili vicende, ed altrettante la ricchezza e la povertà de'de’ giuocatori; ma il totale non è né cresciuto, né diminuito mai, e nel luogo non si può dire variata la ricchezza. Vero è che il mancare il corso impedisce il proseguimento delle industrie e perciò genera povertà, come per contrario il corso veloce le fomenta: ma chi ben riguarda osserverà che il corso della moneta può ingrandire e stabilire le ricchezze già cominciate ad essere in uno stato, non generarle ove non sieno. Sicché sempre è vero che s'abbias’abbia a pensare prima ad aver merci, e poi a dar loro il corso, acciocché vendute e consumate presto le une, si dia luogo alle altre di succedere. È vero ancora che un rapido giro fa apparire una non reale ricchezza, come è là dove la nobiltà vive con lusso e spese superiori alle rendite sue, e i debiti che fa non gli paga. I nobili non si persuadono essere impoveriti; ma il mercante che numera i suoi crediti come certa ricchezza, si stima ricco e sulla creduta rendita ingrandisce la spesa; fino a che tutti e due, il nobile e il mercatante, vanno giù poveri, e troppo tardi disingannati. È dunque tanto peggiore un tale rigiro pieno di fantasmi di ricchezze, quanto è peggiore della povertà il credersi ricco e non esserlo.
Sono dunque assai riprensibili quelli scrittori che, lasciatisi ingannare dalle voci del volgo, e confondendo gli effetti colle cause, propongono animosamente al principe loro l'accrescere la quantità della moneta, e ne bramano accresciuto il corso; mentre non si ricordano neppure dell'agricoltural e della popolazione, dalle quali unicamente viene il corso utile e vero. La quantità del danaro non s'ha da accrescere, se non quando si vede non esser bastante a muovere tutto il commercio senza intoppare e lasciarlo in secco: e come si possa acquistare tale conoscenza, è quello ch'io vengo ora a dichiarare.
 
Sono dunque assai riprensibili quelli scrittori che, lasciatisi ingannare dalle voci del volgo, e confondendo gli effetti colle cause, propongono animosamente al principe loro l'accrescerel’accrescere la quantità della moneta, e ne bramano accresciuto il corso; mentre non si ricordano neppure dell'agricolturaldell’agricoltural e della popolazione, dalle quali unicamente viene il corso utile e vero. La quantità del danaro non s'has’ha da accrescere, se non quando si vede non esser bastante a muovere tutto il commercio senza intoppare e lasciarlo in secco: e come si possa acquistare tale conoscenza, è quello ch'ioch’io vengo ora a dichiarare.
Gio. Locke volendo dimostrare quanto danno arrecava all'Inghilterra lo scemare il frutto del danaro, per la diminnzione della l quantità necessaria al corso che ne potea seguire, entra a ricercare. quanto danaro si richiedesse a' bisogni dell'Inghilterra, ed a mol strare come essa n'era assai mal provveduta. Vero è ch'egli non siegue un esatto computo, contentandosi di scoprire la verità che cerca, quasi in un barlume. Divide il popolo tutto in quattro classi. La prima de' lavoratori, che noi diciamo bracciali, quali sono i contadini e tutti i bassi artigiani. L'altra degli affittuari di terre e de' capi artigiani; cioè di coloro che diriggono e pagano que' della prima, e del frutto delle fatiche di quelli, promosse, dirette e raccolte da essi, fanno un corpo di commercio che si dà a spacciare a' mercatanti e bottegai, che sono nella terza classe. Questi, che in inglese egli chiama brokers, sono coloro che non applicano alla cultura delle terre, o all'arti; ma raccolgono, mediante il danaro che è l'unico loro fondo, le manifatture e i viveri, e poi o gli trasportano, o gli serbano, o gli adunano, o gli scompartono, e così guadagnano vendendogli più cari a' consumatori. La quarta è di coloro che si consumano le merci che sono per mano dell'altre tre classi passate.
 
Gio. Locke volendo dimostrare quanto danno arrecava all'Inghilterraall’Inghilterra lo scemare il frutto del danaro, per la diminnzione della l quantità necessaria al corso che ne potea seguire, entra a ricercare. quanto danaro si richiedesse a'a’ bisogni dell'Inghilterradell’Inghilterra, ed a mol strare come essa n'eran’era assai mal provveduta. Vero è ch'eglich’egli non siegue un esatto computo, contentandosi di scoprire la verità che cerca, quasi in un barlume. Divide il popolo tutto in quattro classi. La prima de'de’ lavoratori, che noi diciamo bracciali, quali sono i contadini e tutti i bassi artigiani. L'altraL’altra degli affittuari di terre e de'de’ capi artigiani; cioè di coloro che diriggono e pagano que'que’ della prima, e del frutto delle fatiche di quelli, promosse, dirette e raccolte da essi, fanno un corpo di commercio che si dà a spacciare a'a’ mercatanti e bottegai, che sono nella terza classe. Questi, che in inglese egli chiama brokers, sono coloro che non applicano alla cultura delle terre, o all'artiall’arti; ma raccolgono, mediante il danaro che è l'unicol’unico loro fondo, le manifatture e i viveri, e poi o gli trasportano, o gli serbano, o gli adunano, o gli scompartono, e così guadagnano vendendogli più cari a'a’ consumatori. La quarta è di coloro che si consumano le merci che sono per mano dell'altredell’altre tre classi passate.
I primi non sogliono ritenere molto danaro, vivendo dalla mano alla bocca: e poiché sono pagati ogni sabato, si può accertare che in mano loro non v'è altro danaro che il prezzo d'una settimana di fatiche, o sia la 52ma parte di quanto in un anno guadagnano.
 
I primi non sogliono ritenere molto danaro, vivendo dalla mano alla bocca: e poiché sono pagati ogni sabato, si può accertare che in mano loro non v'èv’è altro danaro che il prezzo d'unad’una settimana di fatiche, o sia la 52ma parte di quanto in un anno guadagnano.
Gli affittuari non possono aver meno d'una quarta parte dell'affitto, o in mano loro, o in quella de' loro principali, di denaro non circolante; pagandosi in Inghilterra gli affitti in due semestri, che maturano il dì dell'Annunziazione a marzo, e di S. Michele a settembre.
 
Gli affittuari non possono aver meno d'unad’una quarta parte dell'affittodell’affitto, o in mano loro, o in quella de'de’ loro principali, di denaro non circolante; pagandosi in Inghilterra gli affitti in due semestri, che maturano il dì dell'Annunziazionedell’Annunziazione a marzo, e di S. Michele a settembre.
De' mercanti non si può tener conto esatto; giacché v'è disparità grandissima tra la velocità con cui i grossi negozianti e i piccoli bottegai rigirano il loro denaro. Pure egli dà a tutti compartitamente la 20ma parte del profitto annuo in denaro contante, che sempre resti loro in mano.
 
De'De’ mercanti non si può tener conto esatto; giacché v'èv’è disparità grandissima tra la velocità con cui i grossi negozianti e i piccoli bottegai rigirano il loro denaro. Pure egli dà a tutti compartitamente la 20ma parte del profitto annuo in denaro contante, che sempre resti loro in mano.
De' consumatori, il numero de' quali è il maggiore, non fa computo nessuno, essendo impossibile farlo, e non abbagliare. Per altro nemmeno il fin qui fatto è molto sicuro, essendovi moltissimi che riuniscono in loro stessi più d'una classe, trovandosi insieme padroni di terre, negozianti e consumatori. Delle donne poi, degli ecclesiastici, de' ministri, e d'infiniti altri stati non si può far calcolo dietro a queste tracce; come nemmeno de' dazi pubblici e del corso che vi fa la moneta. Ma le riflessioni che Gio. Locke fa sullo stato dell'Inghilterra d'allora, sono utili e giudiziose assai, e saranno da me appresso rapportate.
 
De'De’ consumatori, il numero de'de’ quali è il maggiore, non fa computo nessuno, essendo impossibile farlo, e non abbagliare. Per altro nemmeno il fin qui fatto è molto sicuro, essendovi moltissimi che riuniscono in loro stessi più d'unad’una classe, trovandosi insieme padroni di terre, negozianti e consumatori. Delle donne poi, degli ecclesiastici, de'de’ ministri, e d'infinitid’infiniti altri stati non si può far calcolo dietro a queste tracce; come nemmeno de'de’ dazi pubblici e del corso che vi fa la moneta. Ma le riflessioni che Gio. Locke fa sullo stato dell'Inghilterradell’Inghilterra d'allorad’allora, sono utili e giudiziose assai, e saranno da me appresso rapportate.
Voglio io intanto mostrar la maniera con cui mi pare si possa conoscere quando un regno ha bastante moneta, e quando no, esaminando questo di Napoli. In esso si può credere, per quella notizia migliore che se n'ha, esservi poco meno d'un milione e mezzo di ducati in moneta di rame, quasi sei milioni d'argento, e dieci al più d'oro, compreso anche quel denaro che è ne' Banchi, e che non eccede tre milioni di ducati.
 
Voglio io intanto mostrar la maniera con cui mi pare si possa conoscere quando un regno ha bastante moneta, e quando no, esaminando questo di Napoli. In esso si può credere, per quella notizia migliore che se n'han’ha, esservi poco meno d'und’un milione e mezzo di ducati in moneta di rame, quasi sei milioni d'argentod’argento, e dieci al più d'orod’oro, compreso anche quel denaro che è ne'ne’ Banchi, e che non eccede tre milioni di ducati.
Dovendo tal denaro servire al commercio di tutte le merci che vi si consumano, conviene ora tentare di sapere quante queste sieno, per vedere se possano esser mosse da soli diciotto milioni di ducati. Il cavalier Petty inglese ha calcolata quasi la medesima cosa appunto; e poi un altro scrittore dell'istessa nazione, poco tempo fa, volendo dimostrare che i debiti dello stato non erano così grandi come parevano, ha sommato il valore dell'Inghilterra assai ingegnosamente, sebbene con operazione lunghissima. Il di lui metodo io non m'arrischio a seguire, ancorché io conosca esserne vera la conseguenza; mentre di questa nazione siccome il valore nell'operare trabocca in temerità, così l'acutezza del pensare si distacca spesso dalla verità, tenendo dietro all'astruso ed allo strano. A me pare esservi una via accorciatoia, che quando anche non mi guidasse all'esatto vero, il che sempre sarebbe difficile, mi guida dentro certi confini di verità, ne' quali bastantemente sono in istato di tirar quelle conseguenze che m'importa ricavare.
 
Dovendo tal denaro servire al commercio di tutte le merci che vi si consumano, conviene ora tentare di sapere quante queste sieno, per vedere se possano esser mosse da soli diciotto milioni di ducati. Il cavalier Petty inglese ha calcolata quasi la medesima cosa appunto; e poi un altro scrittore dell'istessadell’istessa nazione, poco tempo fa, volendo dimostrare che i debiti dello stato non erano così grandi come parevano, ha sommato il valore dell'Inghilterradell’Inghilterra assai ingegnosamente, sebbene con operazione lunghissima. Il di lui metodo io non m'arrischiom’arrischio a seguire, ancorché io conosca esserne vera la conseguenza; mentre di questa nazione siccome il valore nell'operarenell’operare trabocca in temerità, così l'acutezzal’acutezza del pensare si distacca spesso dalla verità, tenendo dietro all'astrusoall’astruso ed allo strano. A me pare esservi una via accorciatoia, che quando anche non mi guidasse all'esattoall’esatto vero, il che sempre sarebbe difficile, mi guida dentro certi confini di verità, ne'ne’ quali bastantemente sono in istato di tirar quelle conseguenze che m'importam’importa ricavare.
Imprima è certo che il consumo totale del nostro Regno è uguale al pieno de' suoi prodotti. Perocché sebbene moltissimi generi vengano di fuori a consumarvisi, molti de' natìi ne vanno. E senza curar di sapere a quanto ascendano, è certo dagli effetti che le due valute sono in circa eguali: giacché il Regno non s'arricchisce, né s'impoverisce strabocchevolmente; de' quali effetti l'uno o l'altro è inevitabile quando v'è gran disequilibrio tra l'ingresso e l'emissione: bastaci dunque sapere quanto noi consumiamo in un anno. Un uomo, per povero che sia, non può in alcuna parte del Regno vivere con meno di 20 carlini il mese, quando si dovessero ridurre a prezzo e la pigione della casa in cui vive, e tutto quel che vestendosi o nutrendosi colle proprie mani si risparmia; e tutto quello ancora che senza denaro ei ricoglie, come sono le piccole industrie de' contadini di galline, uova, cacciagione, legna, viveri, frutti freschi, ed altro. Ognuno vede che io mi metto di sotto al vero. In Napoli non si può vivere con meno di sei ducati; e chi vive con meno o ha il vitto, o le vesti, o l'abitazione da altri pagata. È noto intanto che molti per sé soli spendono fin 15 o 20 ducati il mese; ed èvvene chi ne consuma a vivere 50 o 60. Né questo ch'io dico ora sembri poco; perché i gran signori il più lo spendono a dar da vivere a chi serve loro, e questo denaro io già lo vengo a computare nella spesa di costoro: e perciò nemmeno de' dazi pubblici parlo; mentre è tutto compreso nella spesa di coloro che vivono di soldi e mercedi del sovrano. Sicché un termine mezzo, stante l'assai maggior numero de' poveri che de' ricchi, sarebbe di un 7 o al più di un 8 ducati per uomo il mese. Ma riguardando che le donne vivono con meno che gli uomini, i fanciulli consumano pochissimo, e pur sono la quarta parte del genere umano; e finalmente avvertendo che io parlo qui della spesa che produce consumo, e non di quella che arricchisce un altro, quale è il giuoco, il dono, i salari; credo poter fissare la spesa d'ogni uomo ragguagliata a 4 ducati il mese, o per meglio dire, che quel che ogni uomo consuma, vale, compreso tutto, 4 ducati. Il Regno ha poco più di tre milioni d'abitatori: sono dunque dodici milioni il mese, e 144 milioni l'anno il valore delle merci consumate.
 
Imprima è certo che il consumo totale del nostro Regno è uguale al pieno de'de’ suoi prodotti. Perocché sebbene moltissimi generi vengano di fuori a consumarvisi, molti de'de’ natìi ne vanno. E senza curar di sapere a quanto ascendano, è certo dagli effetti che le due valute sono in circa eguali: giacché il Regno non s'arricchisces’arricchisce, né s'impoverisces’impoverisce strabocchevolmente; de'de’ quali effetti l'unol’uno o l'altrol’altro è inevitabile quando v'èv’è gran disequilibrio tra l'ingressol’ingresso e l'emissionel’emissione: bastaci dunque sapere quanto noi consumiamo in un anno. Un uomo, per povero che sia, non può in alcuna parte del Regno vivere con meno di 20 carlini il mese, quando si dovessero ridurre a prezzo e la pigione della casa in cui vive, e tutto quel che vestendosi o nutrendosi colle proprie mani si risparmia; e tutto quello ancora che senza denaro ei ricoglie, come sono le piccole industrie de'de’ contadini di galline, uova, cacciagione, legna, viveri, frutti freschi, ed altro. Ognuno vede che io mi metto di sotto al vero. In Napoli non si può vivere con meno di sei ducati; e chi vive con meno o ha il vitto, o le vesti, o l'abitazionel’abitazione da altri pagata. È noto intanto che molti per sé soli spendono fin 15 o 20 ducati il mese; ed èvvene chi ne consuma a vivere 50 o 60. Né questo ch'ioch’io dico ora sembri poco; perché i gran signori il più lo spendono a dar da vivere a chi serve loro, e questo denaro io già lo vengo a computare nella spesa di costoro: e perciò nemmeno de'de’ dazi pubblici parlo; mentre è tutto compreso nella spesa di coloro che vivono di soldi e mercedi del sovrano. Sicché un termine mezzo, stante l'assail’assai maggior numero de'de’ poveri che de'de’ ricchi, sarebbe di un 7 o al più di un 8 ducati per uomo il mese. Ma riguardando che le donne vivono con meno che gli uomini, i fanciulli consumano pochissimo, e pur sono la quarta parte del genere umano; e finalmente avvertendo che io parlo qui della spesa che produce consumo, e non di quella che arricchisce un altro, quale è il giuoco, il dono, i salari; credo poter fissare la spesa d'ognid’ogni uomo ragguagliata a 4 ducati il mese, o per meglio dire, che quel che ogni uomo consuma, vale, compreso tutto, 4 ducati. Il Regno ha poco più di tre milioni d'abitatorid’abitatori: sono dunque dodici milioni il mese, e 144 milioni l'annol’anno il valore delle merci consumate.
Or siccome ne' calcoli, per non fallarne la conseguenza, bisogna proccurar che l'errore cada sempre nella parte opposta a quel che si bramerebbe; io voglio supporre che avessi nel mio computo sbagliato del doppio, e che i frutti e le fatiche consumate in un anno nel Regno valessero 288 milioni; pure si può mostrare che 18 milioni di moneta ci bastano. In primo bisogna dedurre tutto quel consumo che si fa dallo stesso raccoglitore, onde è che non vi si richiede danaro. Così chi abita alle case proprie, come è in quasi tutto il Regno, eccetto Napoli, chi mangia il suo grano, beve il suo vino, e così d'ogni altra cosa, non ha bisogno di moneta: e quanto ciò importi principalmente a' poveri, lo può ognuno riflettere da sé. In secondo s'ha da togliere tutto il commercio che si fa con le merci stesse: così a' lavoratori quasi da per tutto si dà grano, vino, sale, lardo per mercede, e questo non l'ha comprato il padrone. Bisogna dedurne tutte le permute e baratti che si fanno regolate su' prezzi futuri delle voci. E in fine riguardando che i contadini, i quali sono i tre quarti del popolo nostro, appena adoprano di denaro la decima parte del prezzo del loro consumo; si dovrà confessare che io m'appongo assai assai di sotto al vero, contentandomi di dire che la sola metà de' frutti del Regno abbiansi a dedurre, come consumati senza moneta. Restano 144 milioni, i quali sono l'ottuplo di 18 milioni: sicché basta che la moneta tutta ragguagliatamente passi per otto diverse mani in un anno in forma di pagamento, per raggirare tanto commercio. Un moto tale non mi pare così veloce, che possa dirsi impossibile o difficoltoso. E perciò sono persuaso che la moneta nostra sia bastante; ed essendo non solo inutile, ma pernicioso l'accrescerla, secondo si dimostrerà al capo che siegue, sono cattivi consiglieri coloro che ci animano ad accumularne più.
 
Or siccome ne'ne’ calcoli, per non fallarne la conseguenza, bisogna proccurar che l'errorel’errore cada sempre nella parte opposta a quel che si bramerebbe; io voglio supporre che avessi nel mio computo sbagliato del doppio, e che i frutti e le fatiche consumate in un anno nel Regno valessero 288 milioni; pure si può mostrare che 18 milioni di moneta ci bastano. In primo bisogna dedurre tutto quel consumo che si fa dallo stesso raccoglitore, onde è che non vi si richiede danaro. Così chi abita alle case proprie, come è in quasi tutto il Regno, eccetto Napoli, chi mangia il suo grano, beve il suo vino, e così d'ognid’ogni altra cosa, non ha bisogno di moneta: e quanto ciò importi principalmente a'a’ poveri, lo può ognuno riflettere da sé. In secondo s'has’ha da togliere tutto il commercio che si fa con le merci stesse: così a'a’ lavoratori quasi da per tutto si dà grano, vino, sale, lardo per mercede, e questo non l'hal’ha comprato il padrone. Bisogna dedurne tutte le permute e baratti che si fanno regolate su'su’ prezzi futuri delle voci. E in fine riguardando che i contadini, i quali sono i tre quarti del popolo nostro, appena adoprano di denaro la decima parte del prezzo del loro consumo; si dovrà confessare che io m'appongom’appongo assai assai di sotto al vero, contentandomi di dire che la sola metà de'de’ frutti del Regno abbiansi a dedurre, come consumati senza moneta. Restano 144 milioni, i quali sono l'ottuplol’ottuplo di 18 milioni: sicché basta che la moneta tutta ragguagliatamente passi per otto diverse mani in un anno in forma di pagamento, per raggirare tanto commercio. Un moto tale non mi pare così veloce, che possa dirsi impossibile o difficoltoso. E perciò sono persuaso che la moneta nostra sia bastante; ed essendo non solo inutile, ma pernicioso l'accrescerlal’accrescerla, secondo si dimostrerà al capo che siegue, sono cattivi consiglieri coloro che ci animano ad accumularne più.
Meriterebbe essa sì bene aver corso non solo più veloce, ma meglio distribuito e più eguale in tutti i canali suoi, per non voler che sieguano molti effetti nocivi; de' quali mi conviene ora ragionare, e poi de' rimedi da apporvi.
 
Meriterebbe essa sì bene aver corso non solo più veloce, ma meglio distribuito e più eguale in tutti i canali suoi, per non voler che sieguano molti effetti nocivi; de'de’ quali mi conviene ora ragionare, e poi de'de’ rimedi da apporvi.
I. Il poco corso rovina l'agricoltura e le arti. È del corpo politico, come dell'uomo, in cui le vene grandi non servono ad altro che a condurre il sangue nelle vene ultime e piccolissime: in queste si fa la nuova generazione della carne e delle membra, e la nutrizione della macchina: quando si vuota il sangue, le capillari e più utili vene disseccansi, e il rimanente si raccoglie tutto nelle cavità maggiori, donde non viene nutrimento veruno. Così la scarsezza del denaro costringe i coloni a vendere in erba co' prezzi della futura voce i loro frutti: onde si espongono a soffrir tutto il danno delle calamità, senza gustare il profitto de' prezzi cari. Perciò s'impoveriscono; e allora restringono la coltivazione in minor terreno, danneggiando così all'intiero stato per salvar sé medesimi. Intanto la moneta si congrega tutta in mano de' negozianti, quanto è a dire de' tiranni del commercio, de' quali è il guadagno maggiore, sebbene essi sieno i meno utili allo stato, come quelli che né coltivano, né lavorano, né producono alcuna vera comodità.
 
I. Il poco corso rovina l'agricoltural’agricoltura e le arti. È del corpo politico, come dell'uomodell’uomo, in cui le vene grandi non servono ad altro che a condurre il sangue nelle vene ultime e piccolissime: in queste si fa la nuova generazione della carne e delle membra, e la nutrizione della macchina: quando si vuota il sangue, le capillari e più utili vene disseccansi, e il rimanente si raccoglie tutto nelle cavità maggiori, donde non viene nutrimento veruno. Così la scarsezza del denaro costringe i coloni a vendere in erba co'co’ prezzi della futura voce i loro frutti: onde si espongono a soffrir tutto il danno delle calamità, senza gustare il profitto de'de’ prezzi cari. Perciò s'impoverisconos’impoveriscono; e allora restringono la coltivazione in minor terreno, danneggiando così all'intieroall’intiero stato per salvar sé medesimi. Intanto la moneta si congrega tutta in mano de'de’ negozianti, quanto è a dire de'de’ tiranni del commercio, de'de’ quali è il guadagno maggiore, sebbene essi sieno i meno utili allo stato, come quelli che né coltivano, né lavorano, né producono alcuna vera comodità.
II. La povertà de' fattori è riparata da costoro con mezzo tale, che la pena ne cade poi tutta su i miserabili contadini e bracciali, che non potendo esser pagati in contante da' loro conduttori, sono pagati con grano, vino, olio, cacio, lardo: il quale non solo è valutato loro a prezzo carissimo, ma è spesso dato guasto, puzzolente e mortifero, con quella crudeltà e barbarie ch'è compagna dell'avarizia. Né da sì grave tirannia può il villano salvarsi, essendo universale. Così diviene infelicissima la condizione della più utile gente dello stato, che sono i villani.
 
II. La povertà de'de’ fattori è riparata da costoro con mezzo tale, che la pena ne cade poi tutta su i miserabili contadini e bracciali, che non potendo esser pagati in contante da'da’ loro conduttori, sono pagati con grano, vino, olio, cacio, lardo: il quale non solo è valutato loro a prezzo carissimo, ma è spesso dato guasto, puzzolente e mortifero, con quella crudeltà e barbarie ch'èch’è compagna dell'avariziadell’avarizia. Né da sì grave tirannia può il villano salvarsi, essendo universale. Così diviene infelicissima la condizione della più utile gente dello stato, che sono i villani.
III. Per altra parte si distruggono anche le fattorie. Poiché quando i maestri delle arti cominciano a pagare gli operai co' viveri, ai mercati ed alle fiere scemano i compratori, non comparendovi altri che pochi a prender grosse partite di merci per distribuirle in pagamento a' garzoni. Dove vi sono pochi venditori, o pochi compratori, difficilmente v'è libertà ne' prezzi. Perciò i contadini troVanvi bassissimi prezzi alle merci loro; onde non potendo ritrarre le spese delle fattorie, queste vanno subito a male. Di sì fatto inconveniente si doleva l'Inghilterra quando ne scrisse Gio. Locke, avendo i mercanti di panni per la mancanza del danaro fatti fallire il più degli affittatori per la causa sopraddetta.
 
III. Per altra parte si distruggono anche le fattorie. Poiché quando i maestri delle arti cominciano a pagare gli operai co'co’ viveri, ai mercati ed alle fiere scemano i compratori, non comparendovi altri che pochi a prender grosse partite di merci per distribuirle in pagamento a'a’ garzoni. Dove vi sono pochi venditori, o pochi compratori, difficilmente v'èv’è libertà ne'ne’ prezzi. Perciò i contadini troVanvi bassissimi prezzi alle merci loro; onde non potendo ritrarre le spese delle fattorie, queste vanno subito a male. Di sì fatto inconveniente si doleva l'Inghilterral’Inghilterra quando ne scrisse Gio. Locke, avendo i mercanti di panni per la mancanza del danaro fatti fallire il più degli affittatori per la causa sopraddetta.
IV. La poca quantità del danaro ha da tenersi per la madre delle usure, e di quella spezie di guadagni che da noi sono stati rivestiti ed abbelliti col nome d'interessi; nome meno odioso ed orribile, ma spesso niente più virtuoso. Que' guadagni strabbocchevoli che si fanno con comperare le merci, e dopo ritenutele pochi mesi, rivenderle, nascono anche dalla istessa cagione; e si potrebbero benissimo dire interessi, e usure esatte su i padroni delle terre, che hanno avuta necessità di disfarsi troppo sollecitamente delle loro ricolte.
 
IV. La poca quantità del danaro ha da tenersi per la madre delle usure, e di quella spezie di guadagni che da noi sono stati rivestiti ed abbelliti col nome d'interessid’interessi; nome meno odioso ed orribile, ma spesso niente più virtuoso. Que'Que’ guadagni strabbocchevoli che si fanno con comperare le merci, e dopo ritenutele pochi mesi, rivenderle, nascono anche dalla istessa cagione; e si potrebbero benissimo dire interessi, e usure esatte su i padroni delle terre, che hanno avuta necessità di disfarsi troppo sollecitamente delle loro ricolte.
Né alla grandezza delle usure dà riparo l'accrescimento del danaro, come molti credono; ma solo il migliorarne il corso, e distruggerne il monipolio. Tra chi ha 100 ducati, e chi n'ha 1.000 v'è sempre la stessa disuguaglianza che tra chi ne ha 200, e chi 2.000: ma se chi prende ad annua rendita 100 ducati avrà dieci offerte di gente che non trovi ad impiegare, non soggiacerà a così dure condizioni, come le avrà da un solo vecchio e dispietato usuraio. Perciò nel Regno gl'interessi sono tra il 7, e il 9 per 100, e in Napoli tra il 3, e il 5. Ivi per lo più in una intera città non v'è che un solo che abbia da poter dare; nella capitale ve ne sono quasi infiniti. Molte volte neppur quest'uno v'è; ma v'è qualche ricca cappella, o confraternita, gli amministratori della quale prendono allegramente il denaro di lei anche a grosso interesse, sperando non pagarlo; e restando poi di tale speranza falliti, aumentano colla loro ruina le rendite di quel luogo pio, che è stato il loro trapezita. Così a tempi nostri i poveri sono divenuti gli usurai de' ricchi, ed i ricchi gli amministratori delle rendite de' poveri.
 
Né alla grandezza delle usure dà riparo l'accrescimentol’accrescimento del danaro, come molti credono; ma solo il migliorarne il corso, e distruggerne il monipolio. Tra chi ha 100 ducati, e chi n'han’ha 1.000 v'èv’è sempre la stessa disuguaglianza che tra chi ne ha 200, e chi 2.000: ma se chi prende ad annua rendita 100 ducati avrà dieci offerte di gente che non trovi ad impiegare, non soggiacerà a così dure condizioni, come le avrà da un solo vecchio e dispietato usuraio. Perciò nel Regno gl'interessigl’interessi sono tra il 7, e il 9 per 100, e in Napoli tra il 3, e il 5. Ivi per lo più in una intera città non v'èv’è che un solo che abbia da poter dare; nella capitale ve ne sono quasi infiniti. Molte volte neppur quest'unoquest’uno v'èv’è; ma v'èv’è qualche ricca cappella, o confraternita, gli amministratori della quale prendono allegramente il denaro di lei anche a grosso interesse, sperando non pagarlo; e restando poi di tale speranza falliti, aumentano colla loro ruina le rendite di quel luogo pio, che è stato il loro trapezita. Così a tempi nostri i poveri sono divenuti gli usurai de'de’ ricchi, ed i ricchi gli amministratori delle rendite de'de’ poveri.
Parmi già luogo di adempiere ciò che nel libro antecedente ho promesso, e dire quanto sia gran difetto il congregarsi e colare la moneta in poche mani a ristagnarvi. Ciò proviene sempre da vizio che sia negli ordini fondamentali del governo, e perciò si trae infallantemente dietro la mutazione intera di esso, e così solo si sana. Roma antica da che si sottrasse dai re fino alla prima guerra punica non ebbe altri accidenti che le liti originate dalla diseguale ricchezza de' suoi cittadini; la quale quando coll'acquisto di nuove terre, colle colonie, e colle leggi agrarie fu emendata, mutossi la Repubblica, e da aristocratica divenne democratica tanto, che alla fine restò d'un solo, secondo è l'ordine naturale di somiglianti mutazioni. Le crudeli usure, la servitù, i tumulti popolari, l'estinzione de' debiti nascevano tutti dalle ricchezze diseguali: e queste principalmente traeano origine dalle guerre, sì perché furono continue, sì perché si faceano a spese del soldato; cioè di quel villano che abbandonava il lavoro de' campi e la ricolta. Perciò al Senato, composto tutto di denarosi e d'usurai, era a cuore il guerreggiare. E siccome combattendo il popolo divenne forte, e spesso vittorioso, i frutti delle rapine gli furono di sollievo, e la virtù acquistata gli dette in fine coraggio a mutar la forma del governo da aristocratica in popolare. Sono adunque le guerre cagione primaria dello stravasamento delle ricchezze; le quali anche a giorni nostri ne' tempi di guerra si veggono ragunarsi tutte in mano de' provveditori, de' negozianti, e degli affittatori de' tributi: e perciò l'alzamento, con cui il principe si disobbliga da costoro, non è nocivo al popolo, ma salutare.
 
Parmi già luogo di adempiere ciò che nel libro antecedente ho promesso, e dire quanto sia gran difetto il congregarsi e colare la moneta in poche mani a ristagnarvi. Ciò proviene sempre da vizio che sia negli ordini fondamentali del governo, e perciò si trae infallantemente dietro la mutazione intera di esso, e così solo si sana. Roma antica da che si sottrasse dai re fino alla prima guerra punica non ebbe altri accidenti che le liti originate dalla diseguale ricchezza de'de’ suoi cittadini; la quale quando coll'acquistocoll’acquisto di nuove terre, colle colonie, e colle leggi agrarie fu emendata, mutossi la Repubblica, e da aristocratica divenne democratica tanto, che alla fine restò d'und’un solo, secondo è l'ordinel’ordine naturale di somiglianti mutazioni. Le crudeli usure, la servitù, i tumulti popolari, l'estinzionel’estinzione de'de’ debiti nascevano tutti dalle ricchezze diseguali: e queste principalmente traeano origine dalle guerre, sì perché furono continue, sì perché si faceano a spese del soldato; cioè di quel villano che abbandonava il lavoro de'de’ campi e la ricolta. Perciò al Senato, composto tutto di denarosi e d'usuraid’usurai, era a cuore il guerreggiare. E siccome combattendo il popolo divenne forte, e spesso vittorioso, i frutti delle rapine gli furono di sollievo, e la virtù acquistata gli dette in fine coraggio a mutar la forma del governo da aristocratica in popolare. Sono adunque le guerre cagione primaria dello stravasamento delle ricchezze; le quali anche a giorni nostri ne'ne’ tempi di guerra si veggono ragunarsi tutte in mano de'de’ provveditori, de'de’ negozianti, e degli affittatori de'de’ tributi: e perciò l'alzamentol’alzamento, con cui il principe si disobbliga da costoro, non è nocivo al popolo, ma salutare.
Giacché ho enumerati i danni del poco corso, è giusto dire anche. de' rimedi.
 
Giacché ho enumerati i danni del poco corso, è giusto dire anche. de'de’ rimedi.
Il I è la piccolezza de' pagamenti, divisi in intervalli brevi. Se mille uomini in uno stesso dì hanno a pagare un milione di ducati, è certo che si richiede un milione nelle loro mani, non potendo due pagar colla stessa moneta. Ma se pagheranno in due semestri mezzo milione per volta, molto del denaro pagato può tornare nelle loro mani a far nuova comparsa; e così con sei o settecento mila scudi si rappresenterà un milione. Quanto saranno i pagamenti minori, e più suddivisi, tanto minor denaro gli raggirerà, e meno ne resterà neghittoso ed ammucchiato. Di ciò ha sapientemente ragionato il Locke: ma di somigliante difetto mi pare non potersi il nostro Regno dolere.
 
Il I è la piccolezza de'de’ pagamenti, divisi in intervalli brevi. Se mille uomini in uno stesso dì hanno a pagare un milione di ducati, è certo che si richiede un milione nelle loro mani, non potendo due pagar colla stessa moneta. Ma se pagheranno in due semestri mezzo milione per volta, molto del denaro pagato può tornare nelle loro mani a far nuova comparsa; e così con sei o settecento mila scudi si rappresenterà un milione. Quanto saranno i pagamenti minori, e più suddivisi, tanto minor denaro gli raggirerà, e meno ne resterà neghittoso ed ammucchiato. Di ciò ha sapientemente ragionato il Locke: ma di somigliante difetto mi pare non potersi il nostro Regno dolere.
II. Le fiere e i mercati grandi. In essi si fa gran giro in un punto,. e spesso senza denaro nessuno, stante la presenza di tutti i contraenti. Per favorir le fiere conviene dar qualche esenzione di dogane; essendo sempre maggiore la valuta d'una mercanzia in fiera, che non portata a dirittura a' luoghi dello smaltimento, e principalmente nel Regno di Napoli, che essendo quasi un promontorio in mare ripieno di porti, è per ogni parte accessibile con piccola spesa.
 
II. Le fiere e i mercati grandi. In essi si fa gran giro in un punto,. e spesso senza denaro nessuno, stante la presenza di tutti i contraenti. Per favorir le fiere conviene dar qualche esenzione di dogane; essendo sempre maggiore la valuta d'unad’una mercanzia in fiera, che non portata a dirittura a'a’ luoghi dello smaltimento, e principalmente nel Regno di Napoli, che essendo quasi un promontorio in mare ripieno di porti, è per ogni parte accessibile con piccola spesa.
 
III. I contratti alla voce sono salutevoli ad un paese per promuovere la coltivazione, quando la voce è ben messa: e il pagar gli operai più con merci che col contante sarà preggevolissimo, quando non sieno oppressi e maltrattati.
 
IV. Il buon regolamento de'de’ dazi è manifesto essere utilissimo al regolato corso del denaro. Così se i pagamenti che si fanno alla dogana di Puglia finita la fiera, quando per lo caldo è abbandonata, si facessero il novembre, si ruinerebbero i padroni delle gregge. S'hannoS’hanno dunque a mettere i dazi in modo che chi gli ha da pagare si trovi sempre col danaro alla mano. Né sarebbe indegno della cura del principe il fare che i tributi fossero in parte esatti in quelle merci ch'eglich’egli ha necessità di comprare. Un principe che dà cento mila tumoli di grano alle sue truppe, quando gli compra col contante raccolto da'da’ tributi, aggrava i padroni de'de’ terreni come se n'esigessen’esigesse cento trenta mila; e il valore de'de’ trenta mila è il guadagno degli uomini denarosi, cioè de'de’ negozianti, e de'de’ finanzieri; gente che essendo meno utile de'de’ primi non meritava guadagnarli. Oltracciò il danaro soffre un ravvolgimento più lungo: e il far più tortuoso il letto al fiume è sempre lo stesso che rallentarne il corso.
 
Da tale regolamento di prendere i tributi in opere, non in moneta, usato ne'ne’ secoli barbari non per prudenza ed amore al ben pubblico, ma per necessità, venne la forza grande e meravigliosa che vediamo essere stata ne'ne’ popoli e ne'ne’ principi di quelle età; le fabbriche de'de’ quali e le altre opere magnifiche e stupende mostrano quanto valessero più di noi. E sarà sempre più ricco il principe che non riduce tutto in danaro il suo avere, come è più ricco quel privato che vivendo in mezzo alle sue fattorie non compra tutto di quel ch'eich’ei farebbe se vivendone lontano ne traesse solo denaro, e ciò che gli bisogna l'avessel’avesse poi a comprar col contante.
 
V. La brevità delle liti, e la sicurezza delle convenzioni scritte. Forse meritava questa d'essered’essere numerata come prima.
 
VI. La libertà del denaro, e i pochi vincoli di legge. Quel terreno su cui sono inestricabili inviluppi di censi, di fedecommessi, di doti, di legittime, e di debiti anteriori, è impossibile che sia ben coltivato. Né può esser venduto, non essendo sicuro il denaro al compratore: e quanto sia gran danno esser le terre inculte l'hol’ho replicato bastantemente.
 
È errore adunque credere che i torbidi d'und’un foro cavilloso e disordinato possano conferire al bene d'unod’uno stato dando movimento alle ricchezze, e facendo sorgere ogni dì nuove famiglie. Non nego esser vero che i litigi non solo non generano ristagnamento, ma danno moto impetuosissimo agli averi, come quelli che in vece di far passar le ricchezze da'da’ possedenti a'a’ pretensori, le trasportano da tutti e due agli avvocati; i quali stanchi per non trovare ove impiegarle sicuramente, le spendono tutte prodigamente, dissipandole tra 'l’l minuto popolo, da cui appena raccolte, sono di nuovo dagli avvocati ingoiate, e così perpetuamente raggirate da capo: né le liti cagionano universale povertà. Ma è da confessarsi nel tempo stesso ch'essech’esse rendono amarissima e crucciosa la vita, e consumano un tempo ed una applicazione che potrebbe esser lucrosissima, se tutta si consecrasse a moltiplicare la vera quantità delle ricchezze, non a cambiar la mano del possessore.
 
E per quanto s'appartienes’appartiene al corso della moneta nel Regno di Napoli, sebbene io abbia destinato altrove scriverne, pure voglio qui dire come in esso sono due creduti gravissimi mali. La sproporzionata grandezza della capitale, e la sproporzionata grandezza del tribunale: le quali due cose meglio si direbbe che furono mali una volta, ma, siccome ogni morbo col tempo o si sana, o si muta la complessione del corpo in modo che abituatasi al male lo converte in natura sua, questi oggi non sono più mali. Vero è che la venuta d'und’un principe proprio inevitabilmente e per legge intrinseca fa crescere vie più la capitale ove ei risiede, e richiama più liti al foro; ma l'unal’una e l'altrol’altro dopo breve tempo vanno a migliorarsi. La capitale giunge a tanta grandezza, che alla fine discaccia da sé i nuovi ospiti: nel tempo stesso che le provincie per l'acquistol’acquisto della libertà e del commercio si popolano. Il tribunale oppresso dalla sterminata folla delle liti si corrompe, e si disordina in guisa tale, che non potendo più peggiorare, né essendo alle cose umane concesso il fermarsi mai, conviene che si riordini e si migliori. Ed a tutti questi accidenti, perché provengono da cause naturali, non han colpa né merito i cittadini.
 
La sola presenza del principe dunque basta a sanare uno stato da ogni infermità. Che se poi egli sarà d'ottimed’ottime e virtuose volontà, e d'animod’animo saggio e grande, come è quello che la Provvidenza ha donato al Regno di Napoli, mossa forse a compassione delle sue tante e sì lunghe avversità, si anticipa di molto il tempo della guarigione. Ma ogni principe, quando non sia un tiranno, sempre ravviva uno stato: e perciò la presenza del principe sarà da me numerata in VII luogo come una cagione principalissima a perfezionare il corso della moneta. Da lui è dato impiego e stimolo a faticare a tutti. Di qui nasce il lusso; e dal lusso la magnificenza, e la letizia, e i dolci costumi, e le arti, e i nobili studi, e la felicità. E poiché io ho tanto spesso nominato questo lusso, non è fuori del mio proposito ragionarne una volta posatamente.
 
Digressione intorno al lusso considerato generalmente.
 
Hanno tutti gli uomini una avversione contro certe voci, l'ideal’idea corrispondente alle quali è così oscura e diversa, che pare la parola e non la cosa essere con tanto consentimento universale biasimata. Ma ciò che fa più meraviglia a'a’ savi è il vedere che queste odiate cose son credute essere radicate in tutti, o quasi tutti coloro che le abborriscono. Non entrerò qui ad enumerar tutte le voci ch'ioch’io credo essere di tal natura; poiché non potrei nominarne alcuna senza dover dimostrare che tale ella sia, o soggiacere al pericolo d'esserned’esserne riputato folle e stravagante. Ne nominerò ciò nondimeno una sola; ed è la voce politica, la quale ognuno nella condotta della sua vita bramerebbe avere; e nell'istessonell’istesso tempo la biasima come nemica all'innocenzaall’innocenza e alla virtù, senza arrischiarsi però a diffinirla mai. Simile a costei è la voce lusso. Si dice ch'eich’ei sia dannoso e brutto; lo vietano i maestri del costume; lo deplorano gli storici, e più anche gli oratori e i poeti; lo deridono i comici; l'odianol’odiano le leggi; si riprende nelle private conversazioni; e intanto n'n’ è pieno il mondo: tutte le nazioni e tutti i secoli, fuorché i barbari e ferini, lo hanno avuto; né alcuno sa, né alcuno s'arrischias’arrischia a dire che cosa il lusso propriamente sia. Così questo spettro, che tale conviene si dica, erra d'intornod’intorno a noi, non mai nel suo vero aspetto veduto, né mai efficacemente, o forse non mai di vero cuore percosso. Ma chiunque egli sia, certo è ch'eglich’egli è il figliuolo della pace, del buon governo, e della perfezione delle arti utili alla società; fratello perciò alla terrena felicità: poiché il lusso altro esser non può che l'introduzionel’introduzione di que'que’ mestieri, e lo spaccio di quelle merci che sono di piacere, non di bisogno assoluto alla vita. Non può perciò nascere il lusso se non quando le arti necessarie sono a sufficienza di operai provedute: e ciò accade in due modi, o quando la popolazione s'aumentas’aumenta, e la popolazione vien dalla pace e dalle buone leggi; o quando si perfezionano le arti, che non è altro che la scoperta di nuove vie onde si possa compiere una manifattura con meno gente, o (che è lo stesso) in minor tempo di prima. Allora restano disoccupati molti: e costoro per non morir di fame si volgono a soddisfare gli uomini con lavorìi men necessari; ed ecco il lusso.
 
È bensì vero che il lusso è l'infallibile indizio sempre, e l'avviso della vicina decadenza d'uno stato: ma lo è non altrimenti che l'ingiallir delle spighe è segno del vicino diseccamento. Indizio di declinazione, ma pur tanto aspettato e bramato, e per cui tanti sudori eransi sparsi, tante cure prese, tanti travagli sofferti. Indizio che nella bella stagione apparisce, e colla letizia universale è sempre congiunto. Verde e fresca è la pianta, ma infruttifera in mezzo alle tempeste del verno. Si dissecca quando ci ha de' suoi frutti arricchiti. Così i regni e gl'imperi, nobili piante dell'augusto giardino di Dio, sono di forza e di feroce vigore ripieni nel crescere tra le guerre e le interne discordie. Ma quando col valore dell'armi e colla prudenza delle leggi sono ridotti in pace ed opulenza, non essendo concesso loro in un medesimo stato lungamente fermarsi, cominciano le ricchezze e il lusso a corrompergli: e tornatavi la servitù, tutta la folla de' mali, che nella schiavitù hanno il loro capo, veggonvisi tornare: e così dal disordine all'ordine, e dall'ordine al disordine perpetuamente si viene. Tanto è dunque volere impedire il lusso nella prosperità, quanto il voler che nella state le biade per tanto tempo culte non fruttifichino, o che dopo il frutto si serbino verdi ancora.
 
Non è dunque, come fece il Melun, da applaudire il lusso, e lodarlo come origine d'ogni bene. Egli è effetto, e non cagione del buon governo: a lui va dietro, ed è spesso il corruttore e l'inimico suo. Ma né anche è da maledirsi tanto come si fa; poiché può ridursi ad esser tale che non sia molto nocivo, facendo consumar dal lusso le industrie de' concittadini, non quelle degli stranieri. Evitato questo male, gli altri tutti, che si declamano tanto, non sono tali. Se pel lusso le famiglie nobili s'impoveriscono e s'estinguono, le popolari si moltiplicano e si sollevano. Una sola differenza v'è, che le antiche famiglie essendo sorte in tempi feroci, non hanno altra origine che fra l'armi, né altre ricchezze di quelle che la rapacità, le guerre e le discordie dettero loro. Le nuove coll'industria in seno alla pace ne' secoli di lusso si sono ingrandite: delle quali maniere di crescere, quale sia migliore è facile a definire. Ma essendo a' poeti ed agli oratori piaciuto render gloriosa la militare barbarie chiamandola virtù, e dichiarare ignobile l'industria mercantile, gli uomini prezzano più quella via d'arricchire, che questa: di che non mi meraviglio. Mi meraviglio bene che molti maestri del costume, non avvertendo che si lasciano dall'error comune trasportare, gridino sì forte contro al lusso, prendendo tanta cura della conservazione di quelle famiglie che spesso ad altro non servono che come monumenti illustri della infelicità de' secoli passati. Il principe essendo padre comune non ha da nutrir simiglianti riguardi; e fuorché le ricchezze dentro allo stato restino, e pacificamente da uno ad un altro trapassino, di più non dee curare. È certo che oggi che il mondo è pieno d'abitatori, uno non può arricchire senza che altri impoverisca: e chi potesse quasi dal cielo sopra tutta la terra guardare, troverebbe quel cinese, o giapponese, sopra di cui si sarà un europeo arricchito. E questa varietà è tra l'arricchir coll'armi o coll'industria; che l'armi spogliano que' popoli convicini, che poi sudditi ed amici ci saranno. Il commercio succhia il sangue anche a' più lontani; meno gloriosamente sì, ma con più comodità. Avvertano perciò i principi a non lasciar predare i loro sudditi dal lusso delle merci straniere; anzi che, per quanto si può, su i popoli sontuosi ed infingardi, o per meglio dire mal governati s'arricchiscano, e poi ad altro non pensi: che l'industrioso per legge di natura si farà sempre premiare per le sue fatiche; il pigro si lascerà sempre battere e impoverire.
 
È bensì vero che il lusso è l'infallibilel’infallibile indizio sempre, e l'avvisol’avviso della vicina decadenza d'unod’uno stato: ma lo è non altrimenti che l'ingiallirl’ingiallir delle spighe è segno del vicino diseccamento. Indizio di declinazione, ma pur tanto aspettato e bramato, e per cui tanti sudori eransi sparsi, tante cure prese, tanti travagli sofferti. Indizio che nella bella stagione apparisce, e colla letizia universale è sempre congiunto. Verde e fresca è la pianta, ma infruttifera in mezzo alle tempeste del verno. Si dissecca quando ci ha de'de’ suoi frutti arricchiti. Così i regni e gl'imperigl’imperi, nobili piante dell'augustodell’augusto giardino di Dio, sono di forza e di feroce vigore ripieni nel crescere tra le guerre e le interne discordie. Ma quando col valore dell'armidell’armi e colla prudenza delle leggi sono ridotti in pace ed opulenza, non essendo concesso loro in un medesimo stato lungamente fermarsi, cominciano le ricchezze e il lusso a corrompergli: e tornatavi la servitù, tutta la folla de'de’ mali, che nella schiavitù hanno il loro capo, veggonvisi tornare: e così dal disordine all'ordineall’ordine, e dall'ordinedall’ordine al disordine perpetuamente si viene. Tanto è dunque volere impedire il lusso nella prosperità, quanto il voler che nella state le biade per tanto tempo culte non fruttifichino, o che dopo il frutto si serbino verdi ancora.
Ciò che ho detto s'intende tutto del lusso generalmente riguardato; poiché ve ne son molti particolarmente cattivi. Tale è quello che ritiene molte persone oziose ed inutili; quello che scema a' poveri l'elemosine; quello che ha con sé congiunta l'impuntualità de' debitori. Difetti tutti meritamente ripresi e corretti: ma il parlar d'ognuno di questi mi menerebbe in lungo, e fuori dal proposito mio.
 
Non è dunque, come fece il Melun, da applaudire il lusso, e lodarlo come origine d'ognid’ogni bene. Egli è effetto, e non cagione del buon governo: a lui va dietro, ed è spesso il corruttore e l'inimicol’inimico suo. Ma né anche è da maledirsi tanto come si fa; poiché può ridursi ad esser tale che non sia molto nocivo, facendo consumar dal lusso le industrie de'de’ concittadini, non quelle degli stranieri. Evitato questo male, gli altri tutti, che si declamano tanto, non sono tali. Se pel lusso le famiglie nobili s'impoverisconos’impoveriscono e s'estinguonos’estinguono, le popolari si moltiplicano e si sollevano. Una sola differenza v'èv’è, che le antiche famiglie essendo sorte in tempi feroci, non hanno altra origine che fra l'armil’armi, né altre ricchezze di quelle che la rapacità, le guerre e le discordie dettero loro. Le nuove coll'industriacoll’industria in seno alla pace ne'ne’ secoli di lusso si sono ingrandite: delle quali maniere di crescere, quale sia migliore è facile a definire. Ma essendo a'a’ poeti ed agli oratori piaciuto render gloriosa la militare barbarie chiamandola virtù, e dichiarare ignobile l'industrial’industria mercantile, gli uomini prezzano più quella via d'arricchired’arricchire, che questa: di che non mi meraviglio. Mi meraviglio bene che molti maestri del costume, non avvertendo che si lasciano dall'errordall’error comune trasportare, gridino sì forte contro al lusso, prendendo tanta cura della conservazione di quelle famiglie che spesso ad altro non servono che come monumenti illustri della infelicità de'de’ secoli passati. Il principe essendo padre comune non ha da nutrir simiglianti riguardi; e fuorché le ricchezze dentro allo stato restino, e pacificamente da uno ad un altro trapassino, di più non dee curare. È certo che oggi che il mondo è pieno d'abitatorid’abitatori, uno non può arricchire senza che altri impoverisca: e chi potesse quasi dal cielo sopra tutta la terra guardare, troverebbe quel cinese, o giapponese, sopra di cui si sarà un europeo arricchito. E questa varietà è tra l'arricchirl’arricchir coll'armicoll’armi o coll'industriacoll’industria; che l'armil’armi spogliano que'que’ popoli convicini, che poi sudditi ed amici ci saranno. Il commercio succhia il sangue anche a'a’ più lontani; meno gloriosamente sì, ma con più comodità. Avvertano perciò i principi a non lasciar predare i loro sudditi dal lusso delle merci straniere; anzi che, per quanto si può, su i popoli sontuosi ed infingardi, o per meglio dire mal governati s'arricchiscanos’arricchiscano, e poi ad altro non pensi: che l'industriosol’industrioso per legge di natura si farà sempre premiare per le sue fatiche; il pigro si lascerà sempre battere e impoverire.
 
Ciò che ho detto s'intendes’intende tutto del lusso generalmente riguardato; poiché ve ne son molti particolarmente cattivi. Tale è quello che ritiene molte persone oziose ed inutili; quello che scema a'a’ poveri l'elemosinel’elemosine; quello che ha con sé congiunta l'impuntualitàl’impuntualità de'de’ debitori. Difetti tutti meritamente ripresi e corretti: ma il parlar d'ognunod’ognuno di questi mi menerebbe in lungo, e fuori dal proposito mio.
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