Della moneta/Libro I/Capo I: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Alebot (discussione | contributi)
m Alebot: Assegno SAL 75%
Alebot (discussione | contributi)
Correzione pagina via bot
Riga 15:
| Abbiamo la versione cartacea a fronte? = no
| URL della versione cartacea a fronte =
}}
{{capitolo
|CapitoloPrecedente=Introduzione
|NomePaginaCapitoloPrecedente=Della moneta/Libro I/Introduzione
|CapitoloSuccessivo=Capo II - Dichiarazione de'principj onde nasce il valore delle cose tutte. Della utilità e della rarità. Principj stabili del valore. Si risponde a molte obiezioni
|NomePaginaCapitoloSuccessivo=Della moneta/Libro I/Capo II
}}
 
In tutti i paesi che la moneta usano, è questa da tre metalli costituita: l'uno di grande, l'altro di mezzano e il terzo di basso valore. L'oro e l'argento senza eccezione alcuna occupano da per tutto il primo e il secondo grado. Il terzo metallo ne' vari secoli è stato diverso. L'Europa tutta oggi usa il rame, usaronlo ancora gli antichi; ma i Romani talvolta usarono anche il rame giallo, o sia ottone, e il bronzo; e sonovi pure monete di piombo certamente antiche. Il ferro in Grecia e nella Gran Brettagna a' tempi di Cesare fu in uso. E molti popoli sono oggi, che una mistura di due metalli adoperano per bassa moneta. Oltre a ciò, non mancano nazioni che non di metalli, ma si servono o di frutta, come di mandorle amare in Cambaia, di cacao e di maitz in qualche luogo d'America, o di sale, come è nell'Abissinia, o di chiocciole marine. Le quali cose, se moneta siano o no, quando sulle parole si fusse qui per disputare, molto si potrebbe argomentando dire; ma di nomi saria la disputa, e non di cose. Dell'oro e dell'argento adunque, degli altri metalli meno curando, saremo a dire, e prima della loro invenzione ed antico uso.
 
In tutti i paesi che la moneta usano, è questa da tre metalli costituita: l'unol’uno di grande, l'altrol’altro di mezzano e il terzo di basso valore. L'oroL’oro e l'argentol’argento senza eccezione alcuna occupano da per tutto il primo e il secondo grado. Il terzo metallo ne'ne’ vari secoli è stato diverso. L'EuropaL’Europa tutta oggi usa il rame, usaronlo ancora gli antichi; ma i Romani talvolta usarono anche il rame giallo, o sia ottone, e il bronzo; e sonovi pure monete di piombo certamente antiche. Il ferro in Grecia e nella Gran Brettagna a'a’ tempi di Cesare fu in uso. E molti popoli sono oggi, che una mistura di due metalli adoperano per bassa moneta. Oltre a ciò, non mancano nazioni che non di metalli, ma si servono o di frutta, come di mandorle amare in Cambaia, di cacao e di maitz in qualche luogo d'Americad’America, o di sale, come è nell'Abissinianell’Abissinia, o di chiocciole marine. Le quali cose, se moneta siano o no, quando sulle parole si fusse qui per disputare, molto si potrebbe argomentando dire; ma di nomi saria la disputa, e non di cose. Dell'oroDell’oro e dell'argentodell’argento adunque, degli altri metalli meno curando, saremo a dire, e prima della loro invenzione ed antico uso.
Molte maniere hanno i filosofi immaginate, colle quali poterono i primi uomini alla cognizione de' metalli pervenire; delle quali a me pare la più verisimile questa. Io penso che i primi metalli ad esser conosciuti debbono senza dubbio essere stati il ferro e il rame: perché essendo questi in ampie vene non molto profonde e ascose raccolti, e spesso in grandi masse di metallo quasi puro, poté l'ammirazione, che dell'esperienza e dell'indagamento curioso è madre, portar gli uomini della prima età ad appressare al fuoco questi corpi, dalle pietre e dalle terre nell'aspetto diversi; e nel vedergli correr fusi e liquefatti sul suolo fu la loro natura conosciuta. Poté dunque la curiosità, che tanto è maggiore, quanto sono più grandi i bisogni e più ignota la proprietà de' corpi, condurre gli uomini a questa cognizione. Poté anche farlo il caso, a cui delle cose grandi la scoperta per ordinario è dovuta: poiché gli uomini avendogli forse, non distinguendo le masse de' metalli dalle ordinarie pietre, accostati al fuoco per restringere e sostenere le legna, gli avranno veduti con maraviglia liquefare. O finalmente dall'eruzioni de' vulcani, che menano talora torrenti di liquefatti metalli, l'arte di lavorare il ferro avranno gli uomini appresa.l E quindi forse egli è che i popoli, di cui la favola antichissima e la storia parla come di lavoratori di metalli, altri non sono che gli abitanti de' paesi in cui arsero anticamente fuochi naturali e vulcani. Ma l'oro e l'argento, che in insensibili fila sono in mezzo a durissime pietre sparsi e nascosti, o che fra l'arena in minutissime pagliuole sono misti, non poteano dare a conoscere che potessero al fuoco liquefarsi e unirsi, e che malleabili fossero, se colla scoperta di altri metalli non avessero già gli uomini saputo le qualità di questa classe di corpi. Perciò io porto opinione che nelle arene de' fiumi, de' quali moltissimi in ogni parte della terra recano oro al mare, abbiano gli uomini questo metallo in prima raccolto: e che poi, argomentando che ne' monti erano queste particelle rose e portate via dall'acqua, cominciarono pur essi a cavare i monti ed andare a prendere l'oro nelle natie sue vene; ed ivi l'argento, che quasi sempre è suo compagno, rinvenirono ancora.
 
Molte maniere hanno i filosofi immaginate, colle quali poterono i primi uomini alla cognizione de'de’ metalli pervenire; delle quali a me pare la più verisimile questa. Io penso che i primi metalli ad esser conosciuti debbono senza dubbio essere stati il ferro e il rame: perché essendo questi in ampie vene non molto profonde e ascose raccolti, e spesso in grandi masse di metallo quasi puro, poté l'ammirazionel’ammirazione, che dell'esperienzadell’esperienza e dell'indagamentodell’indagamento curioso è madre, portar gli uomini della prima età ad appressare al fuoco questi corpi, dalle pietre e dalle terre nell'aspettonell’aspetto diversi; e nel vedergli correr fusi e liquefatti sul suolo fu la loro natura conosciuta. Poté dunque la curiosità, che tanto è maggiore, quanto sono più grandi i bisogni e più ignota la proprietà de'de’ corpi, condurre gli uomini a questa cognizione. Poté anche farlo il caso, a cui delle cose grandi la scoperta per ordinario è dovuta: poiché gli uomini avendogli forse, non distinguendo le masse de'de’ metalli dalle ordinarie pietre, accostati al fuoco per restringere e sostenere le legna, gli avranno veduti con maraviglia liquefare. O finalmente dall'eruzionidall’eruzioni de'de’ vulcani, che menano talora torrenti di liquefatti metalli, l'artel’arte di lavorare il ferro avranno gli uomini appresa.l E quindi forse egli è che i popoli, di cui la favola antichissima e la storia parla come di lavoratori di metalli, altri non sono che gli abitanti de'de’ paesi in cui arsero anticamente fuochi naturali e vulcani. Ma l'orol’oro e l'argentol’argento, che in insensibili fila sono in mezzo a durissime pietre sparsi e nascosti, o che fra l'arenal’arena in minutissime pagliuole sono misti, non poteano dare a conoscere che potessero al fuoco liquefarsi e unirsi, e che malleabili fossero, se colla scoperta di altri metalli non avessero già gli uomini saputo le qualità di questa classe di corpi. Perciò io porto opinione che nelle arene de'de’ fiumi, de'de’ quali moltissimi in ogni parte della terra recano oro al mare, abbiano gli uomini questo metallo in prima raccolto: e che poi, argomentando che ne'ne’ monti erano queste particelle rose e portate via dall'acquadall’acqua, cominciarono pur essi a cavare i monti ed andare a prendere l'orol’oro nelle natie sue vene; ed ivi l'argentol’argento, che quasi sempre è suo compagno, rinvenirono ancora.
Così scoperti, fu la loro singolare bellezza, e lustro, che fecegli aggradire. E che anche negli antichissimi tempi così pensassero gli uomini, si può comprendere dal vedere che così pensano ancor oggi i selvaggi e gl'Indiani. Perocché a trovare il vero fra quello che si dice essere ne' remoti secoli accaduto, non vi è più agevole via che riguardare ai presenti costumi de' popoli inculti e da noi lontani; operando la distanza del luogo quello stesso che fa la diversità del tempo. E si può perciò con verità affermare che nel presente secolo sono esistenti tutte l'età dal diluvio fino a noi passate, le quali da distanti popoli ne' loro costumi veggonsi ancora imitate. Or se niuna nazione barbara è oggi, in cui non sieno le donne, i bambini e gli uomini più potenti avidissimi d'addobbarsi la persona, né mai ne' loro ruvidi ornamenti, quando possono averlo, manca l'oro e l'argento, lo stesso de' primi uomini è da dire. In tutta l'America prima del suo scoprimento, quantunque niun uso di moneta vi fusse, erano l'oro e l'argento sopra ogni altro stimati, e come cosa sacra e divina venerati. Né in altro, che nel culto delle loro divinità, e nell'ornato del principe e de' signori adoperavansi. Da' due antichissimi libri che ci restano, il Pentateuco ed i poemi d' Omero, si comprende che la stessa stima ed uso ne avesse l' antichità fatta. Vedesi in Omero che tutti gli ornamenti de' duci del suo esercito erano d'oro e d'argento intrecciati, e spesso di chiodetti guarniti. Però è degno di osservazione che dell'argento incomparabilmente meno che dell'oro si parla; e si conosce, per quanto a me pare, che in que' tempi eguale o anche maggiore era la rarità e la stima dell'argento sopra quella dell'oro. La qual cosa sebbene a prima vista sembri straordinaria, meditandovi, si conosce che non potea essere altrimenti. Egli è da sapersi che, siccome di tutti i metalli che sono nelle arene de' fiumi sparsi, non ce n'è alcuno che vi sia più copiosamente dell'oro, così per contrario l'argento mai non vi s'incontra. Or che meraviglia, se popoli rozzi, e che la maggior raccolta la fanno appunto nelle arene, che è di tutte le maniere la più facile, avessero meno argento che oro? Così è anche oggidì fra i barbari. E perciò dee pur essere vero che ne' tempi antichissimi fosse conosciuto prima l'oro dell'argento. Perciò la spada, la quale all'offeso Ulisse fece il re Alcinoo dall'offensore Eurialo presentare, di grandissimo valore era, perché il suo pomo avea ((con chiodetti d'argento)).
 
Così scoperti, fu la loro singolare bellezza, e lustro, che fecegli aggradire. E che anche negli antichissimi tempi così pensassero gli uomini, si può comprendere dal vedere che così pensano ancor oggi i selvaggi e gl'Indianigl’Indiani. Perocché a trovare il vero fra quello che si dice essere ne'ne’ remoti secoli accaduto, non vi è più agevole via che riguardare ai presenti costumi de'de’ popoli inculti e da noi lontani; operando la distanza del luogo quello stesso che fa la diversità del tempo. E si può perciò con verità affermare che nel presente secolo sono esistenti tutte l'etàl’età dal diluvio fino a noi passate, le quali da distanti popoli ne'ne’ loro costumi veggonsi ancora imitate. Or se niuna nazione barbara è oggi, in cui non sieno le donne, i bambini e gli uomini più potenti avidissimi d'addobbarsid’addobbarsi la persona, né mai ne'ne’ loro ruvidi ornamenti, quando possono averlo, manca l'orol’oro e l'argentol’argento, lo stesso de'de’ primi uomini è da dire. In tutta l'Americal’America prima del suo scoprimento, quantunque niun uso di moneta vi fusse, erano l'orol’oro e l'argentol’argento sopra ogni altro stimati, e come cosa sacra e divina venerati. Né in altro, che nel culto delle loro divinità, e nell'ornatonell’ornato del principe e de'de’ signori adoperavansi. Da'Da’ due antichissimi libri che ci restano, il Pentateuco ed i poemi d'd’ Omero, si comprende che la stessa stima ed uso ne avesse l'l’ antichità fatta. Vedesi in Omero che tutti gli ornamenti de'de’ duci del suo esercito erano d'orod’oro e d'argentod’argento intrecciati, e spesso di chiodetti guarniti. Però è degno di osservazione che dell'argentodell’argento incomparabilmente meno che dell'orodell’oro si parla; e si conosce, per quanto a me pare, che in que'que’ tempi eguale o anche maggiore era la rarità e la stima dell'argentodell’argento sopra quella dell'orodell’oro. La qual cosa sebbene a prima vista sembri straordinaria, meditandovi, si conosce che non potea essere altrimenti. Egli è da sapersi che, siccome di tutti i metalli che sono nelle arene de'de’ fiumi sparsi, non ce n'èn’è alcuno che vi sia più copiosamente dell'orodell’oro, così per contrario l'argentol’argento mai non vi s'incontras’incontra. Or che meraviglia, se popoli rozzi, e che la maggior raccolta la fanno appunto nelle arene, che è di tutte le maniere la più facile, avessero meno argento che oro? Così è anche oggidì fra i barbari. E perciò dee pur essere vero che ne'ne’ tempi antichissimi fosse conosciuto prima l'orol’oro dell'argentodell’argento. Perciò la spada, la quale all'offesoall’offeso Ulisse fece il re Alcinoo dall'offensoredall’offensore Eurialo presentare, di grandissimo valore era, perché il suo pomo avea ((con chiodetti d'argentod’argento)).
Ma mentre ancora incolti erano i Greci, già l'Asia e l'Egitto con più civili costumi viveano, e più abbondavano di ricchezze, Salomone, che agli Ebrei le porte del commercio dell'Oriente aperse e mercatanti gli rese, colle sue navi da Ofir e da Tarsis immense ricchezze trasse a Gerusalemme. De' quali luoghi l'uno è, come io stimo, la costa orientale dell'Africa, l'altro la Spagna. I Fenici e i Tirii indi posti in suolo sterile ma di sicuri porti ripieno, non molto dopo ad ogni altra nazione tolsero il dominio del mare, e soli a mercatantare incominciarono. Furono essi i primi che, dell'oro e dell'argento provvedendo copiosamente la Grecia e l'Asia Minore, all'uso di moneta gli fecero insensibilmente pervenire. Perché avendo delle loro colonie ripiena la Sicilia, la Spagna e l'Africa, paesi di miniere ricche abbondanti, di là l'oro traendo cominciarono in Grecia a portarlo, e con altre merci a cambiarlo. In questo cambio ben presto dovettero essi avvedersi ch'essendo sempre eguale il valore del metallo, colla sola varietà del peso, o sia della quantità, dovevasi regolare. Perché erano sempre eguali le raccolte, generale la ricerca, né mai diversa la qualità: non essendo allora note le arti della lega, né della piccola differenza naturale de' carati per la rozzezza de' tempi avendosi cognizione alcuna. Perciò que' popoli che i metalli raccoglievano e cambiavano, dovettero per maggior comodità stabilire certi pesi e misure, secondo le quali si potesse il metallo apprezzare. Il che da tutti gli altri popoli, che vino, grano, olio raccoglievano (piante in que' tempi forse tanto ad alcuni paesi particolari e rare, quanto oggi la cannella, il cacao e gli aromi), in alcun modo imitare non si poteva per la sempre diversa bontà della mercanzia. Né fu cosa difficile che, cambiandosi già i metalli divisi in giuste e pesate quantità, si cominciassero queste anche dalla pubblica autorità, che presedeva ne' mercati ai cambi ed al commercio, con qualche segno ad improntare.
 
Ma mentre ancora incolti erano i Greci, già l'Asial’Asia e l'Egittol’Egitto con più civili costumi viveano, e più abbondavano di ricchezze, Salomone, che agli Ebrei le porte del commercio dell'Orientedell’Oriente aperse e mercatanti gli rese, colle sue navi da Ofir e da Tarsis immense ricchezze trasse a Gerusalemme. De'De’ quali luoghi l'unol’uno è, come io stimo, la costa orientale dell'Africadell’Africa, l'altrol’altro la Spagna. I Fenici e i Tirii indi posti in suolo sterile ma di sicuri porti ripieno, non molto dopo ad ogni altra nazione tolsero il dominio del mare, e soli a mercatantare incominciarono. Furono essi i primi che, dell'orodell’oro e dell'argentodell’argento provvedendo copiosamente la Grecia e l'Asial’Asia Minore, all'usoall’uso di moneta gli fecero insensibilmente pervenire. Perché avendo delle loro colonie ripiena la Sicilia, la Spagna e l'Africal’Africa, paesi di miniere ricche abbondanti, di là l'orol’oro traendo cominciarono in Grecia a portarlo, e con altre merci a cambiarlo. In questo cambio ben presto dovettero essi avvedersi ch'essendoch’essendo sempre eguale il valore del metallo, colla sola varietà del peso, o sia della quantità, dovevasi regolare. Perché erano sempre eguali le raccolte, generale la ricerca, né mai diversa la qualità: non essendo allora note le arti della lega, né della piccola differenza naturale de'de’ carati per la rozzezza de'de’ tempi avendosi cognizione alcuna. Perciò que'que’ popoli che i metalli raccoglievano e cambiavano, dovettero per maggior comodità stabilire certi pesi e misure, secondo le quali si potesse il metallo apprezzare. Il che da tutti gli altri popoli, che vino, grano, olio raccoglievano (piante in que'que’ tempi forse tanto ad alcuni paesi particolari e rare, quanto oggi la cannella, il cacao e gli aromi), in alcun modo imitare non si poteva per la sempre diversa bontà della mercanzia. Né fu cosa difficile che, cambiandosi già i metalli divisi in giuste e pesate quantità, si cominciassero queste anche dalla pubblica autorità, che presedeva ne'ne’ mercati ai cambi ed al commercio, con qualche segno ad improntare.
Ed ecco la naturale e vera introduzione e del conio e della moneta. Quindi è forse che Erodoto ai Lidii attribuisce la prima invenzione del conio; perché i Lidii ne' loro fiumi molto oro raccoglievano, e lo davano ai Tirii ed ai Feniri: e da questi alle altre regioni recandosi, venne ad acquistare quella universale accettazione, che moneta lo costituisce. La narrazione di questi accidenti compone tutta la mitologia e la sacra favola greca, la quale si potrebbe giustamente definire una confusa storia delle prime navigazioni e commerci fatti nel Mediterraneo, e delle rapine e guerre per cagion del comercio avvenute. Né fra quegli antichi secoli e i nostri altra disparità io trovo, che quella che dal grande al piccolo corre. Quel che oggi è l'oceano era allora il Mediterraneo, e mondo dicevansi le terre che sono dal mare Mediterraneo bagnate. La Spagna, che io credo essere stata quella famosa Atlantide tanto con oscure notizie dagli egizi sacerdoti celebrata, corrispondeva alla nostra America; il mar Nero e la Colchide era la presente Guinea; l'Ellesponto e la Tracia, l'India; i Tirii, i Sidonii, i Cartaginesi erano le potenze marittime e le repubbliche negozianti de' nostri dì; l'Egitto e l'impero babilonico alle grandi nostre monarchie, che in gran parte sono da' popoli negozianti provvedute, rispondono; ed in più piccolo spazio i medesimi accidenti di navigazioni e scoperte gli Ercoli e gli Ulissi di allora ed i nostri Colombi e Gama incontrarono; ed i buoi, le ulive, il grano allora, come ora il caffè, il tabacco, le droghe furono da' naturali paesi tolti ed altrove traspiantati.
 
Ed ecco la naturale e vera introduzione e del conio e della moneta. Quindi è forse che Erodoto ai Lidii attribuisce la prima invenzione del conio; perché i Lidii ne'ne’ loro fiumi molto oro raccoglievano, e lo davano ai Tirii ed ai Feniri: e da questi alle altre regioni recandosi, venne ad acquistare quella universale accettazione, che moneta lo costituisce. La narrazione di questi accidenti compone tutta la mitologia e la sacra favola greca, la quale si potrebbe giustamente definire una confusa storia delle prime navigazioni e commerci fatti nel Mediterraneo, e delle rapine e guerre per cagion del comercio avvenute. Né fra quegli antichi secoli e i nostri altra disparità io trovo, che quella che dal grande al piccolo corre. Quel che oggi è l'oceanol’oceano era allora il Mediterraneo, e mondo dicevansi le terre che sono dal mare Mediterraneo bagnate. La Spagna, che io credo essere stata quella famosa Atlantide tanto con oscure notizie dagli egizi sacerdoti celebrata, corrispondeva alla nostra America; il mar Nero e la Colchide era la presente Guinea; l'Ellespontol’Ellesponto e la Tracia, l'Indial’India; i Tirii, i Sidonii, i Cartaginesi erano le potenze marittime e le repubbliche negozianti de'de’ nostri dì; l'Egittol’Egitto e l'imperol’impero babilonico alle grandi nostre monarchie, che in gran parte sono da'da’ popoli negozianti provvedute, rispondono; ed in più piccolo spazio i medesimi accidenti di navigazioni e scoperte gli Ercoli e gli Ulissi di allora ed i nostri Colombi e Gama incontrarono; ed i buoi, le ulive, il grano allora, come ora il caffè, il tabacco, le droghe furono da'da’ naturali paesi tolti ed altrove traspiantati.
Usossi adunque il metallo pesato quasi subito dopo che a mercatantarlo s'incominciò. Il che se presso gli Americani non era avvenuto, fu perché questo negozio e trasporto per varie mani non v'era. Difficile cosa è il determinare ora l'origine della moneta, se tra metallo pesato e moneta si vuol fare disparità. Perché i sicli d'argento sin dal tempo d'Abramo nominati, e i talenti d'oro son certamente nomi di pesi fra' Greci e fra gli Ebrei. Ma questo non pruova che monete anche non fossero allora, come poi lo furono, perché e la libbra, o sia lira, e l'oncia sono fra noi nomi di pesi, che pure alle monete si appropiano. Che se il metallo pesato, e comunemente accettato, si vuole avere, come si dee, per vera moneta, si potrà con certezza affermare che nella guerra troiana l'oro ed il rame s'usò per moneta. Suole Omero gli uomini denarosi dirgli ((ricchi d'oro, e di rame)). Nel tesoro à'Ulisse ((molto oro e rame era amonticchiato)). Né il chiamar la moneta col nome del suo metallo è cosa strana, mentre la moneta è detta aes da' Romani, Chalchos da' Greci, argent da' Francesi. Fu dunque la prima moneta che la Grecia usò, d'oro e di rame; d'argento per la sua rarità non avendola potuto avere. Le monete d'oro erano il talento e il mezzo talento, che spesso coll'attributo di panta sono da Omero nominati, il quale al nostro ((giusto)), e ((trabboccante)) corrisponde. Usarono in oltre per moneta di conto la voce Bos, che dinota il bue; sia che co' buoi ogni cosa valutassero, o che, come io mi do a credere, sia questo un nome di moneta. Se moneta ella fu, d'oro certamente era, leggendosi al lib. 23 dell'Iliade una schiava, che destra molto ed industriosa era, valutata non più che tesschraboion, ((quattro Boss)). Questa maniera di valutare lungo tempo fu in uso, trovandosi che la vedova di Polidoro re di Sparta una sua casa vendé valutata a questo modo. Né manca chi crede che questo nome alla moneta si fosse dato, perocché l'immagine del bue aveva. La quale opinione a me non piace, e sono più inclinato a credere che sulle prime questa moneta, che forse era lo stesso talento, al prezzo d'un bue corrispondesse, e che i Greci antichi, come poi i Sassoni nelle loro leggi usarono, la moneta istessa co' bestiami apprezzassero; ma poi, fatto più abbondante il metallo, non corrispose più al valor de' bestiami. E quindi forse sarà avvenuto che la celebre echatombi a' tempi in cui scrive Omero, non dinotava più un numero di cento buoi, ma era un nome di sagrifizio, che anche di capretti e d'agnelli talora era costituito.
 
Usossi adunque il metallo pesato quasi subito dopo che a mercatantarlo s'incominciòs’incominciò. Il che se presso gli Americani non era avvenuto, fu perché questo negozio e trasporto per varie mani non v'erav’era. Difficile cosa è il determinare ora l'originel’origine della moneta, se tra metallo pesato e moneta si vuol fare disparità. Perché i sicli d'argentod’argento sin dal tempo d'Abramod’Abramo nominati, e i talenti d'orod’oro son certamente nomi di pesi fra'fra’ Greci e fra gli Ebrei. Ma questo non pruova che monete anche non fossero allora, come poi lo furono, perché e la libbra, o sia lira, e l'oncial’oncia sono fra noi nomi di pesi, che pure alle monete si appropiano. Che se il metallo pesato, e comunemente accettato, si vuole avere, come si dee, per vera moneta, si potrà con certezza affermare che nella guerra troiana l'orol’oro ed il rame s'usòs’usò per moneta. Suole Omero gli uomini denarosi dirgli ((ricchi d'orod’oro, e di rame)). Nel tesoro à'Ulisseà’Ulisse ((molto oro e rame era amonticchiato)). Né il chiamar la moneta col nome del suo metallo è cosa strana, mentre la moneta è detta aes da'da’ Romani, Chalchos da'da’ Greci, argent da'da’ Francesi. Fu dunque la prima moneta che la Grecia usò, d'orod’oro e di rame; d'argentod’argento per la sua rarità non avendola potuto avere. Le monete d'orod’oro erano il talento e il mezzo talento, che spesso coll'attributocoll’attributo di panta sono da Omero nominati, il quale al nostro ((giusto)), e ((trabboccante)) corrisponde. Usarono in oltre per moneta di conto la voce Bos, che dinota il bue; sia che co'co’ buoi ogni cosa valutassero, o che, come io mi do a credere, sia questo un nome di moneta. Se moneta ella fu, d'orod’oro certamente era, leggendosi al lib. 23 dell'Iliadedell’Iliade una schiava, che destra molto ed industriosa era, valutata non più che tesschraboion, ((quattro Boss)). Questa maniera di valutare lungo tempo fu in uso, trovandosi che la vedova di Polidoro re di Sparta una sua casa vendé valutata a questo modo. Né manca chi crede che questo nome alla moneta si fosse dato, perocché l'immaginel’immagine del bue aveva. La quale opinione a me non piace, e sono più inclinato a credere che sulle prime questa moneta, che forse era lo stesso talento, al prezzo d'und’un bue corrispondesse, e che i Greci antichi, come poi i Sassoni nelle loro leggi usarono, la moneta istessa co'co’ bestiami apprezzassero; ma poi, fatto più abbondante il metallo, non corrispose più al valor de'de’ bestiami. E quindi forse sarà avvenuto che la celebre echatombi a'a’ tempi in cui scrive Omero, non dinotava più un numero di cento buoi, ma era un nome di sagrifizio, che anche di capretti e d'agnellid’agnelli talora era costituito.
Ma a' tempi della guerra troiana l'Oriente avea pure ad usar la moneta incominciato, con questa differenza: che la moneta d'argento prima di quella d'oro, secondo le memorie che ce ne avanzano, fu adoperata. I sicli erano d'argento, e quella voce ebrea Kesita, che nel Genesi al c. 53 si trova, e che per ((agnello)) è spiegata, più verisimile è che fosse una moneta d'argento, così detta dall'antico suo valore, che era eguale a quello d'una pecora, e non già dalla imagine impressavi. E certamente avendo gli Asiatici in gran parte allora con vita pastorale vivuto, i prezzi delle cose a quello de' loro bestiami avranno essi comparato. Ma delle vicende della moneta in Oriente meno io sarò sollecito d'indagare la storia, che delle regioni alle nostre più vicine. A queste adunque ristringendomi, dico che l'origine della moneta d'argento in Grecia mi è ignota. So che le miniere de' Cartaginesi, cominciate a cavare presso la Nuova Cartagine da Annibale, furono abbondantissime d'argento. Non meno lo erano quelle di Laurium nell'Attica, che a' privati Ateniesi appartenevano, ma queste in tempo più recente si scavarono; mentre a' tempi di Dario non era per ancora in Grecia reso sì abbondante l'argento, che meno dell'oro valesse. Dall'accurata descrizione che delle offerte fatte al tempio di Delfo fa Erodoto, il quale dalle tradizioni di que' sacerdoti gran parte della sua storia trasse, si comprende questa verità. Sono però dall'altra parte da aversi per favole: che un Filippo re di Macedonia custodisse una tazza d'oro, come cosa rarissima, sotto il suo origliere dormendo; che gli Spartani, per indorare il volto a un simulacro di Apollo, non avessero potuto in tutta la Grecia trovar oro che vi bastasse; che Ierone I re di Siracusa, da altri che da Architele Corintio non avesse potuto aver oro da farne una statuetta. È eccessiva e falsa, come ho detto, questa rarità: poiché Erodoto enumerando le ricchezze in Delfo da lui vedute, dice aver Creso solo donati all'oracolo CXVII mattoni d'oro lunghi altri di sei palmi, altri di tre, e un palmo grossi, de' quali IV erano d'oro di coppella pesanti due talenti e mezzo ognuno, gli altri tutti erano d'oro bianco, cioè di basso carato. Donò di più un leone d'oro puro di X talenti; due tazze, una d'oro e una d'argento, quella di peso VIII talenti e 1/2, questa capace di seicento anfore; quattro gran conche d'argento, ed altri molti doni ancora. Ad Anfiarao suo amico donò uno scudo ed un'asta interamente d'oro. Da queste più veraci narrazioni si scuopre l'abbondanza, o almeno la mediocre quantità de' preziosi metalli in quel tempo.
 
Ma a'a’ tempi della guerra troiana l'Orientel’Oriente avea pure ad usar la moneta incominciato, con questa differenza: che la moneta d'argentod’argento prima di quella d'orod’oro, secondo le memorie che ce ne avanzano, fu adoperata. I sicli erano d'argentod’argento, e quella voce ebrea Kesita, che nel Genesi al c. 53 si trova, e che per ((agnello)) è spiegata, più verisimile è che fosse una moneta d'argentod’argento, così detta dall'anticodall’antico suo valore, che era eguale a quello d'unad’una pecora, e non già dalla imagine impressavi. E certamente avendo gli Asiatici in gran parte allora con vita pastorale vivuto, i prezzi delle cose a quello de'de’ loro bestiami avranno essi comparato. Ma delle vicende della moneta in Oriente meno io sarò sollecito d'indagared’indagare la storia, che delle regioni alle nostre più vicine. A queste adunque ristringendomi, dico che l'originel’origine della moneta d'argentod’argento in Grecia mi è ignota. So che le miniere de'de’ Cartaginesi, cominciate a cavare presso la Nuova Cartagine da Annibale, furono abbondantissime d'argentod’argento. Non meno lo erano quelle di Laurium nell'Atticanell’Attica, che a'a’ privati Ateniesi appartenevano, ma queste in tempo più recente si scavarono; mentre a'a’ tempi di Dario non era per ancora in Grecia reso sì abbondante l'argentol’argento, che meno dell'orodell’oro valesse. Dall'accurataDall’accurata descrizione che delle offerte fatte al tempio di Delfo fa Erodoto, il quale dalle tradizioni di que'que’ sacerdoti gran parte della sua storia trasse, si comprende questa verità. Sono però dall'altradall’altra parte da aversi per favole: che un Filippo re di Macedonia custodisse una tazza d'orod’oro, come cosa rarissima, sotto il suo origliere dormendo; che gli Spartani, per indorare il volto a un simulacro di Apollo, non avessero potuto in tutta la Grecia trovar oro che vi bastasse; che Ierone I re di Siracusa, da altri che da Architele Corintio non avesse potuto aver oro da farne una statuetta. È eccessiva e falsa, come ho detto, questa rarità: poiché Erodoto enumerando le ricchezze in Delfo da lui vedute, dice aver Creso solo donati all'oracoloall’oracolo CXVII mattoni d'orod’oro lunghi altri di sei palmi, altri di tre, e un palmo grossi, de'de’ quali IV erano d'orod’oro di coppella pesanti due talenti e mezzo ognuno, gli altri tutti erano d'orod’oro bianco, cioè di basso carato. Donò di più un leone d'orod’oro puro di X talenti; due tazze, una d'orod’oro e una d'argentod’argento, quella di peso VIII talenti e 1/2, questa capace di seicento anfore; quattro gran conche d'argentod’argento, ed altri molti doni ancora. Ad Anfiarao suo amico donò uno scudo ed un'astaun’asta interamente d'orod’oro. Da queste più veraci narrazioni si scuopre l'abbondanzal’abbondanza, o almeno la mediocre quantità de'de’ preziosi metalli in quel tempo.
In questa mediocrità si visse fino ad Alessandro. Da lui spalancatesi le porte dell'Imperio persiano e dell'Indie, e l'aspetto intiero del mondo cambiatosi, per altri canali corse il commercio, e di assai maggiori ricchezze s'empì la Grecia, la Siria e l'Egitto. Lo che si comprende dalla pompa de' funerali suoi, e assai più dalla coronazione di Tolomeo Filadelfo, che ancor oggi con istupore come cosa incredibile si legge. Ma tutte queste ricchezze le assorbì Roma, e se le ingoiò. Quella Roma, che nata povera, cresciuta lentamente per le sue discordie, restò da queste oppressa, e nella lunga scostumatezza sua ed ignavia de' suoi principi estinse quelle virtù ch'ella avea per tanti secoli conservate. I trionfi di Paolo Emilio, di Lucullo e di Pompeo furono gli ampi fiumi che nell'oro e nell'argento la fecero nuotare, e di tanta ricchezza l'empirono, che fu certamente maggiore di quella che alcun'altra città, anche dopo scoperta l'India, si abbia finora avuta. Dove è da ammirare la differenza fra que' secoli e i nostri: allora le ricchezze erano delle armi compagne ed alle vicende di queste ubbidivano, oggi lo sono della pace; allora i più valorosi popoli erano i più ricchi, oggi i più ricchi sono i più imbelli e quieti; e questo dalla diversa virtù nel combattere deriva.
 
In questa mediocrità si visse fino ad Alessandro. Da lui spalancatesi le porte dell'Imperiodell’Imperio persiano e dell'Indiedell’Indie, e l'aspettol’aspetto intiero del mondo cambiatosi, per altri canali corse il commercio, e di assai maggiori ricchezze s'empìs’empì la Grecia, la Siria e l'Egittol’Egitto. Lo che si comprende dalla pompa de'de’ funerali suoi, e assai più dalla coronazione di Tolomeo Filadelfo, che ancor oggi con istupore come cosa incredibile si legge. Ma tutte queste ricchezze le assorbì Roma, e se le ingoiò. Quella Roma, che nata povera, cresciuta lentamente per le sue discordie, restò da queste oppressa, e nella lunga scostumatezza sua ed ignavia de'de’ suoi principi estinse quelle virtù ch'ellach’ella avea per tanti secoli conservate. I trionfi di Paolo Emilio, di Lucullo e di Pompeo furono gli ampi fiumi che nell'oronell’oro e nell'argentonell’argento la fecero nuotare, e di tanta ricchezza l'empironol’empirono, che fu certamente maggiore di quella che alcun'altraalcun’altra città, anche dopo scoperta l'Indial’India, si abbia finora avuta. Dove è da ammirare la differenza fra que'que’ secoli e i nostri: allora le ricchezze erano delle armi compagne ed alle vicende di queste ubbidivano, oggi lo sono della pace; allora i più valorosi popoli erano i più ricchi, oggi i più ricchi sono i più imbelli e quieti; e questo dalla diversa virtù nel combattere deriva.
Ma per dire alcuna cosa più particolare della storia della moneta fra i Romani, è da sapersi che Roma non ebbe in prima altra moneta che di rame, da Servio Tullio battuta e pecunia chiamata. Non che la moneta d'oro e d'argento non conoscessero, ma questa non era propria, e l'aveano da' vicini Etrusci, popolo potente, culto, industrioso, e senza dubbio alcuno d'Oriente venuto. Nell'anno CDLXXXIV dalla sua fondazione fu coniata la prima moneta d'argento, e LXII anni dopo quella d'oro. Intanto nelle calamità che nelle guerre puniche ebbe la Repubblica, fu il prezzo del rame con istraordinarie mutazioni variato tanto, che as si chiamò una porzione di rame, che solo alla 24 parte dell'antico corrispondeva. Grandissima mutazione in vero, se ella fusse stata così nelle cose come fu nelle parole: ma le merci (non mutato il valore intrinseco) secondo la variazione de' nomi nel prezzo si variarono. Anche il valore dell'argento riguardo al rame fu grandemente cambiato. Dopo queste mutazioni, poche più ne fecero i Romani, e solo gl'imperatori che furono dopo Pertinace nella bontà de' carati le monete senza ordine e regola andarono corrompendo.
 
Ma per dire alcuna cosa più particolare della storia della moneta fra i Romani, è da sapersi che Roma non ebbe in prima altra moneta che di rame, da Servio Tullio battuta e pecunia chiamata. Non che la moneta d'orod’oro e d'argentod’argento non conoscessero, ma questa non era propria, e l'aveanol’aveano da'da’ vicini Etrusci, popolo potente, culto, industrioso, e senza dubbio alcuno d'Oriented’Oriente venuto. Nell'annoNell’anno CDLXXXIV dalla sua fondazione fu coniata la prima moneta d'argentod’argento, e LXII anni dopo quella d'orod’oro. Intanto nelle calamità che nelle guerre puniche ebbe la Repubblica, fu il prezzo del rame con istraordinarie mutazioni variato tanto, che as si chiamò una porzione di rame, che solo alla 24 parte dell'anticodell’antico corrispondeva. Grandissima mutazione in vero, se ella fusse stata così nelle cose come fu nelle parole: ma le merci (non mutato il valore intrinseco) secondo la variazione de'de’ nomi nel prezzo si variarono. Anche il valore dell'argentodell’argento riguardo al rame fu grandemente cambiato. Dopo queste mutazioni, poche più ne fecero i Romani, e solo gl'imperatorigl’imperatori che furono dopo Pertinace nella bontà de'de’ carati le monete senza ordine e regola andarono corrompendo.
Ma dappoiché, per la mutazione degli antichi costumi ed opinioni, cominciò l'Imperio romano dalla sua grandezza e virtù a declinare, si vide a poco a poco diminuire l'abbondanza dell' oro e dell'argento. Perché i barbari non più col ferro e colla forza erano respinti, ma coll'oro e co' tributi delle terre romane si teneano lontani. Così questi metalli nelle vaste settentrionali regioni si spargevano, e dissipandovisi erano consumati. E molto più scemò l'abbondanza quando, avendo i barbari inondato e guasto l'Imperio, nelle sovversioni delle città e ne' saccheggi, molto metallo restò sotterra sepolto, molto se ne distrusse e disperse, né col commercio, che interrotto ed estinto era, si poté ripigliare. Quindi ne' secoli IX e X in cui dopo il gran periodo tornarono le nostre provincie in quello stesso stato di rozzezza e povertà, in cui ne' tempi vicini al diluvio erano state, la rarità dell'oro di nuovo divenne grandissima, ed il valore delle cose parve per conseguenza bassissimo. Il che non sarebbe stato se, come usarono i Romani di alzare la moneta, l'avessero anche sbassata. Ma essi sostenendo sempre il valore una volta alzato costrinsero poi le merci ad avvilirsi, quando la moneta ritornò a scemare. Da questa povertà vennero gli ordini del governo di questi secoli, e principalmente le leggi feudali, il vassallaggio, la schiavitù, i censi, le decime, e altri simiglianti costumi. Perché non potevano i sovrani ed i padroni altrimente riscuotere i dazi, che in servizi personali, o in frutti della terra.
 
Ma dappoiché, per la mutazione degli antichi costumi ed opinioni, cominciò l'Imperiol’Imperio romano dalla sua grandezza e virtù a declinare, si vide a poco a poco diminuire l'abbondanzal’abbondanza dell'dell’ oro e dell'argentodell’argento. Perché i barbari non più col ferro e colla forza erano respinti, ma coll'orocoll’oro e co'co’ tributi delle terre romane si teneano lontani. Così questi metalli nelle vaste settentrionali regioni si spargevano, e dissipandovisi erano consumati. E molto più scemò l'abbondanzal’abbondanza quando, avendo i barbari inondato e guasto l'Imperiol’Imperio, nelle sovversioni delle città e ne'ne’ saccheggi, molto metallo restò sotterra sepolto, molto se ne distrusse e disperse, né col commercio, che interrotto ed estinto era, si poté ripigliare. Quindi ne'ne’ secoli IX e X in cui dopo il gran periodo tornarono le nostre provincie in quello stesso stato di rozzezza e povertà, in cui ne'ne’ tempi vicini al diluvio erano state, la rarità dell'orodell’oro di nuovo divenne grandissima, ed il valore delle cose parve per conseguenza bassissimo. Il che non sarebbe stato se, come usarono i Romani di alzare la moneta, l'avesserol’avessero anche sbassata. Ma essi sostenendo sempre il valore una volta alzato costrinsero poi le merci ad avvilirsi, quando la moneta ritornò a scemare. Da questa povertà vennero gli ordini del governo di questi secoli, e principalmente le leggi feudali, il vassallaggio, la schiavitù, i censi, le decime, e altri simiglianti costumi. Perché non potevano i sovrani ed i padroni altrimente riscuotere i dazi, che in servizi personali, o in frutti della terra.
In questo stato travagliandosi gli uomini, struggendosi e saccheggiandosi tra loro, fino al secolo XIV vissero miseramente. Tanto è vero che l'avidità nostra quando gli ordini del governo turba, c'impoverisce tutti senza arricchire alcuno; ma se sotto i civili regolamenti sta frenata, è cagione onde gli stati s'arricchiscano ed in forze ed in felicità si augumentino. Quindi è che nel XV secolo, prima ancora della scoperta delle Indie, l'oro e l'argento, più regolatamente vivendosi, tornarono ad apparire in maggior quantità.
 
In questo stato travagliandosi gli uomini, struggendosi e saccheggiandosi tra loro, fino al secolo XIV vissero miseramente. Tanto è vero che l'aviditàl’avidità nostra quando gli ordini del governo turba, c'impoveriscec’impoverisce tutti senza arricchire alcuno; ma se sotto i civili regolamenti sta frenata, è cagione onde gli stati s'arricchiscanos’arricchiscano ed in forze ed in felicità si augumentino. Quindi è che nel XV secolo, prima ancora della scoperta delle Indie, l'orol’oro e l'argentol’argento, più regolatamente vivendosi, tornarono ad apparire in maggior quantità.
Ma pervenuti gli anni della nostra redenzione al numero di MCCCCXCII, Cristoforo Colombo genovese con navi spagnuole avendo la nuova India scoperta, e i Portoghesi nel tempo istesso nella costa della Guinea e dell'Oro inoltratisi atrafficare, a persero nuova strada, onde vaste quantità d'oro e d'argento potesse l'Europa acquistare. In pochi anni si trasse dall' America tutto quel metallo che in tanti secoli aveano gl'Indiani raccolto; e quanto grande questo fosse, si può appena colla mente concepire. Fu allora che, aperto il campo all'industria de' sudditi e all'avidità de' principi, senza più spogliarsi l'un l'altro, sperarono essi potersi tutti arricchire. Così a' pacifici pensieri rivolto l'animo, si cominciò ad impiegar que' tesori, che prima in armi e in guerre struggevansi, alla edificazione di navigli, di colonie, di porti, di fortezze, di magazzini e di strade. Quella gente, che per tentar la sorte prima nella guerra soldavasi, allora tutta sul mare, a' viaggi, scoperte e conquiste del nuovo mondo si rivolse con incredibile fervore. Lo che, siccome agl'Indiani innocenti portò saccheggi, schiavitù, stragge e desolazione, così all'Europa, già tutta di commerci, di compagnie e d'industrie resa vaga, arrecò pace ed umanità, miglioramento nelle arti, lusso e magnificenza: onde ella tutta di ricchezze e di felicità mirabilmente s'empì. Sparve da noi il barbaro uso de' servi; perché nostri servi, anche più crudelmente trattati, divennero gl'Indiani e i negri dell'Africa: essendo verissimo a chi ben riflette, che non può un popolo arricchire senza render povero ed infelice un altro; e siccome i Romani colle conquiste resero prospera l'Italia, così noi, sebbene conquistatori non crediamo di essere, pure sulle miserie altrui siamo arricchiti: benché la distanza grande de' luoghi fa che non ci feriscono gli occhi le calamità che in America soffrono quelle infelici vittime del nostro lusso; e quindi ci persuadiamo che la industria e il traffico innocentemente ci dia guadagno. Le ricchezze che l'India somministrò, quasi tutte sulla Spagna, a cui fu congiunto anche il Portogallo, imprima colarono; ma le calamità di quella nazione presto le fecero trascorrere altrove: pure la quantità era sì grande, ed il valore delle cose tutte era tanto incarito, che certamente non si sarebbero molto più lavorate le miniere dell'India per trarne nuova quantità di metalli ricchi, se non si fosse inaspettatamente aperto un ampio canale al loro corso.
 
Ma pervenuti gli anni della nostra redenzione al numero di MCCCCXCII, Cristoforo Colombo genovese con navi spagnuole avendo la nuova India scoperta, e i Portoghesi nel tempo istesso nella costa della Guinea e dell'Orodell’Oro inoltratisi atrafficare, a persero nuova strada, onde vaste quantità d'orod’oro e d'argentod’argento potesse l'Europal’Europa acquistare. In pochi anni si trasse dall'dall’ America tutto quel metallo che in tanti secoli aveano gl'Indianigl’Indiani raccolto; e quanto grande questo fosse, si può appena colla mente concepire. Fu allora che, aperto il campo all'industriaall’industria de'de’ sudditi e all'aviditàall’avidità de'de’ principi, senza più spogliarsi l'unl’un l'altrol’altro, sperarono essi potersi tutti arricchire. Così a'a’ pacifici pensieri rivolto l'animol’animo, si cominciò ad impiegar que'que’ tesori, che prima in armi e in guerre struggevansi, alla edificazione di navigli, di colonie, di porti, di fortezze, di magazzini e di strade. Quella gente, che per tentar la sorte prima nella guerra soldavasi, allora tutta sul mare, a'a’ viaggi, scoperte e conquiste del nuovo mondo si rivolse con incredibile fervore. Lo che, siccome agl'Indianiagl’Indiani innocenti portò saccheggi, schiavitù, stragge e desolazione, così all'Europaall’Europa, già tutta di commerci, di compagnie e d'industried’industrie resa vaga, arrecò pace ed umanità, miglioramento nelle arti, lusso e magnificenza: onde ella tutta di ricchezze e di felicità mirabilmente s'empìs’empì. Sparve da noi il barbaro uso de'de’ servi; perché nostri servi, anche più crudelmente trattati, divennero gl'Indianigl’Indiani e i negri dell'Africadell’Africa: essendo verissimo a chi ben riflette, che non può un popolo arricchire senza render povero ed infelice un altro; e siccome i Romani colle conquiste resero prospera l'Italial’Italia, così noi, sebbene conquistatori non crediamo di essere, pure sulle miserie altrui siamo arricchiti: benché la distanza grande de'de’ luoghi fa che non ci feriscono gli occhi le calamità che in America soffrono quelle infelici vittime del nostro lusso; e quindi ci persuadiamo che la industria e il traffico innocentemente ci dia guadagno. Le ricchezze che l'Indial’India somministrò, quasi tutte sulla Spagna, a cui fu congiunto anche il Portogallo, imprima colarono; ma le calamità di quella nazione presto le fecero trascorrere altrove: pure la quantità era sì grande, ed il valore delle cose tutte era tanto incarito, che certamente non si sarebbero molto più lavorate le miniere dell'Indiadell’India per trarne nuova quantità di metalli ricchi, se non si fosse inaspettatamente aperto un ampio canale al loro corso.
È stata l'India antica in ogni tempo più di noi bisognosa d'oro, ed anche più d'argento, e per guadagno da' nostri mercanti vi si portava. A' tempi di Plinio era così: da lui ci è fatto sapere questo, dicendo egli: ((indigna res, nullo anno minus H. S. quingenties imperii nostri exhauriente india)). Gio. Villani dice dell'oro ((che i mercatanti per guadagnare il raccoglievano, e portavano oltre mare dove era molto richiesto)). Nelle note di Uberto Benvoglienti alla Cronaca Sanese di Andrea Dei, all'anno 1338, si trova memoria del commercio di Soria fatto da Benuccio di Giovanni Salimbeni, camerlengo di Siena, uomo sopra lo stato di privato ricchissimo, con queste voci: ((il detto Benuccio l'anno seguente 1338 avea colto grande qumtità d'argento e di rame, ed essendo venuto all'usato el grande mercatante di Soria al porto d' Ercole con quantità di mercanzia di seta, tutte furo comprate per lo detto Benuccio, et pagate d'argento e di rame)). il valore di tutte ascende a 130 mila fiorini d'oro; ed è cosa curiosa a leggere, e degna di riflessione, per conoscere quanta moneta nostra assorbisse l'Oriente. Ma questo negozio, perché in parte per terra e fra gente inimica e rapace si dovea fare, era poco frequentato, e solo dagl'Italiani. Vasco di Gama portoghese l'anno 1497 passò il capo di Buona Speranza, che Bartolomeo Diaz avea poco tempo prima scoperto; e in Oriente pervenuto aprì col suo esempio, e colle conquiste poi fatte, a tutta l'Europa il commercio più facile e più spedito con quelle regioni. L'India arida di argento tosto assorbì quella soverchia quantità che in Europa ristagnava; onde avvenne che fra noi non variò il valor de' metalli proporzionatamente alla quantità dall' America venutane, ma molto meno: mentre, essendo simili le leggi del moto della moneta a quelle delle acque correnti, quanto in maggiore spazio di terra la moneta si spande, tanto meno in ogni parte la quantità ne cresce ed il valore s'abbassa.
 
È stata l'Indial’India antica in ogni tempo più di noi bisognosa d'orod’oro, ed anche più d'argentod’argento, e per guadagno da'da’ nostri mercanti vi si portava. A'A’ tempi di Plinio era così: da lui ci è fatto sapere questo, dicendo egli: ((indigna res, nullo anno minus H. S. quingenties imperii nostri exhauriente india)). Gio. Villani dice dell'orodell’oro ((che i mercatanti per guadagnare il raccoglievano, e portavano oltre mare dove era molto richiesto)). Nelle note di Uberto Benvoglienti alla Cronaca Sanese di Andrea Dei, all'annoall’anno 1338, si trova memoria del commercio di Soria fatto da Benuccio di Giovanni Salimbeni, camerlengo di Siena, uomo sopra lo stato di privato ricchissimo, con queste voci: ((il detto Benuccio l'annol’anno seguente 1338 avea colto grande qumtità d'argentod’argento e di rame, ed essendo venuto all'usatoall’usato el grande mercatante di Soria al porto d'd’ Ercole con quantità di mercanzia di seta, tutte furo comprate per lo detto Benuccio, et pagate d'argentod’argento e di rame)). il valore di tutte ascende a 130 mila fiorini d'orod’oro; ed è cosa curiosa a leggere, e degna di riflessione, per conoscere quanta moneta nostra assorbisse l'Orientel’Oriente. Ma questo negozio, perché in parte per terra e fra gente inimica e rapace si dovea fare, era poco frequentato, e solo dagl'Italianidagl’Italiani. Vasco di Gama portoghese l'annol’anno 1497 passò il capo di Buona Speranza, che Bartolomeo Diaz avea poco tempo prima scoperto; e in Oriente pervenuto aprì col suo esempio, e colle conquiste poi fatte, a tutta l'Europal’Europa il commercio più facile e più spedito con quelle regioni. L'IndiaL’India arida di argento tosto assorbì quella soverchia quantità che in Europa ristagnava; onde avvenne che fra noi non variò il valor de'de’ metalli proporzionatamente alla quantità dall'dall’ America venutane, ma molto meno: mentre, essendo simili le leggi del moto della moneta a quelle delle acque correnti, quanto in maggiore spazio di terra la moneta si spande, tanto meno in ogni parte la quantità ne cresce ed il valore s'abbassas’abbassa.
Questo stato di cose ancora dura. La nuova India manda a noi i metalli, noi molto in lusso ne struggiamo, qualche poco in accrescimento della quantità della moneta s'impiega; e perciò ella va sempre, benché insensibilmente, nel valore calando; molto in utensili ne riteniamo, il resto all'India antica s'invia, la quale in cambio ci dà moltissimi comodi della vita: droghe, stoffe, tele, legni da tingere, avolio, gemme, porcellane, ma sopra tutto caffè, tè, medicine. Molta gente dabbene deplora quasi una perdita di ricchezze questo uso de' metalli preziosi: tanto è facile alla nostra mente errando credere la ricchezza una cosa assoluta, e non come ella è, una proporzione che dalla varia abbondanza deriva. E pure facile è il comprendere che, se questo uso non si facesse dell'oro e dell'argento, questi metalli più non sariano ricchezze; ma quando egualmente abbondanti come il rame fossero, avriano egual valore. Onde si potea conoscere quanto ragionevoli sono gli uomini, e savi, se dopo essersi provveduti d'oro e d'argento per quanto basta al commercio ed al lusso, il resto ai più bisognosi lo danno, e lo convertono in altri beni. Dunque si conviene avvertir meglio sulle operazioni umane, e quando la condotta d'intiere nazioni si esamina, presumer meno di sé ed essere assai più lento ad emendare.
 
Questo stato di cose ancora dura. La nuova India manda a noi i metalli, noi molto in lusso ne struggiamo, qualche poco in accrescimento della quantità della moneta s'impiegas’impiega; e perciò ella va sempre, benché insensibilmente, nel valore calando; molto in utensili ne riteniamo, il resto all'Indiaall’India antica s'invias’invia, la quale in cambio ci dà moltissimi comodi della vita: droghe, stoffe, tele, legni da tingere, avolio, gemme, porcellane, ma sopra tutto caffè, tè, medicine. Molta gente dabbene deplora quasi una perdita di ricchezze questo uso de'de’ metalli preziosi: tanto è facile alla nostra mente errando credere la ricchezza una cosa assoluta, e non come ella è, una proporzione che dalla varia abbondanza deriva. E pure facile è il comprendere che, se questo uso non si facesse dell'orodell’oro e dell'argentodell’argento, questi metalli più non sariano ricchezze; ma quando egualmente abbondanti come il rame fossero, avriano egual valore. Onde si potea conoscere quanto ragionevoli sono gli uomini, e savi, se dopo essersi provveduti d'orod’oro e d'argentod’argento per quanto basta al commercio ed al lusso, il resto ai più bisognosi lo danno, e lo convertono in altri beni. Dunque si conviene avvertir meglio sulle operazioni umane, e quando la condotta d'intiered’intiere nazioni si esamina, presumer meno di sé ed essere assai più lento ad emendare.
Sono le miniere dell'America incomparabilmente più ricche di quelle che ha l'Europa; o sia con egual fatica si ottiene maggior quantità di metallo: da questo è avvenuto che l'europee o poco o nulla più si lavorino. Anzi se tanto consumo non si fosse de' metalli fatto, già molto meno si seguirebbe a scavare anche in America. Poiché egli è da avvertire che, quanto cresce la quantità de' metalli, tanto il numero delle miniere atte a lavorarsi diviene minore: mentre non basta che un paese sia copioso di vene metalliche; bisogna ch'elle tornino conto a lavorarsi. Ora essendo l'oro e l'argento per ordinario in piccola quantità fra suoli di dure e laboriose pietre disposti, e quasi sempre con altri metalli e materie impure allegati, grande fatica, grande spesa richiedono, sì per la mortifera aria delle cave, che tutte con negri, a gran prezzo comprati, si scavano, sì per l'argento vivo, che sul minerale si versa. Né ogni vena in sé stessa, e in paragone delle altre, è ugualmente ricca. Dunque se cento anni a dietro, per esempio, erano 200 vene d'argento nella Cordigliera, che produceano 5 once di puro argento per cassone (è questo un volume di 50 quintali, o sia 5.000 libbre di minerale), e di queste 5 once, due consumandone la spesa, ne restavano tre al padrone di profitto: oggi tutte queste vene, non essendovi guadagno, non possono più scavarsi; perché raddoppiata la quantità dell'argento, e diminuitone per metà il valore, cinque once d'argento costa il lavorio d'un cassone. Ed è questa la vera cagione per cui gli accademici delle scienze di Francia, andati alla misura del grado del meridiano vicino all' equatore, hanno trovato da per tutto, e principalmente nella Terra Ferma, e nella parte settentrionale del Perù, ove le miniere sono per ordinario meno ricche che non lo sono nella parte meridionale del Potosì e della Plata e del Chily, una generale decadenza ed abbandono nelle mine, e gran numero di luoghi che mostravano, con segni evidenti di fabriche ruinose e cadenti, gli antichi lavori. Anzi, quel che loro parve più strano, in Quito trovarono un generale orrore ed abborrimento a questa spezie d'industria, e trattati da matti tutti coloro che l'intraprendevano, siccome non molto tempo prima si teneano coloro che non applicassero a farla. E questa disposizione, che dagli accademici fu a torto a naturale pigrizia e stupidità attribuita, io credo essere un segno ed un avviso, che vogliano quelle regioni, lasciando i lavori delle mine, che le spopolano e distruggono, cominciare ad essere in migliore stato: e allora noi saremo barbari da quella gente chiamati.
 
Sono le miniere dell'Americadell’America incomparabilmente più ricche di quelle che ha l'Europal’Europa; o sia con egual fatica si ottiene maggior quantità di metallo: da questo è avvenuto che l'europeel’europee o poco o nulla più si lavorino. Anzi se tanto consumo non si fosse de'de’ metalli fatto, già molto meno si seguirebbe a scavare anche in America. Poiché egli è da avvertire che, quanto cresce la quantità de'de’ metalli, tanto il numero delle miniere atte a lavorarsi diviene minore: mentre non basta che un paese sia copioso di vene metalliche; bisogna ch'ellech’elle tornino conto a lavorarsi. Ora essendo l'orol’oro e l'argentol’argento per ordinario in piccola quantità fra suoli di dure e laboriose pietre disposti, e quasi sempre con altri metalli e materie impure allegati, grande fatica, grande spesa richiedono, sì per la mortifera aria delle cave, che tutte con negri, a gran prezzo comprati, si scavano, sì per l'argentol’argento vivo, che sul minerale si versa. Né ogni vena in sé stessa, e in paragone delle altre, è ugualmente ricca. Dunque se cento anni a dietro, per esempio, erano 200 vene d'argentod’argento nella Cordigliera, che produceano 5 once di puro argento per cassone (è questo un volume di 50 quintali, o sia 5.000 libbre di minerale), e di queste 5 once, due consumandone la spesa, ne restavano tre al padrone di profitto: oggi tutte queste vene, non essendovi guadagno, non possono più scavarsi; perché raddoppiata la quantità dell'argentodell’argento, e diminuitone per metà il valore, cinque once d'argentod’argento costa il lavorio d'und’un cassone. Ed è questa la vera cagione per cui gli accademici delle scienze di Francia, andati alla misura del grado del meridiano vicino all'all’ equatore, hanno trovato da per tutto, e principalmente nella Terra Ferma, e nella parte settentrionale del Perù, ove le miniere sono per ordinario meno ricche che non lo sono nella parte meridionale del Potosì e della Plata e del Chily, una generale decadenza ed abbandono nelle mine, e gran numero di luoghi che mostravano, con segni evidenti di fabriche ruinose e cadenti, gli antichi lavori. Anzi, quel che loro parve più strano, in Quito trovarono un generale orrore ed abborrimento a questa spezie d'industriad’industria, e trattati da matti tutti coloro che l'intraprendevanol’intraprendevano, siccome non molto tempo prima si teneano coloro che non applicassero a farla. E questa disposizione, che dagli accademici fu a torto a naturale pigrizia e stupidità attribuita, io credo essere un segno ed un avviso, che vogliano quelle regioni, lasciando i lavori delle mine, che le spopolano e distruggono, cominciare ad essere in migliore stato: e allora noi saremo barbari da quella gente chiamati.
Vano timore intanto è quello che moltissimi scrittori mostrano avere, che possa un giorno l'abbondanza dell'oro e dell'argento farsi eguale a quella del rame. In un solo caso ciò potria essere: che si trovassero miniere così ricche di questi metalli, come sono quelle del ferro e del rame. Il che non pare che sia conforme agli ordini della natura delle cose: perché le più ricche miniere d'argento e d'oro non danno che dodici o quattordici once per cassone. Né sono da tenersi in conto, per la loro rarità, alcuni tratti di vene, che sino a cento once per qualche tempo han dato. Né anco è da temersi che scemato colla potenza delle leggi e dell'esempio il lusso, più di metalli si abbondi; mentre allora, traendosene una minor copia dalle viscere della terra, sempre la stessa rarità a un di presso si sosterrebbe. Così la natura alle sue cose pone certi confini, ch'elle non oltrepassano mai, né fino all'infinito estendendosi, durano perpetuamente a raggirarsi in sulle stesse vicende.
 
Vano timore intanto è quello che moltissimi scrittori mostrano avere, che possa un giorno l'abbondanzal’abbondanza dell'orodell’oro e dell'argentodell’argento farsi eguale a quella del rame. In un solo caso ciò potria essere: che si trovassero miniere così ricche di questi metalli, come sono quelle del ferro e del rame. Il che non pare che sia conforme agli ordini della natura delle cose: perché le più ricche miniere d'argentod’argento e d'orod’oro non danno che dodici o quattordici once per cassone. Né sono da tenersi in conto, per la loro rarità, alcuni tratti di vene, che sino a cento once per qualche tempo han dato. Né anco è da temersi che scemato colla potenza delle leggi e dell'esempiodell’esempio il lusso, più di metalli si abbondi; mentre allora, traendosene una minor copia dalle viscere della terra, sempre la stessa rarità a un di presso si sosterrebbe. Così la natura alle sue cose pone certi confini, ch'ellech’elle non oltrepassano mai, né fino all'infinitoall’infinito estendendosi, durano perpetuamente a raggirarsi in sulle stesse vicende.
Ecco una breve narrazione degli accidenti vari della moneta. Resterebbe solo a dire del valore delle monete che sonosi in ogni tempo usate. Sulla quale laboriosa impresa è incredibile quanto da' grandi ingegni siasi sudato; e principalmente si sono gli eruditi umanisti affaticati molto per l'intelligenza delle antiche opere sulla moneta de' Greci e de' Romani. Il Budeo, il Gronovio, il Seldeno sopra ogn'altro si distinguono. Ma è maraviglioso, ed appena credibile, che tanti grandi ingegni mostrino non essersi avveduti del tempo, e dell'opera, che hanno essi dissipato inutilmente. Altro è il sapere quanto pesano le antiche monete, altro quanto vagliono. Il peso è facile il saperlo, perché molte antiche monete ben conservate si custodiscono da noi: ma il valore è il ragguaglio della moneta colle altre cose; giacché, siccome le altre cose tutte sono sulla moneta valutate, così la moneta sulle altre cose si misura. Questa misura non solo in ogni secolo, ma quasi in ogni anno varia. Lo stesso as d'un'oncia a' primi tempi della prima guerra punica valea diversamente che a' tempi di Cesare: perché a' tempi della guerra punica si sarà con un as comprato quel che appena con quattro avranno potuto i soldati di Cesare comprare. Così ne' secoli a noi più vicini il fiorino d'oro fiorentino è stato sempre d'una dramma, o sia dell'ottava parte d'un'oncia d'oro puro composto; ma pure mille fiorini, che Gio. Villani nomini, sono troppo diversa cosa da mille fiorini d'oggidì, quanto al valore. Sono dunque da ridere que' moderni storici che, riducendo i talenti e i sesterzi antichi a lire di Francia, o nostri ducati secondo l'uguaglianza del peso, credono aver fatto intendere a' loro lettori lo stato delle cose, come erano in mente allo storico coetaneo. Per sapere all'ingrosso il valore delle monete son buone queste cognizioni; ma più giova il leggere quelle descrizioni che ci dipingano gli antichi costumi. Vero è che gli storici quasi contenti d'aver valutati i prezzi colle monete del loro tempo, non curano tramandar queste notizie che io dico, come a dire di scrivere quale fosse a' tempi loro il valore del grano, del vino, degli operari; ma pure talora inavvertentemente ce lo hanno lasciato scritto: e queste sparte notizie bisogna andar raccogliendo studiosamente. Nella Dissert. XXVIII del Murat., Antiq. Italic., sonovi alcune descrizioni de' costumi di vivere de' Parmigiani, Piacentini e Modenesi antichi, dalle quali certamente meglio che dal peso delle monete il vero della storia si rende manifesto.l Dunque io non mi curerò sapere i pesi ed il creduto valore delle antiche e nuove monete. Prego solo i miei lettori che al valore delle merci si rivolgano ognora; ed il vero valore della moneta così loro verrà fatto sapere.
 
Ecco una breve narrazione degli accidenti vari della moneta. Resterebbe solo a dire del valore delle monete che sonosi in ogni tempo usate. Sulla quale laboriosa impresa è incredibile quanto da'da’ grandi ingegni siasi sudato; e principalmente si sono gli eruditi umanisti affaticati molto per l'intelligenzal’intelligenza delle antiche opere sulla moneta de'de’ Greci e de'de’ Romani. Il Budeo, il Gronovio, il Seldeno sopra ogn'altroogn’altro si distinguono. Ma è maraviglioso, ed appena credibile, che tanti grandi ingegni mostrino non essersi avveduti del tempo, e dell'operadell’opera, che hanno essi dissipato inutilmente. Altro è il sapere quanto pesano le antiche monete, altro quanto vagliono. Il peso è facile il saperlo, perché molte antiche monete ben conservate si custodiscono da noi: ma il valore è il ragguaglio della moneta colle altre cose; giacché, siccome le altre cose tutte sono sulla moneta valutate, così la moneta sulle altre cose si misura. Questa misura non solo in ogni secolo, ma quasi in ogni anno varia. Lo stesso as d'un'onciad’un’oncia a'a’ primi tempi della prima guerra punica valea diversamente che a'a’ tempi di Cesare: perché a'a’ tempi della guerra punica si sarà con un as comprato quel che appena con quattro avranno potuto i soldati di Cesare comprare. Così ne'ne’ secoli a noi più vicini il fiorino d'orod’oro fiorentino è stato sempre d'unad’una dramma, o sia dell'ottavadell’ottava parte d'un'onciad’un’oncia d'orod’oro puro composto; ma pure mille fiorini, che Gio. Villani nomini, sono troppo diversa cosa da mille fiorini d'oggidìd’oggidì, quanto al valore. Sono dunque da ridere que'que’ moderni storici che, riducendo i talenti e i sesterzi antichi a lire di Francia, o nostri ducati secondo l'uguaglianzal’uguaglianza del peso, credono aver fatto intendere a'a’ loro lettori lo stato delle cose, come erano in mente allo storico coetaneo. Per sapere all'ingrossoall’ingrosso il valore delle monete son buone queste cognizioni; ma più giova il leggere quelle descrizioni che ci dipingano gli antichi costumi. Vero è che gli storici quasi contenti d'averd’aver valutati i prezzi colle monete del loro tempo, non curano tramandar queste notizie che io dico, come a dire di scrivere quale fosse a'a’ tempi loro il valore del grano, del vino, degli operari; ma pure talora inavvertentemente ce lo hanno lasciato scritto: e queste sparte notizie bisogna andar raccogliendo studiosamente. Nella Dissert. XXVIII del Murat., Antiq. Italic., sonovi alcune descrizioni de'de’ costumi di vivere de'de’ Parmigiani, Piacentini e Modenesi antichi, dalle quali certamente meglio che dal peso delle monete il vero della storia si rende manifesto.l Dunque io non mi curerò sapere i pesi ed il creduto valore delle antiche e nuove monete. Prego solo i miei lettori che al valore delle merci si rivolgano ognora; ed il vero valore della moneta così loro verrà fatto sapere.
 
{{capitolo
|CapitoloPrecedente=Introduzione
|NomePaginaCapitoloPrecedente=Della moneta/Libro I/Introduzione
|CapitoloSuccessivo=Capo II - Dichiarazione de'principj onde nasce il valore delle cose tutte. Della utilità e della rarità. Principj stabili del valore. Si risponde a molte obiezioni
|NomePaginaCapitoloSuccessivo=Della moneta/Libro I/Capo II
}}