Daniele Cortis/Capitolo primo: differenze tra le versioni
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<div align="center">'''VENTO, PIOGGIA E CHIACCHIERE'''</div>
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“Tac tac!” fece il conte Perlotti guardandole correre attento, con il gesso nella destra e la stecca nella sinistra.
“Santo diavolo!” esclamò il senatore. “Non
“E dàlli!” disse la contessa, sottovoce, fra un gruppo di signore.
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“Genero mio benedetto” soggiunse allargando le braccia, “piú che scrivere e riscrivere che me ne mandino!”
Si voltò alla Perlotti che sorrideva silenziosamente guardando il tempo
“Bello, sai” brontolò. “Sarà la ventesima volta che me lo dice. Vuole che le faccia io le stecche?”
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“Che tempo!” disse la signora, prudente. “Fa paura.”
In faccia
“Eh, sí signora, paura. Proprio, anche: paura. Paura, non è vero? Paura, sipo.”
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“Scusate caro voi, Grigioli” disse la contessa a un giovane che parlava con la baronessa Elena Carrè di Santa Giulia, seduta sul canapè vicino. “Andate a pregare i reverendi, con buona maniera, di non far tanto chiasso.”
Quegli
“Benedetta la Sicilia” gli disse piano la contessa.
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“Eh sí, va benone, contessa. Cinquanta voti sicuri, qui. Lo dicevo adesso alla baronessa Elena.”
“Non parlate, caro voi, di queste cose a mia figlia, che non sa cosa siano né la destra né la sinistra. Andate là, andate là da quei reverendi...
“Andate, andate, giovinotto, fate tacere a preti” disse il senatore a colui che passava lungo il biliardo. “Dite che imparino un poco da questi altri signori. Fate tacere a don Bartolo!”
Presso
Uno di loro chiamò:
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I preti avevano smesso di giuocare. Il cappellano don Bortolo teneva un foglio in mano e declamava dei versi tra le risate dei colleghi.
“La permetta, don Bortolo” disse
“Bravo, dottore” rispose don Bortolo. “La venga qua, La senta anche Lei:
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“Ma La perdoni, La senta!”
Il dottor Grigiolo si rassegnò fremendo ad ascoltare
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El sindaco tasea col collo storto.
E po infin
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“Bravi, mi raccomando; anche per il conte Lao, che sta poco bene.”
Il dottor Grigiolo guardò il piú vecchio di quei sacerdoti,
“Venga qua” esclamò
“Fate tacere a don Bartolo!” gridò il senatore dalla sala.
“Oh, hanno capito?” sussurrò il dottor Grigiolo con gli occhi fuori della testa.
“Campanile!” fece il cappellano.
La sua uscita e il suo comico sgomento misero nella brigata una cosí clamorosa, irrefrenabile ilarità, che Grigiolo scappò via con le mani nei capelli, mentre don Bortolo, rinfrancato, si accingeva a leggere la chiusa del poema,
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“Fiasco, Grigioli!” gridò da lontano la contessa Tarquinia.
“Viene, dottor Grigiolo?”
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Egli rispose “un momento; vengo subito” e tirava via; ma il senatore barone di Santa Giulia gli piantò sullo stomaco una mano da San Cristoforo e lo fermò di botto.
“Rispondi!”
Lo smilzo e garbato giovinetto trasalí, diede un passo indietro e guardò il senatore come avrebbe guardato Attila.
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“Grigioli, veramente” rispose, “ma il popolo...”
“Il popolo
“Ah, il popolo! Ho capito” disse il barone. “Voi non avete saputo far tacere a Bartolo.”
“Impossibile, senatore. Impossibile, contessa. Il Suo vin bianco è troppo generoso. Ci vorrebbe una pompa e
“Credete, sí?”
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“Santo diavolo, che contessamento in questo paese!” borbottò fra i denti il senatore, curvo sul biliardo, provando e riprovando il colpo, con gli occhi alla palla avversaria.
“Via, che gli elettori vi aspettano” disse piano la contessa Tarquinia a Grigiolo, e lo spinse via con le mani, perché quegli, seccato, non ci voleva andare, preferiva la compagnia delle signore alla sua missione elettorale. Poi la contessa si volse al gruppo e disse:
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“Scommetto che questo tempo non fa nulla...”
E subito le voci ossequiose: “Direi
Nello stesso tempo il fragor del tuono empí la sala, tutti i vetri suonarono.
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“Oh che nero! Oh che inferno!” gridava il dottor Grigiolo. “Venga da questa parte, contessa, se vuol vedere!”
Un furioso colpo di vento irruppe dalla porta che mette in loggia, buttò le cortine
“Arciprete, arciprete!” gridò Perlotti, passando la testa fra i due battenti. “È matto?”
“Mi cercheranno per benedire il tempo” rispose il prete con le mani al cappello e le falde
Il temporale, venuto su dietro le montagne di ponente, aveva girato a mezzogiorno. Turchino cupo sopra le creste cineree del Rumano, minacciava lo scuro piede selvoso del monte, le povere case sparsevi, le praterie distese davanti alla villa Carrè, falciate di recente, dorate da un chiarore sinistro.
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“Già! u frumento!” disse il barone.
“E
I preti non si erano mossi dal loro salotto, strepitavano peggio di prima, quasi per soverchiar la voce dei tuoni e del vento che ruggiva rabbioso intorno ai canti della casa, sbatteva, al secondo piano, usci ed imposte, schiacciava a terra le vegellie, i philadelphus frenetici del giardino.
Neppure la baronessa Elena, rimasta sola, parea commuoversi del temporale. Abbandonata la persona sulla spalliera del canapè, teneva il viso un
“Daniele ha preso radice di sopra. Se permettono vado un momento a vedere cosa succede.”
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“Mio marito non mi abbada.”
Ella aveva una voce un
“Giusto quello!” disse la contessa.
“Oh che contrattempo, Elena!
La giovane signora alzò gli occhi al cielo.
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“Poveretta, la si secca, e che torto!” osservò Perlotti carezzevole, quasi flebile.
“Mia moglie? Sí, ma non è mica padrona di casa, lei.”
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“Neppur io.”
Con questa risposta data un
“Ho paura, cara Tarquinia, che vi tocchi alloggiarli tutti qui stanotte” disse Perlotti
“Signore, non ci mancherebbe altro! Mi sono tutti tanto cari, ma vengono un paio di volte alla stagione, e signor sí che hanno da capitare stasera!”
“Me mi metterete con quella biondina, quella Zireseta, Ziresèla,
“Scempio!” disse la contessa, voltando il viso ridente. “Vado da Lao.”
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Si fermò in fondo alla sala, sulla porta che mette allo scalone del primo piano.
“Finalmente!”
Una voce virile rispose:
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La contessa tacque un poco, si morse le labbra, soffocò un singulto.
“Niente, niente” rispose nervosamente, battendo le palpebre sugli occhi che luccicavano. “Non andrai mica via subito con questo tempo? Bravo, fammi un
Ella salí lo scalone e il suo interlocutore entrò in sala, mentre le signore tornavano dallo spettacolo del temporale ai canapè fronteggiantisi con le loro ali di sedie vuote, fra il biliardo e la porta di ponente. La baronessa Elena
“Grazie, sai, Daniele, che hai fatto tanta compagnia allo zio.”
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Cortis le strinse la mano, senza parlare. Elena lo guardò meglio, trasalí.
“Che
“Una cosa grave” rispose quegli.
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“Che fare di Tunisi? A noi non importa di Tunisi” disse il signor Checco Zirisèla, un patriota che non aveva soggezione di nessuno. “Non siamo mica in Sicilia, qua.”
“Evviva
E si allontanò.
“Lasciamolo andare, quel trombone” sussurrò il dottor Grigiolo. “Signor Cortis”
Daniele Cortis
“Niente” disse il dottor Picuti che incominciava sempre cosí le sue orazioni piú gravi “niente. Qui siamo tutti persuasi, ma siccome, giusto, La sa, si parla qualche volta con amici delle altre sezioni; io per esempio, La supponga, e qua il mio compare Zirisèla...”
“Appunto” disse Zirisèla, incoraggiando
“Colla cosa, dico, che noi due e anche altri qui del paese si va spesso, giusto, nelle altre sezioni, e dappertutto si sente questa musica
“Vogliono u programma” disse il barone alle signore con voce abbastanza prudente,
“Meglio cosí che tante facciate senza casa, che tanti programmi senza un uomo dentro” disse sua moglie vivacemente.
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“È friulano. Il signor Cortis è friulano.”
“Ma se lo so! Non volete che lo sappia? E che
La signora si morse le labbra. “Domando scusa”
Qui suo marito pensò bene di correre a mettere il naso sui vetri, gridando: “Oh Dio, guardate, guardate! Che sia Malcanton quello là?”
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“Sí, per bacco che è lui!... Malcanton, contessa; è qui Malcanton!”
“Oh Dio” gridò la contessa Tarquinia che rientrava allora in sala. “Io che me
“Eh, ma dimenticato del tutto” soggiunse. “Dio, che figura! Pare un topo annegato.”
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Ella aperse la porta, mise una vocina graziosa, porgendo il capo e ritirando la persona. “Presto, presto! Dentro, dentro!”
Il signor Malcanton entrò, si scosse come un can barbone, tenendo
“Oh Dio, poveretto, in che pena, in che pena sono stata! Poveretto, come siete rovinato! Che rimorsi! Presto, presto, di sopra, di sopra, un punch, subito!”
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“Fatto tutto, contessa, fatto tutto!” ripeteva il can barbone. “Fatto tutto. Parlato al signor Momi, alla signora Catina, inteso col dottore, impegnata la banda, telegrafato per i fuochi.”
“E imbarcata
“Grazie, grazie infinite; ma di sopra, adesso, di sopra!” insistè la contessa, ricacciandosi il riso nel petto. “Elena, vai su dallo zio? Ti prego allora, passando, questo punch.”
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“O laan o loon, io dico laven” replicò Malcanton. “Del resto sentiremo.”
La contessa Tarquinia aveva fatto venire un gioco di lawn-tennis, il primo della provincia. Nessuno sapeva adoperarlo e nemmanco si andava
“Intanto, con permesso” concluse Malcanton, e si avviò dietro la baronessa, mentre il senatore diceva con un tono singolare:
“Grandi cose, dunque, contessa Tarquinia! Un san Pietro colossale, quello
“Pur troppo” sussurrò Malcanton, compunto, alla sua compagna, cui ostentava di parlare molto familiarmente, come se fosse ancora la bambina di una volta. “Credi, Elena, che una lavata simile...”
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La giovane signora non gli badò, volò su per le scale, dimenticando il punch, ed entrò nel chiarore della grande sala vuota del secondo piano.
Udí le voci dei preti e del senatore salire, mezzo spente, dal pavimento, e la pioggia eguale venir giú a distesa, confermar con
Una cosa grave!
Appoggiò la fronte
Si rispose forte: “Avanti!”
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