Canti (Leopardi - Donati)/XXXII. Palinodia al marchese Gino Capponi: differenze tra le versioni

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{{Qualità|avz=100%|data=18 agostoo 2007|arg=Poesie}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=XXII<br />Palinodia<br />al Marchese Gino Capponi|prec=../Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima|succ=../Il tramonto della luna}}
 
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|CapitoloPrecedente=XXXI - Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima
|NomePaginaCapitoloPrecedente=../Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima
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<poem>
 
::''[[Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta)/Mai non vo' piú cantar com'io soleva|Il sempre sospirar nulla rileva.]]''
::<small>{{AutoreCitatoAc|Francesco Petrarca|PETRARCA}}</small>
 
Errai, candido Gino; assai gran tempo,
E di gran lunga errai. Misera e vana
Stimai la vita, e sovra l'altrel’altre insulsa
La stagion ch'orch’or si volge. Intolleranda
{{R|5}}Parve, e fu, la mia lingua alla beata
Prole mortal, se dir si dee mortale
L'uomoL’uomo, o si può. Fra maraviglia e sdegno,
Dall'EdenDall’Eden odorato in cui soggiorna,
Rise l'altal’alta progenie, e me negletto
{{R|10}}Disse, o mal venturoso, e di piaceri
O incapace o inesperto, il proprio fato
Creder comune, e del mio mal consorte
L'umanaL’umana specie. Alfin per entro il fumo
De'De’ sigari onorato, al romorio
{{R|15}}De'De’ crepitanti pasticcini, al grido
Militar, di gelati e di bevande
Ordinator, fra le percosse tazze
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{{R|20}}Delle gazzette. Riconobbi e vidi
La pubblica letizia, e le dolcezze
Del destino mortal. Vidi l'eccelsol’eccelso
Stato e il valor delle terrene cose,
E tutto fiori il corso umano, e vidi
{{R|25}}Come nulla quaggiù dispiace e dura.
Né men conobbi ancor gli studi e l'oprel’opre
Stupende, e il senno, e le virtudi, e l'altol’alto
Saver del secol mio. Né vidi meno
Da Marrocco al Catai, dall'Orsedall’Orse al Nilo,
{{R|30}}E da Boston a Goa, correr dell'almadell’alma
Felicità su l'ormel’orme a gara ansando
Regni, imperi e ducati; e già tenerla
O per le chiome fluttuanti, o certo
Per l'estremol’estremo del boa. Così vedendo,
{{R|35}}E meditando sovra i larghi fogli
Profondamente, del mio grave, antico
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{{R|45}}Popoli e climi stringeranno insieme:
Né maraviglia fia se pino o quercia
Suderà latte e mele, o s'ancos’anco al suono
D'unD’un walser danzerà. Tanto la possa
Infin qui de'de’ lambicchi e delle storte,
{{R|50}}E le macchine al cielo emulatrici
Crebbero, e tanto cresceranno al tempo
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Argento ed or disprezzerà, contenta
A polizze di cambio. E già dal caro
{{R|60}}Sangue de'de’ suoi non asterrà la mano
La generosa stirpe: anzi coverte
Fien di stragi l'Europal’Europa e l'altral’altra riva
Dell'atlanticoDell’atlantico mar, fresca nutrice
Di pura civiltà, sempre che spinga
{{R|65}}Contrarie in campo le fraterne schiere
Di pepe o di cannella o d'altrod’altro aroma
Fatal cagione, o di melate canne,
O cagion qual si sia ch'adch’ad auro torni.
Valor vero e virtù, modestia e fede
{{R|70}}E di giustizia amor, sempre in qualunque
Pubblico stato, alieni in tutto e lungi
Da'Da’ comuni negozi, ovvero in tutto
Sfortunati saranno, afflitti e vinti;
Perché diè lor natura, in ogni tempo
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{{R|80}}Qualunque nome. Questa legge in pria
Scrisser natura e il fato in adamante;
E co'co’ fulmini suoi Volta né Davy
Lei non cancellerà, non Anglia tutta
Con le macchine sue, né con un Gange
{{R|85}}Di politici scritti il secol novo.
Sempre il buono in tristezza, il vile in festa
Sempre e il ribaldo: incontro all'almeall’alme eccelse
In arme tutti congiurati i mondi
Fieno in perpetuo: al vero onor seguaci
{{R|90}}Calunnia, odio e livor: cibo de'de’ forti
Il debole, cultor de'de’ ricchi e servo
Il digiuno mendico, in ogni forma
Di comun reggimento, o presso o lungi
Sien l'eclittical’eclittica o i poli, eternamente
{{R|95}}Sarà, se al gener nostro il proprio albergo
E la face del dì non vengon meno.
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Queste lievi reliquie e questi segni
Delle passate età, forza è che impressi
Porti quella che sorge età dell'orodell’oro:
{{R|100}}Perché mille discordi e repugnanti
L'umanaL’umana compagnia principii e parti
Ha per natura; e por quegli odii in pace
Non valser gl'intellettigl’intelletti e le possanze
Degli uomini giammai, dal dì che nacque
{{R|105}}L'inclitaL’inclita schiatta, e non varrà, quantunque
Saggio sia né possente, al secol nostro
Patto alcuno o giornal. Ma nelle cose
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Di lor menstrua beltà gli appartamenti;
{{R|120}}E nove forme di paiuoli, e nove
Pentole ammirerà l'arsal’arsa cucina.
Da Parigi a Calais, di quivi a Londra,
Da Londra a Liverpool, rapido tanto
Sarà, quant'altriquant’altri immaginar non osa,
{{R|125}}Il cammino, anzi il volo: e sotto l'ampiel’ampie
Vie del Tamigi fia dischiuso il varco,
Opra ardita, immortal, ch'esserch’esser dischiuso
Dovea, già son molt'annimolt’anni. Illuminate
Meglio ch'orch’or son, benché sicure al pari,
{{R|130}}Nottetempo saran le vie men trite
Delle città sovrane, e talor forse
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{{R|135}}Fortunati color che mentre io scrivo
Miagolanti in su le braccia accoglie
La levatrice! a cui veder s'aspettas’aspetta
Quei sospirati dì, quando per lunghi
Studi fia noto, e imprenderà col latte
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Di possente vapore, a milioni
Impresse in un secondo, il piano e il poggio,
E credo anco del mar gl'immensigl’immensi tratti,
Come d'aereed’aeree gru stuol che repente
{{R|150}}Alle late campagne il giorno involi,
Copriran le gazzette, anima e vita
Dell'universoDell’universo, e di savere a questa
Ed alle età venture unica fonte!
 
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{{R|160}}Per novo lavorio son di mestieri;
Così natura ogni opra sua, quantunque
D'altoD’alto artificio a contemplar, non prima
Vede perfetta, ch'ach’a disfarla imprende,
Le parti sciolte dispensando altrove.
{{R|165}}E indarno a preservar se stesso ed altro
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Eternamente, il mortal seme accorre
Mille virtudi oprando in mille guise
Con dotta man: che, d'ognid’ogni sforzo in onta,
{{R|170}}La natura crudel, fanciullo invitto,
Il suo capriccio adempie, e senza posa
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Ostil, distruggitrice, e dentro il fere
E di fuor da ogni lato, assidua, intenta
Dal dì che nasce; e l'affatical’affatica e stanca,
{{R|180}}Essa indefatigata; insin ch'eich’ei giace
Alfin dall'empiadall’empia madre oppresso e spento.
Queste, o spirto gentil, miserie estreme
Dello stato mortal; vecchiezza e morte,
Ch'hanCh’han principio d'allord’allor che il labbro infante
{{R|185}}Preme il tenero sen che vita instilla;
Emendar, mi cred'iocred’io, non può la lieta
Nonadecima età più che potesse
La decima o la nona, e non potranno
Più di questa giammai l'etàl’età future.
{{R|190}}Però, se nominar lice talvolta
Con proprio nome il ver, non altro in somma
Fuor che infelice, in qualsivoglia tempo,
E non pur ne'ne’ civili ordini e modi,
Ma della vita in tutte l'altrel’altre parti,
{{R|195}}Per essenza insanabile, e per legge
Universal, che terra e cielo abbraccia,
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Spirti del secol mio: che, non potendo
{{R|200}}Felice in terra far persona alcuna,
L'uomoL’uomo obbliando, a ricercar si diero
Una comun felicitade; e quella
Trovata agevolmente, essi di molti
Line 225 ⟶ 220:
 
Oh menti, oh senno, oh sovrumano acume
Dell'etàDell’età ch'orch’or si volge! E che sicuro
{{R|210}}Filosofar, che sapienza, o Gino,
In più sublimi ancora e più riposti
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{{R|215}}Oggi, e domani abbatterà, per girne
Raccozzando i rottami, e per riporlo
Tra il fumo degl'incensidegl’incensi il dì vegnente!
Quanto estimar si dee, che fede inspira
Del secol che si volge, anzi dell'annodell’anno,
{{R|220}}Il concorde sentir! con quanta cura
Convienci a quel dell'annodell’anno, al qual difforme
Fia quel dell'altrodell’altro appresso, il sentir nostro
Comparando, fuggir che mai d'und’un punto
Non sien diversi! E di che tratto innanzi,
{{R|225}}Se al moderno si opponga il tempo antico,
Filosofando il saper nostro è scorso!
Un già de'de’ tuoi, lodato Gino; un franco
Di poetar maestro, anzi di tutte
Scienze ed arti e facoltadi umane,
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Non cercar dentro te. Canta i bisogni
Del secol nostro, e la matura speme.
Memorande sentenze! ond'ioond’io solenni
{{R|240}}Le risa alzai quando sonava il nome
Della speranza al mio profano orecchio
Line 262 ⟶ 257:
Or torno addietro, ed al passato un corso
{{R|245}}Contrario imprendo, per non dubbi esempi
Chiaro oggimai ch'alch’al secol proprio vuolsi,
Non contraddir, non repugnar, se lode
Cerchi e fama appo lui, ma fedelmente
Adulando ubbidir: così per breve
{{R|250}}Ed agiato cammin vassi alle stelle.
Ond'ioOnd’io, degli astri desioso, al canto
Del secolo i bisogni omai non penso
Materia far; che a quelli, ognor crescendo,
Line 275 ⟶ 270:
Già concedon gli Dei; già, della nova
Felicità principio, ostenta il labbro
De'De’ giovani, e la guancia, enorme il pelo.
 
{{R|260}}O salve, o segno salutare, o prima
Luce della famosa età che sorge.
Mira dinanzi a te come s'allegras’allegra
La terra e il ciel, come sfavilla il guardo
Delle donzelle, e per conviti e feste
{{R|265}}Qual de'de’ barbati eroi fama già vola.
Cresci, cresci alla patria, o maschia certo
Moderna prole. All'ombraAll’ombra de'de’ tuoi velli
Italia crescerà, crescerà tutta
Dalle foci del Tago all'Ellespontoall’Ellesponto
{{R|270}}Europa, e il mondo poserà sicuro.
E tu comincia a salutar col riso
Gl'ispidiGl’ispidi genitori, o prole infante,
Eletta agli aurei dì: né ti spauri
L'innocuoL’innocuo nereggiar de'de’ cari aspetti.
{{R|275}}Ridi, o tenera prole: a te serbato
È di cotanto favellare il frutto;
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[[es:Palinodia. Al marqués Gino Capponi]]