Canti (Leopardi - Donati)/III. Ad Angelo Mai: differenze tra le versioni

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{{Qualità|avz=100%|data=26 marzo 2007|arg=poesie}}
{{IncludiIntestazione|sottotitolo=III<br />Ad Angelo Mai<br />quand'ebbe trovato i libri di Cicerone della Repubblica|prec=../Sopra il monumento di Dante che si preparava a Firenze|succ=../Nelle nozze della sorella Paolina}}
 
{{capitolo
|CapitoloPrecedente=II - Sopra il monumento di Dante che si preparava a Firenze
|NomePaginaCapitoloPrecedente=../Sopra il monumento di Dante che si preparava a Firenze
|CapitoloSuccessivo=IV - Nelle nozze della sorella Paolina
|NomePaginaCapitoloSuccessivo=../Nelle nozze della sorella Paolina
}}
<poem>
Italo ardito, a che giammai non posi
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A questo secol morto, al quale incombe
{{R|5}}Tanta nebbia di tedio? E come or vieni
Sì forte a'a’ nostri orecchi e sì frequente,
Voce antica de'de’ nostri,
Muta sì lunga etade? e perché tanti
Risorgimenti? In un balen feconde
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I polverosi chiostri
Serbaro occulti i generosi e santi
Detti degli avi. E che valor t'infondet’infonde,
Italo egregio, il fato? O con l'umanol’umano
{{R|15}}Valor forse contrasta il fato invano?
 
Certo senza de'de’ numi alto consiglio
Non è ch'ovech’ove più lento
E grave è il nostro disperato obblio,
A percoter ne rieda ogni momento
{{R|20}}Novo grido de'de’ padri. Ancora è pio
Dunque all'Italiaall’Italia il cielo; anco si cura
Di noi qualche immortale:
Ch'essendoCh’essendo questa o nessun'altranessun’altra poi
L'oraL’ora da ripor mano alla virtude
{{R|25}}Rugginosa dell'italadell’itala natura,
Veggiam che tanto e tale
È il clamor de'de’ sepolti, e che gli eroi
Dimenticati il suol quasi dischiude,
A ricercar s'as’a questa età sì tarda
{{R|30}}Anco ti giovi, o patria, esser codarda.
 
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Conoscer non si toglie. Io son distrutto
{{R|35}}Né schermo alcuno ho dal dolor, che scuro
M'èM’è l'avvenirel’avvenire, e tutto quanto io scerno
È tal che sogno e fola
Fa parer la speranza. Anime prodi,
Ai tetti vostri inonorata, immonda
{{R|40}}Plebe successe; al vostro sangue è scherno
E d'oprad’opra e di parola
Ogni valor; di vostre eterne lodi
Né rossor più né invidia; ozio circonda
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Bennato ingegno, or quando altrui non cale
De'De’ nostri alti parenti,
A te ne caglia, a te cui fato aspira
Benigno sì che per tua man presenti
{{R|50}}Paion que'que’ giorni allor che dalla dira
Obblivione antica ergean la chioma,
Con gli studi sepolti,
I vetusti divini, a cui natura
Parlò senza svelarsi, onde i riposi
{{R|55}}Magnanimi allegràr d'Atened’Atene e Roma.
Oh tempi, oh tempi avvolti
In sonno eterno! Allora anco immatura
La ruina d'Italiad’Italia, anco sdegnosi
Eravam d'oziod’ozio turpe, e l'aural’aura a volo
{{R|60}}Più faville rapia da questo suolo.
 
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Non domito nemico
Della fortuna, al cui sdegno e dolore
Fu più l'avernol’averno che la terra amico.
{{R|65}}L'avernoL’averno: e qual non è parte migliore
Di questa nostra? E le tue dolci corde
Susurravano ancora
Dal tocco di tua destra, o sfortunato
Amante. Ahi dal dolor comincia e nasce
{{R|70}}L'italoL’italo canto. E pur men grava e morde
Il mal che n'addoloran’addolora
Del tedio che n'affogan’affoga. Oh te beato,
A cui fu vita il pianto! A noi le fasce
Cinse il fastidio; a noi presso la culla
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Ma tua vita era allor con gli astri e il mare,
Ligure ardita prole,
Quand'oltreQuand’oltre alle colonne, ed oltre ai liti
Cui strider l'ondel’onde all'attuffarall’attuffar del sole
{{R|80}}Parve udir su la sera, agl'infinitiagl’infiniti
Flutti commesso, ritrovasti il raggio
Del Sol caduto, e il giorno
Che nasce allor ch'aich’ai nostri è giunto al fondo;
E rotto di natura ogni contrasto,
{{R|85}}Ignota immensa terra al tuo viaggio
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Ai rischi. Ahi ahi, ma conosciuto il mondo
Non cresce, anzi si scema, e assai più vasto
L'etraL’etra sonante e l'almal’alma terra e il mare
{{R|90}}Al fanciullin, che non al saggio, appare.
 
Nostri sogni leggiadri ove son giti
Dell'ignotoDell’ignoto ricetto
D'ignotiD’ignoti abitatori, o del diurno
Degli astri albergo, e del rimoto letto
{{R|95}}Della giovane Aurora, e del notturno
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{{§|Breve carta|E figurato è il mondo in breve carta}};
Ecco tutto è simile, e discoprendo,
{{R|100}}Solo il nulla s'accresces’accresce. A noi ti vieta
Il vero appena è giunto,
O caro immaginar; da te s'appartas’apparta
Nostra mente in eterno; allo stupendo
Poter tuo primo ne sottraggon gli anni;
{{R|105}}E il conforto perì de'de’ nostri affanni.
 
Nascevi ai dolci sogni intanto, e il primo
Sole splendeati in vista,
{{AutoreCitatoAc|Ludovico Ariosto|Cantor vago dell'arme e degli amori}},
Che in età della nostra assai men trista
{{R|110}}Empièr la vita di felici errori:
Nova speme d'Italiad’Italia. O torri, o celle,
O donne, o cavalieri,
O giardini, o palagi! a voi pensando,
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{{R|115}}La mente mia. Di vanità, di belle
Fole e strani pensieri
Si componea l'umanal’umana vita: in bando
Li cacciammo: or che resta? or poi che il verde
È spogliato alle cose? Il certo e solo
{{R|120}}Veder che tutto è vano altro che il duolo.
 
O {{AutoreCitatoAc|Torquato Tasso|Torquato}}, o Torquato, a noi l'eccelsal’eccelsa
Tua mente allora, il pianto
A te, non altro, preparava il cielo.
Oh misero Torquato! il dolce canto
{{R|125}}Non valse a consolarti o a sciorre il gelo
Onde l'almal’alma t'aveant’avean, ch'erach’era sì calda,
Cinta l'odiol’odio e l'immondol’immondo
Livor privato e de'de’ tiranni. Amore,
Amor, di nostra vita ultimo inganno,
{{R|130}}T'abbandonavaT’abbandonava. Ombra reale e salda
Ti parve il nulla, e il mondo
Inabitata piaggia. Al tardo onore
Non sorser gli occhi tuoi; mercè, non danno,
L'oraL’ora estrema ti fu. Morte domanda
{{R|135}}Chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda.
 
Torna torna fra noi, sorgi dal muto
E sconsolato avello,
Se d'angosciad’angoscia sei vago, o miserando
Esemplo di sciagura. Assai da quello
{{R|140}}Che ti parve sì mesto e sì nefando,
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Né livor più, ma ben di lui più dura
La noncuranza avviene ai sommi? o quale,
Se più de'de’ carmi, il computar s'ascoltas’ascolta,
{{R|150}}Ti appresterebbe il lauro un'altraun’altra volta?
 
Da te fino a quest'oraquest’ora uom non è sorto,
O sventurato ingegno,
Pari all'italoall’italo nome, altro ch'unch’un solo,
Solo di sua codarda etate indegno
{{R|155}}{{AutoreCitatoAc|Vittorio Alfieri|Allobrogo feroce}}, a cui dal polo
Maschia virtù, non già da questa mia
Stanca ed arida terra,
Venne nel petto; onde privato, inerme,
(Memorando ardimento) in su la scena
{{R|160}}Mosse guerra a'a’ tiranni: almen si dia
Questa misera guerra
E questo vano campo all'ireall’ire inferme
Del mondo. Ei primo e sol dentro all'arenaall’arena
Scese, e nullo il seguì, che l'oziol’ozio e il brutto
{{R|165}}Silenzio or preme ai nostri innanzi a tutto.
 
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Segui; risveglia i morti,
Poi che dormono i vivi; arma le spente
Lingue de'de’ prischi eroi; tanto che in fine
Questo secol di fango o vita agogni
{{R|180}}E sorga ad atti illustri, o si vergogni.
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