Brani di vita/Libro primo/Piccolo Comento al Canto V del Purgatorio: differenze tra le versioni
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Il Poeta, lasciato il luogo dove purgano le peccata loro i negligenti e i pigri che indugiarono a pentirsi fino all'ultima ora, lasciato l'accidioso Belacqua che oggi si manderebbe al Manicomio e non al Purgatorio, come demente abulico e degenerato, seguita a salire l'antipurgatorio e incontra le ombre di coloro che, sorpresi da morte violenta, poterono, prima di spirare, pentirsi perdonando. Le ombre si maravigliano che il Poeta non sia permeabile ai raggi, rotti, come apparivano, dal corpo suo.▼
▲Il Poeta, lasciato il luogo dove purgano le peccata loro i negligenti e i pigri che indugiarono a pentirsi fino
::Io era già da
:::E seguitava
:::Quando, diretro a me, drizzando il dito,
::Una gridò:
:::Lo raggio da sinistra a quel disotto
:::E come vivo par che si conduca.
::Gli occhi rivolsi al suon di questo motto
:::E vidile guardai per maraviglia
:::Pur me, pur me e
Le ombre si maravigliavano dunque solo della saldezza corporea del Poeta. I raggi attraversavano dunque {{
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ma non dice così di Virgilio. Questo dunque era ''ombra vana fuor che
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E ancora, sapete che il Poeta più indietro tentò inutilmente di abbracciare
::O ombre vane fuor che
:::Tre volte dietro a lei le mani avvinsi
:::E tante mi tornai con esse al petto.
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::.... tu
E Stazio si scusa
:::.... nostra vanitate,
:::Trattando
O come dunque nel decimoquinto
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O come mai, nel trentesimosecondo
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Insomma queste ombre che sono ora tangibili ed ora no, che cosa sono veramente?
Una ingegnosa ipotesi vorrebbe che le anime dotate di una tal quale saldezza
::Noi passavam su per
:::La greve pioggia e ponevam le piante
:::sopra lor vanità che par persona:
e si noti la corrispondenza persino verbale di questa vanità
Come si concilia dunque la palmare contraddizione di questi due concetti sulla essenza vera delle ombre?
Io direi che non si concilia perchè altro è il poema scaturito dalla fantasia libera, altro il trattato di calcolo in cui debbono essere esatte anche le frazioni infinitesime.
Comunque sia di tutto questo, il Poeta che, viaggiatore curioso ed intelligente, si fermava o rallentava il passo per vedere o per ascoltare, è rimbrottato secondo il solito dal Maestro, il quale voleva far presto a compiere la sua missione:
::Perchè
:::Disse il Maestro, che
:::Che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
::Vien dietro me e lascia dir le genti:
:::Sta come torre ferma che non crolla
:::Giammai la cima per soffiar
::Che sempre
:::Sovra pensier, da sè dilunga il segno
:::Perchè la foga
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E non è da notare qui altro che alcuni comentatori, Benvenuto da Imola per es., attribuiscono a questo passo un senso recondito di allegoria morale, poichè Virgilio redarguirebbe qui Dante di vanità e lo inciterebbe a maggior modestia, il che mi par troppo voler cercare sensi riposti dove facilmente non ce ne sono. Il terzetto della ''torre che non crolla'' è diventato oramai uno di quei luoghi comuni per indicare la fortezza e la costanza, che non occorre insisterci, se non per ricordare che le alte torri, percosse da un vento forte, trepidano, oscillano e crollano il capo in modo misurabile e misurato dagli strumenti. Ma questo al tempo di Dante non si sapeva.
E il poeta, docile
::Che poteva io più dir se non —
:::Dissilo, alquanto del color cosperso
:::Che fa
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''Miserere!'' Questa parola e questa idea pervadono tutto il Purgatorio. Benchè il concetto di un luogo di attesa dove si scontino le pene dei peccati seguiti da pentimento sia nato tardi nel cattolicismo, poichè S. Agostino e molti dei primi Padri non ne parlano, pure Dante
Di qui il desiderio nelle ombre penanti di farsi conoscere come accade di rado
Ma le ombre
::Quando
:::Per lo mio corpo al trapassar dei raggi,
:::Mutar lo canto in un O lungo e roco.
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::E
:::E ritrarre a color che vi mandaro
:::Che
::Se per veder la sua ombra ristaro,
:::
:::Facciangli onore ed esser può lor caro.
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::Vapori accesi non
:::Di prima notte mai fender sereno
:::Nè sol calando nuvole
::Che color non tornasser suso in meno,
:::E giunti là, con gli altri, a noi dier volta
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Questo terzetto dei ''vapori accesi'', veramente un
Non è qui luogo da sottili disquisizioni. A noi basti che, se la lezione è intricata, il senso, quel che più importa, è chiarissimo, ed è che i messaggeri tornarono ai loro con una rapidità così fulminea, con una istantaneità così maravigliosa, che il Poeta se ne sorprese.
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::Guarda se alcun di noi unqua vedesti,
:::Sì che di lui di là novelle porti.
:::Deh, perchè vai: Deh, perchè non
::Noi fummo tutti già per forza morti
:::E peccatori infino
:::Quivi lume del ciel ne fece accorti
::Sì che pentendo e perdonando, fuora
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ci affligge cioè col desiderio vano di poterlo vedere.
E in questi versi è esattamente stabilito tutto quel che riguarda questi penitenti. Prima che siano stati uccisi — ''per forza morti'' — poi che abbiano avuto il tempo di pentirsi e perdonare nell'''
E Dante segue:
:::.... Perchè
:::Non riconosco alcun....
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e se è controverso che fosse a Campaldino, come afferma Leonardo Aretino, vide certo, e lo dice lui, quelle scorribande e quelle ''gualdane'', che erano vere e proprie ''razzie'', come ora si fanno dagli eserciti della ''Kultur''.
E poi la controversia della presenza di Dante a Campaldino non può essere risoluta se non si trovano documenti nuovi, il che è difficile. Il compianto Bartoli negava, perchè Dante non dice nulla di un fatto che pure doveva avere per lui così grande importanza; e
Il Poeta però non riconobbe nessuna delle ombre accorse:
:::Non riconosco alcun, ma
:::Cosa
::Voi dite ed io il farò per quella pace
:::Che dietro
:::Di mondo in mondo cercar mi si face.
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purchè il non potere non si opponga al tuo buon volere; e questo ''nonpossa'' sostantivato sta a riscontro del ''cosa
::
:::Ti prego, se mai vedi quel paese
:::Che siede tra Romagna e quel di Carlo
(cioè la Marca, che sta appunto tra la Romagna e la Puglia, signoreggiata da Carlo
::Che tu mi sie
:::In Fano sì, che ben per me
:::
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::Quindi fui io (cioè di Fano) ma gli profondi fori
:::
:::Fatti mi furo in grembo agli Antenori,
::Là
:::Quel da Esti il
:::Assai più là che il dritto non volea.
::Ma
:::
:::Ancor sarei di là dove si spira.
::Corsi al padule e le cannucce e
:::
:::Delle mie vene farsi in terra laco.
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La migliore, od almeno la più particolareggiata illustrazione a questo passo, ci è data dal comentatore Cassinese, il quale pare che di questi fatti fosse minutamente informato. Traduco il suo barbaro latino:
"È da sapere che il Marchese Azzo da Este, signore di Ferrara, tentava con ogni suo potere di insignorirsi di Bologna ed aveva in quella città molti trattati. Il popolo bolognese, considerato ciò elesse per suo Podestà Jacopo del Cassero da Fano il quale, entrato in ufficio, fece prendere molti amici del detto Marchese, cittadini bolognesi che erano entrati in questi trattati e alcuni ne bandì, altri ne fece decapitare, usando sempre parole ingiuriose e grosse contro il detto Azzo: e diceva specialmente che aveva commercio colla matrigna, che era figlio di una lavandaia ed altre cose di obbrobrio. Perciò sempre di poi, il detto Marchese, cercò di farlo assassinare. Finalmente essendo Jacopo eletto da Maffeo Visconti signor di Milano come Podestà della città stessa ed avendo egli accettato, per andare al detto ufficio, partì da Fano e andò per mare sino a Venezia. Di là, volendo andare a Padova, fu ucciso dagli assassini presso una certa villa che si chiama Oriaco, nel distretto di Padova, e il testo dice come fu morto, poichè Marcone da Mestre, del contado di Treviso, lo assassinò e con un roncone gli tagliò la coscia
Resta dunque che Jacopo, durante il suo ufficio di Bologna aveva offeso il Marchese, e che questo ''
A quei tempi il canal di Brenta, che era allora un ramo principale del fiume e sboccava a Fusina, impaludava a sinistra; e
Segue
::Poi disse un altro: Deh, se quel disìo
:::Si compia che ti tragge
:::Con buona pïetade aiuta il mio.
::Io fui di Montefeltro: io son Buonconte.
:::Giovanna e gli altri non han di me cura,
:::
Prima una osservazione di prosodia. Qui Dante fa ''pietade'' di quattro sillabe. Altrove, come nel V
:::
ricordo a quelli che cercano troppo minutamente nel Poema la impeccabilità fino nei minimi particolari e a quelli che nei versi danno la caccia alle dieresi senza badare al contenuto. Dante, e colla saldezza delle ombre e
Giovanna fu la moglie di Buonconte e pare che dimenticasse troppo presto il marito, tanto che questi versi suonano per lei come duro rimprovero.
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:::Ti traviò si fuor di Campaldino
:::Che non si seppe mai tua sepoltura?
::Oh,
:::Traversa
:::Che sopra
::Là dove il nome suo diventa vano
:::
:::Fuggendo a piede e insanguinando il piano.
::Quivi perdei la vista e la parola
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La rotta dei Ghibellini a Certomondo fu sanguinosa, e di Buonconte, uno dei capi, non si trovò nemmeno il cadavere.
Se, come par vero, dopo la battaglia si scatenò un temporale e
E segue:
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::Io dirò il vero e tu il ridì tra i vivi.
:::
:::Gridava: o tu, dal ciel, perchè mi privi
::Tu te ne porti di costui
:::Per una lagrimetta che
:::Ma io farò
::Ben sai come
:::
:::Tosto che sale dove il freddo il coglie.
::Giunto quel mal voler, che pur mal chiede,
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:::La pioggia cadde ed ai fossati venne
:::Di lei ciò che la terra non sofferse.
::E come
:::Vêr lo fiume real tanto veloce
:::Si ruinò, che nulla la ritenne.
::Lo corpo mio gelato in su la foce
:::Trovo
:::
::
:::Voltommi per le ripe e per lo fondo
:::Poi di sua preda mi coverse e cinse.
Versi troppo chiari e di evidenza tale che non abbisognerebbero di chiose. Per chi scende dalla Falterona e segue
:::....................a te fia bello
:::
E consentitemi la gioia di un ricordo. Il ricordo di un sereno meriggio, saettato dal sole, goduto appunto sulla foce
Ed eccoci alla Pia, a questa figura velata da un mistero ancora impenetrato, che canta in tono minore quel lamento che
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:::Siena mi fe, disfecemi Maremma:
:::Salsi colui che inanellata pria
::Disposando
Versi di una musicalità commossa che ci mostrano come il poeta sapesse adattare
Infatti quel che Dante ne dice è ben lungi dal soddisfare la nostra curiosità. Non ne dice il cognome, tace il nome del marito. Il ''salsi colui'', sembra notare che solo il marito seppe il modo e il perchè della morte e che nemmeno il Poeta lo conobbe bene.
Resta solo che nacque a Siena e morì in Maremma,
E come morì questa Pia? Il Poeta non dice altro che morì in Maremma. La tradizione nei comentatori è anche qui discorde. Chi la volle gettata da un balcone, chi disse semplicemente uccisa. Che, reclusa in un castello in Maremma, vi fosse lasciata morire di febbri, è ipotesi non sostenibile. Sarebbero morti anche i guardiani e poi la morte non sarebbe stata così violenta come è suggerito dalla economia di questo canto. Gettata dal balcone, nello spazio di un secondo o due, avrebbe potuto pentirsi e perdonare? Non sembra. La ipotesi più verosimile è che nel concetto dantesco la morte fosse cruenta, che ella potesse vedere scorrere il suo sangue come gli altri due di sopra, ed avesse perciò avuto il tempo di ravvedersi e riconciliarsi con Dio.
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E perchè fu uccisa? Per gelosia, dicono alcuni; perchè Nello voleva sbarazzarsene per sposare una contessa Margherita. Chi sa il vero?
Il fatto è che i più vecchi comentatori ammettendo la ragione della gelosia, dicono, come l'''Ottimo'', che Nello la fece uccidere, "''per alcuni falli che trovò in lei''". Benvenuto dice "''a causa di qualche sospetto che ebbe di essa''". Un altro narra che "''avendo costei fama e nome di esser donna vana ed essendone molto geloso, deliberò di ucciderla di nascosto, e così fece. Perchè avendo lo stesso Messer Nello ricevuto una volta un ufficio della città di Siena in Maremma, egli stesso fece andare a lui la Pia così di nascosto che nessuno
Frate Giovanni da Serravalle che, come frate e come vescovo, poteva avere buoni informatori, anche sulle leggende, dice che il marito la fece uccidere per gelosia, avendo visto un servo usare con lei un atto sconcio, e un altro frate e vescovo anche lui, il Randello, ne trasse una sconcia novella.
Risulta da questo che, per analogia, nella mente di Dante doveva essere che la Pia fosse stata uccisa per ferro, come gli altri, che
Ma risulta anche che nella mente di Dante la Pia aveva peccato, e donna e moglie, non è difficile indovinare di che fosse stimata rea. Aveva peccato perchè, sebbene pentita, la mette in Purgatorio tra i peccatori che si accusano di ''gravi colpe'' e non in Paradiso dove, se
Il mistero che copre la Pia — la storia della quale dovette esser pur celebre allora, se Dante le trovò luogo nel poema sacro — fece persino sospettare che essa non fosse che un simbolo, come Matelda o Lia, ma è troppo evidente che il poeta fa parlare qui una peccatrice che fu viva e vera e non simbolo; ma questo mistero attrasse il sensibilismo romantico e ne vennero il poema del Sestini, la tragedia del Marenco seniore, e quadri, e statue, e romanzi, e novelle, ed operette popolari, le quali la celebrano come sposa purissima e di beltà maravigliosa, e del marito fanno un mostro orribile e feroce. Ahi, no! Dante la stimò peccatrice e di lei non si sa nulla di sicuro. Conclusione non pessimista, ma interpretativa dei versi squisitamente dolenti che la riguardano. Con che accenti di pietà non fa il Poeta parlare Francesca? Ma tuttavia la condanna pel suo peccato, come condanna qui questa enigmatica Pia, perchè sembra che quasi lo faccia compiangendo e a malincuore.
Questo Canto insanguinato, questo Canto degli ammazzati, che comincia colla strage di Jacopo del Cassero, scannato come una fiera inseguita dai cani e dai cacciatori fino tra ''le cannucce e il braco''; che seguita con Buonconte, morto invocando Maria e facendo croce delle braccia, strappato al demonio per generosa pietà del Poeta che lo ebbe avversario; finisce poi col fioco lamento della peccatrice pentita e riconciliata con Dio.
:::''La ruina che nel fianco''
:::''Di qua da Trento
oltre
:::''Si
da per tutto dove la libertà non è delitto, e il culto della lingua materna non apre le porte del carcere o non caccia per le vie
====Voci correlate====
* [[Divina Commedia/Purgatorio/Canto V|Canto V del Purgatorio]]
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