Brani di vita/Libro primo/In memoria di Emilio Zola: differenze tra le versioni

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I bocci del ''Germinal'' matureranno il frutto e le generazioni passeranno dimenticando. Ma se l'artel’arte di {{AutoreCitatoAc|Émile Zola|Emilio Zola}}, che a noi parve così vivo e sincero specchio della vita contemporanea, rimanesse soltanto ricordo e studio di futuri eruditi, non sarà però dimenticata l'operal’opera generosa del cittadino nel processo Dreyfus, finchè la sete della giustizia e della verità, sia il tormento sacro delle anime non vili.
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I bocci del ''Germinal'' matureranno il frutto e le generazioni passeranno dimenticando. Ma se l'arte di {{AutoreCitato|Émile Zola|Emilio Zola}}, che a noi parve così vivo e sincero specchio della vita contemporanea, rimanesse soltanto ricordo e studio di futuri eruditi, non sarà però dimenticata l'opera generosa del cittadino nel processo Dreyfus, finchè la sete della giustizia e della verità, sia il tormento sacro delle anime non vili.
Quando egli ebbe vinto la sua battaglia e sotto il suo terribile ''j'accusej’accuse'' ebber curvato il capo i più possenti artefici della menzogna, la calunnia accorse alla riscossa. Di che accusarlo? Di venalità? Ma egli era ricco! Di cercare una malsana celebrità? Ma il suo nome era illustre fino nei più remoti angoli del mondo! La sua vita e quella de'de’ suoi era illibata. Da che parte dunque ferirlo?
Si frugò nei segreti archivi e si fabbricò una lettera di un colonnello Combes che accusava il padre del romanziere e lo accusava di peculato. Calunnia iniqua ed ingenerosa perchè, se anche l'accusal’accusa avesse risposto alla verità, di che era colpevole il figlio?
Ma il figlio non si quetò e volle vedere in faccia l'accusal’accusa. Ottenne a gran fatica di poter guardare le carte accusatrici, ma il disordine loro, le tracce di recenti manomissioni accrebbero in lui il dubbio. Il colonnello Henry, che aveva falsificato i documenti del processo Dreyfus, s'eras’era fatta giustizia segandosi la gola col rasoio. Il falso era dunque probabile: ma come provarlo senza termini di confronto? E il confronto con altre scritture del Combes era negato dagli archivi militari. Bisognava cercar altrove.
Nel gennaio del 1900 una persona che mi onoro di conoscere, mi scrisse: il Combes era colonnello nel corpo di spedizione francese che occupò Ancona nel 1832. Forse in quegli Archivi potrebbe trovarsi il documento di confronto; ma la ricerca deve essere prudente. Non si sa mai!
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Ancona, così lieta di sole nei bei giorni di estate, in quella notte era veramente orribile. Il vento gelato aveva raffiche di neve e il mare mugolava lontano. Il presagio era triste e dormii male.
Al mattino, appena aperti gli uffici pubblici, imbastita una povera favola di ricerche a proposito di una eredità, ottenni il permesso di frugare negli archivi e mi piace di ricordare che dappertutto fui accolto ed aiutato colla miglior cortesia. Così gli enormi mazzi di carte del 1832, scossi dal lungo sonno e dalla antica polvere, mi passarono sotto gli occhi e li sfogliai ad uno ad uno con ansia febbrile. Ma pareva che una maligna fata mi schernisse e quando credevo di aver afferrato il filo, ecco il filo mi si rompeva in mano. Trovai i ruoli delle paghe e c'erac’era il Combes, ma i ruoli erano in copia e non in originale. La corrispondenza col municipio era tenuta dal generale, le domande pel casermaggio dagli ufficiali d'Intendenzad’Intendenza e il colonnello che, si vede, si restringeva al governo del suo reggimento, non appariva mai. Che lunghe ore passai nell'Archivionell’Archivio municipale e nelle soffitte del palazzo di Giustizia sempre sperando di trovare quella firma cercata! Mi dicevo sempre: sarà più qua: e le carte mi sfilavano ad una ad una sotto gli occhi, ingiallite come cose morte, e sempre nulla!
Pur troppo le assidue ricerche furono vane e del Combes non trovai un segno. Dovetti andarmene colla dolorosa certezza di aver fatto opera inutile. Ed io che avevo già pronto il fotografo per riprodurre il documento!
Telegrafai l'insuccessol’insuccesso a Parigi e ripartii sconfortato, quando, alcuni giorni dopo, ricevetti una buona lettera da Emilio Zola, lettera che tengo carissima, ma che non riproduco perchè ai ringraziamenti, forse meritati, sono aggiunti alcuni elogi, certo immeritati, che, ai lettori i quali li vedessero a stampa e pubblicati da me, potrebbero parere segno di piccola vanagloria.
Ho qui, aperta sul tavolo, questa lettera per me carissima e nella sua calligrafia diritta, chiara e robusta mi sembra di vedere impresso il carattere dell'uomodell’uomo così energico e perseverante nella ricerca dell'artedell’arte e della verità. C'èC’è l'uomol’uomo che ha conquistato libro per libro il nome e la gloria, vincendo le ripugnanze del suo paese, riducendo al silenzio gli stessi negatori della luce, sia in uniforme, sia in sottana. C'èC’è l'uomol’uomo forte che tollerò serenamente la passione del processo, la stoltezza della condanna, l'amaritudinel’amaritudine dell'esiliodell’esilio. C'èC’è l'uomol’uomo, anzi il galantuomo, che cercò con imperturbabile tenacia la verità nell'artenell’arte e la giustizia nella società. C'èC’è tutto Emilio Zola che ebbe almeno l'altol’alto, l'invidiabilel’invidiabile onore di esser respinto come un reprobo dalla Chiesa e dall'Accademiadall’Accademia!
E la mano che scrisse, ora è fredda! Non taceranno le ire sopra la tomba, ma se il mondo dovesse dimenticare l'artistal’artista, la storia ricorderà il generoso!
 
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