Brani di vita/Libro primo/Castel Debole: differenze tra le versioni
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Non lo invento io.
Castel Debole non è ora che un povero casale sul Reno, tra Borgo Panigale e Casalecchio, cioè tra la prima e la seconda stazione della ferrovia Bologna-Firenze; ma una volta, quando si chiamava Castel Forte, era una rocca inespugnabile che dominava un guado importante del fiume, pochi chilometri al ponente di Bologna. Ed ecco la sua leggenda, che non ha nulla
Verso il mille (le date sono incertissime) Castel Forte era di Maghinardo, o Manardo, figlio di Ugolino da Tizzano. Non so da quanto tempo la famiglia da Tizzano possedesse quel feudo; ma pare che non fosse da molto. A ogni modo, quando Ugolino morì, Manardo era appena ventenne, e la morte del padre, seguìta pochi giorni dopo quella della madre e di Bertrada sua zia paterna, lo afflisse per modo che voleva farsi monaco
Berta, castellana di Malfolle e parente dei conti da Panico, era vedova con una figlia chiamata Ilda nella leggenda; ma il nome è probabilmente sfigurato, essendo più comune allora quello di Elda. Comunque sia, fu dopo un colloquio con Azzo da Panico che ella si decise a recarsi in pellegrinaggio
Quel che segue è detto in poche righe nella leggenda; ma siccome è facile immaginare i particolari, eccoli qui.
La madre era molto astuta e la figlia molto bella. Su questo, come vedrete, non può cader dubbio; ma benchè non sia difficile capire qual fosse il piano combinato tra Azzo da Panico e Berta da Malfolle per far andare a male la vocazione di Manardo, è curioso il modo con cui
Da Panico a Castel Forte, anche con le stradacce
Furono servite di rinfreschi nella più bella sala del castello.
Tutto il lusso possibile a
La graziosa figura
Quella viva incarnazione
Berta tentava di tener vivo il discorso, ma si facevano dei lunghi silenzi, durante i quali il giovane moveva le labbra, pregava.
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A sera fu peggio.
I caldi tramonti di luglio non sono fatti per le meditazioni ascetiche. Il sole che discende rosso dietro ai piani modenesi, saetta i raggi orizzontali sui colli dalle forme curve, quasi muliebri, li veste di un colore roseo che par di carne. Sembra che la terra intorpidita
Le prime ore della notte, col tremulo bagliore delle stelle, con le vampe tiepide e profumate che alitano per la valle, con quel mistero della penombra dove
È allora che il pieno disco della luna si leva e sale diffondendo la sua luce fredda sui campi deserti. Le ombre nere si allungano sui piani argentei e la corrente risplende qua e là di pagliuzze
Il povero Manardo sentiva i fiotti del sangue bollente salirgli alle gote ed al cervello. Ebbe le vertigini di chi si affaccia
Proprio
Ma non partivano. Si erano fermate a pochi passi da lui, dietro i carpini. Udiva le loro parole, sentiva il fruscìo delle loro vesti sui rami bassi e capì.... Si spogliavano per scendere nel fiume.
La sua condizione diventava terribile, ma tuttavia si ostinò a non muoversi, come se al di là della siepe non ci fosse nessuno. Si teneva il capo stretto tra le mani invocando il soccorso divino, ma un pensiero attraversava le sue preghiere: — ''Se guardassi?'' Lo scacciava inorridendo; ma ritornava, e gli dava la febbre. Appoggiava la fronte alla colonna per sentire il refrigerio di quel freddo, sentiva distintamente
Ma sentiva anche le donne parlare sottovoce, ed ogni parola rivelatrice era un nuovo assalto. Sentiva sciogliere i cordoni, e le vesti cader sordamente a terra, ed egli si chiamava vile perchè gli veniva
La madre dietro ai carpini rispose: — Avanti! avanti!
Il fiume non è profondo, ma dopo alcuni passi fatti con
Elda aveva gridato dando il tuffo sino alla cintola
A quella fascinatrice rivelazione della bellezza, Manardo rimase con gli occhi sbarrati, coi nervi tesi e il singhiozzo nella gola riarsa. La fanciulla, ignorando di esser vista, concedeva tutto il candore delle forme agli sguardi del giovane. Rideva, e le divine curve del torso emergevano
Manardo si sentì soffocare. Gli mancò la vista e cadde rovescio con un rantolo disperato.
Rinvenne disteso
Non so se le nozze fossero celebrate dal sacerdote Medulano, che dovette intenderla male. Certo il castello rimase per allora ai Ghibellini, e i Bolognesi, per dispetto,
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