Or che Sirio in Ciel risplende: differenze tra le versioni
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{{Qualità|avz=
| Nome e cognome dell'autore = Giuseppe Paolucci
| Titolo = Della stessa</br>AGLAURO.
| Iniziale del titolo = D
| Anno di pubblicazione = 1833
| Eventuale secondo anno di pubblicazione =
| Lingua originale del testo =
| Nome e cognome del traduttore =
| Anno di traduzione =
| Progetto =
| Argomento = Canzoni
| URL della versione cartacea a fronte =
| sottotitolo = {{{sottotitolo|}}}
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| succ = {{{succ|}}}
}}</onlyinclude>
<poem>Or che Sirio in Ciel risplende, ▼
▲Or che Sirio in Ciel risplende,
Di quel biondo almo lieo,
Che sì brilla, e
{{R|5}}Ma nò: quel,
Del rubin, sarà migliore:
Questo io voglio: il nappo pieno
Fammen sì, che
Vedi qui come zampilla,
{{R|10}}E col sole i raggi mesce:
Io non
Tal desio di sè
Beviam dunque: e sia di quella
In onor,
{{R|15}}Ecco già, che al labbro io
E le viscere
Oh di qual nuovo piacere
Sento
Empi
{{R|20}}Finchè tempri il caldo,
Morde, è ver: ma la ferita
A riber più dolce invita.
Oh felice il
{{R|25}}Io non so se Giove, e il resto
Della Plebe degli Dei
Ebber mai simile a questo
Dolce nettar,
O se pur
{{R|30}}
Febo suol le nari e
Ai destrier spruzzar nel corso.
E ben
Nuovo arder crescermi e lena
{{R|35}}Ed il sangue al cuor ristretto
Sciolto gir di vena in vena.
Chi mi porge quella Lira?
Chi quei bischeri
Perchè possa indi alle corde
{{R|40}}La mia voce unir concorde?
Venga poi {{AutoreCitato|Giambattista Felice Zappi|Tirsi}} in tenzone,
O chi fama ha più nel canto,
Tale ardir mi siede accanto.
{{R|45}}Di Te poi,
Già ten vai
Tacerò:
Vanti eguale a i primi Eroi.
Dirò ben di {{AutoreCitato|Faustina Maratti|lei}}, che sola
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Dolce parli, e dolce rida:
Nè sai dir se dardi scocchi
Più dal labbro o
{{R|55}}Se tai quindi escon piaghe
Crude più, quanto più vaghe.
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{{R|70}}Gli raggira o pur sdegnosi?
Nel mirarli così scuri,
Non
Pur
{{R|75}}Che maggiore in me si rende
Il desio di celebrarli.
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Vostre lodi or voi ridite,
Giacchè tanta il Ciel ripose
Grazia in voi, qualor
{{R|85}}E ben quindi escon parole
Da fermar nel corso il Sole,
Tanto più quanto son use
A parlar
Nè men dolce, o vago è ancora
{{R|90}}Quel bel volto, o meno alletta,
Se
Suol fiorir la violetta.
Anzi queste son le spoglie,
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Delle Grazie albergo, e stanza,
Ove il Ciel pose, e Natura
{{R|100}}II più bel
Di lodarvi in me non manca
Il voler,
Ma mi turban quei severi,
{{R|105}}Quei pensier,
Ne i bei rai
A ribatter forse intesi
La baldanza e
Tal però non è disdegno,
{{R|110}}Nè rigor, ma solo è segno,
Che vorrian ristretto un cuore
Fra speranza e fra timore.
Neri crin,
Fra le lodi, e
{{R|115}}Non è già, perchè voi siate
Meno cari al mio desìo.
So,
Anche il nero ha i pregi suoi;
Belle sono in Ciel le Stelle,
{{R|120}}Perchè
Non
Quel fulgor, che
Talchè treccia aurata, e bionda,
Più non reca maraviglia:
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Non son fregi sì comuni:
E quaggiù quanto bellezza
Rara è più, vie più
Non fu già vanto volgare
{{R|130}}Della Giovane Amiclèa
Bruna chioma,
Sue bellezze aggiunta avea:
Con quei crini
Formò i nodi a sue ritorte:
{{R|135}}E veder ne fè le pruove,
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Ma tu bevi, e a me che roco
Già son fatto, più non pensi!
Di
{{R|140}}Che stillar
A far sì,
Spieghi un volo alto immortale.</poem>
[[Categoria:Canzoni]]
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