Or che Sirio in Ciel risplende: differenze tra le versioni

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{{Qualità|avz=75101%|data=2326 settembreagosto 20082010|arg=Canzoni}} <onlyinclude>{{Intestazione
| Nome e cognome dell'autore = Giuseppe Paolucci
| Titolo = Della stessa</br>AGLAURO.
| Iniziale del titolo = D
| Anno di pubblicazione = 1833
| Eventuale secondo anno di pubblicazione =
| Lingua originale del testo =
| Nome e cognome del traduttore =
| Anno di traduzione =
| Progetto =letteratura Letteratura
| Argomento = Canzoni
| URL della versione cartacea a fronte =
| sottotitolo = {{{sottotitolo|}}}
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| succ = {{{succ|}}}
}}</onlyinclude>
<poem>Or che Sirio in Ciel risplende,
<poem>
 
Or che Sirio in Ciel risplende,
Di quel biondo almo lieo,
Che sì brilla, e d'òrd’òr s'accendes’accende,
M'empiM’empi il nappo, o Alfesibeo.
{{R|5}}Ma nò: quel, ch' èch’è del colore
Del rubin, sarà migliore:
Questo io voglio: il nappo pieno
Fammen sì, che n'empian’empia il seno.
Vedi qui come zampilla,
{{R|10}}E col sole i raggi mesce:
Io non vuo'vuo’ lasciarne stilla,
Tal desio di sè m'accrescem’accresce:
Beviam dunque: e sia di quella
In onor, ch'èch’è la più bella:
{{R|15}}Ecco già, che al labbro io l'ergol’ergo,
E le viscere n' aspergon’aspergo.
Oh di qual nuovo piacere
Sento l' almal’alma inebriarsi!
Empi l'altrol’altro, ch'ioch’io vuo'vuo’ bere,
{{R|20}}Finchè tempri il caldo, ond' arsiond’arsi
Morde, è ver: ma la ferita
A riber più dolce invita.
Oh felice il suoisuol, che dato
N'haN’ha liquor sì nuovo e grato!.
{{R|25}}Io non so se Giove, e il resto
Della Plebe degli Dei
Ebber mai simile a questo
Dolce nettar, ch'orch’or bevei:
O se pur tal'anchetal’anche sia
{{R|30}}Quell'ambrosiaQuell’ambrosia, onde per via
Febo suol le nari e 'l’l morso
Ai destrier spruzzar nel corso.
E ben, sento anch'ioanch’io nel petto
Nuovo arder crescermi e lena
{{R|35}}Ed il sangue al cuor ristretto
Sciolto gir di vena in vena.
Chi mi porge quella Lira?
Chi quei bischeri v'aggirav’aggira,
Perchè possa indi alle corde
{{R|40}}La mia voce unir concorde?
Venga poi {{AutoreCitato|Giambattista Felice Zappi|Tirsi}} in tenzone,
O chi fama ha più nel canto,
Ch' ioCh’io non temo il paragone:
Tale ardir mi siede accanto.
{{R|45}}Di Te poi, ch'illustrech’illustre, e chiaro
Già ten vai d'ogn'altrod’ogn’altro a paro
Tacerò: ch'ich’i pregi tuoi
Vanti eguale a i primi Eroi.
Dirò ben di {{AutoreCitato|Faustina Maratti|lei}}, che sola
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Dolce parli, e dolce rida:
Nè sai dir se dardi scocchi
Più dal labbro o da'da’ begli occhi
{{R|55}}Se tai quindi escon piaghe
Crude più, quanto più vaghe.
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{{R|70}}Gli raggira o pur sdegnosi?
Nel mirarli così scuri,
Non v' èv’è cuor che s'assicuris’assicuri.
Pur si forte in me s' accendes’accende
IIIl piacer di vagheggiarli,
{{R|75}}Che maggiore in me si rende
Il desio di celebrarli.
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Vostre lodi or voi ridite,
Giacchè tanta il Ciel ripose
Grazia in voi, qualor v'apritev’aprite:
{{R|85}}E ben quindi escon parole
Da fermar nel corso il Sole,
Tanto più quanto son use
A parlar coll' altecoll’alte Muse.
Nè men dolce, o vago è ancora
{{R|90}}Quel bel volto, o meno alletta,
Se co'co’ gigli ivi talora
Suol fiorir la violetta.
Anzi queste son le spoglie,
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Delle Grazie albergo, e stanza,
Ove il Ciel pose, e Natura
{{R|100}}II più bel d'ognid’ogni speranza,
Di lodarvi in me non manca
Il voler, ne voglia ho stanca;
Ma mi turban quei severi,
Ch'ascondeteCh’ascondete, alti pensieri.
{{R|105}}Quei pensier, ch'ioch’io veggio accesi
Ne i bei rai d'asprod’aspro talento,
A ribatter forse intesi
La baldanza e l'ardimentol’ardimento:
Tal però non è disdegno,
{{R|110}}Nè rigor, ma solo è segno,
Che vorrian ristretto un cuore
Fra speranza e fra timore.
Neri crin, s'ultimis’ultimi andate
Fra le lodi, e 'l’l canto mio,
{{R|115}}Non è già, perchè voi siate
Meno cari al mio desìo.
So, ch' ilch’il biondo è bel, ma poi
Anche il nero ha i pregi suoi;
Belle sono in Ciel le Stelle,
{{R|120}}Perchè l' ombrel’ombre le fan belle.
Non v'èv’è crin, che non diffonda
Quel fulgor, che all'òrall’òr simiglia,
Talchè treccia aurata, e bionda,
Più non reca maraviglia:
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Non son fregi sì comuni:
E quaggiù quanto bellezza
Rara è più, vie più s'apprezzas’apprezza.
Non fu già vanto volgare
{{R|130}}Della Giovane Amiclèa
Bruna chioma, eh' a Hech’alle rare
Sue bellezze aggiunta avea:
Con quei crini ArnorAmor più forte
Formò i nodi a sue ritorte:
{{R|135}}E veder ne fè le pruove,
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Ma tu bevi, e a me che roco
Già son fatto, più non pensi!
Di quell'altroquell’altro or dammi un poco,
{{R|140}}Che stillar l'uvel’uve Cretensi:
Vuo'Vuo’ veder se sia bastante
Quell' ambrifocoQuell’ambrifoco spumante
A far sì, ch'ioch’io poi senz'alesenz’ale
Spieghi un volo alto immortale.</poem>
</poem>
 
[[Categoria:Canzoni]]