La locandiera/Atto I: differenze tra le versioni

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Sala di locanda.
Il Marchese di Forlipopoli ed il Conte d'Albafioritad’Albafiorita
 
MARCHESE: Fra voi e me vi è qualche differenza.
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CONTE: Per qual ragione?
MARCHESE: Io sono il Marchese di Forlipopoli.
CONTE: Ed io sono il Conte d'Albafioritad’Albafiorita.
MARCHESE: Sì, Conte! Contea comprata.
CONTE: Io ho comprata la contea, quando voi avete venduto il marchesato.
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CONTE: Chi ve lo perde il rispetto? Voi siete quello, che con troppa libertà parlando...
MARCHESE: Io sono in questa locanda, perché amo la locandiera. Tutti lo sanno, e tutti devono rispettare una giovane che piace a me.
CONTE: Oh, questa è bella! Voi mi vorreste impedire ch'ioch’io amassi Mirandolina? Perché credete ch'ioch’io sia in Firenze? Perché credete ch'ioch’io sia in questa locanda?
MARCHESE: Oh bene. Voi non farete niente.
CONTE: Io no, e voi sì?
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MARCHESE: Se si mariterà, io sono il suo protettore, e farò io... E so io quello che farò.
CONTE: Venite qui: facciamola da buoni amici. Diamole trecento scudi per uno.
MARCHESE: Quel ch'ioch’io faccio, lo faccio segretamente, e non me ne vanto. Son chi sono. Chi è di là? (Chiama.)
CONTE: (Spiantato! Povero e superbo!). (Da sé.)
 
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MARCHESE: Asino.
FABRIZIO: Perché, illustrissimo signore?
MARCHESE: Che cos'ècos’è questo illustrissimo?
FABRIZIO: È il titolo che ho dato anche a quell'altroquell’altro Cavaliere.
MARCHESE: Tra lui e me vi è qualche differenza.
CONTE: Sentite? (A Fabrizio.)
FABRIZIO: (Dice la verita. Ci è differenza: me ne accorgo nei conti). (Piano al Conte.)
MARCHESE: Di'Di’ alla padrona che venga da me, che le ho da parlare.
FABRIZIO: Eccellenza sì. Ho fallato questa volta?
MARCHESE: Va bene. Sono tre mesi che lo sai; ma sei un impertinente.
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CONTE: Vuoi vedere la differenza che passa fra il Marchese e me?
MARCHESE: Che vorreste dire?
CONTE: Tieni. Ti dono uno zecchino. Fa che anch'eglianch’egli te ne doni un altro.
FABRIZIO: Grazie, illustrissimo. (Al Conte.) Eccellenza... (Al Marchese.)
MARCHESE: Non getto il mio, come i pazzi. Vattene.
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CONTE: Quando non mancano denari, tutti rispettano
MARCHESE: Voi non sapete quel che vi dite.
CONTE: L'intendoL’intendo meglio di voi.
 
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II Cavaliere di Ripafratta dalla sua camera, e detti.
 
CAVALIERE: Amici, che cos'ècos’è questo romore? Vi è qualche dissensione fra di voi altri?
CONTE: Si disputava sopra un bellissimo punto.
MARCHESE: II Conte disputa meco sul merito della nobiltà. (Ironico.)
CONTE: Io non levo il merito alla nobiltà: ma sostengo, che per cavarsi dei capricci, vogliono esser denari.
CAVALIERE: Veramente, Marchese mio...
MARCHESE: Orsù, parliamo d'altrod’altro.
CAVALIERE: Perché siete venuti a simil contesa?
CONTE: Per un motivo il più ridicolo della terra.
MARCHESE: Sì, bravo! il Conte mette tutto in ridicolo.
CONTE: Il signor Marchese ama la nostra locandiera. Io l'amol’amo ancor più di lui. Egli pretende corrispondenza, come un tributo alla sua nobiltà. Io la spero, come una ricompensa alle mie attenzioni. Pare a voi che la questione non sia ridicola?
MARCHESE: Bisogna sapere con quanto impegno io la proteggo.
CONTE: Egli la protegge, ed io spendo. (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: In verità non si può contendere per ragione alcuna che io meriti meno. Una donna vi altera? vi scompone? Una donna? che cosa mai mi convien sentire? Una donna? Io certamente non vi è pericolo che per le donne abbia che dir con nessuno. Non le ho mai amate, non le ho mai stimate, e ho sempre creduto che sia la donna per l'uomol’uomo una infermità insopportabile.
MARCHESE: In quanto a questo poi, Mirandolina ha un merito estraordinario.
CONTE: Sin qua il signor Marchese ha ragione. La nostra padroncina della locanda è veramente amabile.
MARCHESE: Quando l'amol’amo io, potete credere che in lei vi sia qualche cosa di grande.
CAVALIERE: In verità mi fate ridere. Che mai può avere di stravagante costei, che non sia comune all'altreall’altre donne?
MARCHESE: Ha un tratto nobile, che incatena.
CONTE: È bella, parla bene, veste con pulizia, è di un ottimo gusto.
CAVALIERE: Tutte cose che non vagliono un fico. Sono tre giorni ch'ioch’io sono in questa locanda, e non mi ha fatto specie veruna.
CONTE: Guardatela, e forse ci troverete del buono.
CAVALIERE: Eh, pazzia! L'hoL’ho veduta benissimo. È una donna come l'altrel’altre.
MARCHESE: Non è come l'altrel’altre, ha qualche cosa di più. Io che ho praticate le prime dame, non ho trovato una donna che sappia unire, come questa, la gentilezza e il decoro.
CONTE: Cospetto di bacco! Io son sempre stato solito trattar donne: ne conosco li difetti ed il loro debole. Pure con costei, non ostante il mio lungo corteggio e le tante spese per essa fatte, non ho potuto toccarle un dito.
CAVALIERE: Arte, arte sopraffina. Poveri gonzi! Le credete, eh? A me non la farebbe. Donne? Alla larga tutte quante elle sono.
CONTE: Non siete mai stato innamorato?
CAVALIERE: Mai, né mai lo sarò. Hanno fatto il diavolo per darmi moglie, né mai l'hol’ho voluta.
MARCHESE: Ma siete unico della vostra casa: non volete pensare alla successione?
CAVALIERE: Ci ho pensato più volte ma quando considero che per aver figliuoli mi converrebbe soffrire una donna, mi passa subito la volontà.
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Mirandolina e detti.
 
MIRANDOLINA: M'inchinoM’inchino a questi cavalieri. Chi mi domanda di lor signori?
MARCHESE: Io vi domando, ma non qui.
MIRANDOLINA: Dove mi vuole, Eccellenza?
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MARCHESE: (Che dite di quel contegno?). (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: (Quello che voi chiamate contegno, io lo chiamerei temerità, impertinenza). (Al Marchese.)
CONTE: Cara Mirandolina, io vi parlerò in pubblico, non vi darò l'incomodol’incomodo di venire nella mia camera. Osservate questi orecchini. Vi piacciono?
MIRANDOLINA: Belli.
CONTE: Sono diamanti, sapete?
MIRANDOLINA: Oh, li Conosco. Me ne intendo anch'ioanch’io dei diamanti.
CONTE: E sono al vostro comando.
CAVALIERE: (Caro amico, voi li buttate via). (Piano al Conte.)
MIRANDOLINA: Perché mi vuol ella donare quegli orecchini?
MARCHESE: Veramente sarebbe un gran regalo! Ella ne ha de'de’ più belli al doppio.
CONTE: Questi sono legati alla moda. Vi prego riceverli per amor mio.
CAVALIERE: (Oh che pazzo!). (Da sé.)
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CONTE: (Che dite di quella prontezza di spirito?). (Al Cavaliere.)
CAVALIERE: (Bella prontezza! Ve li mangia, e non vi ringrazia nemmeno). (Al Conte.)
MARCHESE: Veramente, signor Conte, vi siete acquistato gran merito. Regalare una donna in pubblico, per vanità! Mirandolina, vi ho da parlare a quattr'occhiquattr’occhi, fra voi e me: son Cavaliere.
MIRANDOLINA: (Che arsura! Non gliene cascano). (Da sé.) Se altro non mi comandano, io me n'anderòn’anderò.
CAVALIERE: Ehi! padrona. La biancheria che mi avete dato, non mi gusta. Se non ne avete di meglio, mi provvederò.(Con disprezzo.)
MIRANDOLINA: Signore, ve ne sarà di meglio. Sarà servita, ma mi pare che la potrebbe chiedere con un poco di gentilezza.
CAVALIERE: Dove spendo il mio denaro, non ho bisogno di far complimenti.
CONTE: Compatitelo. Egli è nemico capitale delle donne. (A Mirandolina.)
CAVALIERE: Eh, che non ho bisogno d'essered’essere da lei compatito.
MIRANDOLINA: Povere donne! che cosa le hanno fatto? Perché così crudele con noi, signor Cavaliere?
CAVALIERE: Basta così. Con me non vi prendete maggior confidenza. Cambiatemi la biancheria. La manderò a prender pel servitore. Amici, vi sono schiavo. (Parte.)
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MARCHESE: Sì; e se non vuol andarsene, ditelo a me, che lo farò partire immediatamente. Fate pur uso della mia protezione.
CONTE: E per il denaro che aveste a perdere, io supplirò e pagherò tutto. (Sentite, mandate via anche il Marchese, che pagherò io). (Piano a Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Grazie, signori miei, grazie. Ho tanto spirito che basta, per dire ad un forestiere ch'ioch’io non lo voglio, e circa all'utileall’utile, la mia locanda non ha mai camere in ozio.
 
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Fabrizio e detti.
 
FABRIZIO: Illustrissimo, c'èc’è uno che la domanda. (Al Conte.)
CONTE: Sai chi sia?
FABRIZIO: Credo ch'eglich’egli sia un legatore di gioje. (Mirandolina, giudizio; qui non istate bene). (Piano a Mirandolina, e parte.)
CONTE: Oh sì, mi ha da mostrare un gioiello. Mirandolina, quegli orecchini, voglio che li accompagniamo.
MIRANDOLINA: Eh no, signor Conte...
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MARCHESE: (Maledetto Conte! Con questi suoi denari mi ammazza). (Da sé.)
MIRANDOLINA: In verità il signor Conte s'incomodas’incomoda troppo.
MARCHESE: Costoro hanno quattro soldi, e li spendono per vanità, per albagia. Io li conosco, so il viver del mondo.
MIRANDOLINA: Eh, il viver del mondo lo so ancor io.
MARCHESE: Pensano che le donne della vostra sorta si vincano con i regali.
MIRANDOLINA: I regali non fanno male allo stomaco.
MARCHESE: Io crederei di farvi un'ingiuriaun’ingiuria, cercando di obbligarvi con i donativi.
MIRANDOLINA: Oh, certamente il signor Marchese non mi ha ingiuriato mai.
MARCHESE: E tali ingiurie non ve le farò.
MIRANDOLINA: Lo credo sicurissimamente.
MARCHESE: Ma dove posso, comandatemi.
MIRANDOLINA: Bisognerebbe ch'ioch’io sapessi, in che cosa può Vostra Eccellenza.
MARCHESE: In tutto. Provatemi.
MIRANDOLINA: Ma verbigrazia, in che?
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MIRANDOLINA: Perché, signore?
MARCHESE: Qualche volta mi auguro di essere nello stato del Conte.
MIRANDOLINA: Per ragione forse de'de’ suoi denari?
MARCHESE: Eh! Che denari! Non li stimo un fico. Se fossi un Conte ridicolo come lui...
MIRANDOLINA: Che cosa farebbe?
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SCENA NONA
 
MIRANDOLINA (sola): Uh, che mai ha detto! L'eccellentissimoL’eccellentissimo signor Marchese Arsura mi sposerebbe? Eppure, se mi volesse sposare, vi sarebbe una piccola difficoltà. Io non lo vorrei. Mi piace l'arrostol’arrosto, e del fumo non so che farne. Se avessi sposati tutti quelli che hanno detto volermi, oh, avrei pure tanti mariti! Quanti arrivano a questa locanda, tutti di me s'innamoranos’innamorano, tutti mi fanno i cascamorti; e tanti e tanti mi esibiscono di sposarmi a dirittura. E questo signor Cavaliere, rustico come un orso, mi tratta sì bruscamente? Questi è il primo forestiere capitato alla mia locanda, il quale non abbia avuto piacere di trattare con me. Non dico che tutti in un salto s'abbianos’abbiano a innamorare: ma disprezzarmi così? è una cosa che mi muove la bile terribilmente. É nemico delle donne? Non le può vedere? Povero pazzo! Non avrà ancora trovato quella che sappia fare. Ma la troverà. La troverà. E chi sa che non l'abbial’abbia trovata? Con questi per l'appuntol’appunto mi ci metto di picca. Quei che mi corrono dietro, presto presto mi annoiano. La nobiltà non fa per me. La ricchezza la stimo e non la stimo. Tutto il mio piacere consiste in vedermi servita, vagheggiata, adorata. Questa è la mia debolezza, e questa è la debolezza di quasi tutte le donne. A maritarmi non ci penso nemmeno; non ho bisogno di nessuno; vivo onestamente, e godo la mia libertà. Tratto con tutti, ma non m'innamorom’innamoro mai di nessuno. Voglio burlarmi di tante caricature di amanti spasimati; e voglio usar tutta l'artel’arte per vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari e duri che son nemici di noi, che siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre natura.
 
Riga 238:
 
FABRIZIO: Ehi, padrona.
MIRANDOLINA: Che cosa c'èc’è?
FABRIZIO: Quel forestiere che è alloggiato nella camera di mezzo, grida della biancheria; dice che è ordinaria, e che non la vuole.
MIRANDOLINA: Lo so, lo so. Lo ha detto anche a me, e lo voglio servire.
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FABRIZIO: Bisogna che vi prema molto questo forestiere.
MIRANDOLINA: Tutti mi premono. Badate a voi.
FABRIZIO: (Già me n'avvedon’avvedo. Non faremo niente. Ella mi lusinga; ma non faremo niente). (Da sé.)
MIRANDOLINA: (Povero sciocco! Ha delle pretensioni. Voglio tenerlo in isperanza, perché mi serva con fedelta). (Da sé.)
FABRIZIO: Si è sempre costumato, che i forestieri li serva io.
Riga 255:
FABRIZIO: Bene, bene. Provvedetevi di cameriere.
MIRANDOLINA: Perché, signor Fabrizio? è disgustato di me?
FABRIZIO: Vi ricordate voi che cosa ha detto a noi due vostro padre, prima ch'eglich’egli morisse?
MIRANDOLINA: Sì; quando mi vorrò maritare, mi ricorderò di quel che ha detto mio padre.
FABRIZIO: Ma io son delicato di pelle, certe cose non le posso soffrire.
MIRANDOLINA: Ma che credi tu ch'ioch’io mi sia? Una frasca? Una civetta? Una pazza? Mi maraviglio di te. Che voglio fare io dei forestieri che vanno e vengono? Se il tratto bene, lo fo per mio interesse, per tener in credito la mia locanda. De'De’ regali non ne ho bisogno. Per far all'amoreall’amore? Uno mi basta: e questo non mi manca; e so chi merita, e so quello che mi conviene. E quando vorrò maritarmi... mi ricorderò di mio padre. E chi mi averà servito bene, non potrà lagnarsi di me. Son grata. Conosco il merito... Ma io non son conosciuta. Basta, Fabrizio, intendetemi, se potete. (Parte.)
FABRIZIO: Chi può intenderla, è bravo davvero. Ora pare che la mi voglia, ora che la non mi voglia. Dice che non è una frasca, ma vuol far a suo modo. Non so che dire. Staremo a vedere. Ella mi piace, le voglio bene, accomoderei con essa i miei interessi per tutto il tempo di vita mia. Ah! bisognerà chiuder un occhio, e lasciar correre qualche cosa. Finalmente i forestieri vanno e vengono. Io resto sempre. Il meglio sarà sempre per me. (Parte.)
 
Riga 273:
(Il Cavaliere apre la lettera.)
 
Siena, primo Gennaio 1753. (Chi scrive?) Orazio Taccagni. Amico carissimo. La tenera amicizia che a voi mi lega, mi rende sollecito ad avvisarvi essere necessario il vostro ritorno in patria. È morto il Conte Manna... (Povero Cavaliere! Me ne dispiace). Ha lasciato la sua unica figlia nubile erede di centocinquanta mila scudi. Tutti gli amici vostri vorrebbero che toccasse a voi una tal fortuna, e vanno maneggiando... Non s'affatichinos’affatichino per me, che non voglio saper nulla. Lo sanno pure ch'ioch’io non voglio donne per i piedi. E questo mio caro amico, che lo sa più d'ognid’ogni altro, mi secca peggio di tutti. (Straccia la lettera.) Che importa a me di centocinquanta mila scudi? Finché son solo, mi basta meno. Se fossi accompagnato, non mi basterebbe assai più. Moglie a me! Piuttosto una febbre quartana.
 
Riga 281:
II Marchese e detto.
 
MARCHESE: Amico, vi contentate ch'ioch’io venga a stare un poco con voi?
CAVALIERE: Mi fate onore.
MARCHESE: Almeno fra me e voi possiamo trattarci con confidenza; ma quel somaro del Conte non è degno di stare in conversazione con noi.
CAVALIERE: Caro Marchese, compatitemi; rispettate gli altri, se volete essere rispettato voi pure.
MARCHESE: Sapete il mio naturale. Io fo le cortesie a tutti, ma colui non lo posso soffrire.
CAVALIERE: Non lo potete soffrire, perché vi è rivale in amore! Vergogna! Un cavaliere della vostra sorta innamorarsi d'unad’una locandiera! Un uomo savio, come siete voi, correr dietro a una donna!
MARCHESE: Cavaliere mio, costei mi ha stregato.
CAVALIERE: Oh! pazzie! debolezze! Che stregamenti! Che vuol dire che le donne non mi stregheranno? Le loro fattucchierie consistono nei loro vezzi, nelle loro lusinghe, e chi ne sta lontano, come fo io, non ci è pericolo che si lasci ammaliare.
MARCHESE: Basta! ci penso e non ci penso: quel che mi dà fastidio e che m'inquietam’inquieta, è il mio fattor di campagna.
CAVALIERE: Vi ha fatto qualche porcheria?
MARCHESE: Mi ha mancato di parola.
Riga 299:
Il Servitore con una cioccolata e detti.
 
CAVALIERE: Oh mi dispiace... Fanne subito un'altraun’altra. (Al Servitore.)
SERVITORE: In casa per oggi non ce n'èn’è altra, illustrissimo.
CAVALIERE: Bisogna che ne provveda. Se vi degnate di questa...(Al Marchese.)
MARCHESE (prende la cioccolata, e si mette a berla senza complimenti, seguitando poi a discorrere e bere, come segue): Questo mio fattore, come io vi diceva... (Beve.)
CAVALIERE: (Ed io resterò senza). (Da sé.)
MARCHESE: Mi aveva promesso mandarmi con l'ordinariol’ordinario... (Beve.) venti zecchini... (Beve.)
CAVALIERE: (Ora viene con una seconda stoccata). (Da sé.)
MARCHESE: E non me li ha mandati... (Beve.)
CAVALIERE: Li manderà un'altraun’altra volta.
MARCHESE: Il punto sta... il punto sta... (Finisce di bere.) Tenete. (Dà la chicchera al Servitore.) Il punto sta che sono in un grande impegno, e non so come fare.
CAVALIERE: Otto giorni più, otto giorni meno...
Riga 314:
MARCHESE: Voi avreste difficoltà per otto giorni di farmi il piacere?
CAVALIERE: Caro Marchese, se potessi, vi servirei di cuore; se ne avessi, ve li avrei esibiti a dirittura. Ne aspetto, e non ne ho.
MARCHESE: Non mi darete ad intendere d'esserd’esser senza denari.
CAVALIERE: Osservate. Ecco tutta la mia ricchezza. Non arrivano a due zecchini. (Mostra uno zecchino e varie monete.)
MARCHESE: Quello è uno zecchino d'orod’oro.
CAVALIERE: Sì; l'ultimol’ultimo, non ne ho più.
MARCHESE: Prestatemi quello, che vedrò intanto...
CAVALIERE: Ma io poi...
Riga 338:
MIRANDOLINA: Permette, illustrissimo? (Entrando con qualche soggezione.)
CAVALIERE: Che cosa volete? (Con asprezza.)
MIRANDOLINA: Ecco qui della biancheria migliore. (S'avanzaS’avanza un poco.)
CAVALIERE: Bene. Mettetela lì. (Accenna il tavolino.)
MIRANDOLINA: La supplico almeno degnarsi vedere se è di suo genio.
CAVALIERE: Che roba è?
MIRANDOLINA: Le lenzuola son di rensa. (S'avanzaS’avanza ancor più.)
CAVALIERE: Rensa?
MIRANDOLINA: Sì signore, di dieci paoli al braccio. Osservi.
CAVALIERE: Non pretendevo tanto. Bastavami qualche cosa meglio di quel che mi avete dato.
MIRANDOLINA: Questa biancheria l'hol’ho fatta per personaggi di merito: per quelli che la sanno conoscere; e in verità, illustrissimo, la do per esser lei, ad un altro non la darei.
CAVALIERE: Per esser lei! Solito complimento.
MIRANDOLINA: Osservi il servizio di tavola.
Riga 353:
CAVALIERE: (Non si può però negare, che costei non sia una donna obbligante). (Da sé.)
MIRANDOLINA: (Veramente ha una faccia burbera da non piacergli le donne). (Da sé.)
CAVALIERE: Date la mia biancheria al mio cameriere, o ponetela lì, in qualche luogo. Non vi è bisogno che v'incomodiatev’incomodiate per questo.
MIRANDOLINA: Oh, io non m'incomodom’incomodo mai, quando servo Cavaliere di sì alto merito.
CAVALIERE: Bene, bene, non occorr'altrooccorr’altro. (Costei vorrebbe adularmi. Donne! Tutte così). (Da sé.)
MIRANDOLINA: La metterò nell'arcovanell’arcova.
CAVALIERE: Sì, dove volete. (Con serietà.)
MIRANDOLINA: (Oh! vi è del duro. Ho paura di non far niente). (Da sé, va a riporre la biancheria.)
Riga 362:
MIRANDOLINA: A pranzo, che cosa comanda? (Ritornando senza la biancheria.)
CAVALIERE: Mangerò quello che vi sarà.
MIRANDOLINA: Vorrei pur sapere il suo genio. Se le piace una cosa più dell'altradell’altra, lo dica con libertà.
CAVALIERE: Se vorrò qualche cosa, lo dirò al cameriere.
MIRANDOLINA: Ma in queste cose gli uomini non hanno l'attenzionel’attenzione e la pazienza che abbiamo noi donne. Se le piacesse qualche intingoletto, qualche salsetta, favorisca di dirlo a me.
CAVALIERE: Vi ringrazio: ma né anche per questo verso vi riuscirà di far con me quello che avete fatto col Conte e col Marchese.
MIRANDOLINA: Che dice della debolezza di quei due cavalieri? Vengono alla locanda per alloggiare, e pretendono poi di voler fare all'amoreall’amore colla locandiera. Abbiamo altro in testa noi, che dar retta alle loro ciarle. Cerchiamo di fare il nostro interesse; se diamo loro delle buone parole, lo facciamo per tenerli a bottega; e poi, io principalmente, quando vedo che si lusingano, rido come una pazza.
CAVALIERE: Brava! Mi piace la vostra sincerità.
MIRANDOLINA: Oh! non ho altro di buono, che la sincerità.
CAVALIERE: Ma però, con chi vi fa la corte, sapete fingere.
MIRANDOLINA: Io fingere? Guardimi il cielo. Domandi un poco a quei due signori che fanno gli spasimati per me, se ho mai dato loro un segno d'affettod’affetto. Se ho mai scherzato con loro in maniera che si potessero lusingare con fondamento. Non li strapazzo, perché il mio interesse non lo vuole, ma poco meno. Questi uomini effeminati non li posso vedere. Sì come abborrisco anche le donne che corrono dietro agli uomini. Vede? Io non sono una ragazza. Ho qualche annetto; non sono bella, ma ho avute delle buone occasioni; eppure non ho mai voluto maritarmi, perché stimo infinitamente la mia libertà.
CAVALIERE: Oh sì, la libertà è un gran tesoro.
MIRANDOLINA: E tanti la perdono scioccamente.
Riga 377:
CAVALIERE: Il cielo me ne liberi. Non voglio donne.
MIRANDOLINA: Bravissimo. Si conservi sempre così. Le donne, signore... Basta, a me non tocca a dirne male.
CAVALIERE: Voi siete per altro la prima donna, ch'ioch’io senta parlar così.
MIRANDOLINA: Le dirò: noi altre locandiere vediamo e sentiamo delle cose assai; e in verità compatisco quegli uomini, che hanno paura del nostro sesso.
CAVALIERE: (È curiosa costei). (Da sé.)
Riga 384:
MIRANDOLINA: Non vorrei esserle importuna.
CAVALIERE: No, mi fate piacere; mi divertite
MIRANDOLINA: Vede, signore? Così fo con gli altri. Mi trattengo qualche momento; sono piuttosto allegra, dico delle barzellette per divertirli, ed essi subito credono... Se la m'intendem’intende, e'e’ mi fanno i cascamorti.
CAVALIERE: Questo accade, perché avete buona maniera.
MIRANDOLINA: Troppa bontà, illustrissimo. (Con una riverenza.)
CAVALIERE: Ed essi s'innamoranos’innamorano.
MIRANDOLINA: Guardi che debolezza! Innamorarsi subito di una donna!
CAVALIERE: Questa io non l'hol’ho mai potuta capire.
MIRANDOLINA: Bella fortezza! Bella virilità!
CAVALIERE: Debolezze! Miserie umane!
MIRANDOLINA: Questo è il vero pensare degli uomini. Signor Cavaliere, mi porga la mano.
CAVALIERE: Perché volete ch'ioch’io vi porga la mano?
MIRANDOLINA: Favorisca; si degni; osservi, sono pulita.
CAVALIERE: Ecco la mano.
MIRANDOLINA: Questa è la prima volta, che ho l'onorel’onore d'averd’aver per la mano un uomo, che pensa veramente da uomo.
CAVALIERE: Via, basta così. (Ritira la mano.)
MIRANDOLINA: Ecco. Se io avessi preso per la mano uno di que'que’ due signori sguaiati, avrebbe tosto creduto ch'ioch’io spasimassi per lui. Sarebbe andato in deliquio. Non darei loro una semplice libertà, per tutto l'orol’oro del mondo. Non sanno vivere. Oh benedetto in conversare alla libera! senza attacchi, senza malizia, senza tante ridicole scioccherie. Illustrissimo, perdoni la mia impertinenza. Dove posso servirla, mi comandi con autorità, e avrò per lei quell'attenzionequell’attenzione, che non ho mai avuto per alcuna persona di questo mondo.
CAVALIERE: Per quale motivo avete tanta parzialità per me?
MIRANDOLINA: Perché, oltre il suo merito, oltre la sua condizione, sono almeno sicura che con lei posso trattare con libertà, senza sospetto che voglia fare cattivo uso delle mie attenzioni, e che mi tenga in qualità di serva, senza tormentarmi con pretensioni ridicole, con caricature affettate.
CAVALIERE: (Che diavolo ha costei di stravagante, ch'ioch’io non capisco!). (Da sé.)
MIRANDOLINA: (Il satiro si anderà a poco a poco addomesticando). (Da sé.)
CAVALIERE: Orsù, se avete da badare alle cose vostre, non restate per me.
Riga 410:
MIRANDOLINA: Perché, illustrissimo signore, ella mi piace assaissimo.
CAVALIERE: Vi piaccio io?
MIRANDOLINA: Mi piace, perché non è effeminato, perché non è di quelli che s'innamoranos’innamorano. (Mi caschi il naso, se avanti domani non l'innamorol’innamoro). (Da sé.)
 
Riga 416:
SCENA SEDICESIMA
 
CAVALIERE (solo): Eh! So io quel che fo. Colle donne? Alla larga. Costei sarebbe una di quelle che potrebbero farmi cascare più delle altre. Quella verità, quella scioltezza di dire, è cosa poco comune. Ha un non so che di estraordinario; ma non per questo mi lascerei innamorare. Per un poco di divertimento, mi fermerei più tosto con questa che con un'altraun’altra. Ma per fare all'amoreall’amore? Per perdere la libertà? Non vi è pericolo. Pazzi, pazzi quelli che s'innamoranos’innamorano delle donne. (Parte.)
 
Riga 425:
Ortensia, Dejanira, Fabrizio.
 
FABRIZIO: Che restino servite qui, illustrissime. Osservino quest'altraquest’altra camera. Quella per dormire, e questa per mangiare, per ricevere, per servirsene come comandano.
ORTENSIA: Va bene, va bene. Siete voi padrone, o cameriere?
FABRIZIO: Cameriere, ai comandi di V.S. illustrissima
Riga 432:
FABRIZIO: Illustrissima.
ORTENSIA: Dite al padrone che venga qui, voglio parlar con lui per il trattamento.
FABRIZIO: Verrà la padrona; la servo subito. (Chi diamine saranno queste due signore così sole? All'ariaAll’aria, all'abitoall’abito, paiono dame). (Da sé, parte.)
 
Riga 440:
Dejanira e Ortensia.
 
DEJANIRA: Ci dà dell'illustrissimedell’illustrissime. Ci ha creduto due dame.
ORTENSIA: Bene. Così ci tratterà meglio.
DEJANIRA: Ma ci farà pagare di più.
Riga 461:
FABRIZIO: La padrona or ora sarà a servirle.
ORTENSIA: Bene.
FABRIZIO: Ed io le supplico a comandarmi. Ho servito altre dame: mi darò l'onorl’onor di servir con tutta l'attenzionel’attenzione anche le signorie loro illustrissime.
ORTENSIA: Occorrendo, mi varrò di voi.
DEJANIRA: (Ortensia queste parti le fa benissimo). (Da sé.)
Riga 476:
ORTENSIA: Via, Contessa Dejanira, dategli il vostro nome.
FABRIZIO: Vi supplico. (A Dejanira.)
DEJANIRA: Non l'avetel’avete sentito? (A Fabrizio.)
FABRIZIO: L'illustrissimaL’illustrissima signora Contessa Dejanira... (Scrivendo.) Il cognome?
DEJANIRA: Anche il cognome? (A Fabrizio.)
ORTENSIA: Sì, dal Sole, romana. (A Fabrizio.)
FABRIZIO: Non occorr'altrooccorr’altro. Perdonino l'incomodol’incomodo. Ora verrà la padrona. (L'hoL’ho io detto, che erano due dame? Spero che farò de'de’ buoni negozi. Mancie non ne mancheranno). (Parte.)
DEJANIRA: Serva umilissima della signora Baronessa.
ORTENSIA: Contessa, a voi m'inchinom’inchino. (Si burlano vicendevolmente.)
DEJANIRA: Qual fortuna mi offre la felicissima congiuntura di rassegnarvi il mio profondo rispetto?
ORTENSIA: Dalla fontana del vostro cuore scaturir non possono che torrenti di grazie.
Riga 497:
DEJANIRA: (Oh quanto mi vien da ridere!). (Da sé.)
ORTENSIA: Zitto: è qui la padrona. (Piano a Dejanira.)
MIRANDOLINA: M'inchinoM’inchino a queste dame.
ORTENSIA: Buon giorno, quella giovane.
DEJANIRA: Signora padrona, vi riverisco. (A Mirandolina.)
ORTENSIA: Ehi! (Fa cenno a Dejanira, che si sostenga,)
MIRANDOLINA: Permetta ch'ioch’io le baci la mano. (Ad Ortensia.)
ORTENSIA: Siete obbligante. (Le dà la mano.)
DEJANIRA: (ride da sé.)
Riga 510:
DEJANIRA: Tenete. (Le dà la mano, si volta, e ride.)
MIRANDOLINA: Ride, illustrissima? Di che?
ORTENSIA: Che cara Contessa! Ride ancora di me. Ho detto uno sproposito, che l'hal’ha fatta ridere.
MIRANDOLINA: (Io giuocherei che non sono dame. Se fossero dame, non sarebbero sole). (Da sé.)
ORTENSIA: Circa il trattamento, converrà poi discorrere. (A Mirandolina.)
Riga 529:
ORTENSIA: Contessa, Contessa! (Minacciandola.)
MIRANDOLINA: Io so che cosa voleva dire, illustrissima. (A Dejanira.)
DEJANIRA: Se l'indovinatel’indovinate, vi stimo assai.
MIRANDOLINA: Volevate dire: Che serve che fingiamo d'esserd’esser due dame, se siamo due pedine? Ah! non è vero?
DEJANIRA: E che sì che ci conoscete? (A Mirandolina.)
ORTENSIA: Che brava commediante! Non è buona da sostenere un carattere.
Riga 536:
MIRANDOLINA: Brava, signora Baronessa; mi piace il di lei spirito. Lodo la sua franchezza.
ORTENSIA: Qualche volta mi prendo un poco di spasso.
MIRANDOLINA: Ed io amo infinitamente le persone di spirito. Servitevi pure nella mia locanda, che siete padrone; ma vi prego bene, se mi capitassero persone di rango, cedermi quest'appartamentoquest’appartamento, ch'ioch’io vi darò dei camerini assai comodi.
DEJANIRA: Sì, volentieri.
ORTENSIA: Ma io, quando spendo il mio denaro, intendo volere esser servita come una dama, e in questo appartamento ci sono, e non me ne anderò.
Riga 556:
MARCHESE: Sono forestiere? (A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Eccellenza sì. Sono venute ad onorare la mia locanda.
ORTENSIA: (È un'Eccellenzaun’Eccellenza! Capperi!), (Da sé.)
DEJANIRA: (Già Ortensia lo vorrà per sé). (Da sé.)
MARCHESE: E chi sono queste signore? (A Mirandolina.)
Riga 564:
MARCHESE: Io sono il Marchese di Forlipopoli.
DEJANIRA: (La locandiera vuol seguitare a far la commedia). (Da sé.)
ORTENSIA: Godo aver l'onorel’onore di conoscere un cavaliere così compito.
MARCHESE: Se vi potessi servire, comandatemi. Ho piacere che siate venute ad alloggiare in questa locanda. Troverete una padrona di garbo.
MIRANDOLINA: Questo cavaliere è pieno di bontà. Mi onora della sua protezione.
Riga 570:
ORTENSIA: Occorrendo, mi prevarrò delle sue finezze.
MARCHESE: Anche voi, signora Contessa, fate capitale di me.
DEJANIRA: Potrò ben chiamarmi felice, se avrò l'altol’alto onore di essere annoverata nel ruolo delle sue umilissime serve.
MIRANDOLINA: (Ha detto un concetto da commedia). (Ad Ortensia.)
ORTENSIA: (Il titolo di Contessa l'hal’ha posta in soggezione). (A Mirandolina.)
(Il Marchese tira fuori di tasca un bel fazzoletto di seta, lo spiega, e finge volersi asciugar la fronte.)
MIRANDOLINA: Un gran fazzoletto, signor Marchese!
Riga 582:
DEJANIRA: È bello, mi piace assai.
MARCHESE: Son di buon gusto io?
DEJANIRA: (E non dice a'a’ vostri comandi). (Da sé.)
MARCHESE: M'impegnoM’impegno che il Conte non sa spendere. Getta via il denaro, e non compra mai una galanteria di buon gusto.
MIRANDOLINA: Il signor Marchese conosce, distingue, sa, vede, intende.
MARCHESE (piega il fazzoletto con attenzione): Bisogna piegarlo bene, acciò non si guasti. Questa sorta di roba bisogna custodirla con attenzione. Tenete. (Lo presenta a Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Vuole ch'ioch’io lo faccia mettere nella sua camera?
MARCHESE: No. Mettetelo nella vostra.
MIRANDOLINA: Perché... nella mia?
MARCHESE: Perché... ve lo dono.
MIRANDOLINA: Oh, Eccellenza, perdoni...
MARCHESE: Tant'èTant’è. Ve lo dono.
MIRANDOLINA: Ma io non voglio.
MARCHESE: Non mi fate andar in collera.
Riga 597:
DEJANIRA: (Oh che bel lazzo!). (Ad Ortensia.)
ORTENSIA: (E poi dicono delle commedianti). (A Dejanira.)
MARCHESE: Ah! Che dite? Un fazzoletto di quella sorta, l'hol’ho donato alla mia padrona di casa. (Ad Ortensia.)
ORTENSIA: È un cavaliere generoso.
MARCHESE: Sempre così.
MIRANDOLINA: (Questo è il primo regalo che mi ha fatto, e non so come abbia avuto quel fazzoletto). (Da sé.)
DEJANIRA: Signor Marchese, se ne trovano di quei fazzoletti in Firenze? Avrei volontà d'averned’averne uno compagno.
MARCHESE: Compagno di questo sarà difficile; ma vedremo.
MIRANDOLINA: (Brava la signora Contessina). (Da sé.)
ORTENSIA: Signor Marchese, voi che siete pratico della città, fatemi il piacere di mandarmi un bravo calzolaro, perché ho bisogno di scarpe.
MARCHESE: Sì, vi manderò il mio.
MIRANDOLINA: (Tutte alla vita; ma non ce n'èn’è uno per la rabbia). (Da sé.)
ORTENSIA: Caro signor Marchese, favorirà tenerci un poco di compagnia.
DEJANIRA: Favorirà a pranzo con noi.
MARCHESE: Sì, volentieri. (Ehi Mirandolina, non abbiate gelosia, son vostro, già lo sapete).
MIRANDOLINA: (S'accomodiS’accomodi pure: ho piacere che si diverta). (Al Marchese.)
ORTENSIA: Voi sarete la nostra conversazione.
DEJANIRA: Non conosciamo nessuno. Non abbiamo altri che voi.
Riga 623:
CONTE: Mirandolina, io cercava voi.
MIRANDOLINA: Son qui con queste dame.
CONTE: Dame? M'inchinoM’inchino umilmente.
ORTENSIA: Serva divota. (Questo è un guasco più badia! di quell'altroquell’altro). (Piano a Dejanira.)
DEJANIRA: (Ma io non sono buona per miccheggiare). (Piano ad Ortensia.)
MARCHESE: (Ehi! Mostrate al Conte il fazzoletto). (Piano a Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Osservi signor Conte, il bel regalo che mi ha fatto il signor Marchese. (Mostra il fazzoletto al Conte.)
CONTE: Oh, me ne rallegro! Bravo, signor Marchese.
MARCHESE: Eh niente, niente. Bagattelle. Riponetelo via; non voglio che lo diciate. Quel che fo, non s'has’ha da sapere.
MIRANDOLINA: (Non s'has’ha da sapere, e me lo fa mostrare. La superbia contrasta con la povertà). (Da sé.)
CONTE: Con licenza di queste dame, vorrei dirvi una parola. (A Mirandolina.)
ORTENSIA: S'accomodiS’accomodi con libertà.
MARCHESE: Quel fazzoletto in tasca lo manderete a male. (A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Eh, lo riporrò nella bambagia, perché non si ammacchi!
Riga 641:
MIRANDOLINA: Certo è compagno, ma è ancora più bello.
MARCHESE: (Sia maledetto il Conte, i suoi diamanti, i suoi denari, e il suo diavolo che se lo porti). (Da sé.)
CONTE: Ora, perché abbiate il fornimento compagno, ecco ch'ioch’io vi dono il gioiello. (A Mirandolina.)
MIRANDOLINA: Non lo prendo assolutamente.
CONTE: Non mi farete questa male creanza.
Riga 653:
MIRANDOLINA: (Posso ben dire con verità questa volta, che fra due litiganti il terzo gode). (Da sé.)
MARCHESE: E così, damine mie, sarò a pranzo con voi.
ORTENSIA: Quest'altroQuest’altro signore chi è? (Al Conte.)
CONTE: Sono il Conte d'Albafioritad’Albafiorita, per obbedirvi.
DEJANIRA: Capperi! È una famiglia illustre, io la conosco. (Anch'ellaAnch’ella s'accostas’accosta al Conte.)
CONTE: Sono a'a’ vostri comandi. (A Dejanira.)
ORTENSIA: È qui alloggiato? (Al Conte.)
CONTE: Sì, signora.
DEJANIRA: Si trattiene molto? (Al Conte.)
CONTE: Credo di sì.
MARCHESE: Signore mie, sarete stanche di stare in piedi, volete ch'ioch’io vi serva nella vostra camera?
ORTENSIA: Obbligatissima. (Con disprezzo.) Di che paese è, signor Conte?
CONTE: Napolitano.
Riga 676:
CONTE: Esse sono padrone di servirsi come comandano, ma alla mia piccola tavola in più di tre non ci si sta.
MARCHESE: Vorrei veder anche questa...
ORTENSIA: Andiamo, andiamo, signor Conte. Il signor Marchese ci favorirà un'altraun’altra volta. (Parte.)
DEJANIRA: Signor Marchese, se trova il fazzoletto, mi raccomando. (Parte.)
MARCHESE: Conte, Conte, voi me la pagherete.
CONTE: Di che vi lagnate?
MARCHESE: Son chi sono, e non si tratta così. Basta... Colei vorrebbe un fazzoletto? Un fazzoletto di quella sorta? Non l'avràl’avrà. Mirandolina, tenetelo caro. Fazzoletti di quella sorta non se ne trovano. Dei diamanti se ne trovano, ma dei fazzoletti di quella sorta non se ne trovano. (Parte.)
MIRANDOLINA: (Oh che bel pazzo!). (Da sé.)
CONTE: Cara Mirandolina, avrete voi dispiacere ch'ioch’io serva queste due dame?
MIRANDOLINA: Niente affatto, signore.
CONTE: Lo faccio per voi. Lo faccio per accrescer utile ed avventori alla vostra locanda; per altro io son vostro, è vostro il mio cuore, e vostre son le mie ricchezze, delle quali disponetene liberamente, che io vi faccio padrona. (Parte.)
Riga 690:
SCENA VENTITREESIMA
 
MIRANDOLINA (sola): Con tutte le sue ricchezze, con tutti li suoi regali, non arriverà mai ad innamorarmi; e molto meno lo farà il Marchese colla sua ridicola protezione. Se dovessi attaccarmi ad uno di questi due, certamente lo farei con quello che spende più. Ma non mi preme né dell'unodell’uno, né dell'altrodell’altro. Sono in impegno d'innamorard’innamorar il Cavaliere di Ripafratta, e non darei un tal piacere per un gioiello il doppio più grande di questo. Mi proverò; non so se avrò l'abilitàl’abilità che hanno quelle due brave comiche, ma mi proverò. Il Conte ed il Marchese, frattanto che con quelle si vanno trattenendo, mi lasceranno in pace; e potrò a mio bell'agiobell’agio trattar col Cavaliere. Possibile ch'eich’ei non ceda? Chi è quello che possa resistere ad una donna, quando le dà tempo di poter far uso dell'artedell’arte sua? Chi fugge non può temer d'esserd’esser vinto, ma chi si ferma, chi ascolta, e se ne compiace, deve o presto o tardi a suo dispetto cadere. (Parte.)
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