Divina Commedia/Purgatorio/Canto XXIV: differenze tra le versioni
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{{Qualità|avz=75%|data=13 febbraio 2008|arg=Poemi}}{{IncludiIntestazione|sottotitolo=[[Divina Commedia/Purgatorio|Purgatorio]]<br /><br />Canto ventiquattresimo|prec=../Canto XXIII|succ=../Canto XXV}}
''Canto XXIV nel quale si tratta del sopradetto sesto girone e di quelli che si purgano del predetto peccato e vizio de la gola; e predicesi qui alcune cose a venire de la città lucana.
▲''Canto XXIV nel quale si tratta del sopradetto sesto girone e di quelli che si purgano del predetto peccato e vizio de la gola; e predicesi qui alcune cose a venire de la città lucana.'
<poem>
Né
facea, ma ragionando andavam forte,
sì come nave pinta da buon vento; {{r|3}}
e
per le fosse de li occhi ammirazione
traean di me, di mio vivere accorte. {{r|6}}
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che non farebbe, per altrui cagione. {{r|9}}
Ma dimmi, se tu sai,
dimmi
tra questa gente che sì mi riguarda". {{r|12}}
{{§|La mia sorella|"La mia sorella, che tra bella e buona
non so qual fosse più}}, trïunfa lieta
ne
Sì disse prima; e poi: "Qui non si vieta
di nominar ciascun, da
nostra sembianza via per la dïeta. {{r|18}}
Questi", e mostrò col dito, "è Bonagiunta,
Bonagiunta da Lucca; e quella faccia
di là da lui più che
ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia:
dal Torso fu, e purga per digiuno
Molti altri mi nomò ad uno ad uno;
e del nomar parean tutti contenti,
sì
Vidi per fame a vòto usar li denti
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che pasturò col rocco molte genti. {{r|30}}
Vidi messer Marchese,
già di bere a Forlì con men secchezza,
e sì fu tal, che non si sentì sazio. {{r|33}}
Ma come fa chi guarda e poi
più
che più parea di me aver contezza. {{r|36}}
El mormorava; e non so che "Gentucca"
de la giustizia che sì li pilucca. {{r|39}}
"O anima",
di parlar meco, fa sì
e te e me col tuo parlare appaga". {{r|42}}
"Femmina è nata, e non porta ancor benda",
cominciò el, "che ti farà piacere
la mia città, come
Tu te
se nel mio mormorar prendesti errore,
dichiareranti ancor le cose vere. {{r|48}}
Ma dì
trasse le nove rime, cominciando
E io a lui: "
Amor mi spira, noto, e a quel modo
"O frate, issa
che
di qua dal dolce stil novo
Io veggio ben come le vostre penne
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e qual più a gradire oltre si mette,
non vede più da
e, quasi contentato, si tacette. {{r|63}}
Come li augei che vernan lungo
alcuna volta in aere fanno schiera,
poi volan più a fretta e vanno in filo, {{r|66}}
così tutta la gente che lì era,
volgendo
e per magrezza e per voler leggera. {{r|69}}
E come
lascia andar li compagni, e sì passeggia
fin che si sfoghi
sì lasciò trapassar la santa greggia
Forese, e dietro meco sen veniva,
dicendo: "Quando fia
"Non so",
ma già non fïa il tornar mio tantosto,
però che
di giorno in giorno più di ben si spolpa,
e a trista ruina par disposto". {{r|81}}
"Or va",
La bestia ad ogne passo va più ratto,
crescendo sempre, fin
e lascia il corpo vilmente disfatto. {{r|87}}
Non hanno molto a volger quelle ruote",
e drizzò li occhi al ciel, "che ti fia chiaro
ciò che
Tu ti rimani omai; ché
in questo regno, sì
venendo teco sì a paro a paro". {{r|93}}
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parvermi i rami gravidi e vivaci
per esser pur allora vòlto in laci. {{r|105}}
Vidi gente
e gridar non so che verso le fronde,
quasi bramosi fantolini e vani {{r|108}}
che pregano, e
ma, per fare esser ben la voglia acuta,
tien alto lor disio e nol nasconde. {{r|111}}
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Sì tra le frasche non so chi diceva;
per che {{
oltre andavam dal lato che si leva. {{r|120}}
"Ricordivi", dicea, "
nei nuvoli formati, che, satolli,
Tesëo combatter
e de li Ebrei
per che no i volle Gedeon compagni,
quando
{{§|Sì accostati|Sì accostati a l'un d'i due vivagni
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"Che andate pensando sì voi sol tre?",
sùbita voce disse;
come fan bestie spaventate e poltre. {{r|135}}
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vetri o metalli sì lucenti e rossi, {{r|138}}
montare in sù, qui si convien dar volta;
quinci si va chi vuole andar per pace". {{r|141}}
per
E quale, annunziatrice de li albori,
tutta impregnata da
tal mi
la fronte, e ben
che fé sentir
E
tanto di grazia, che
nel petto lor troppo disir non fuma, {{r|153}}
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