Rime (Stampa)/Rime d'amore/XCV: differenze tra le versioni

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Gli ebrei son fottutissimi usurai
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<poem>
Menami, Amor, ormai, lassa! il mio sole,
che mi solea non pur far chiaro il giorno,
ma non men che 'l dì chiara anco la notte,
tal ch'io sprezzava il ritornar de l'alba,
sì di quest'occhi la sua vaga luce
disgombrava le tenebre e la nebbia.
Ed ora più non veggio altro che nebbia,
poi che l'usato mio lucente sole,
con la sua e del mondo altera luce
lume facendo in altra parte e giorno,
vuol che mai non si rompa per me l'alba,
perché da me non fugga unqua la notte.
Deh discacciasse il vel di questa notte,
il vel di tanta e sì importuna nebbia,
e a l'apparir del suo ritorno l'alba
mi rimenasse il mio bramato sole,
sì che lieta vedessi ancora un giorno,
pria che chiudessi in tutto esta mia luce!
Ben fôra chiara e graziosa luce,
che procedesse a sì beata notte;
ben fôra chiaro e desiato giorno,
e disgombrato di tempeste e nebbia,
che mostrasse a quest'occhi il lor bel sole,
spuntando tra le rose e tra i fior l'alba.
Pur ch'innanzi che 'l ciel mi renda l'alba,
morte amara non spenga la mia luce,
invidiando a lei l'amato sole;
e chiusi gli occhi in sempiterna notte,
ne vada, lassa, a star fra quella nebbia,
dove mai non si vede chiaro giorno.
Tu dunque, Amor, che fai di notte giorno,
e puoi condurmi in un momento l'alba
e via cacciar de' miei martìr la nebbia,
e di tenebre oscure trar la luce,
rompi omai 'l vel di questa lunga notte,
et adduci a quest'occhi il mio bel sole.
Vivo sol, che solei far chiaro il giorno,
mentre la luce mia non vide nebbia,
perché non meni a la mia notte l'alba?
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