Poemi conviviali/Solon: differenze tra le versioni

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Riga 6:
tempio senza votivo oro di doni;
ché questo è bello: attendere al cantore
che nella voce ha l'ecol’eco dell'Ignotodell’Ignoto.
Oh! nulla, io dico, è bello più, che udire
un buon cantore, placidi, seduti
l'unl’un presso l'altrol’altro, avanti mense piene
di pani biondi e di fumanti carni,
mentre il fanciullo dal cratere attinge
Riga 15:
e dire in tanto grazïosi detti,
mentre la cetra inalza il suo sacro inno;
o dell'auletadell’auleta querulo, che piange,
godere, poi che ti si muta in cuore
il suo dolore in tua felicità.
Riga 24:
Ora te né lontano ospite giova
né, già vecchio, i bei cani né cavalli
di solid'unghiasolid’unghia, né l'amorel’amore, o savio.
Te la coppa ora giova: ora tu lodi
più vecchio il vino e più novello il canto.
E novelle al Pireo, con la bonaccia
prima e co'co’ primi stormi, due canzoni
oltremarine giunsero. Le reca
una donna d'Eressod’Eresso - Apri: rispose;
alla rondine, o Phoco, apri la porta. -
Erano le Anthesterïe: s'aprivas’apriva
il fumeo doglio e si saggiava il vino.
 
Entrò, col lume della primavera
e con l'alitol’alito salso dell'Egeodell’Egeo,
la cantatrice. Ella sapea due canti:
l'unol’uno, d'amored’amore, l'altrol’altro era di morte.
Entrò pensosa; e Phoco le porgeva
uno sgabello d'aureed’auree borchie ornato
ed una coppa. Ella sedé, reggendo
la risonante pèctide; ne strinse
Riga 46:
tentò le corde fremebonde, e disse:
 
Splende al plenilunïo l'ortol’orto; il melo
trema appena d'und’un tremolio d'argentod’argento...
Nei lontani monti color di cielo
sibila il vento.
Riga 53:
Mugghia il vento, strepita tra le forre,
su le quercie gettati... Il mio non sembra
che un tremore, ma è l'amorel’amore, e corre,
spossa le membra!
 
M'èM’è lontano dalle ricciute chiome,
quanto il sole; sì, ma mi giunge al cuore,
come il sole: bello, ma bello come
Riga 67:
 
dolce è da te scendere dove è pace:
scende il sole nell'infinitonell’infinito mare;
trema e scende la chiarità seguace
crepuscolare.
 
La Morte è questa! il vecchio esclamò. Questo,
ella rispose, è, ospite, l'Amorel’Amore.
Tentò le corde fremebonde, e disse:
 
Togli il pianto. È colpa! Sei del poeta
nella casa, tu. Chi dirà che fui?
Piangi il morto atleta: beltà d'atletad’atleta
muore con lui.
 
Muore la virtù dell'eroedell’eroe che il cocchio
spinge urlando tra le nemiche schiere;
muore il seno, sì, di Rhodòpi, l'occhiol’occhio
del timoniere;
 
ma non muore il canto che tra il tintinno
della pèctide apre il candor dell'aledell’ale.
E il poeta fin che non muoia l'innol’inno,
vive, immortale,
 
poi che l'innol’inno (diano le rosee dita
pace al peplo, a noi non s'addices’addice il lutto)
è la nostra forza e beltà, la vita,
l'animal’anima, tutto!
 
E chi voglia me rivedere, tocchi
queste corde, canti un mio canto: in quella,
tutta rose rimireranno gli occhi
{{AutoreCitatoAc|Saffo}} la bella.
 
Questo era il canto della Morte; e il vecchio
Solon qui disse: Ch'ioCh’io l'imparil’impari, e muoia.
</poem>