Asolani/Libro secondo/XXV: differenze tra le versioni

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{{Qualità|avz=75%|data=31 agosto 2009|arg=Saggi}}{{IntestazioneIncludiIntestazione|sottotitolo=Libro letteraturasecondo - Capitolo XXV}}
|Nome e cognome dell'autore=Pietro Bembo
|Titolo=Gli Asolani
|Iniziale del titolo=G
|Nome della pagina principale=Asolani
|Eventuale titolo della sezione o del capitolo=Libro secondo - Capitolo XXV
|Anno di pubblicazione =1530
|Secolo di pubblicazione=XVI secolo
|Il testo è una traduzione?=no
|Lingua originale del testo=
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|Abbiamo la versione cartacea a fronte?=no
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In questa guisa rimanendo a Gismondo più libero l'altro corso de' suoi sermoni, dalle donne ispeditosi, ad essi procedendo così disse: - Le narrate dolcezze de gli amanti, o donne, essere vi possono segno e dimostramento delle non narrate, le quali senza dubbio tante sono e alle volte così nuove e per lo continuo così vive, che egli non è oggimai da maravigliarsi di Leandro, se egli, per vedere la sua donna pure un poco, largo e periglioso pelago spesse volte a nuoto passava. Ora entrisi a dire dell'altro senso, il quale scorge all'anima le vegnenti voci, di cui, se ben si considera, niente sono le dolcezze minori. Perciò che in quanti modi esser può recamento di gioia il vedere le lor donne a gli amanti, in tanti l'udirle può loro essere similmente. Che sì come uno medesimo obbietto, diversamente da gli occhi nostri veduto, diversi diletti ci dà, così una stessa voce, in mille guise da gli orecchi ascoltata, ci dona dolcezza in mille maniere. Ma che vi posso io dir più avanti d'intorno a questa dolcezza, che a voi, sì come a me, non sia chiaro? Non sapete voi con quanta sodisfazione tocchi i cuori delle innamorate giovani un sicuro ragionar co' loro signori in alcuno solitario luogo o forse sotto graziose ombre di novelli alberi, nella guisa che noi ragioniamo, dove altri non gli ascolti che Amore, il quale allora suole essere non men buono confortatore delle paurose menti, che egli si sia de gli ascoltati ragionamenti segreto e guardingo testimonio? Non v'è egli ancor palese di quanta tenerezza ingombri due anime amanti un vicendevole raccontamento di ciò che avien loro? un dimandare, un rispondere, un pregare, un ringraziare? Non v'è egli manifesto di quanta gioia dell'una ogni parola dell'altra sia piena? ogni sospiro, ogni mormorio, ogni accento, ogni voce? O chi è quello, nel cui rozzo petto in tanto ogni favilluzza d'amoroso pensiero spenta sia, che egli non conosca quanto sia caro e dilettevole a gli amanti talora recitare alcun lor verso alle lor donne ascoltanti e talora esse recitanti ascoltare? o gli antichi casi amorosi leggendo, incontrarsi ne gli loro e trovar ne gli altrui libri scritti i loro pensieri, tali nelle carte sentendogli, quali essi gli hanno fatti nel cuore, ciascuno i suoi affettuosamente a quelli e con dolce maraviglia aguagliando? O pure con quanta soavità ci soglia li spiriti ricercare un vago canto delle nostre donne, e quello massimamente che è col suono d'alcun soave strumento accompagnato, tocco dalle loro dilicate e musice mani? con quanta poi, oltre a questa, se aviene che elle cantino alcuna delle nostre canzoni o per aventura delle loro? Che quantunque de gli uomini quasi proprie sieno le lettere e la poesia, non è egli perciò che, si come Amore nelle nostre menti soggiornando con la regola de gli occhi vostri c'insegna le più volte quest'arte, così ancora ne' vostri giovani petti entrato, egli alle volte qualche rima non ne tragga e qualche verso: i quali poi tanto più cari si dimostrano a noi, quanto più rari si ritruovano in voi. Così aviene che rinforzando le nostre donne in più doppi la soavità della loro armonia, fanno altresì la nostra dolcezza rinforzare, la quale, passando nell'anima, sì la diletta che niuna più, come quella che, dalle celestiali armonie scesa ne' nostri corpi e di loro sempre disiderosa, di queste altre a sapor di quelle s'invaghisce, più gioia sentendone, che quasi non pare possibile, a chi ben mira, di cosa terrena doversi sentire. Benché non è terrena l'armonia, donne, anzi pure in maniera con l'anima confacevole, che alcuni furono già che dissero essa anima altro non essere che armonia.
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