Giuseppe Aurelio Costanzo: differenze tra le versioni

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Che se tu ritornassi a noi dinnante
pur collauro a le chiome,
o {{AutoreCitato|Vittori Alfieri|d'Alfieri}} con l'anima, o di {{AutoreCitato|Dante}}
col glorioso nome,
trar tu dovresti nel fango la vita
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Non ostante tutto questo, il poeta persiste nella sua ribellione; ribellione contro la natura, ribellione contro la societa!
Cosi egli canta nell'ode al ''Marzo'';
<poem>
Combatti. La natura
di attentati e di lotte anch'essa vive;
anch'essa, come noi, col sacrifizio
de le sue leggi, la sua storia scrive.
Io t'amo, Marzo, t'amo
ne'tuoi vezzi e ne'tuoi sdegni protervi,
ne le tue ebbrezze e ne le tue vertigini
e fin nell'urto de' tuoi stessi nervi.
T'amo ne le tue lune,
ne le cento stranezze, ne la fiera
anima di ribelle ardito e giovane
e ne la gloria de la tua bandiera.
</poem>
Mi diceva, poi, poco tempo fa:
— Il mio odio contro il fango non è sfogato del tutto ancora. Ma, da qui in avanti mi servirò della prosa. Il verso è per sè troppo nobile per maneggiare lo scudiscio.
 
VII.
 
G. A. Costanzo, tuttavia nel fiore degli anni, vive in Roma modestamente, senza corteggio di amici e di adulatori, insegnando, ossia sacrificando tante belle ore del giorno all' insegnamento della letteratura italiana presso l' Istituto femminile superior dove sostitui gratuitamente per tanto tempo, nella qualità di Direttore, il Prati.
Chi la mattina o verso le due passeggiasse per Via Nazionale non sarebbe difficile che vedesse salire e scendere, tutto solo, immerso ne'propri pensieri e nelle proprie meditazioni, un uomo corto e tarchiato, eternamente vestito di nero, dal cappello alla Lobbia, dalla faccia larga ed espansiva, dagli occhi sempre lucenti e mesti, tali quali, circa vent'anni sono, erano comparsi al Settembrini. E Giuseppe Aurelio Costanzo che va o viene dalla scuola.
Come 1' avete immaginato leggendo i versi, così lo trovate nella vita. Semplice, sincero, affettuoso, capace di alleviare i vostri guai e di piangere insieme con voi — senza maschera, così, per impulso spontaneo. Ma osservatelo bene, e vedrete, che ha delle guardatine così ladre, de'sorrisetti così socraticamente maliziosi, de'lampi d' ironia così amabilmente sottile da farvi comprendere che il poeta, in fin de'conti, conosce il mondo e sa compatirne all'occasione le miserie.
Benchè abbia esordito come insegnante normale, è stato più volte Segretario di Gabinetto di parecchi ministri della Pubblica Istruzione. Ma n' è uscito come v' era entrato: senza aver preteso nemmeno i soliti pinguissimi soprassoldi.
 
Quando, alcuni anni sono, alcuni belli spiriti l' attaccarono, egli disse sorridendo agli amici:
 
—- Si, hanno ragione. Ma si sono dimenticati di una cosa. Non hanno ricordato che, quando essi vagivano in cuna, io ero lanciato nella rivoluzione del 1860 o davo la caccia a' briganti della Calabria.
 
Perchè il Costanzo, soldato e poeta, tiene, come Eschilo, più alla gloria di soldato, che alla gloria di poeta. Ma non è vero il ''Nemo propheta in patria!''
 
Il poeta, in questi giorni, quasi compenso agli affanni tutti della sua vita errabonda e avventurosa, ha avuto un' alta e lieta soddisfazione; la soddisfazione più bella e più cara, cui grande scrittore possa mai aspirare. I suoi buoni e riconoscenti compaesani hanno battezzato il teatro col nome di Giuseppe Aurelio Costanzo, ornandolo pure del busto del poeta.
Lo meritava questo il poeta! Quel paesello, egli lo ha costantemente celebrato con versi.tenerissimi.
 
<poem>
 
Sono dieci anni, o vaga Ibla natia.,
 
che da le tue montagne erro lontano;
 
e son dieci anni che sospiro invano
 
i tuoi floridi colli, o patria mia!
 
</poem>
 
Roma, Marzo 1886.