Epistolario di Renato Serra/A Luigi Ambrosini - gennaio 1905: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
Nessun oggetto della modifica
Riga 43:
{{Centrato|<small>Quae picis modo digitis lentescit habendo</small>}}
(della terra grassa fra le dita)<ref>Dopo il {{TestoCitato|Divina Commedia/Inferno/Canto XIX#75|v.75 del canto XIX dell' ''Inferno''}}, Serra cita il {{TestoCitato|Georgiche/Libro secondo#250|v.250 del libro II delle ''Georgiche''}}, là dove Virgilio insegna il modo di conoscere la terra grassa. Ma, poichè senza dubbio citava a memoria, non trascrisse esattamente il verso del passo che qui riportiamo: "Pinguis item quae sit tellus, hoc denique pacto|discimus: haud umquam manibus lactata fatiscit,|se pici in morem ad digitos lentescit habendo".</ref>
 
Così non è classico quell'introdurre l'imagine non pura e netta e sola come facevano i greci, ma dissimulata in un verbo e accennata di scorcio; ciò che dà luogo a certi mischiamenti impudichi (dirò con Acri) e a certi sbattimenti e stonature, indistinte al volgo, ma le più lontane, in loro speciosità dall'arte vera.
 
Che cosa vuol dire, e che disegno armonioso puoi tu ritrarre da questa frase: ''arrotondata'' dall' ''onda'' del sentimento, tanto più se ci rappicchi: affinata e attillata in un balenìo.... - Certo son modi che procedon quasi dirittamente dal Carducci; io, scrivendo, ne son pieno; ma è roba da poltroni, e in te non la voglio vedere.
 
Bella poi, pura e ben disegnata e rilevata; di quelle che dàn luce e riposo all'idea l'imagine del {{TestoCitato|Galileo Galilei|Galileo}}: ma non è dir troppo di quella pur nobilissima prosa?
{{Sezione note}}