Epistolario di Renato Serra/A Emilio Lovarini - 14 settembre 1904: differenze tra le versioni

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Io comincio con l'avvertire che la mia non è se non una preparazione a uno studio compiuto sui Trionfi; quale non sarà possibile se non dopo determinatone con sicurezza l'ordine e la lezione del testo. Io, non conoscendo lo stato dei codici, se non di seconda mano, lascio fuori queste questioni contentandomi ai resultati maggiori della critica moderna - dal {{AutoreCitato|Cristoforo Pasqualigo|Pasqualigo}} al {{AutoreCitato|Giovanni Mestica|Mestica}} all'Appel (di cui per fortuna ho e conosco bene la grande edizione critica dei Tr. Ma non conosco i lavori, che devono essere usciti ultimamente, di {{AutoreCitato|Flaminio Pellegrini|Fl. Pellegrini}}. Saprebbe ella indicarmeli?).
 
Osservo poi che il giudizio che il {{AutoreCitato|Francesco Petrarca|Petr.}} ebbe a fare della sua produzione volgare (raccolgo tutte le testimonianze; il nome spregiativo che dà a'suoi versi: ''fragmenta, nugellae,'' rime sparse; accuse di ''varietatem'' e ''ruditatem stili''; luoghi di lettere in cui ne parla con dolore e disprezzo etc.) in confronto della latina, a cui sola affidava la sua fama (cfr. lett. al {{AutoreCitato|Giovanni Boccaccio|Boccaccio}} etc.), pur sincero, non restò sempre immutato. Un son. cui nessuno ha posto mente in particolare, delle r. in morte (293), "{{TestoCitato|Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta)/S'io avesse pensato che sí care|S'io avessi pensato che sì care}}", considera le rime volgari come datrici di fama ed esercizio d'arte, e compiange di non averle fatte "più spesse e in stil più rare"; e segna un cambiamento profondo dai son. in vita {{TestoCitato|Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta)/Se l'onorata fronde che prescrive|24}} e {{TestoCitato|Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta)/S'i' fussi stato fermo a la spelunca|166}}, in cui si duole dell'amore perchè l'ha distolto dalle cure della gloria e dell'arte - cio è della poesia latina.
 
Di questa nuova concezione artistica, e dei desideri che gli svegliava in mente per incarnarla in un'opera ("or vorrei ben piacer") un documento prezioso è in una ep. latina (1360, l.I, 10) dedicatoria dei suoi versi latini giovanili; in cui parlando dell'amore che lo ispirò, con parole che rispecchiano fedelmente il son. proemiale "Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono" e l'altro "S'io avessi pensato", dice: tu, cui piacquero più di me le ''tenuia'' che le ''seria'', accogli bene questa Musa giovanile incolta e discinta; ora essa attende a specchiarsi e ad ornarsi; e forse presto ti si farà innanzi in forma più degna; e finisce - ''dum maiora parantur....''
 
{{Sezione note}}