Vita di Dante/Libro II/Capitolo IX: differenze tra le versioni

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Di Losanna, per le terre del conte di Savoja, ei varcò Moncenisio, scese a Susa e fermòssi a Torino nell'ottobre di quell'anno 1310. Accorsevi Guelfi e Ghibellini, signoreggianti e cacciati, con sèguito e soli; non attendendo a una provvisione fatta da molte città guelfe, per impedire questo ingrossamento dell'oste imperiale: che niun cittadino potesse uscire dal proprio territorio, o, come dicevasi ancor allora, dal proprio ''comitato'', o contado. Consigliavano molti degli Italiani accorsi, che niun ripatriamento di fuorusciti si facessero prima dell'incoronamento; ma gli oltramontani più imparziali consigliavan l'opposto. E così fece via via il buon Tedesco, il quale s'era prefissi e incominciò subito per ogni dove due provvedimenti: far rientrare i fuorusciti d'ogni parte, e metter vicarii imperiali in ogni città. Antico era questo tentativo di metter vicarii imperiali, od anche regii, nelle città; e l'avea fatto massimamente Carlo di Napoli al tempo della gran potenza Angioina, prendendo la ''signoria'' delle città, ed esercitandola poi per tali magistrati senza podestà, o con podestà sottoposti. Ma i vicarii imperiali erano diversi in ciò, che l'imperadore avendo diritto d'imperio, non avea bisogno che gli si desse signoria. Quindi questi vicarii imperiali erano più e meno che quelli regii; più in diritto, come si vede, meno in fatto; perchè esercitavano non un'autorità nuova e data volontariamente, ma solo quella vecchia e diminuita dell'imperio. Quindi è, che questa novità la quale potè allora spaventar molti, non fu in realtà guari più che mutazione di titoli per quelli che, già potenti nelle città sotto nomi di podestà o capitani del popolo, presero ora il nuovo di vicario, e ressero poi con questo come avean fatto con gli altri. Anche Federigo Barbarossa aveva voluto metter consoli approvati da esso, invece di quelli liberamente eletti dalle città; ma i consoli così confermati da lui, operarono da consoli più cittadini che imperiali. Anch'egli talora, e poi Federigo II, avevano ai consoli fatto sottentrare i podestà; ma i podestà erano diventati anch'essi, prima magistrati cittadini contro gl'imperatori, poi più o meno tiranni per sè. E nei secoli che seguirono, i titoli di duca dati dagli imperadori a parecchi principi nuovi, fecero il medesimo effetto, ebbero il medesimo risultato, nè più nè meno. Facile è sempre trovar chi accetti; ma i facili accettanti sogliono accettar ''negli stili'', e non aver durevol riguardo ai donatori.
 
Partendo di Torino e venendo ora a questa ora a quella città, il buono Imperatore metteva dunque vicarii, e faceva rientrare fuorusciti guelfi in città ghibelline, ghibellini in città guelfe, quasi per ogni dove. Venne a Chieri, ad Asti, a Casale, a Vercelli, a Novara e a Milano. Dove, non ostante alcune nascoste o piccole opposizioni de' Torriani capi di parte guelfa, prese poi la corona ferrea il dì dell'Epifania del 1311. Ricèvettevi giuramenti da quasi tutte le città, tranne Genova, Firenze e Venezia; e mandò vicarii e fuorusciti ghibellini in Como e Mantova, guelfi in Brescia e Piacenza; e così in tutte da Bologna in su, tranne Verona, dove i Ghibellini (probabilmente mossi dagli Scaligeri) non vollero i San Bonifazio, antichi capi guelfi<ref>Ep.Butr., 887-895.</ref>.
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