Vita di Dante/Libro II/Capitolo IX: differenze tra le versioni

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".... Costui è colui al quale Pietro, di Dio vicario, onorare ci ammonisce; il quale Clemente, ora successore di Pietro, per luce d'apostolica benedizione allumina, acciocchè ove 'l raggio spirituale non basta, quivi lo splendore del minor lume allumini"<ref>Witte, Lett.di Dante, Ep.V, pag.17.</ref>. E così finisce, non senz'arte servendosi del consenso almeno apparente del Papa alla discesa, per unire in favore di essa gli animi guelfi insieme coi ghibellini. Certo, poi, avranno i leggitori osservato lo stile barbaro degli stessi squarci recati, più barbaro e intralciato ne' lasciati. Nè è diverso lo stile di Dante nelle altre lettere sue; le quali tuttavia, come vediamo nel Villani, furono ammirate in questo secolo. Osservisi poi quella ''biforcazione'' delle due potenze temporale e spirituale, che era grande idea del tempo, e che fu quella su cui Dante scrisse poi il libro della {{TestoCitato|Monarchia}}. Ma principalmente s'osservi quel bell'avvertimento dato qui a tutti gl'Italiani:"non solamente serbate a lui ubbidienza, ma ''come liberi il reggimento'';" che sembra un ammonire le città a non sacrificare il proprio governo, la propria libertà; onde si scorge, che la devozione d'un Dante non fu nè poteva essere mai servilità. E se noi condannammo la parte ghibellina men buona, e il rivolgervisi di Dante dall'altra men cattiva; tengasi a mente tuttavia, che tutte e due furono certo seguite sinceramente da molti, tutte e due così probabilmente da Dante. Professavano i Guelfi non meno che i Ghibellini devozione all'impero; e la differenza stava solamente nella interpretazione e ne' limiti di essa, e poi nelle speranze delle due parti sui destini futuri d'Italia. I Ghibellini miravano principalmente all'unità; i Guelfi alla indipendenza. Due idee, due speranze e due scopi, non che scusabili, lodevolissimi certamente. Dugento anni dopo, {{AutoreCitato|Niccolò Machiavelli|Machiavello}} invocando un principe qualunque che riunisse l'Italia, non era diverso molto da Dante, quando invocava il Veltro nell'Inferno, o il capitano che vedremo nel Paradiso, od ora Arrigo VII imperadore; ed anche dopo il Machiavello, molti furono ghibellini a questo modo, ed ebbero la bella idea propria di quella parte, la riunione d'Italia. Bella, dico, più ch'ogni altra, bella nelle speculazioni, ne' voti; ma che il fatto di otto secoli almeno, contando non piu che da Corrado il Salico, ha dimostrata e fatta impossibile ad effettuarsi. Più felice l'Italia se fin da que' tempi, o almeno nei posteriori, si fosse riunita in cercare, non una restaurazione d'imperio o di principato universale, ma il miglioramento delle condizioni sue effettive. Ma sempre il desiderio dell'ottimo impossibile nocque al bene possibile, sempre l'immaginazione al senno; e come il compiacersi in effetti immaginarii alla buona vita privata, così il perdersi in sogni politici alla pubblica efficace. I Guelfi hanno, se non altro, questo principal vantaggio nella storia, d'aver sognato meno che i Ghibellini.
La discesa d'Arrigo VII è uno de' piu belli, de' piu istruttivi, ed insieme de' meglio narrati episodii della storia d'Italia; sendone trattato in parte da quel principe de' nostri cronachisti {{AutoreCitato|Dino Compagni}}, che ritroviamo volentieri; in totalità da {{AutoreCitato|Giovanni Villani}}; e in modo speciale po, da un cotal vescovo ''in partibus'' di Butrinto. Era un buon Tedesco, di non si sa qual famiglia o città, amico e servitore amantissimo di Arrigo, servitor poi come vescovo pur del Papa; al quale ei rende conto di tutta la discesa, onde fu egli gran parte, con una sincerità che non s'astiene da alcuni rimproveri ad esso Papa, e con una semplicità che supplisce od è eleganza. Non iscomparirebbe tal narrazione se si volgarizzasse tra quelle de' nostri Trecentisti, che sono a un tempo documenti e modelli di storia. Quindi, molto volentieri ci tratterremmo con tali guide; se non che l'assunto nostro è di quelli che, non badandovi, trarrebbe, quasi golfo che alletti a poco a poco allargandosi, nell'interminato mar della storia. Ondechè, pur confortando i nostri lettori a spaziarvi con quelle guide, noi ci sforzeremo di rimanere tra' limiti che ci siam prefissi fin da principio<ref>Abbiamo speranza che molta luce su questa discesa d'Arrigo, e in generale sui tempi di Dante, sarà sparsa dal sig.Döenniges, un giovane tedesco che sta illustrando e scrivendo le storie di tutti questi imperadori; e già per Arrigo di Lucimburgo raccolse preziosissimi documenti dagli archivi di Torino. Il sig. Döenniges favorì cercare, ma non trovò il nome dell'Alighieri fra quelli numerosi, che veggonsi in quelle carte, de' fuorusciti fiorentini in varie città.</ref>.
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