Pagina:Zibaldone di pensieri V.djvu/61: differenze tra le versioni

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<section begin=1 /><!--{{ZbPagina|2882}}-->che sia se non quello d’Ammiano nel {{AutoreCitato|Forcellini}} Vedi ''aptatus''. Ora Ammiano è pur di bassa latinità. Mostra che il volgo abbia sempre conservato il primo uso di questo verbo, piú degli scrittori eleganti, che l’hanno piuttosto adoperato metaforicamente. Del resto se mai si potesse dubitare che il verbo ''aptare ''venisse da ''aptus'', il cui proprio senso è ''legato'' ec. e che Festo dice essere participio di ''apo'', lo spagnuolo ''atar'' che vale ''legare congiungere'', finirebbe di mandare a terra qualunque dubbio. Il nostro ''attare, adattare, adapter'' ec. ha per proprio il significato metaforico ordinario di ''apto, adapto'' ec. Vedi nel {{AutoreCitato|Forcellini}} esempi di ''coaptare, coaptatio, coaptatus,'' (συνάπτειν) in senso di ''collegato'' ec. tutti di S. Agostino, il quale certo non pigliava questo buono e primitivo uso di tali parole da’ piú antichi padri della scrittura latina, né dagli scrittori aurei che non le usano, ma dal parlar del volgo, che tuttavia conservava quel significato, come ancora lo conserva in Ispagna. E cosí dite di Ammiano. <section end=1 /><section begin=2 />{{ZbPagina|2883}} E chi sa che ''aptare'' in questo senso, non sia l’origine di ''attaccare, attacher'' ec.? Vedi il Glossar. Cang. principalmente in ''attachiare'', cioè ''vincire'' ec. Ma siccome questa voce si trova massimamente usata nelle scritture latino-barbare d’inglesi e scozzesi, cosí non voglio contrastare che la sua origine non possa probabilmente essere Teutonica ec. come si afferma nel medesimo Glossar. v.2. ''Tasca.'' (3 luglio 1823). Vedi p. {{ZbLink|2887}}.
<section begin=1 /><!--{{ZbPagina|2882}}-->che sia se non quello d’Ammiano nel {{AutoreCitato|Forcellini}} Vedi ''aptatus''. Ora Ammiano è pur di bassa latinità. Mostra che il volgo abbia sempre conservato il primo uso di questo verbo, piú degli scrittori eleganti, che l’hanno piuttosto adoperato metaforicamente. Del resto se mai si potesse dubitare che il verbo ''aptare ''venisse da ''aptus'', il cui proprio senso è ''legato'' ec. e che Festo dice essere participio di ''apo'', lo spagnuolo ''atar'' che vale ''legare congiungere'', finirebbe di mandare a terra qualunque dubbio. Il nostro ''attare, adattare, adapter'' ec. ha per proprio il significato metaforico ordinario di ''apto, adapto'' ec. Vedi nel {{AutoreCitato|Forcellini}} esempi di ''coaptare, coaptatio, coaptatus,'' (συνάπτειν) in senso di ''collegato'' ec. tutti di S. Agostino, il quale certo non pigliava questo buono e primitivo uso di tali parole da’ piú antichi padri della scrittura latina, né dagli scrittori aurei che non le usano, ma dal parlar del volgo, che tuttavia conservava quel significato, come ancora lo conserva in Ispagna. E cosí dite di Ammiano. <section end=1 /><section begin=2 />{{ZbPagina|2883}} E chi sa che ''aptare'' in questo senso, non sia l’origine di ''attaccare, attacher'' ec.? Vedi il Glossar. Cang. principalmente in ''attachiare'', cioè ''vincire'' ec. Ma siccome questa voce si trova massimamente usata nelle scritture latino-barbare d’inglesi e scozzesi, cosí non voglio contrastare che la sua origine non possa probabilmente essere Teutonica ec. come si afferma nel medesimo Glossar. v.2. ''Tasca.'' (3 luglio 1823). Vedi p. {{ZbLink|2887}}.




{{ZbPensiero|ZbPensiero}}Io provo presentemente un piacere, io vorrei che la condizione di tutta la mia vita, di tutta l’eternità, fosse uguale a quella in cui mi trovo in questo momento. Questo è ciò che nessun uomo dice mai né può dire di buona fede, neppur per un solo momento, neppure nell’atto del maggior piacere possibile. Ora se egli in quel momento provasse in verità un piacer presente e perfetto (e se non è perfetto, non è piacere), egli dovrebbe naturalmente desiderare di provarlo sempre, perché<section end=2 />
{{ZbPensiero|2883/1}}Io provo presentemente un piacere, io vorrei che la condizione di tutta la mia vita, di tutta l’eternità, fosse uguale a quella in cui mi trovo in questo momento. Questo è ciò che nessun uomo dice mai né può dire di buona fede, neppur per un solo momento, neppure nell’atto del maggior piacere possibile. Ora se egli in quel momento provasse in verità un piacer presente e perfetto (e se non è perfetto, non è piacere), egli dovrebbe naturalmente desiderare di provarlo sempre, perché<section end=2 />