Pagina:Zibaldone di pensieri II.djvu/416: differenze tra le versioni

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<section begin=1 /><!--{{ZbPagina|1099}}--><noinclude>lemente, </noinclude>facilmente nel discorso, sono cosí lontani da ogni senso di affettazione o di studio ad usarli, e in somma cosí freschi, (e al tempo stesso bellissimi ec). che il lettore il quale non sa da che parte vengano, non si può accorgere che sieno antichi, ma deve stimarli modernissimi e di zecca. Parole e modi, dove l’antichità si può conoscere, ma per nessun conto sentire. E laddove quegli altri si possono paragonare alle cose stantivite, rancidite, ammuffite col tempo; questi rassomigliano a quelle frutta che intonacate di cera si conservano per mangiarle fuor di stagione, e allora si cavano dall’intonacatura vivide e fresche e belle e colorite, come si cogliessero dalla pianta. E sebbene dismessi e ciò da lunghissimo tempo, o nello scrivere, o nel parlare, o in ambedue, non paiono dimenticati, ma come riposti in disparte, e custoditi, per poi ripigliarli (28 maggio 1821). <section end=1 /><section begin=2 />{{ZbPagina|1100}} L’uomo non si può muovere neanche alla virtú, se non per solo e puro amor proprio, modificato in diverse guise. Ma oggi quasi nessuna modificazione dell’amor proprio può condurre alla virtú. E cosí l’uomo non può esser virtuoso per natura. Ecco come l’egoismo universale, rendendo per ogni parte inutile anzi dannoso ogni genere di virtú all’individuo, e la mancanza delle illusioni e di cose che le destino, le mantengano, le realizzino, producono inevitabilmente l’egoismo individuale, anche nell’uomo per indole piú fortemente e veramente e vivamente virtuoso. Perché l’uomo non può assolutamente scegliere quello che si oppone evidentemente e ''per ogni parte'' all’amor proprio suo. E perciò gli resta solo l’egoismo, cioè la piú brutta modificazione dell’amor proprio, e la piú esclusiva d’ogni genere di virtú (28 maggio 1821).
<section begin=1 /><!--{{ZbPagina|1099}}--><noinclude>lemente, </noinclude>facilmente nel discorso, sono cosí lontani da ogni senso di affettazione o di studio ad usarli, e in somma cosí freschi, (e al tempo stesso bellissimi ec). che il lettore il quale non sa da che parte vengano, non si può accorgere che sieno antichi, ma deve stimarli modernissimi e di zecca. Parole e modi, dove l’antichità si può conoscere, ma per nessun conto sentire. E laddove quegli altri si possono paragonare alle cose stantivite, rancidite, ammuffite col tempo; questi rassomigliano a quelle frutta che intonacate di cera si conservano per mangiarle fuor di stagione, e allora si cavano dall’intonacatura vivide e fresche e belle e colorite, come si cogliessero dalla pianta. E sebbene dismessi e ciò da lunghissimo tempo, o nello scrivere, o nel parlare, o in ambedue, non paiono dimenticati, ma come riposti in disparte, e custoditi, per poi ripigliarli (28 maggio 1821). <section end=1 /><section begin=2 />{{ZbPagina|1100}}
{{ZbPensiero|ZbPensiero}}L’uomo non si può muovere neanche alla virtú, se non per solo e puro amor proprio, modificato in diverse guise. Ma oggi quasi nessuna modificazione dell’amor proprio può condurre alla virtú. E cosí l’uomo non può esser virtuoso per natura. Ecco come l’egoismo universale, rendendo per ogni parte inutile anzi dannoso ogni genere di virtú all’individuo, e la mancanza delle illusioni e di cose che le destino, le mantengano, le realizzino, producono inevitabilmente l’egoismo individuale, anche nell’uomo per indole piú fortemente e veramente e vivamente virtuoso. Perché l’uomo non può assolutamente scegliere quello che si oppone evidentemente e ''per ogni parte'' all’amor proprio suo. E perciò gli resta solo l’egoismo, cioè la piú brutta modificazione dell’amor proprio, e la piú esclusiva d’ogni genere di virtú (28 maggio 1821).